domenica 1 marzo 2009

Diversità

Nozze miste, le donne italiane schiave in casa di Maria Giovanna Maglie

Negli ultimi sei mesi del 2008 tremilacinquecento donne si sono rivolte al numero verde anti-violenza «Mai più sola» di Acmid, l’Associazione delle donne marocchine d’Italia. Le donne italiane sposate con musulmani sono in continuo aumento. Patrizia è romana, è stata sposata per sei anni con un egiziano conosciuto a Sharm el Sheikh. Ottenuto il permesso di soggiorno l’ha lasciata, e lei ha scoperto che in Egitto era stato sposato contemporaneamente con un’altra donna, che ora ha portato in Italia. L’ha salutata con un ultimo insulto. Non più impura, puttana, non più l’obbligo agli abiti tradizionali e al velo,mail peggiore degli scherni: le vostre leggi sono la prova che siete destinati ad essere sconfitti dall’Islam. Patrizia si è provata a bloccare il percorso della pratica che ne farà un cittadino italiano, ma non c’è niente da fare. Alessia è padovana, da nove anni vive a Sharm el Sheikh dove nel 2001 ha iniziato a convivere con un uomo egiziano, firmando con lui un accordo matrimoniale, l’unico modo per consentire la convivenza tra un egiziano e una straniera. Il matrimonio è stato convalidato nel 2006, un anno dopo la nascita di un figlio, che ha la doppia cittadinanza. Moglie e marito lavoravano insieme a Sharm, l’agenzia che realizzava video subacquei per i turisti era intestatata lui, per pagare meno tasse, sosteneva l'egiziano, che dopo la separazione, lei non sopportava più insulti e percosse, si è tenuto tutto. Anche il figlio, che era stato affidato dal tribunale egiziano alla madre. Il 4 novembre dell'anno scorso è scomparso con il bambino. Alessia non sa dove sia, con chi viva e in quali condizioni, che cosa gli venga detto di sua madre. Qualche giorno fa una donna ha chiamato il numero verde (800911753) per chiedere come può impedire che la figlia venga portata dal marito in Egitto e sottoposta a infibulazione. Come risposta alle sue proteste ha ricevuto solo botte, non sa a quale autorità italiana rivolgersi. Un’altra donna ha telefonato per sapere come può smettere di mantenere il marito disoccupato e il figlio di lui, avuto dalla seconda moglie sposata di nascosto da poligamo nel Paese d’origine, inserito nel suo stato di famiglia. Chiamano donne segregate, picchiate, private dei propri figli. Altro che generalizzazioni da evitare, singoli casi di cronaca nera che potrebbero capitare dovunque, in qualunque tipo di unione, anche fuori da Islam integralista e legge del Corano. Usano il numero verde naturalmente molte donne musulmane che vivono nel nostro Paese, ma non sono adeguatamente protette dalla legge. Fatima ha 23 anni e due bambini, suo marito le getta addosso dell’olio bollente. È colpevole di non aver scaldato bene la cena. È solo l’ultima di una lunga serie di violenze, per Fatima, che stavolta trova la forza di chiedere aiuto. Adesso vive in una comunità protetta e sta per sottoporsi alla diciassettesima operazione di chirurgia ricostruttiva. Più numerose le donne tra i 20 e i 45 anni, ma un tre per cento di telefonate sono di minorenni. Si decidono a chiamare al mattino, quando i padri o i mariti sono lontani da casa o a lavorare. Ma lo fanno anche amiche o vicine di casa, insegnanti. A volte le donne maltrattate sono analfabete, non conoscono l'italiano, e vivono in una condizione di pressoché totale isolamento. Come la ragazza tolta ai genitori e affidata a una comunità protetta dopo che aveva raccontato a una professoressa, in una serie di email, di essere costretta a vestirsi come un maschio e a portare capelli corti. Se si ribellava, la pestavano e la minacciavano di rimandarla in patria per farle sposare un uomo molto più vecchio di lei. La ragazza ha tentato due volte il suicidio. I genitori la maltrattavano perché era l'unica femmina dei quattro figli della coppia, in Italia da dieci anni. Potrei andare avanti con storie orribili per tutto il libro che sto finendo di scrivere sul pericolo che il fondamentalismo islamico rappresenta per la civiltà occidentale. È un pericolo tanto più tremendo perché è misconosciuto e addirittura rimosso. Chi lo denuncia con cifre ed evidenze rischia la messa all’indice, come è successo a me nell’editoriale dedicatomi ieri nientemeno che da Liberazione. Dei risultati ottenuti dal numero verde «Mai più sola» sono tristemente fiera perché alla sua istituzione ho contribuito. Lo voleva con tutte le sue forze Souad Sbai, presidente dell’Acmid, l’associazione delle donne marocchine in Italia, oggi deputato del Pdl, lo ha reso possibile il contributo della Fondazione Nando Peretti, il suo direttore, Stefano Palumbo. Adesso diventa anche osservatorio privilegiato sul fallimento dei matrimoni misti. Arriva in Italia il peggio dei Paesi islamici: pensano di poter fare quello che vogliono, anche essere poligami, e sposano le italiane per interesse, per ottenere in poco tempo la cittadinanza. Non hanno l’obbligo di imparare la lingua, la Costituzione, la parità di diritti fra i due sessi. Anche le unioni nate per amore, con la convivenza e l’arrivo del primo figlio, entrano in conflitto. Se lei cerca di mantenere la sua cultura e la sua identità, se vuole discutere la scelta della religione, della scuola, del Paese in cui far crescere i figli. In casa loro, in Italia, le donne non sono protette. Ha ragione Souad Sbai: è tempo, come in Francia di una Consulta seria sull’immigrazione.

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