sabato 31 gennaio 2009

La soluzione alla crisi

Tracciate le linee di un new deal «ecologico». Veltroni: «1 milione di posti di lavoro dalla rivoluzione ambientale». Secondo il leader del Pd: «Bisogna fare di più nel settore automobilistico e dell'edilizia»

ROMA - Un piano decennale da un milione di posti di lavoro. Il segretario del Partito democratico, Walter Veltroni, ha tracciato le linee della «rivoluzione verde» per l'Italia del Pd a conclusione del primo appuntamento in vista della Conferenza programmatica di aprile. «Sarà un piano decennale serio e moderno per un milione di posti di lavoro, o prodotti o salvati, con scarsi costi e molti benefici, aggiunge Veltroni che ricorda come l'unica leva, l'unico traino, l'unica forma di crescita virtuosa del Pil è la rivoluzione ambientale».

ECOINCENTIVI - Secondo Veltroni non solo è necessaria una rivoluzione verde «per trasferire il mondo alle generazioni future, ma bisogna fare di più nel settore automobilistico, dell'edilizia fino ad arrivare» alla rottamazione del petrolio che è una scelta economica e politica». Nel piano decennale, osserva Veltroni, ci sarà «la rottamazione dei vecchi meccanismi» perché «abbiamo il know-how per fare questa scelta e oltre che liberarsi del petrolio rispettare i parametri di Kyoto». Il segretario del Pd ha poi parlato di ecoincentivi alle auto ma vincolati a un piano di «ricerca e innovazione per basso consumo e basse emissioni oltre a incentivare il trasporto pubblico». Per quanto riguarda le infrastrutture Veltroni indica «la soluzione di un fondo a rotazione per finanziare i migliori progetti cantierabili subito e non al 2011». Si guarda poi «a raddoppiare le fonti di energia rinnovabili nei prossimi dieci anni e a un progetto di strategia nazionale in questo settore» finanziato con soldi pubblici.

Europa

Se gli inglesi si rivoltano contro i lavoratori italiani di Fausto Carioti

È lecito, in tempi di crisi come questi, pretendere che i lavoratori nazionali vengano prima di quelli immigrati? In Italia, no. Qui ogni tentativo della manodopera locale di essere presa in considerazione prima di quella straniera è etichettato come inquinamento leghista della coscienza proletaria, e in quanto tale subito represso. I sindacati tappezzano le città di manifesti per dirci che i lavoratori sono tutti uguali, da qualunque parte del mondo vengano. Dalla parità di trattamento, spesso si sconfina addirittura nella “affirmative action”, la disparità in favore dei nuovi arrivati. È così che molte amministrazioni locali sono arrivate a finanziare, tramite prestiti e agevolazioni fiscali, le piccole imprese degli immigrati. Il risultato, ad esempio, è che gli stra-tassati negozianti italiani finanziano, con le loro imposte, i loro concorrenti immigrati, che così riescono facilmente a cacciarli fuori dal mercato. Chi avesse dubbi, vada a fare un giro nelle strade del centro di città come Bologna, e chieda a un fruttivendolo autoctono, se ne è rimasto qualcuno, come se la passa. Tutto molto inclusivo, per usare uno degli aggettivi più in voga di questi tempi. Scelte benedette anche da vescovi, imprenditori e dal novantanove per cento dei politici e dei commentatori. Ma non è così ovunque. E lo sarà sempre di meno, se la crisi continua a mordere e la disoccupazione sale. Benvenuti nell’Europa unita e solidale. Nel civilissimo Regno Unito, governato dal progressista Labour Party, i compagni lavoratori protestano e scioperano contro gli immigrati che levano loro il posto. Il caso vuole che si tratti di immigrati europei. Italiani e portoghesi, per l’esattezza. I colleghi delle tute blu lasciate a spasso per colpa dei terroni d’Europa manifestano in tutto il paese, in segno di solidarietà. I sindacati si rivolgono al governo, mettono al lavoro gli avvocati e denunciano la perdita dei posti di lavoro inglesi a vantaggio della manodopera importata come «immorale, potenzialmente illegale e politicamente pericolosa». La pubblica informazione e una vasta parte della classe politica, a differenza di quanto accade dalle nostre parti, stanno con loro. Le proteste sono iniziate nella raffineria Lindsey Oil, nel Lincolnshire, est dell’Inghilterra. All’origine c’è la decisione della Total, che gestisce l’impianto, di affidare i lavori di ampliamento a un’impresa italiana, la Irem, vincitrice di un regolarissimo appalto. La Irem ha bisogno di manodopera specializzata e ha solo quattro mesi di tempo per portare a termine i lavori. Ha quindi previsto, già ai tempi in cui è stato raggiunto l’accordo, di usare i propri dipendenti italiani e portoghesi, addestrati per simili operazioni. Cento sono già al lavoro nel cantiere e altri trecento arriveranno nel giro di un mese. Una scelta che i lavoratori del luogo non hanno digerito. A centinaia hanno iniziato a protestare, alzando cartelli con la scritta «British jobs for British workers», «Lavori inglesi per lavoratori inglesi», slogan del primo ministro Gordon Brown che adesso rischia di ritorcersi contro il suo autore. Gli scioperi di solidarietà si sono subito estesi nelle raffinerie e nelle centrali elettriche di tutto il paese, inclusi Scozia e Galles. Hanno incrociato le braccia circa duemila lavoratori, in 17 diversi impianti. Per lunedì è prevista una grande manifestazione, e gli organizzatori delle proteste avvertono che le loro iniziative si allargheranno «come incendi» finché italiani e portoghesi non se ne andranno. Nessuno, da quelle parti, li tratta come xenofobi. Per tutti, sono semplicemente padri e madri di famiglia che difendono il loro diritto alla pagnotta. Iniziando dal principale sindacato nazionale, che si chiama Unite, conta oltre due milioni di iscritti e, manco a dirlo, è di sinistra. «Il governo deve agire rapidamente e pretendere che le compagnie diano ai lavoratori del Regno Unito pari opportunità nella costruzione delle infrastrutture inglesi», si legge nel comunicato scritto ieri dai vertici del sindacato, nel quale si annuncia anche la presentazione di azioni giudiziarie. «È una lotta per il nostro diritto al lavoro, non un attacco razzista», giura un dirigente di Unite. Gordon Brown nicchia, schiacciato tra gli impegni presi con i suoi connazionali e i regolamenti europei che gli impongono di garantire la libera circolazione dei lavoratori. Tramite un portavoce, il primo ministro inglese fa sapere che il contratto tra la Total e l’azienda italiana era stato siglato quando ancora la crisi non era arrivata e nell’industria delle costruzioni c’era carenza di manodopera qualificata. Quasi un modo per scusarsi di quanto avvenuto. Ma il suo ministro dell’Ambiente, Hilary Benn, anche lui membro del Partito laburista, non ha problemi a schierarsi dalla parte dei manifestanti: «I nostri lavoratori hanno diritto ad avere una risposta», avverte. L’opposizione conservatrice, intanto, chiede al governo di varare nuove norme per garantire ai lavoratori inglesi il diritto di precedenza sugli altri: «Quando le circostanze cambiano, anche le leggi debbono cambiare». Sono in molti, oltremanica, a pensarla così. Pure i media inglesi sono schierati dalla parte dei lavoratori. La Bbc mette la protesta delle tute blu tra i titoli più importanti del notiziario. Il quotidiano conservatore Daily Mail pubblica la foto di tre operai italiani che lavorano al cantiere: uno mostra ai reporter e agli inglesi che manifestano contro di loro il dito medio, un altro fa il gesto dell’ombrello. Tutti i giornali d’Oltremanica mettono in evidenza che gli italiani e i portoghesi sono alloggiati in «larghe chiatte galleggianti ormeggiate al molo di Grimsby». A sottintendere che, oltre allo stipendio, hanno anche l’alloggio gratis. Un altro tabloid, il Daily Express, raccoglie lo sfogo dei lavoratori del luogo, secondo il quale gli italiani lavorano male e non rispettano le norme di sicurezza. La guerra tra poveri è iniziata. La speranza è che, alla fine, non siano sempre i lavoratori italiani a rimetterci. In Italia perché lasciati indifesi da sindacati, forze politiche e organi di stampa che, per conformismo buonista e paura di essere accusati di xenofobia, li trattano al pari degli altri. All’estero perché vittime delle scelte autarchiche di sindacati, forze politiche e organi di stampa forse meno equi e solidali dei nostri, ma di sicuro molto più attenti ai bisogni dei loro connazionali.

Magistratura

Apertura dell'anno giudiziario nelle corti d'appello italiane. La denuncia dei magistrati: «Politica, difficile rapporto». Santacroce, Roma: «Situazione allarmante». Grechi, Milano: numero impressionante di cause civili pendenti

MILANO
- L'apertura dell'anno giudiziario, in tutte le corti d'appello italiane, offre oggi l'occasione di riflettere sui «mali» della giustizia del nostro Paese. Occhi puntati in particolare su Milano e Roma. Il presidente della corte d'appello di Milano, Giuseppe Grechi, nella sua relazione inaugurale ha sottolineato come in Italia si facciano troppi processi: «L'Italia detiene, con largo margine, il primo posto assoluto in Europa per numero di affari penali relativi a infrazioni qualificate come gravi, pendenti dinnanzi ai tribunali di primo grado». «Quanto al numero di reati per abitanti - ha sottolineato l'alto magistrato -, siamo secondi solo alla Bosnia Erzegovina». «Sono poche invece in Italia, rispetto agli altri Paesi, le infrazioni minori per le quali non viene innescato il complesso meccanismo del processo penale - ha concluso Grechi -. È evidente che non siamo al cospetto della malvagità di un popolo ma di una politica di "pan-penalizzazione" che si dimostra da sempre di fatto incontenibile, anche perché non sa affidare a organi amministrativi efficienti l'accertamento e la sanzione delle infrazioni meno gravi».

CAUSE CIVILI PENDENTI - Il «dato più impressionante», per Grechi, è l'entità del contenzioso civile: «Per limitarci al primo grado di giudizio, abbiamo un "debito pubblico" di cause civili pendenti che è quasi il doppio della Germania, più del triplo della Francia, più del quadruplo della Spagna». E in fatto di capacità di smaltimento degli affari civili l'Italia è in fondo alla classifica europea, seguita solo da Andorra e Georgia; quanto alla durata delle cause siamo al sest'ultimo posto (precedendo solo Bosnia Erzegovina, Cipro, Andorra, Croazia e Slovenia).

IL CASO ENGLARO - Sul caso di Eluana Englaro, Grechi ha sottolineato che la corte d'appello civile di Milano che è stata chiamata a decidere «non ha invaso territori altrui». «La Costituzione è fondata sulla separazione dei poteri, per cui un potere non può interferire nelle decisioni di un altro». Quindi, né il potere esecutivo né quello legislativo possono annullare le sentenze definitive.

INGERENZE DELLA POLITICA- «La situazione è di estrema drammaticità», ha detto Giorgio Santacroce, presidente della corte d'appello di Roma. «In tutte le nazioni esistono contrasti tra magistratura e politica», ha ricordato Santacroce, «ma da noi la situazione si rivela più grave e sconfortante perché questi contrasti sono vissuti e usati quasi sempre per scatenare sterili polemiche, o servono ad alimentare campagna di vera e propria delegittimazione del ruolo della magistratura nella sua interezza». E ancora: «La crisi della giustizia è grave e allarmante, come mai in passato. Ma il giudice italiano non può continuare a vivere il suo rapporto con la politica in modo perennemente teso e conflittuale».

PROCESSI TROPPO LUNGHI - Santacroce ha anche puntato il dito sull'eccessiva lentezza dei processi in Italia. Per Santacroce occorre una vera e propria «rivoluzione culturale, l'affermazione di un'etica pubblica fondata su una ritrovata legalità, anziché sull'idea fuorviante che l'illegalità degli altri sia sufficiente a giustificare la propria». Ha quindi auspicato «maggiore snellezza e celerità ai processi civili e penali»: «Rendere prontamente giustizia è indispensabile nell'interesse dei cittadini che aspettano un segno tangibile di giustizia».

