giovedì 31 luglio 2014

Ma non era vero...

Immigrati, casi tubercolosi tra polizia. Hanno prestato servizio in Sicilia

NAPOLI, 31 LUG - Due poliziotti del IV reparto mobile di Napoli che hanno prestato servizio tra gli immigrati in Sicilia sono risultati positivi al test di Mantoux,che rileva la presenza del micobatterio della turbercolosi. Lo ha reso noto il Siap (Sindacato appartenenti alla polizia). "Se il test verra' esteso a tutti quelli che hanno prestato lo stesso servizio - afferma il segretario, Gregorio Bonsignore - buona parte risultera' positiva". Il Siap chiede l' attivazione immediata dei protocolli sanitari.

Nodi che vengono al pettine...

... lo paghiamo fior di quattrini e poi, si rivela essere peggio che un dilettante allo sbaraglio.

L'ammissione di Padoan: "Sulla crescita ci siamo sbagliati". Dopo l'allarme di Cottarelli sui conti pubblici, è la volta del ministro dell'Economia: "La situazione economica in Italia è meno favorevole di quello che speravamo a inizio anno" di Nico Di Giuseppe

Prima l'allarme di Cottarelli, ora quello di Padoan. Non bastava la bagarre scatenatasi in Senato, adesso il premier Matteo Renzi deve fare i conti con le bacchettate e con gli allarmi provenienti dal suo governo. "La situazione economica in Italia e nella Ue è meno favorevole di quello che speravamo a inizio anno", ha ammesso il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Che poi ha aggiunto: "La situazione richiede un maggiore sforzo per la crescita e il consolidamento dei conti pubblici". Pochi giorni fa il presidente del Consiglio aveva ammesso che le previsioni stimate nel Documento di economia e finanza sarebbero state difficili da raggiungere: "Sarà molto difficile arrivare al +0,8% di crescita". Durante la conferenza stampa congiunta con il collega francese Michael Satin, il ministro dell'Economia ha poi rincarato la dose: "In un contesto di consolidamento dei conti, bisogna pensare alle misure per crescere sul lungo periodo, per le riforme, gli investimenti e l’integrazione dei mercati". Insomma, il quadro è negativo e la crisi economica stenta a sparire. Altro che crescita, al momento il Paese è al palo. Ad aggiungere benzina sul fuoco ci ha pensato poi anche il commissario per la spending review Carlo Cottarelli. Intervenendo sul decreto Pubblica amministrazione, che arriverà al Senato nei prossimi giorni, Cottarelli ha fatto presente che sulla cosiddetta quota 96 che manderebbe in pensione gli insegnanti penalizzati dalla riforma Fornero non ci sarebbero i soldi per realizzarla.

Pd nel caos, Renzi: "Dissidenti senza coraggio". Il governo va sotto col voto segreto. E Renzi rivive l'incubo dei 101 che fece fuori Prodi: "Ci possono essere dissensi ma viene scritta una pagina non positiva". Poi l'apertura: "Disposto a modificare l'Italicum, ma insieme ai contraenti" di Andrea Indini

Alla direzione del Pd, convocata dopo la sberla incassata dal governo su un emendamento della Lega Nord che conferisce anche al nuovo Senato la competenza legislativa su materie "eticamente sensibili" come diritti civili, famiglia e matrimonio, Matteo Renzi sciorina tutto il repertorio di slogan a cui ci ha abituati da quando siede a Palazzo Chigi."Viviamo un momento storico", "la riforma del Senato è importante" e via dicendo. Grazie di qua, grazie di là. "Non vogliamo evitare il canguro, ma la lumaca". Eppure, nel lunghissimo esercizio di oratoria, Renzi si lascia scappare tutto il fastidio per una riforma, quella costituzionale, che non va in porto perché frenata dai soliti franchi tiratori. Che, poi, è un modo diverso per non affrontare il problema dei dissidenti piddini.

"L’emendamento passato col voto segreto non è il remake dei 101 ma nel merito lascia l’amaro in bocca - ammette Renzi alla direzione del Pd - ci possono essere dissensi, ma viene scritta pagina non positiva". In mattinata il governo è infatti andato sotto di sette voti su un emendamento della Lega Nord. Un colpo basso alla sicumera del premier che ha spinto gli stessi dem a ritirare in ballo "la carica dei 101" che lo scorso anno contravvennero alle indicazioni ufficiali del partito e affossarono l’elezione di Romano Prodi alla presidenza della Repubblica. Nella maggioranza è, infatti, già partita la caccia ai franchi tiratori: si cerca chi ha tradito nel segreto dell’urna. Una ricerca difficile. Gli occhi sono puntati su quei senatori che hanno pubblicamente espresso le proprie perplessità sulla riforma. "Non è vicenda tutta interna al Pd - ha continuato Renzi - anzi oggi scommetterei che sono stati altri a votare contro il governo nel voto segreto". Subito dopo il ko il sottosegretario Simona Vicari ha provato a indicare i senatori forzisti come colpevoli del "tradimento". Accusa respinta con fermezza da Franco Carraro che ha chiesto un intervento di censura nei confronti dell’ex senatrice Ncd da parte del presidente Pietro Grasso.

Renzi sa bene che non ne verrà mai a capo. È pressoché impossibile impallinare tutti i franchi tiratori. E il voto segreto resterà la vera spada di damocle sul ddl Boschi e sulle riforme che Renzi intende portare in gol. "Trovo incredibile che una riunione si debba fare in streaming e le riforme si facciano con il voto segreto, incappucciati...", ha sbottato Renzi durante la direzione incarnando quel malessere strisciante che ha portato anche il presidente dei senatori piddì Luigi Zanda ad attaccare con veemenza Grasso. "Le norme sul voto segreto - ha detto Zanda - non sono state previste per dare scorciatoie politiche e per la tutela del franco tiratore politico e non morale". Parole alle quali, però, la seconda carica dello Stato non ha voluto replicare ma che hanno acuito la distanza con la presidenza del Senato. Per ricucire almeno coi dissidenti Renzi ha, però, fatto un'apertura a rivedere il Patto del Nazareno. Le modifiche dovrebbe essere individuate cercando