AURIEMMA: «ATTACCHI DALLA TV» - Ancora sulle ingerenze della politica, durissimo l'intervento del presidente dell' Associazione nazionale magistrati del distretto Roma-Lazio, Paolo Auriemma, per il quale assistiamo a «una continua erosione della credibilità della magistratura con attacchi sempre più virulenti anche nel merito, con l'insistenza martellante degli imbonimenti televisivi di parzialità preconcette, formulate contro i giudici da rappresentanti anche elevati della classe politica». Auriemma ha parlato in sintesi «di una campagna di delegittimazione dei giudici che ha visto spesso in azione esponenti di rilievo» della politica.

LO SCONTRO TRA PROCURE - A Salerno era inevitabile, nella cerimonia di apertura dell'anno giudiziario, un riferimento alla «bufera» che ha travolto la procura nelle scorse settimane, con la sospensione da funzioni e stipendio del capo dei pm Luigi Apicella dopo lo scontro con i colleghi di Catanzaro, in seguito al caso De Magistris. Molto cauto il presidente facente funzione della Corte di Appello di Salerno, Matteo Casale: «L'estrema vicinanza degli accadimenti, la doverosa riservatezza, la non perfetta conoscenza degli atti giudiziari, il dovuto rispetto agli organi istituzionali ed a quelli giudiziari mi impongono di tenere il massimo riserbo». Casale ha ribadito la preoccupazione per quanto accaduto e che «la vicenda e la forte risonanza mediatica poteva incidere sulla già altalenante credibilità del Paese nelle istituzioni giudiziaria». «Posso soltanto affermare con fermezza - ha aggiunto - che la capacità di recupero che caratterizza da sempre gli operatori giudiziari ha consentito di mantenere alta la serenità di giudizio in tutto l'ambiente distrettuale».

E JANNELLI CITA BERLINGUER - Alla stessa vicenda il presidente della Corte di Appello di Catanzaro, Pietro Antonio Sirena, ha dedicato una pagina della sua relazione, dicendo di aver «reso edotto il Csm della situazione che andava maturando, già qualche tempo prima che questa precipitasse» e rallegrandosi perché «si è avuto un tempestivo intervento degli organi disciplinari e dello stesso nostro organo di autogoverno». Il procuratore generale di Catanzaro, Enzo Jannelli, nel suo intervento parlato dei rapporti tra politica e magistratura, citando il segretario del Pci Enrico Berlinguer.

PALERMO SENZA FONDI E PERSONALE - «Non siamo alla bancarotta ma siamo messi abbastanza male», ha riferito il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, a margine dell’apertura dell’anno giudiziario nel capoluogo siciliano. «Paghiamo i trasferimenti di tasca nostra - denuncia il pm - i rimborsi sono fermi, dobbiamo economizzare sulla carta, stampanti, toner, pc e fax e non ci sono fondi per gli straordinari». Il magistrato ha quindi ricordato come subito dopo le stragi di Falcone e Borsellino, anche nel pomeriggio, gli uffici giudiziari fossero pieni di personale. «Adesso i magistrati nel pomeriggio sono soli e non c’è personale».

Regione toscana

Solo diritti per i clandestini

Corsi di italiano per bambini e adulti, possibilità, anche per gli immigrati irregolari, di accesso a mense o dormitori, tessera di straniero temporaneamente presente per gli stranieri, anche clandestini, che hanno bisogno di misure sanitarie.Queste alcune delle norme previste nella nuova proposta di legge sull'immigrazione varata dalla Giunta regionale della Toscana. «Vogliamo - hanno spiegato il presidente Claudio Martini e l'assessore alle politiche sociali Gianni Salvadori - confermare alcuni servizi esistenti e potenziarne altri, secondo la tesi che migliorare la vita dei regolari equivale a combattere meglio l'irregolarità. Vorremmo che quello dell'immigrazione venisse trattato come un tema di governo e non con la demagogia». Tra le novità della proposta di legge, appunto, il fatto che anche i clandestini in condizioni di bisogno e urgenza possono accedere a mense e dormitori pubblici. Viene poi confermata la tessera per poter usufruire dell'assistenza sanitaria. La proposta prevede anche misure per rispettare le differenze religiose, come l'assegnazione di spazi cimiteriali per la sepoltura dei morti e di spazi per la macellazione rituale islamica nel rispetto delle norme vigenti. Verranno promossi corsi di italiano, sarà rafforzata la rete regionale di sportelli informativi ed è prevista una campagna contro le mutilazioni genitali femminili. Tra le altre misure l'attenzione ai soggetti più deboli, come rifugiati e richiedenti asilo, minori, donne incinte, detenuti e vittime della tratta; il riconoscimento dei titoli professionali, anche in base ad accordi specifici; la promozione della convivenza interculturale; l'accesso degli immigrati al servizio civile regionale. "E se la proposta mette in campo due milioni di euro - ha detto Martini - dobbiamo ricordarci che senza immigrati il Paese e la Toscana si fermerebbero, e per questo ci sentiamo in assoluta sintonia con le parole pronunciate qualche giorno fa dal presidente Giorgio Napolitano".

Non possono essere respinti

Unhcr: non possono essere respinti. Immigrazione, chiede asilo il 75% di chi arriva per mare. A fine 2008 le istanze ricevute dalle commissioni erano 31.097. Già valutate 21.933

Era il 1999, l'anno della guerra in Kosovo. Migliaia di persone in fuga dai Balcani bussarono alle porte d'Italia e le richieste d'asilo, che solo due anni prima erano state circa 2 mila, superarono le 33 mila; una cifra senza precedenti per il nostro Paese. Allora si parlò di emergenza-profughi. Sono passati dieci anni e molte cose sono cambiate. Dal Kosovo in Italia non arriva più quasi nessuno, ma nel mondo si continua a scappare da Paesi in guerra, persecuzioni, aree di crisi. Alla fine del 2008 le commissioni territoriali per il diritto d'asilo in Italia avevano ricevuto 31.097 richieste: 21.933 sono state valutate. In 9.478 casi le udienze si sono concluse con un diniego, 10.849 hanno avuto esito positivo. Il nostro Paese ha riconosciuto lo status di rifugiato — pensato per chi è vittima di una persecuzione ad personam — a 1.695 richiedenti, e ha accordato forme di protezione sussidiaria o umanitaria in altre 9.154 occasioni. Per capire la realtà descritta dai numeri, però, occorre qualche confronto. Nel 2007 in Italia le domande d'asilo sono state 14 mila. L'anno prima furono circa 10.500.

QUEST'ANNO IL PICCO - C'era un crescendo e quest'anno c'è stato un picco. «Ma stupisce vedere come, di fronte a cifre simili a quelle di dieci fa, la situazione sia sempre di affanno — dice Laura Boldrini, portavoce dell'Unhcr, l'Alto commissariato Onu per i rifugiati —. Non si è riusciti a prevedere il fenomeno e inserirlo in termini di risorse nel budget dello Stato. La mancanza di programmazione ha impedito che si creasse un sistema adeguato. Così ogni anno si finisce per dichiarare lo stato di emergenza a livello regionale o nazionale perché servono più fondi per offrire accoglienza alle persone. Questo crea confusione nell'opinione pubblica, come se il Paese dovesse difendersi da un'invasione. Non è così».

L'ISOLA DEI CLANDESTINI - Un fattore che distorce la percezione è che sempre più spesso la strada dei richiedenti asilo passa per Lampedusa. Quella che nell'immaginario italiano rimane «l'isola dei clandestini», da almeno un paio d'anni è la principale porta d'ingresso per donne e uomini che fuggono verso l'Europa perché la loro vita è in pericolo. Le carrette del mare sono le stesse, ma i flussi migratori sono cambiati. Nel 2008 (dati del Viminale) sono sbarcate sulle coste italiane 36.952 persone: 30.657 hanno preso terra a Lampedusa. «Dal mare, però, arriva solo il 15% dei clandestini presenti sul territorio nazionale — ha spiegato il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, una decina di giorni fa —. Anche trovando la soluzione alla questione-Lampedusa risolveremmo solo parte del problema: l'85% degli immigrati giunge nel nostro Paese con visti turistici, poi li fa scadere e rimane». Altri perdono il lavoro, non ne trovano uno entro 6 mesi ed entrano in clandestinità.

LE STATISTICHE - L'Unhcr ribadisce: «Le nostre statistiche dicono che il 75% di chi è arrivato in Italia dal mare nel 2008 era un richiedente asilo. Queste persone non possono essere respinte, a meno di violare la Convenzione di Ginevra. Perciò, quando si firmano accordi bilaterali tra Stati nell'ambito della lotta all'immigrazione irregolare, come quelli sui pattugliamenti delle coste africane, ci devono essere garanzie specifiche per i richiedenti asilo». Lo status di rifugiato è concesso con parsimonia, perché accordarlo a chi non ne ha diritto indebolirebbe lo strumento di protezione. L'Ue a fine 2007 dava asilo a 1 milione e 400 mila persone. In Italia i rifugiati sono 38 mila, uno ogni 1.500 residenti (la cifra non comprende minori e rifugiati riconosciuti prima del '90). Non sono molti: Norvegia, Germania e Svezia ospitano oltre 7 rifugiati ogni 1.000 abitanti. Da noi la procedura standard funziona così: prendendo ad esempio Lampedusa, un funzionario dell'Unhcr comunica a ogni persona che sbarca le informazioni in materia di asilo, illustra le regole, spiega che non tutti hanno titolo per fare domanda. Qualcosa di simile avviene ai valichi di frontiera, a Fiumicino e Malpensa, nei porti di Bari, Brindisi, Ancona e Venezia, dove spesso a fare questo lavoro è il personale di associazioni come Caritas o Consiglio italiano per i rifugiati.

LA PROCEDURA - Chi vuole chiedere asilo viene indicato alle autorità, è fotosegnalato, gli prendono le impronte digitali e le generalità. Poi, se privo di documenti, parte per un «Cara», Centro di accoglienza per richiedenti asilo, mentre se ha soldi e passaporto è libero di spostarsi dove vuole. I «Cara» sono aperti, di giorno le persone entrano ed escono a piacimento, perché chi chiede protezione non ha interesse a scappare. Il passo successivo è compilare il modulo «C3», con il quale chi ha lasciato il suo Paese e non può tornarci comincia a raccontare alle forze di polizia italiane la sua storia. A quel punto inizia l'attesa. Dall'arrivo nel «Cara» all'audizione si aspetta, in media, circa 4 mesi. Dipende dall'arretrato che le commissioni devono smaltire: in questo momento le «istanze in attesa di esame» sono circa 10 mila. In Italia fino a pochi mesi fa operavano 10 commissioni, a novembre un decreto ha istituito altre 5 sottosezioni: sono tutte composte da un prefetto, un rappresentante della polizia, uno dell'Anci e uno dell'Unhcr. Se il caso che esaminano è lampante il colloquio con il richiedente asilo può risolversi in 45 minuti. Altre volte si parla per ore. L'intervistato deve spiegare perché è fuggito da casa sua, meglio se fornisce delle prove: «Capita che mostrino tesserini di appartenenza a un partito di opposizione, articoli di giornale che hanno scritto, documenti che dimostrano la residenza in un luogo dove c'è guerra — spiega Boldrini —. Poi molto dipende dalla loro credibilità. Chi conduce l'audizione fa domande incrociate, prende informazioni sui Paesi di origine presso il database dell'Unhcr e le ambasciate italiane. È un lavoro complicato: hai di fronte una persona che non conosci, ti racconta una storia, parla di tragedie, di violenza. A volte capita che si esprima bene, altre volte che sia quasi incapace di parlare. Magari a causa dei traumi subiti, o semplicemente perché non è spigliato. Tu non gli credi, decidi per un diniego: espulsione, cinque giorni per lasciare l'Italia. E allora ti porti dentro il dubbio: perché non gli ho creduto? Avrò fatto bene?». I tempi per il ricorso sono di 15 giorni se sei all'interno di un «Cara» e di 30 se vivi altrove, fuori dal centro. Dati sul numero dei ricorsi non ce ne sono.

NORMATIVE EUROPEE - Sull'asilo, l'Italia ha recepito le normative europee con standard superiori a quelli minimi stabiliti da Bruxelles: i richiedenti possono avere un avvocato durante l'audizione e chi ottiene lo status di rifugiato non deve indicare requisiti di reddito per il ricongiungimento familiare. Ma la vita può non essere facile nemmeno per loro. Il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), garantisce ospitalità ad alcune di queste persone in strutture messe a disposizione da più di 100 Comuni italiani. Ognuna di loro costa circa 25 euro al giorno: il grosso lo paga il Viminale, ma negli anni altri soldi sono venuti dall'8 per mille, da fondi europei, in piccola parte dalle casse dei Comuni. I posti a regime, però, sono pochi: 2.600 l'anno scorso, 3.000 in quello appena iniziato. Insomma, la maggioranza rimane fuori. E l'accoglienza è a tempo: 6 mesi, che servono da «accompagnamento verso l'autonomia». Poi la collettività smette di occuparsi di loro.

Mario Porqueddu

Stupro rumeno

La vittima ha 21 anni. Gli stupratori fermati mentre si preparavano a lasciare la Calabria. Riconosciuti grazie anche ad alcuni tatuaggi che un paio di loro avevano sul braccio. Cosenza, violentato connazionale. Fermati cinque braccianti romeni

COSENZA
- Un tatuaggio ha tradito il branco. A Cassano allo Jonio, nel Cosentino, arrestati cinque romeni colpevoli di aver violentato una loro connazionale. "Li conoscevo di vista", ha raccontato la donna. "Lavorano la terra come me e mio marito. Mi hanno accompagnato a casa e quando sono entrati mi hanno aggredita". Ventun anni, sposata e madre di un bimbo che è rimasto in Romania, ha denunciato i cinque connazionali: ha descitto i loro volti e ricordato ai carabinieri i tatuaggi che un paio di loro avevano sul braccio. Li hanno fermati in un casolare non distante alla stazione di Sibari, mentre organizzavano la fuga. Sono cinque romeni, tra i 20 e i 33 anni, agricoltori nelle campagne vicine. Sono stati traferiti in prigione con l'accusa di violenza sessuale di gruppo.

Stupro

Stupro Guidonia: due ai domiciliari. Accusati di favoreggiamento, ospitati da parenti al Nord

Roma, 31 Gennaio
- I 2 romeni accusati di aver favorito la latitanza dei 4 connazionali accusati dello stupro avvenuto a Guidonia, hanno ottenuto i domiciliari. Sono, in casa di alcuni parenti in nord Italia. Dopo l'udienza di convalida di due giorni fa il gip di Tivoli ha disposto ieri gli arresti domiciliari per i due romeni perche' 'sono incensurati e hanno a disposizione gli alloggi dove poter applicare le ordinanze di custodia emesse in sede di convalida il 29 gennaio'.

venerdì 30 gennaio 2009

Immigrazione

Immigrazione: Maroni, moratoria di due anni per nuovi ingressi

MALPENSA (VARESE)
- Il ministro dell'Interno Roberto Maroni, intervistato a "Malpensa-Italia", ha proposto una moratoria di due anni per i nuovi ingressi di lavoratori extracomunitari nel nostro Paese, per salvaguardare il posto di lavoro di chi e' gia' in Italia. "Vista la attuale crisi economica - ha detto Maroni - dobbiamo tutelare chi e' gia' qui e rischia di perdere il posto di lavoro. Il lavoro lo rischiano tutti ma i lavoratori stranieri sono i piu' deboli''.

Tutelare prima gli italiani, noo?

E se lo dice lui...

Crisi: Veltroni, "Italia in emergenza, Berlusconi non all'altezza"

SETTIMO TORINESE (Torino)
- Walter Veltroni parla della situazione italiana e attacca il premier Silvio Berlusconi. ''L'Italia vive un'emergenza nazionale, ma se non lo sentiamo davvero non riusciamo a muoverci nella direzione giusta'', ha detto il leader del Pd dopo un incontro a Torino con sindacati e imprese. Poi la stoccata al presidente del Consiglio. ''E cosa fa Berlusconi? Bisognerebbe chiederlo a 'Chi l'ha visto'? Negli ultimi giorni ha ricevuto Fiorello e le due gemelle dell'Isola dei famosi, immagino due grandi statiste, e ha commentato il caso di Kaka'. L'Italia ha bisogno di ben altro presidente del Consiglio", le parole polemiche di Veltroni.

Radicali alla riscossa

Interrogazione parlamentare dopo una Visita nel carcere di Rebibbia. I radicali: «I romeni accusati di stupro picchiati nelle celle». Rita Bernardini e Sergio D'Elia: «Sui loro corpi sono evidenti i segni delle percosse»

ROMA - I radicali hanno denunciato pestaggi nei confronti dei romeni accusati dello stupro di Guidonia. «Nel corso di una visita al carcere di Rebibbia, abbiamo incontrato i sei detenuti, arrestati tra lunedì e martedì scorsi a Guidonia. Quello che abbiamo potuto constatare è che risultano confermate le segnalazioni di maltrattamenti che ci hanno portato ad effettuare la visita ispettiva». Lo hanno detto Rita Bernardini, deputata Radicale-Pd, e Sergio D'Elia segretario dell'associazione "Nessuno tocchi Caino".

VISIBILI I SEGNI DI PERCOSSE - «Su uno di loro, che zoppicava vistosamente, erano visibili i segni di percosse su un occhio, sulle gambe e sull'anca destra. Altri due avevano gli occhi pesti, ma affermavano, uno di essere caduto e l'altro di essersi picchiato da solo per la disperazione - proseguono Bernardini e D'Elia -. Da quanto abbiamo potuto ascoltare, il pestaggio sarebbe avvenuto, a più riprese, nelle celle di sicurezza della caserma dei carabinieri di Guidonia». «Del resto, non ci sentiamo di escludere che i sei romeni abbiano subito ulteriori maltrattamenti, seppure di minore intensità e violenza fisica, anche al momento dell'ingresso a Rebibbia. Proprio nei casi di reati del tipo in questione, riteniamo che la forza e la credibilità delle istituzioni risieda nel rispetto più rigoroso della legalità e del rispetto dei diritti umani delle persone accusate» - concludono Bernardini e D'Elia. Su questi fatti i deputati radicali presenteranno un'interrogazione urgente ai ministri della Difesa e della Giustizia.

I DUBBI DEL SINDACO - «Nutro grandissimi dubbi sulla ricostruzione fatta dalla parlamentare dei Radicali, Rita Bernardini, su quanto sarebbe avvenuto nella caserma dei carabinieri di Guidonia» dice il sindaco dimissionario di Guidonia, Filippo Lippiello. L'ex sindaco ha detto di provare «sdegno per le accuse della Bernardini. La parlamentare probabilmente non sa - ha aggiunto - che la notte degli arresti i sei romeni hanno fatto resistenza ai carabinieri e per questo ci sono due ufficiali dell'Arma feriti, con tanto di referto medico». Filippo Lippiello ha voluto sottolineare «di conoscere molto bene i carabinieri di Guidonia, persone per bene, rispettosi delle regole e delle leggi. Montare un caso inesistente, adesso, su questa vicenda è assurdo». Piuttosto, si chiede poi il sindaco, «non mi risulta che Rita Bernardini abbia fatto richiesta di incontrare la vittima di questa atroce violenza».

Ci risiamo, i radicali si preoccupano di nuovo dei carnefici e non delle vittime. Hanno stuprato una ragazza e picchiato selvaggiamente il suo fidanzato rinchiudendolo nel bagagliaio. La legge del carcere è dura con queste bestie. E dovrebbero giustamente subire l'umiliazione che ha subito quella povera ragazza. Non ce ne frega proprio un tubo se vengono picchiati e maltrattati. Lo capite o no?

Arricchimenti culturali

Molestano giovane incinta: 2 arresti. Chiudono tendine e la palpeggiano, capotreno chiama la polizia.

(ANSA)- CASERTA, 30 GEN
- Arrestati per violenza sessuale due cittadini marocchini che avrebbero molestato in treno una giovane incinta. I due, ventenni e con regolare permesso di soggiorno, sul treno Napoli-Roma, approfittando del fatto che il fidanzato della ragazza si era allontanato per qualche minuto, hanno chiuso le tendine, e l'hanno palpeggiata. La giovane si e' messa ad urlare e il capotreno ha chiamato la polizia.

Presunzioni

Un interessante articolo sulla "presunta" superiorità culturale islamica che svela il parassitismo dell'islam.

Arabia Saudita

L’unica donna rimasta in gara nella competizione. Minacce alla poetessa in tv: «Peccatrice». Ma la saudita Aydah si avvia alla finale dello show: «Mi hanno imposto il burqa, ma sono libera come un uccello»

La sagoma nera sta seduta su una grande poltrona rossa e dorata. Invisibile il volto - pure gli occhi. Si vedono solo le mani bianche, che tagliano l’aria con gesti ampi, e il microfono che spunta all’altezza della bocca. Dalla sagoma nera proviene una voce decisa, che recita i versi di una poesia: «Mi hanno imposto il burqa, ma io sono libera come un uccello. Anche la spada nascosta nel fodero non è meno tagliente». Aydah Al Jahani, quarantenne saudita, è l’unica partecipante donna rimasta in gara nel concorso della tv di Abu Dhabi Il poeta milionario. Il popolarissimo show, nato nel 2006, giunto alla terza edizione, vede 8 professionisti e dilettanti fronteggiarsi ogni giovedì sera recitando nel dialetto del Golfo composizioni da loro scritte di poesia nabati, un genere di tradizione beduina. Erano 48 all’inizio (altre due donne, entrambe giordane, sono state eliminate). Aydah ha superato la prima selezione a dicembre (partecipando con una poesia sui diritti delle donne), e ieri ha passato la seconda: è stato il pubblico da casa (oltre 7 milioni di spettatori) a sceglierla, con il 59% dei voti inviati via sms nel corso di una settimana. Ora è una dei 20 poeti rimasti nella fase finale (ancora 6 settimane) a contendersi i 5 milioni di dirham (1 milione di euro) in palio (e altri ricchi premi. La tribù Al Jahani, cui Aydah appartiene, e il suo stesso padre però non sono d’accordo. Il sito saudita Elaph scrive che l’avrebbero minacciata di morte, perché poco importa che Aydah nasconda il proprio corpo: la voce femminile è in sé erotica e sufficiente a suscitare pensieri peccaminosi. Secondo un aneddoto sulla vita del Profeta, Maometto l’avrebbe definita awra e cioé un’onta, raccomandando a un fedele dal quale era andato a pranzo di far abbassare la voce alla moglie che lo chiamava gridando dal reparto delle donne. Hana Al Hirsi, PR della compagnia Pyramedia che produce lo show, conferma che Aydah «ha ricevuto pressioni dalla sua tribù», ma non minacce di morte. «Proviene dalla regione del Golfo. La tribù è come una grande famiglia e molti sono contrari che partecipi al programma. Ma il fatto stesso che lo abbia fatto è una conquista», dice Al Hirsi al Corriere. «E d’altra parte ci sono anche molti che l’appoggiano e che si sono sintonizzati ieri sera solo per vedere lei». Aydah ha cominciato a comporre poesie da bambina, unendo dialetto e lingua colta. A 5 anni pubblicò la prima sul mensile culturale del Kuwait Al Yaqdha (il risveglio). La poetessa si definisce «wahida saudiya» (l’unica saudita) nella sua prima raccolta del 1999. Da allora ha conquistato premi letterari e alcuni cantanti del Golfo hanno messo in musica le sue poesie. Diverso però è apparire di persona in tv davanti a milioni di persone, con quella «voce incantevole» e quei «modi raffinati», scrive Elaph. Ma Aydah ha due alleati: il pubblico e il marito. I giurati in studio (cinque uomini) selezionano ogni giovedì un poeta che passa al round successivo: in nessuno dei due round hanno scelto lei. Ma anche gli spettatori possono dire la loro: sono stati loro a promuoverla. Ieri tre quarti della platea in studio era composta da donne, rigorosamente sedute in una sezione separata rispetto agli uomini. Aydah ha accolto la notizia di essere passata al terzo round (l’ultimo prima della finale del 26 marzo) dicendosi orgogliosa a nome di tutte le donne. La poetessa non scrive però solo sui diritti femminili, ma anche di questioni che riguardano tutti. «Molte delle composizioni in gara sono su Gaza, sul nazionalismo, sulla guerra, sulle difficoltà economiche», spiega Al Hirsi. L’ultima poesia recitata da Aydah, «Dedicato al piccolo Basem», è la storia vera di un bambino povero morto di fame e di freddo nel nord dell’Arabia Saudita. E mentre lei siede sulla scena, nascosta nel suo involucro nero, il marito seduto tra il pubblico applaude. Prima di poetare, come tutti i partecipanti Aydah ringrazia sempre Dio. Poi, con quella sua voce matura e forte, rivolge al compagno parole tenerissime: «Mi inchino, con rispetto, con gratitudine e con amore, al più coraggioso degli uomini, mio marito».

Viviana Mazza (Ha collaborato Farid Adly)

Crisi americana

Il super piano di Obama riempie di soldi i clandestini

Si sono presi di trogloditi da tutti per essersi rifiutati di votare il super piano salva-tutto da 819 miliardi di dollari, redatto da Barack Obama in persona e salutato dal mondo intero (l'Unità, nel suo piccolo, titola sobriamente "Bentornata, America") come prodigiosa lozione anti-crisi. E invece qualche ragione ce l’avevano, i Repubblicani. Perché pare che il provvedimento fosse scritto talmente male da contenere un trucchetto in forza del quale gli immigrati clandestini avrebbero potuto riscuotere gli aiuti di Stato. Poi dice che i cialtroni sono i politici italiani. Questa, in sintesi, la gabola: il piano stanzia rimborsi fiscali per singoli contribuenti (500 dollari) e per coppie (1.000 dollari), ed esclude dal novero dei beneficiari i non residenti negli Usa. Solo che non fa lo stesso con chi non ha il Social security number, sorta di codice fiscale locale che viene rilasciato a ogni persona fisica abitante negli Usa, lavoratori temporanei inclusi. E qui sta il trucco: al clandestino non resta che fare la richiesta dando un numero provvisorio e, grazie ad una legge già ratificata dal Congresso e in via di approvazione al Senato, essere automaticamente identificato come contribuente per l’anno in corso. E se sei contribuente ti becchi l’assegno. In mattinata, i Democratici hanno corretto in corsa il piano. Assicurano che ora è tutto a posto.

giovedì 29 gennaio 2009

Magistratura

Resta in cella l'esecutore materiale del gesto. Rimini, diedero fuoco a un clochard: trasferiti dal carcere alla comunità. Percorso riabilitativo per tre dei 4 giovani che aggredirono un senzatetto appisolato su una panchina.

RIMINI
- Il 10 novembre del 2008 diedero fuoco al senzatetto Andrea Severi, appisolato su una panchina. Erano in quattro, tutti tra i 19 e i 20 anni. Ora tre di loro escono dal carcere per andare a lavorare in comunità. È questo il percorso riabilitativo individuato di concerto tra il pm Ercolani, il gip Ardigò del Tribunale di Rimini e gli avvocati dei giovani, per tre dei quali sono stati concessi gli arresti domiciliari.

IN CELLA SOLO L'ESECUTORE MATERIALE DEL GESTO - Resta in carcere solo Alessandro Bruschi, colui che secondo le accuse diede fuoco materialmente al liquido infiammabile che ustionò buona parte del corpo del senzatetto, provocandogli ferite così gravi che l'uomo è ancora ricoverato presso il centro grandi ustionati di Padova. Matteo Pagliarani, Enrico Giovanardi e Fabio Volanti escono dal carcere ma non per tornare a casa, bensì per andare a prestare servizio in strutture di assistenza sociale. Volanti lavorerà alla Capanna di Betlemme, struttura della comunità Papa Giovanni XXIII: si occuperà di una senzatetto affetta dal morbo di Parkinson e non autosufficiente. Pagliarani presterà la propria opera presso il pronto soccorso sociale «S.Aquilina», anche questo facente capo alla Papa Giovanni XXIII, occupandosi di una persona disabile non autosufficiente. Infine Giovanardi lavorerà per la Caritas diocesana di Rimini nella struttura di Madonna della Scala, dove pulirà la cucina e la mensa, le camere degli ospiti, curerà il giardino e distribuirà i pasti. Tutte e tre le misure prese nei confronti dei tre giovani sono per ora a tempo indeterminato.

Storie di stupri

GLi arrestati erano pregiudicati e avevano con sè armi e munizioni. Prostituta violentata da tre romeni

MILANO - È stata sequestrata, picchiata, violentata e rapinata: la vittima è una prostituta di 21 anni, di origine bulgara. Ma i carabinieri del Comando provinciale di Piacenza hanno già arrestato i colpevoli: si tratta di un banda di tre romeni.

IL SEQUESTRO - La giovane - spiegano i militari - è stata prelevata fuori da un albergo di Padova dove alloggiava, picchiata, rapinata del suo cellulare e dei pochi risparmi, costretta ad entrare nel baule di un'auto ed infine, sotto la minaccia di una pistola, costretta a subire una violenza sessuale di gruppo da parte dei tre rumeni, a lei sconosciuti, durante il tragitto da Padova alla provincia di Piacenza.

PREGIUDICATI E ARMATI - Alla fine la ragazza è riuscita a liberarsi e a denunciare l'accaduto. I carabinieri in poche ore hanno quindi identificato e sgominato la banda di romeni: tutti e tre pregiudicati e trovati in possesso di armi e munizioni.

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Il racconto «Urlavamo parole in romanesco». Frattini: in cella a Bucarest. «Guidonia, mezz'ora prima stavo per stuprarne un'altra». La confessione dopo l'arresto: li ho aggrediti con l'ascia

ROMA — «Mezz'ora prima volevamo stuprarne un'altra...». Mirel Huma, 20 anni, il più giovane dei quattro violentatori romeni di Guidonia, ha confessato. Ha raccontato ai carabinieri ogni dettaglio di quella notte d'orrore, tra il 23 e il 24 gennaio, in via della Selciatella. Ha ricordato pure che uno dei suoi compari, l'unico a volto scoperto, a un certo punto ha gridato alla ragazza ventunenne terrorizzata: «Stai ferma o t'ammazzo, mortacci tua...». In romanesco. Una confessione agghiacciante, la sua. Ecco il racconto: «Mezz'ora prima dello stupro in via della Selciatella, era arrivata in macchina un'altra coppietta. Noi, sempre con una pinza e un'ascia, abbiamo rotto un finestrino, li abbiamo fatti scendere, li abbiamo prima rapinati dei portafogli e dei telefonini, poi abbiamo deciso di violentare la ragazza. Il fidanzato, però, era troppo alto e robusto e non c'entrava nel bagagliaio della piccola utilitaria, così abbiamo pensato che sarebbe stato complicato abusare della giovane e intanto tenere lui a bada. Così alla fine abbiamo lasciato perdere, quelli se ne sono andati e noi siamo rimasti nascosti tra le siepi, perché sapevamo che in quella zona sarebbero arrivate presto altre prede. Infatti, è arrivata l'Opel Corsa e alla guida c'era proprio la ragazza che abbiamo violentato...». Non una lacrima, mai una parola per la persona che hanno rovinato per sempre. Un racconto lucido e monocorde, quello del giovane Mirel: «Abbiamo atteso che spegnessero le luci e si sistemassero sul sedile posteriore: abbiamo rotto un finestrino e fatto scendere lui, lo abbiamo chiuso nel bagagliaio e ci siamo spostati con l'auto 200 metri più avanti, in una discarica dove sapevamo che non sarebbe mai venuto nessuno. Un posto isolato. La ragazza era sul sedile posteriore. Noi siamo scesi e poi a turno, uno per volta, ognuno di noi è entrato e l'ha violentata. Io all'inizio ho esitato ma poi ho fatto come gli altri. Anzi, uno l'ha violentata due volte. Quindi le abbiamo strappato la catenina e siamo andati via a piedi con i loro telefonini e le scarpe di lui. Per giorni siamo rimasti nascosti in una casa di Castel Madama, aspettando che il romeno padrone della Bmw ci venisse a prendere per portarci via». Ma il loro piano è fallito, grazie all'enorme impegno dei carabinieri del Nucleo investigativo di Roma, diretto dal maggiore Lorenzo Sabatino: 250 uomini, lunedì scorso, sono rimasti appostati in tutti i caselli autostradali e in ogni stazione di servizio, da Roma a Bologna, in attesa che arrivasse la Bmw con targa romena che aveva a bordo i fuggiaschi. Così, i quattro stupratori (Mirel Huma, Marcel Cristinel Coada, i fratelli Lucian e Ciprian Trinca, tutti tra i 20 e i 23 anni) e i due fiancheggiatori (Mugurel Goia, 22 anni e Ionut Anton Barbu, 30) sono finiti in carcere e tra oggi e domani il gip di Tivoli si pronuncerà sulla richiesta di convalida dei fermi. Oltre a Mirel, anche un altro della banda ieri ha confessato. Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha intanto annunciato che il governo intende concedere il patrocinio gratuito per le vittime delle violenze sessuali («Troveremo le risorse necessarie con i risparmi che deriveranno dall'eliminazione del patrocinio gratuito per i boss di mafia condannati»). Ieri sera, infine, lunga telefonata tra i ministri degli Esteri di Italia e Romania, Franco Frattini e Cristian Diaconescu («Sono costernato», ha esordito il romeno). Frattini, in mattinata, era stato durissimo a proposito dello stupro di Guidonia: «Questi criminali devono scontare la pena nel loro Paese e la Romania deve dirsi d'accordo. Sarebbe vera solidarietà europea, senza puntare il dito contro nessuno».

Fabrizio Caccia e Rinaldo Frignani

mercoledì 28 gennaio 2009

Fotografie

Marrazzo ama le foto. Pantalone paga il conto: 22mila euro

Piero Marrazzo come Greta Garbo spende 22mila euro l’anno solo per farsi fotografare. Con due piccole differenze: una attiene all’occhio (tra i due c’è un abisso in fatto di fotogenia) e l’altra alle tasche. Quelle dei cittadini laziali costretti a pagare le 29 fatture recapitate nel solo 2008 da studi fotografici che hanno avuto l’onore di immortalare il presidente in circostanze ufficiali. Basta spulciare le determinazioni dirigenziali per scoprire le voci che autorizzano il pagamento delle varie fatture emesse dai fornitori. Si parte con la determinazione A0444 del 15 febbraio, con tre pagamenti a favore di fotografi (gli studi sono sempre gli stessi quattro o cinque) per un totale di 2398,32 euro. La motivazione: «Per servizio fotografico-presidente». Si prosegue con la determinazione A1021 del 20 marzo. In questo caso le fatture sono cinque per un totale di 2816 euro. Il 23 aprile nella determinazione A1379 le fatture sono due per una spesa di 732 euro. Il 28 maggio (A1845) quattro fatture per una spesa di 4452 euro. Il 18 giugno la determinazione A2157 dà via libera al pagamento di tre fatture a fotografi per un totale di 1872 euro. Il 9 luglio con la determinazione A2350 si pagano tre conti da 3156 euro in tutto. Il 17 settembre (A3014) quattro fatture per un totale di 5598,47 euro. Il 16 ottobre (A3530) due fatture per 600,01 euro. Infine il 19 dicembre ancora tre fatture per 1650,01 euro. Totale 22.450,80 euro. «Una cifra che, fa notare Fabio Desideri, vicepresidente della commissione Urbanistica del Lazio - non sembra congruente con il clima di austerity che lo stesso Marrazzo ha imposto ai cittadini amministrati dai superticket sui farmaci e sulle prestazioni specialistiche». Ma il governatore sorride. Al fotografo, naturalmente. Cheese!

Crisi americana e manager

Solo 1 su 10 dei “big” delle banche e delle aziende in bancarotta ha perso il posto. Negli Usa l'economia è in ginocchio, ma i manager vengono premiati. I responsabili del disastro finanziario sembrano godere d’immunità: a molti sono stati aumentati i premi.

WASHINGTON – La finanza e l’industria licenziano migliaia di dipendenti al giorno – ben 71 mila lunedì scorso – e gli scandali alla Madoff, il finanziere che truffò 50 miliardi di dollari, si moltiplicano. Ma i responsabili del disastro finanziario ed economico americano non solo sembrano godere d’immunità, continuano anche a percepire stipendi e premi enormi. Da un sondaggio, soltanto 1 su 10 dei “big” delle banche e delle aziende finite in bancarotta o salvate dal denaro pubblico ha perso il posto. Da un altro, il 79 per cento ha intascato un pingue premio per il 2008, per la metà di loro superiore a quello del 2007. Sono scandali che suscitano indignazione nel Paese.

IL CASO DI JOHN THAIN - Il New York Times ha denunciato il caso di John Thain, l’ex presidente della Banca d’affari Merrill Lynch, che in autunno fu comprata dalla Bank of America. Thain, uno dei pochi a venire licenziato, spese 1 milione 200 mila dollari per abbellire il proprio ufficio e fece distribuire in anticipo 4 miliardi di dollari di premi a sé e ad altri dirigenti sebbene la Merrill Lynch avesse registrato un passivo di 15 miliardi di dollari nello ultimo trimestre del 2008. Il procuratore dello stato di New York Andrew Cuomo lo ha inquisito per recuperare parte dei soldi. A suo giudizio, i padroni del mondo, come lo scrittore Tom Wolfe chiamò Thain e i colleghi ne “Il falò delle vanità”, non hanno imparato la lezione. Qualche volta, il governo ha vietato lussi inaccettabili come l’acquisto da parte del Citigroup di un jet per 12 “big” per 50 milioni di dollari: il Citigroup ha ottenuto dallo stato 345 miliardi di dollari in sussidi e garanzie, una somma folle, ma non si è rassegnato a risparmiare. Qualche altra, il governo ha confiscato le proprietà dei truffatori, come è accaduto a Madoff, cosa che ha spinto Fuld, l’ex presidente della Lehman Brothers, scomparsa a settembre, a vendere per 10 dollari alla moglie un palazzo in Florida del valore di 13 miliardi e mezzo di dollari. Ma in massima parte, i “big” hanno conservato i loro privilegi. Un fenomeno che Obama intende stroncare.

I POCHI ARRESTI - Un giro di vite vero e proprio è in corso solo contro i “MiniMadoff”, come gli imitatori del re dei truffatori in borsa, che rimane agli arresti domiciliari su cauzione di 10 milioni di dollari, sono stati battezzati. Si segnalano tra i tanti l’arresto di Nicholas Cosmo, un finanziere newyorchese già imprigionato nel ’97 che avrebbe defraudato di 370 milioni gli investitori; quello di Arthur Nadel, un finanziere della Florida che si sarebbe appropriato di 30 milioni; nonché l’incriminazione da parte della Sec, la Commissione di controllo della borsa, di Joseph Forte, un finanziere di Filadelfia, per un ammanco di 50 milioni. L’America non conosceva scandali del genere dall’età d’oro del 1900 – 1930.

DISUGUAGLIANZA SOCIALE - Come allora, l’1 per cento più ricco della popolazione possiede il 7 per cento della ricchezza nazionale, più di tutto il 90 per cento meno privilegiato della popolazione. Mentre in termini reali il reddito dell' americano medio è venuto diminuendo anche prima della crisi, i super manager hanno continuato a intascano fino a 100 - 150 milioni di dollari l’anno, e a riscuotere liquidazioni di oltre 200 milioni.

Ennio Caretto

Bravi ragazzi

La Procura di Tivoli ha chiesto al gip la convalida dei fermi. Frattini: «I romeni arrestati per lo stupro scontino la pena nel loro Paese d'origine». L'intercettazione la sera del blitz: «Fuggiamo a Padova, poi più su». Manovali di giorno e rapinatori di notte.

ROMA
- I responsabili dello stupro di Guidonia devono scontare la pena nel loro paese di origine, la Romania. Lo sostiene il ministro degli Esteri Franco Frattini, in un'intervista a Radio 24. «Non si deve sospendere il trattato di Schengen - sottolinea -, ma bisogna fare di più per contrastare il crimine. Io sono stato in Europa il responsabile dell'allargamento di Schengen e credo di avere fatto bene. Schengen è una grande libertà a cui non si deve rinunciare». «Io non direi che questi sono criminali rumeni - sottolinea il titolare della Farnesina -: un criminale è un criminale. Però ci sono dati statistici: la comunità rumena è quella dalla quale purtroppo viene una gran parte di quelli che commettono reati in Italia. Questi criminali devono scontare la pena nel loro Paese e la Romania deve accettare questo discorso. Sarebbe vera solidarietà europea, senza puntare il dito contro nessuno».

CHIESTA CONVALIDA FERMI - Sul fronte delle indagini, la Procura di Tivoli ha chiesto al gip la convalida dei fermi dei sei romeni, quattro accusati dello stupro, due per favoreggiamento nei confronti degli altri. A firmare il provvedimento sono stati il procuratore Luigi De Ficchy e il sostituto Marco Mansi. Gli interrogatori dei sei, ora nel carcere di Rebibbia, si terranno entro venerdì.

«PADOVA POI PIÙ SU» - «Nasconditi, non farti vedere alla finestra... e poi via, via, fuggiamo prima a Padova, poi più su». È una delle frasi intercettate dai carabinieri nei momenti che hanno preceduto il blitz che ha permesso il fermo della banda. La frase fa parte della conversazione, un po' in italiano e un po' in romeno, tra due dei quattro accusati dello stupro e i due fiancheggiatori. I quattro sono stati presi al casello autostradale di Tivoli, a bordo di una Bmw con targa romena. Lunedì notte la banda ha commesso anche un altro errore, quello di accendere il cellulare del fidanzato della vittima, cambiando la sim card, per una breve telefonata in Romania.

MANOVALI E RAPINATORI - Manovali e benzinai di giorno, rapinatori di notte. Infine stupratori. I sei romeni, giovanissimi e senza precedenti, conducevano una vita al di sopra di ogni sospetto. Due dei quattro accusati della violenza sessuale erano da diverso tempo nel nostro paese, gli altri due erano arrivati da poche settimane. Fi giorno facevano lavori saltuari e di notte rapine. Ed erano ben organizzati. Agivano sempre nello stesso modo e ad incastrarli è stato proprio il modus operandi: sempre in gruppo, a volto coperto e armati. Ma a Guidonia le cose sono andate diversamente. Hanno fatto diversi errori e hanno lasciato tracce nella stradina buia e isolata dove sono avvenute l'aggressione e la violenza.

Green car Obama

Auto ecologica, Barack il verde illude gli Usa di Franco Battaglia

So che siamo fuori dal coro, ma dobbiamo avvertire: l'annunciata politica energetica di Obama, se attuata, sarà una calamità. Obama ha dichiarato: «Sfrutteremo il sole, il vento e la terra per alimentare le nostre auto e le nostre industrie». Capisco che Obama sia animato da buone intenzioni, come dimostrerebbe il fatto di ispirarsi ad Al Gore, che è premio Nobel per la Pace; ma qualcuno dovrebbe ricordargli che quelle, com'è noto, sono il lastricato delle vie per l'inferno; e informarlo che la patente di Nobel per la Pace potrebbe trarre in inganno, visto che anche Hitler vi fu candidato. L'errore di Obama - gravissimo errore, con esiziali conseguenze - è ritenere di affrontare crisi e disoccupazione creando posti di lavoro nel settore della produzione d'energia. Il ragionamento è pressappoco questo: per produrre energia da eolico o fotovoltaico (FV) servono 10 volte gli addetti che servono per produrla da carbone o nucleare; ergo, incentivando sole e vento creiamo posti di lavoro. Ciò che Obama non comprende è che l'energia è un bene molto particolare. Noi non vogliamo energia, ad esempio elettrica, in sé (come accade con qualunque altro bene), ma perché essa ci serve per produrre ogni altro bene desiderato. Allora, ciò che crea posti di lavoro non è la produzione ma il consumo d'energia e, pertanto, la sua disponibilità abbondante ed economica. Altrimenti faremmo presto: diamo a 3 milioni di disoccupati una bicicletta e facciamoli pedalare per produrre elettricità. Creare posti di lavoro nei settori eolico e FV è come creare una squadra d'operai che scavi buche di notte e un'altra che le riempia di giorno. Perché? Semplicemente perché eolico e FV, non essendo compatibili con le modalità con cui noi abbiamo bisogno di energia, sono come le buche: inservibili. Obama ha anche promesso di voler «aumentare al 10% la produzione di energia elettrica da rinnovabili». Ma avrebbe dovuto dire diminuire al 10%, visto che il contributo delle rinnovabili alla produzione elettrica americana era, nel 1985 ad esempio, del 13%. Il mio pronostico - e accetto scommesse - è che al 2012 quel contributo sarà inferiore all'8%, ed è fondato su una banale interpolazione lineare eseguita sui dati degli ultimi 30 anni, quando il contributo delle rinnovabili (quasi tutto idroelettrico) passò all'11% nel 1995 e al 9% nel 2005. E ciò a dispetto del fatto (anzi, proprio grazie al fatto) che in 20 anni la potenza installata FV è aumentata del 100% e quella eolica del 1000%. Più recentemente pare abbia detto di voler promuovere l'auto da 15 km/l, cosa che ha fatto apparire alcune prime pagine italiane con titoli del tipo: «Rivoluzione di Obama: sì all'auto ecologica». Rivoluzione? Sarà, ma la mia auto ha 8 anni e percorre 16 km con un litro. Infine, Obama intenderebbe anche «ridurre i consumi elettrici del 15% rispetto ai valori attesi del 2020». Come possa riuscirci, visto che, molto lodevolmente, intenderebbe anche promuovere l'auto elettrica, è un mistero. Delle due, l'una. O Obama riuscirà non solo ad operare quelle riduzioni ma anche a far imbufalire il popolo americano che, sempre più affossato nella conseguente recessione economica, più che rieleggerlo aspirerà a farlo nero (nessuna ironia). Oppure i consumi elettrici americani seguiranno il corso naturale di un Paese che avrà ripreso la propria solidità economica, e Obama verrà rieletto. Auguro a lui la seconda cosa che ho detto.

Di Pietro, la vendetta

Di Pietro: "Napolitano, silenzi mafiosi". Il Colle: "Frasi pretestuose e offensive"

Roma - È il sequestro in piazza di un manifesto che riportava una scritta critica nei confronti del presidente della Repubblica ("Napolitano dorme, l’Italia insorge") a scatenare Antonio Di Pietro a piazza Farnese. "Vogliono farci lo scherzetto di piazza Navona ma in una piazza civile c’è tutto il diritto a manifestare?" si chiede protestando per il sequestro del manifesto. In una piazza "può essere accolto chi non è d’accordo con alcuni silenzi" del Capo dello Stato" prosegue. Poi aggiunge: "A lei che dovrebbe essere arbitro possiamo dire che a volte il suo giudizio è poco da arbitro e da terzo". Di Pietro afferma poi che questa critica è "fatta del tutto rispettosamente". Quindi conclude: "Il silenzio uccide, il silenzio è un comportamento mafioso per questo io voglio dire quello che penso".

Urla e fischi. Fischi sono partiti da piazza Farnese, durante la manifestazione dell’Italia dei Valori, contro il presidente della Repubblica. "Noi la rispettiamo - ha assicurato il leader Idv - ma lo possiamo dire o no, rispettosamente, che non siamo d’accordo che si lasci passare il lodo Alfano, che non siamo d’accordo nel vedere i terroristi che fanno i sapientoni mentre le vittime vengono dimenticate?". Poi rivolto a Napolitano ha aggiunto: "Dica che i mercanti devono andare fuori dal tempio, dal parlamento e noi lo approveremo. È nostro diritto manifestare, è un nostro diritto garantito dalla Costituzione dire che ciò che fanno certe persone non ci piace" ha insistito Di Pietro. L’ex pm ha dunque sottolineato che "abbiamo il diritto di accogliere qualcuno che non è d’accordo con alcuni suoi silenzi".

La repimenda di Fini. "È lecito e naturale il diritto di critica politica, ma questa non può mai travalicare il rispetto che si deve al presidente della Repubblica, che rappresenta tutta la Nazione al di là del fatto che sia stato eletto o meno all’unanimità". Lo ha detto nell’aula della Camera il presidente Gianfranco Fini al termine del dibattito suscitato dalla manifestazione di solidarietà manifestata a Giorgio Napolitano dal capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto per le affermazioni nei suoi confronti pronunciate stamani a piazza Navona da Antonio Di Pietro. Applausi convinti dell'assemblea alle parole di Fini. "L’applauso corale - ha spiegato il presidente - con cui l’aula ha salutato gli interventi a solidarietà per il presidente Napolitano è la più evidente dimostrazione di come il presidente della Repubblica rappresenti non solo per la Costituzione l’intera Nazione, ma anche che la Camera ritenga che l’attuale presidente sia garante solerte dei diritti e dei doveri dei cittadini e rispetti e difenda le prerogative del parlamento".

Il Colle non ci sta. Napolitano affida la risposta a un comunicato: "La presidenza della Repubblica è totalmente estranea alla vicenda dello striscione nella manifestazione svoltasi oggi in Piazza Farnese a Roma a cui fa riferimento l’onorevole Di Pietro. Del tutto pretestuose sono comunque da considerare le offensive espressioni usate dallo stesso Di Pietro per contestare presunti silenzi del Capo dello Stato, le cui prese di posizione avvengono nella scrupolosa osservanza delle prerogative che la Costituzione gli attribuisce".

Anche Giulietti si dissocia. "Penso che il Presidente della Repubblica sia una garanzia, spero non sia vero che si sia parlato di un suo atteggiamento mafioso, questo era il linguaggio usati dai Bossi e dai Berlusconi in altri tempi contro Scalfaro. Ritengo che la presidenza della Repubblica sia una garanzia, non condivido questo tipo di linguaggio e rinnovo la mia solidarietà al presidente Napolitano". Lo ha detto a Radio Radicale il deputato dell’Italia dei Valori Giuseppe Giulietti interpellato sulle cose dette questa mattina a piazza Farnese da Di Pietro.

E Veltroni riprende Tonino. "Quanto accaduto a piazza Farnese, le frasi pronunciate dall'onorevole Di Pietro, gli striscioni esibiti sono inaccettabili e inqualificabili". Il segretario del Pd, Walter Veltroni, prende con decisione le distanze dall’attacco al capo dello Stato durante la manifestazione di IdV a Roma. "Torniamo a esprimere al capo dello Stato la nostra piena solidarietà e fiducia. Il ruolo e le parole del presidente della Repubblica - ammonisce Veltroni - non possono essere messe in discussione né essere oggetto di polemiche politiche strumentali. In un momento difficile per il paese il presidente Napolitano rappresenta un punto di riferimento per l'intero Paese, per il suo ruolo di garanzia, per la saggezza e l'equilibrio dei suoi interventi".

Show di Grillo contro tutti. "L’Italia è un Paese da rifare, alla rovescia e il parlamento è chiuso. I partiti sono morti, abbiamo solo due comitati d’affari, il Pdl e il Pd-meno-elle. Il Pd non è mai nato. All’opposizione c’è Topo Gigio-Veltroni, che non è nemmeno un politico, un parlamentare: è scemo". Comizio-show di Beppe Grillo a piazza Farnese durante la manifestazione che ha visto le dichiarazioni di Di Pietro sul presidente della Repubblica. Grillo ha arringato la folla con il suo repertorio colorito senza risparmiare nessuno. Un intervento più comico che politico, come fu invece a Piazza Navona. Salendo sul palco ha salutato il migliaio di manifestanti presenti dicendo: "Siamo i grandi perdenti: dalla sua finestra Cesare Previti agli arresti domiciliari ci guarda e ridacchia". Prende di mira subito il ministro dell’Interno Roberto Maroni, "che ha disposto che non si possa manifestare nelle piazze italiane dove c’è una chiesa, cioè tutte le piazze... Sembra un rappresentante de L’Oreal, è condannato per oltraggio a pubblico ufficiale e comanda la polizia". Grillo si rivolge anche alle forze dell’ordine presenti: "Lo so che non ce la fate più, siete costretti a difendere i delinquenti". In Italia, dice, "Provenzano e Riina sono in galera, i mandanti in parlamento". "L’unico che fa opposizione mentre il parlamento è chiuso" ha detto il comico, è Di Pietro. Il primo obiettivo dello show è stato il governo e il presidente del Consiglio: "Questo governo è abusivo, anticostituzionale, illegale. Con Obama siamo invecchiati di cento anni, lui sta cambiando il mondo, mette le leggi in rete e parla di energie rinnovabili, qui invece abbiamo i settantenni con una prostata grande così. Noi abbiamo ancora lo psico-nano che va a fare campagna elettorale in Sardegna con i soldi dello Stato". Grillo ha criticato ferocemente il ministro Brunetta. "Non ci bastava lo psico-nano adesso c’è anche l’altro nano, Brunetta, il ministro che, per mettersi le mani in tasca, deve sedersi".

Di Pietro amareggiato. "Mai inteso offendere Napolitano" afferma Antonio Di Pietro in una nota. "Mi amareggia molto, per l’oggettiva disinformazione che contiene e perché mi mette in bocca ciò che non ho detto, il comunicato del presidente della Repubblica in merito al mio intervento di questa mattina. Ho detto e ribadisco - prosegue Di Pietro - che, a mio avviso, è stato ingiusto e ingiustificato non avere permesso ad alcuni manifestanti di tenere esposto uno striscione non offensivo, ma di critica politica".

Schenger

Sospendere Schengen di Mario Cervi

La cattura dei romeni che hanno perpetrato l’orrendo stupro di Guidonia non segna un punto d’arrivo. Segna un punto di partenza. Sicuramente ci conforta la rapidità e la bravura con cui i carabinieri hanno identificato e rintracciato i criminali (auguriamoci che non si parli, in questo caso, di arresti domiciliari). Ma rimane sul tappeto il problema della sicurezza, e d’una delinquenza importata che ci sgomenta per la sua selvaggia ferocia. In proposito il discorso dev’essere pacato, senza isterie; però anche senza i tabù ipocriti del politicamente corretto. Diamo per detto ciò che tutti sappiamo, ossia che tanti immigrati sono onesti e laboriosi. Gli episodi che hanno suscitato negli ultimi tempi emozione e indignazione riguardano gli altri immigrati: gli sbandati, i violenti, gli aggressivi, i ladri, i rapinatori, gli affiliati alla malavita organizzata. Loro sì costituiscono un pericolo grave. Esistono, e non è razzismo, etnie nelle quali la presenza malavitosa è poco significativa, e altre nelle quali è impressionante. Le carceri non scoppiano per i filippini, numerosissimi nella società ma non in galera. Scoppiano per l’apporto di extracomunitari africani e per l’apporto di nuovi comunitari dell’Est. Tra essi il primato dei reati spetta ai romeni: che grazie al trattato di Schengen hanno quasi uno status da cittadini italiani, possono entrare in Italia e uscirne liberamente.Cosa si deve fare per fronteggiare - dal punto di vista dell’azione poliziesca e dal punto di vista della capienza carceraria - questa inquietante ondata romena del più truce malaffare? I governi di Roma e di Bucarest possono rispondere ricordando che è in atto un accordo di collaborazione tra le polizie dei due Paesi e che l’accordo ha dato risultati. Si dovrebbe soltanto insistere. Il parere dell’uomo della strada è diverso. I romeni guidano la graduatoria delle nazionalità cui sono fatti risalire reati comuni o sessuali, seguiti da albanesi e marocchini. La routine non basta. Schengen non può diventare una copertura per i primi della classe nel violare la legge. Non vogliamo che vengano da noi a delinquere, e non vogliamo mantenerli quando l’hanno fatto. Potremmo rispedirli, una volta processati, al loro Paese, perché vi scontino la pena. Ma andrebbe a finire che sconterebbero ancor meno che restando in Italia. Allora si provi magari a bloccare l’afflusso dei disonesti, sospendendo per qualche tempo nei confronti della Romania - l’Olanda ha già preso una misura di questo genere - il trattato di Schengen. Visto quel che sta succedendo, un controllo, e severo, ci vuole.

Crirminalità

Ai romeni il record di reati. Soltanto a Roma uno stupro su 3 colpa loro di Enza Cusmai

Omicidi, violenze sessuali, rapine in casa, furti d’auto, estorsioni. Ma anche traffico di droga e tratta di esseri umani. I delitti più odiosi li commettono loro, con una crudeltà che negli anni addietro era prerogativa soltanto degli albanesi. Ora, invece, la palma d’oro del crimine se l’aggiudicano i romeni, soprattutto quelli irregolari. E lo stesso capo della polizia, Antonio Manganelli, ammette che «il 35% degli autori di reati sono stranieri, con i romeni al primo posto». Le cifre lo confermano. In un anno sono stati arrestati ben 1.100 cittadini romeni per coinvolgimento in attività illecite nel nostro Paese e più di 2.000 i denunciati, tra cui numerosi appartenenti alle più pericolose organizzazioni criminali dedite al traffico di minori, allo sfruttamento della prostituzione e ai reati predatori. Numeri che fanno scattare la psicosi della paura. Ma le autorità tentano di gettare acqua sul fuoco. Parlano di «contenimento della delittuosità romena» che però «resta – sottolinea Manganelli - la più consistente nel panorama del rapporto tra criminalità e autori di reato». Qualcosa è stato fatto. È stata avviata la collaborazione tra la polizia romena e quella italiana. «Non c’è città italiana - spiega Manganelli - dove la presenza della criminalità romena è consistente che non veda la presenza di poliziotti romeni». In realtà, dopo l’omicidio Reggiani, sono distaccati in Italia 14 poliziotti romeni, di cui otto che parlano la lingua dei rom, il romanes. Pochi, se si pensa l’efferatezza e la gravità dei reati commessi dai romeni nel nostro Paese. Non a caso, il capo della polizia ha chiesto l’invio in Italia di altri poliziotti romeni. La gente chiede sicurezza. E basta leggere le cronache quotidiane per rendersi conto della necessità di un giro di vite. Le ripetute violenze sessuali di Roma, Milano e Torino, l’omicidio di Vanessa Russo nella metropolitana di Roma, quello di una coppia di anziani coniugi uccisi a colpi d’ascia dal marito della badante romena nel maggio dello scorso anno. Tutti episodi inquietanti, firmati da cittadini di un Paese i cui numeri in Italia sono cresciuti in modo esponenziale e dopo l’entrata nella Ue della Romania, ma sempre più spavalda e prepotente che preoccupa cittadini, politici e forze dell’ordine. Il Viminale conferma questo allarmante fenomeno: i romeni sono gli stranieri che delinquono di più e sorpassano gli albanesi e i marocchini, comunità più numerose presenti in Italia. Nel periodo gennaio-agosto 2007 sono state denunciate o arrestate complessivamente 567mila persone, di cui circa 364mila italiani e 203mila stranieri. Tra questi ultimi, 32.468 sono di nazionalità romena. I settori criminali preferiti dai romeni sono i peggiori. Si piazzano al primo posto per gli omicidi (il 15,4% del totale), per le violenze sessuali (16,2%), per le rapine in casa (19,8%). Nei furti d’auto spadroneggiano ancora loro (29,8%), così come nelle estorsioni. Unico dato positivo: nella Capitale gli stupri calano del 10% ma sei autori su dieci sono stranieri. Ma su 59 arresti, ben 29 sono romeni.

"Profughi"

La protesta di un centinaio di giovani dei centri sociali e immigrati contro le condizioni in cui decine di profughi vivono in una ex clinica occupata. Torino, scontri sotto la Prefettura feriti sei agenti e un manifestante. Per le forze dell'ordine c'è stato un vero e proprio assalto. I dimostranti negano: "E' stata la polizia che ci ha caricato".

TORINO - Scontri a Torino durante una manifestazione di giovani dei centri sociali e immigrati fuori dalla Prefettura. Sei poliziotti sono rimasti feriti alle gambe, colpiti con bastoni e cubetti di porfido. Ferito anche un ragazzo. I manifestanti avevano chiesto di essere ricevuti dal prefetto per spiegare la loro protesta relativa alle condizioni di decine di profughi che occupano una ex clinica della città. Secondo la polizia hanno assaltato l'edificio. Diversa la versione fornita dai dimostranti. Le forze dell'ordine hanno caricato i manifestanti, poco meno di un centinaio, a più riprese, allontanandoli dagli uffici in piazza Castello, fino a disperderli, dopo avere sparato alcuni fumogeni. I dimostranti, che nel pomeriggio aveva protestato sotto il Municipio, hanno lanciato cubetti di porfido estratti dal pavimento della piazza, pezzi di legno e ferro ricavati da alcune panchine smontate, un tombino e blocchi di neve ghiacciata. Sono state danneggiate alcune auto parcheggiate davanti alla Prefettura, contro il portone è stato lanciato un cassonetto dei rifiuti. I giovani dei centri sociali negano di aver preso d'assalto la Prefettura: "Ma quale assalto, è la polizia che ci ha caricato selvaggiamente!". "A Torino, come a Massa e Lampedusa - dice un esponente (italiano) del Comitato di solidarietà per i profughi e i migranti - c'è un filo diretto che unisce la repressione contro chi chiede diritti per i rifugiati, mentre le istituzioni li lasciano nell'isolamento totale". Il rappresentante del comitato spiega i motivi di tanta tensione in una vicenda dove i protagonisti sono 300 immigrati di Eritrea, Etiopia, Somalia e Sudan che occupano un edificio del Comune in via Bologna e un altro privato in corso Peschiera: "Oggi c'è stato un incontro in Comune con gli assessori Borgogno (Polizia municipale, ndr) e Borgione (Servizi sociali), ma si è concluso con un nulla di fatto. Non è stata presa alcuna decisione per garantire la residenza ai profughi, a dispetto del loro status di rifugiati politici. Così abbiamo chiesto ascolto al Prefetto". "Un ragazzo - aggiunge il portavoce del comitato - è stato accerchiato da dieci poliziotti, buttato a terra, perso a calci. E' finito all'ospedale, altri di noi sono rimasti contusi"

Carceri

Caliendo: "In carcere nel loro Paese" di Stefano Zurlo

Milano - Due accordi con Bucarest e Tirana. E molta buona volontà. Ma, per il momento, i detenuti restano qua. Nelle carceri italiane. Giacomo Caliendo, sottosegretario alla giustizia, allarga le braccia: «Stiamo lavorando. Ma ci vorrà tempo».

Gli stupratori di Guidonia sconteranno le pene in Romania? «È il nostro obiettivo».

In concreto? «Qualche settimana fa i ministri Alfano e Maroni hanno raggiunto un accordo in tal senso con Bucarest».

Che cosa prevede l’intesa? «Il progetto è ambizioso: i romeni verranno trasferiti nelle prigioni del loro Paese. Ma ci sono dei ma».

Quali? «Anzitutto dobbiamo chiarire che stiamo parlando sempre e solo di pene definitive».

Quindi, tornando a Guidonia, se ne parlerà dopo il processo, anzi, dopo l’eventuale sentenza definitiva della Cassazione? «Esatto».

Ma per arrivare in Cassazione ci vogliono anni. «Non è possibile fare diversamente. Prima si arriva ad un verdetto irrevocabile, poi si può pensare al rimpatrio».

In sostanza, se va bene, il branco di Guidonia trascorrerà nelle prigioni romene l’ultimo periodo della pena? «Sì. Ma c’è un altro intoppo».

Quale? «La strada è tracciata, ma siamo solo agli inizi e, a quanto mi risulta, in ogni caso la sentenza italiana deve passare al vaglio della giustizia romena. Non dico che rifaranno i processi, ma certo ci sarà una sorta di riesame della situazione. Il passaggio di consegne non è e non sarà mai automatico».

Insomma, ci dobbiamo rassegnare? «No, ripeto, stiamo cercando l’intesa con i nostri partner in Europa, ma il cammino non è facile. In ogni caso, potremo valutare la situazione fra qualche mese, siamo in una fase di rodaggio».

D’accordo. Ma in Europa non c’è solo la Romania. «La strada degli accordi bilaterali era già stata imboccata dal precedente governo Berlusconi e in particolare dall’allora guardasigilli Castelli che aveva raggiunto un’intesa con l’Albania».

Il risultato? «Anche qua, va da sé, parliamo di pene definitive».

In pratica, cosa è accaduto? «Mi risulta che fino a oggi pochi detenuti siano stati spediti a Tirana per scontare la pena. Pure, era previsto che l’Italia finanziasse la costruzione di un nuovo carcere in Albania, ma a quanto mi dicono, Tirana l’ha riempito di detenuti locali».

Fuori dall’Europa? «I problemi si complicano. Rimaniamo con i piedi per terra: per ora occupiamoci di Romania e Albania».

Genova

Genova, al via i lavori per la mega-moschea di Federico Casabella

Genova - «Là dove c’era l’erba ora c’è... una moschea». Ha fatto tutto da sola, con qualche suo collaboratore e senza consultare il consiglio comunale, il municipio di riferimento né i partiti di maggioranza che la sostengono. Marta Vincenzi, sindaco di Genova, dopo due anni e mezzo passati senza prendere una decisione strategica per la città ha pensato bene di cominciare con quello che la città non vuole: la moschea. La farà realizzare nel quartiere popolare del Lagaccio, sulle alture di Genova dove la visione del mare è «tappata» da una serie di palazzoni costruiti negli anni Settanta. In quell’area c’è un quartiere che attendeva da tempo una strada nuova, un centro sociale che potesse ospitare gli anziani e un’area attrezzata per i bambini. Proprio nella porzione di terra che il sindaco ha deciso di concedere in dote alla comunità islamica doveva nascere la nuova bocciofila. «Cadiamo dalle nuvole. I lavori sarebbero dovuti iniziare nelle prossime settimane, almeno così ci è stato detto pochi giorni fa dall’architetto del Comune che segue il progetto - racconta Francesco Risso presidente dell’associazione “Amici di via Napoli” -. Ci aveva detto che se il cantiere non era ancora partito è stato per colpa del tempo». Falso. Altro che bocce, invece dei campi in ghiaia arriverà una moschea sullo stile di quella di Roma: 650 metri quadrati divisi su tre piani. Avrà un minareto alto 15 metri e sulla sommità una mezza luna d’oro. Poi al piano terra una biblioteca, uffici, aule didattiche e spazi per negozi. Quindi la grande sala dove l’imam guiderà la preghiera. Insomma, niente che assomigli al gioco delle bocce. Anche se c’era un accordo nero su bianco che localizzava in quella zona una struttura per il quartiere. Ma Marta Vincenzi non dev’essersene curata molto di quello che pensano i residenti della zona (peraltro quartiere tradizionalmente di sinistra) visto che ieri, commentando la scelta del Lagaccio l’ha definita una «terra di nessuno, un non luogo della periferia urbana che trarrà benefici in termini di riqualificazione dall’intervento». Passati i complimenti per la stima che il sindaco ha di alcune zone della città che lei governa, c’è il consiglio comunale. Che ieri si è riunito ma che non ha avuto la possibilità di sentire dalla sua voce le motivazioni della scelta. Si è parlato di deiezioni canine, di raccolta dei rifiuti e di corsie stradali riservate agli autobus. Ma non una parola ufficiale sul centro di culto islamico. C’è stata la manifestazione dei militanti leghisti, presenti fuori dalla sede del Comune carichi di salami da regalare al sindaco. Super Marta li ha subito etichettati come persone «da buttare fuori da qui», mentre quando un cittadino si è messo a urlare alla Vincenzi che invece di occuparsi di moschee avrebbe potuto interessarsi di chi ha bisogno in città e dei posti di lavoro che mancano ha replicato: «Dillo a Berlusconi». Super Marta tira dritto anche di fronte alle perplessità espresse dagli stessi islamici. Abu Bakr Moretta della Comunità religiosa islamica italiana ha commentato: «Il rischio è che la moschea sia gestita da una comunità che non ha sufficiente maturità per discernere tra politica e religione e l’ha dimostrato nelle manifestazioni di piazza di questi giorni». Ma la campana sentita dal primo cittadino della Superba è quella di Salah Hussein capo della comunità islamica genovese che ieri, dopo aver disertato la preghiera multireligiosa in Sinagoga per il giorno della memoria (dove era stato invitato dal rabbino capo), ha incontrato Vincenzi per affinare il percorso per la costruzione della moschea. Intanto si mobilitano i cittadini. Domani la Lega Nord terrà una manifestazione di protesta proprio nell’area dove sorgerà la costruzione. Sabato mattina in via Venti Settembre, via principale di Genova, i consiglieri regionali di An, Forza Italia e Udc che si sono uniti in un comitato raccoglieranno le firme per indire un referendum popolare sulla moschea. Questo mentre i residenti del quartiere si stanno organizzando per creare un proprio comitato. Perché c’è ancora chi, alla mattina, preferisce essere svegliato dal canto del gallo piuttosto che da quello del muezzin.

martedì 27 gennaio 2009

D'Alema

D'Alema, Obama e' uomo del dialogo con mondo islamico

ROMA - "Il governo Obama rappresenta una svolta vera e profonda e non solo nel campo politico".
Ne è convinto Massimo D'Alema che è stato intervistato per Sky Tg 24 da Beppe Severnini. Nel nuovo presidente degli Usa, l'esponente democratico vede una novità anche nel "ricambio generazionale e culturale. Per la prima volta c'é un leader globale a capo dell'occidente. E' un punto di incontro di diverse culture. Cambierà molte cose soprattutto avviando il dialogo con il mondo islamico e arabo". Un giudizio negativo è stato invece espresso da D'Alema su George Bush: "Ha compiuto errori molto gravi e ha colpito il prestigio degli Usa nel rapporto con il mondo. E' vero che l'uso della forza militare talora può essere indispensabile, ma guai pensare che possa sostituire la cultura e la politica. Se si ragiona così finisce male". Riferendosi ancora all'elezione di Obama, D'Alema ha concluso: "Speriamo che abbia la forza di fare scelte coraggiose, anche perché non si può rischiare lo scontro di civiltà".

Torino

Classe multietnica? E io ti cambio scuola

Troppi bambini stranieri in classe: e così tanti genitori italiani decidono di ritirare i propri figli. Succede in un quartiere multietnico a Torino, e in tante altre scuole del Paese. Classi sempre più miste, composte da bambini italiani e un numero sempre maggiore di bambini di origine straniera. Ma che succede se l’auspicabile integrazione e multietnicità diventa un’arma a doppio taglio? Già, perché sempre più spesso le scuole più frequentate dai piccoli provenienti da altre culture diventano dei ghetti. La voce si sparge presto tra i genitori dei bimbi italiani, che in molti casi decidono di iscrivere i figli in un altro istituto, o un in una struttura privata. Risultato: le distanze si allungano, invece di accorciarsi.L’anno scolastico è iniziato con le polemiche sulla riforma Gelmini e sulla proposta di istituire classi-ponte per i figli degli immigrati. L’ultimo caso riferito dalle cronache è quello di Torino, dove nel quartiere di Porta Palazzo, molti genitori hanno deciso di iscrivere i propri figli in scuole in cui gli alunni italiani sono prevalenti. Un papà ha spiegato che nella classe di uno dei suoi due figli ci sono 19 stranieri e due italiani: ecco perché ha deciso di iscrivere il secondo figlio in una scuola diversa da quella frequentata dal primo, pur di garantire al figlio una parità culturale. Non si tratta di razzismo, spiegano questi genitori, ma di offrire un'istruzione migliore ai propri bambini, di avere qualcuno con cui confrontarsi fuori dai cancelli. Com'è possibile seguire dei programmi quando magari un terzo dei bambini di una classe non parla bene l'italiano, sichiedono in tanti? Questo anche se spesso i cosiddetti "bambini stranieri" sono nati e cresciuti in Italia e la lingua la parlano e scrivono alla perfezione. Succede, denunciano tanti genitori, che i "pochi" italiani siano isolati e messi in difficoltà anche dal punto di vista linguistico, ma soprattutto - spiegano gli addetti ai lavori -, da un punto di vista culturale. Sarebbe infatti la mancanza di un background comune a mettere in crisi i genitori, forse più dei figli. E allora a poco valgono i discorsi sulla ricchezza della multiculturalità: a prevalere è la paura, è il senso di disagio. La soluzione? Non è affatto semplice. A Torino si è puntato su brochure informative e open day rassicuranti per convincere i genitori a non ritirare i propri figli, e di questa operazione d'immagine i risultati si vedranno entro la primavera, quando usciranno i dati relativi alle preiscrizioni per il prossimo anno didattico. Certo, il buonsenso suggerirebbe delle classi - e delle scuole - il più omogenee possibili: bambini di ogni estrazione (anche sociale) e di ogni provenienza seduti fianco a fianco per diventare in un futuro donne e uomini migliori.

La colonizzazione

Ecco come i clandestini sono diventati i padroni delle piazze di Nino Materi

Uno, cento, mille clandestini. Accomunati dalla protesta. Una protesta paradossale, perché nasce da persone fuorilegge: gente che non dovrebbe nemmeno trovarsi nel nostro Paese, ma che - non si sa in forza di quale «diritto» - si sente legittimata a scendere in piazza, minacciare, scagliarsi contro le forze dell’ordine. Sullo sfondo, il grande ricatto: «Riconoscete il nostro status di rifugiati politici, altrimenti...». E dietro quell’«altrimenti» c’è tutto il rischio di trasformare i centri di prima accoglienza in bombe pronte a esplodere il loro potenziale di violenza. È già accaduto in passato, accadrà ancora in futuro. Gli ultimi episodi? A Castel Volturno, Milano, Lampedusa e, appena ieri, a Massa. È la conseguenza di un problema-immigrazione diventato, strumentalmente, elemento di guerra politica tra fazioni. Chi chiede regole severe passa per «razzista», l’aggettivo preferito da quelli che, dopo ogni manifestazione (pacifica o no), si schierano dalla parte degli stranieri. Una forma di buonismo verso i «più deboli» che si trascina da anni con la sinistra sempre pronta a soffiare sul fuoco. E così, soffia oggi e soffia domani, i clandestini ora si sentono pienamente di «dovere» di far sentire la propria voce. Voce si fa per dire, considerato che nelle ultime 48 ore, a Lampedusa e a Massa, si è passati dalle parole ai fatti, con polizia e carabinieri costretti a caricare per arginare le intemperanze dei clandestini. Mentre sull'isola siciliana cresce la tensione a tal punto da spingere il Viminale a intensificare le misure di sicurezza, a Massa ieri e esplosa una rivolta nel centro della Croce rossa dove una cinquantina di clandestini erano stati trasferiti dal Centro di prima accoglienza (Cpa) di Lampedusa. I profughi hanno manifestato (senza autorizzazione) occupando piazza della Liberazione, nel centro di Massa, intorno alle 11, bloccando il traffico. Dopo essere stati più volte avvertiti di sgombrare la piazza, le forze dell'ordine hanno caricato i manifestanti che hanno cercato di opporsi sedendosi a terra. Durante l'intervento alcuni poliziotti sono rimasti feriti così come diversi manifestanti. Alcuni di questi sono stati prelevati dai carabinieri e dalla polizia, mentre una parte è stata scortata al centro della Croce rossa dove sono ospiti dal 3 agosto scorso 103 profughi: «Manifestiamo per il ritardo con cui le autorità italiane procedono nel riconoscimento dello status di rifugiato politico. Da oggi inizieremo anche lo sciopero della fame». Loro, i clandestini, pretendono che la questura gli consegni «subito» la patente di «perseguitato politico»; magari evitando inutili «perdite di tempo» in adempimenti burocratici come verifiche e accertamenti... Le cose non vanno meglio a Lampedusa: dopo la clamorosa fuga in massa dal centro di accoglienza di sabato scorso, si temono nuove rivolte. Sono state infatti rafforzate le misure di sicurezza per evitare ulteriori «evasioni» da parte dei 1318 ospiti della struttura: da ieri due camionette della polizia non perdono d’occhio il centro. Destinate a rilanciare la polemica sono anche le parole pronunciate ieri sera a Lodi dal ministro dell’Interno, Roberto Maroni: «In italia non esiste un’emergenza sicurezza, non esiste un’emergenza criminalità organizzata, esiste invece una emergenza immigrazione clandestina. Bisogna evitare inutili allarmismi e chiedere alle forze politiche di concentrarsi sulle emergenze vere e di evitare di polemizzare o creare allarmismi». Un discorso zeppo di parole come «emergenza», «allarmi» e «allarmismi» che la dice lunga sul caos del momento. Il responsabile del Viminale ha quindi evidenziato che nel 2008 la delittuosità generale in Italia è scesa dell’11,4% con una diminuzione del 20% delle rapine. In diminuzione anche le violenze sessuali che nel 2008 sono calate a 4.465 dell’8,8% con una discesa in valore assoluto di 432 unità. «L’immigrazione clandestina rimane una emergenza, dobbiamo agire con una forza straordinaria contro il traffico di esseri umani - ha continuato Maroni - e contro i reati connessi a questa immigrazione. Oggi sarò a Tunisi per la prima tappa di un giro tra i Paesi del Mediterraneo per rafforzare i nostri rapporti proprio al fine di contrastare l’immigrazione clandestina. I trafficanti devono sapere che chi arriva in Italia sarà rimpatriato. Noi garantiamo il diritto di asilo, ma chi non ha i requisiti per chiederlo sarà rimpatriato». Il commento della sinistra? Sempre lo stesso: «Misure di stampo razzista».

Culture superiori

1, 2 e 3.

Obama...

... o Bush? La disinformazione dgli "autorevoli" quotidiani italiani.

... e se il buongiorno si vede dal mattino... dal blog di Lexi

Per fortuna la prima settimana del nuovo Presidente è stata una settimana corta. Dico questo perché dopo soli tre giorni dall’ingresso alla Casa Bianca, i giornali americani (compresi quelli dichiaratamente pro-Obama) cominciano a registrare alcune perplessità sul modo in cui è avvenuto l’approccio ai problemi da parte della nuova Presidenza. Che poi sarebbe proprio l’aspetto che, secondo i Bush-haters di professione, avrebbe dovuto marcare la differenza rispetto alla precedente gestione. Siccome in Italia i giornali sono ancora imbevuti dall’odore dell’incenso e si limitano acriticamente a blablare di speranza, di cambiamento, di se po’ ffa e dei tailleurs di Michelle, vediamo sinteticamente quali sono state le decisioni prese da Obama in questi tre giorni e le effettive reazioni.

1) Iniziamo dalla notizia che, forse, nessun giornale italiano ha registrato e che, di sicuro, se fosse avvenuta in era Bush avrebbe guadagnato i titoli di prima pagina. Ieri c’è stato un raid americano in Pakistan. Un Predator ha lanciato tre missili nei dintorni della città di Mirali, nel nord Waziristan, regione in territorio pakistano a una trentina di miglia dal confine con l’Afghanistan. I morti accertati sono almeno 20. Ai giornalisti che, durante il consueto briefing, chiedevano conferma dell’accaduto, il portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs, si è rifiutato di rispondere.

2) Nell’ambito della crisi di Gaza, le uniche telefonate fatte da Obama a capi di stato esteri sono state con Olmert, Abu Mazen, Mubarak e re Abd Allah II di Giordania. Nessun consulto con gli europei. Non con Sarkozy che si era personalmente sbattuto nei giorni scorsi, non con la Merkel, non con Berlusconi o Gordon Brown.

3) Dopo aver incontrato il generale David Petraeus (l’artefice del vittorioso surge “bushiano” in Iraq, nonché, per quanto prevedo, prossimo Presidente degli Stati Uniti), Obama ha stabilito, per i mesi a venire, un consistente aumento di truppe da inviare in Afghanistan. A questo proposito chiederà agli alleati europei di darsi una svegliata e di fare la loro parte. Ma Londra, Parigi, Berlino e Roma hanno già fatto sapere che la loro risposta sarà “no”. A dire il vero, analoga richiesta era già stata fatta da Obama durante il tour europeo svolto durante la campagna elettorale, ma in quell’occasione i giornali italiani erano troppo impegnati a contare le persone nelle piazze e le bandierine americane vendute e sventolate per ricordarsi anche di riportare quella frase del loro nuovo dio.

4) Come proprio sottosegretario alla Difesa, Obama ha nominato William J. Lynn. Il suo compito sarà quello di dirigere il comitato preposto all’acquisto di nuovi armamenti. Nulla di strano, se non che Lynn (che pure fino a oggi non ha nemmeno un profilo su Wikipedia, pezzente!) è uno dei più noti e chiacchierati lobbisti dell’odiata industria delle armi. Per la precisione è un executive della Raytheon, la più importante società produttrice di missili e sistemi di difesa. Siccome Obama aveva sempre detto che non avrebbe mai portato lobbisti nel suo governo, i giornalisti gliene hanno chiesto conto. Risposta: uno stizzito “no comment” e sospensione anzi tempo dalla conferenza stampa

5) Questione Guantanamo. La decisione di chiudere il carcere (non oggi, in un anno) e di sospendere i processi (metterli in frigorifero, non annullarli), è stata accompagnata dalle immagini del momento solenne della firma e, ovviamente, è stata accolta dal plauso mondiale. Ma, al di là del fumo, si tratta per lo più di una mossa dovuta e di un colpo di maquillage per la propria immagine. Il fatto è che il governo non sa letteralmente cosa fare di questo esercito di terroristi e tagliagole. In Europa non li vogliono, nelle carceri americane non li vogliono, se sottoposti a processo rischiano di finire in libertà dal momento che, per l’Occidente, dare due calci in culo a chi vuole farti saltare in aria o tagliarti la testa è considerato un esercizio di macelleria. Senza contare che tutti quelli che sono stati rimessi in libertà sono prontamente ritornati a combattere nelle fila di al-Qaeda. Il problema quindi, al di là di una firma in mondovisione, è tutt'altro che risolto.

6) Altrettanto “platealmente”, Obama ha passato la spugna sulle restrizioni volute da Bush circa i finanziamenti alle organizzazioni non governative pro-choice (abortiste). Ora, fare una corretta informazione sui metodi contraccettivi e diffondere una maggiore responsabilità in termini di pianificazione familiare, è senz’altro una cosa giusta. Nello stesso tempo, però, è lecito anche chiedersi perché la “filosofia” corrente debba essere quella del ricorso finale all’aborto anziché garantire un sostegno, aiuti concreti e incentivi, per far nascere il bambino, poterlo crescere o al limite darlo in affidamento. Non dimenticherei mai che, negli Stati Uniti, a ricorrere in misura maggiore all’aborto sono donne che non vogliono danneggiare la propria carriera o minorenni spinte a questa scelta dai genitori per paura che un bambino possa condizionare o rovinare il futuro della figlia. Può sembrare brutto dirlo, ma citare esclusivamente l’ignoranza e la povertà come le ragioni principali del ricorso all’aborto è ipocritamente falso. La questione è filosofica e morale ma non è detto che la soluzione “giusta” debba portare solo in una direzione.

7) In tema di rapporti commerciali, il ministro del Tesoro, Timothy Geithner, ha apertamente e in forma ufficiale accusato il governo cinese di manipolare artificialmente il valore della propria moneta al fine di ottenere illeciti vantaggi economici. Gli Stati Uniti, ha aggiunto Geithner, reagiranno “in maniera aggressiva” per porre termine a questa situazione. Qui Obama, oltre a rivelare la propria natura iper protezionistica in campo economico (non dimentichiamo la sua uscita di voler ridiscutere il NAFTA, il trattato di libero commercio con Canada e Messico), paga dazio ai sindacati americani che, nella concorrenza cinese, vedono la causa principale della scomparsa di tanti posti di lavoro.

8) Nello stesso campo, è stata presa la decisione, dal prossimo 23 marzo, di aumentare del 200% i dazi sull’importazione delle acque minerali italiane. Questo è ritenuto più che preoccupante dalle società italiane, per le quali il mercato americano rappresenta quasi il 50% delle esportazioni. Se verrà attuata questa politica da parte del governo americano, a pagare potrebbero essere molti italiani che lavorano in questo settore e che rischierebbero la perdita del loro posto. Analoghi aumenti sono stati presi per l’importazione di prosciutto, salsiccie, cioccolato, tartufi, formaggi francesi, il Roquefort in primis (in questo caso i dazi aumentano del 300%).

Risultato: in soli tre giorni, Obama ha già fatto incazzare: i giornalisti, i governi e le diplomazie di mezza Europa, la Cina, i cattolici d’America (che pure l’hanno votato in massa), il Vaticano, quelli che si aspettavano di vedere i colori dell’arcobaleno sul nuovo tappeto dell’Ufficio Ovale, i formaggiai francesi, Reinhold Messner, Alessandro Del Piero e pure il suo passerotto. Ma forse tutto questo, per ora, i giornali non lo diranno.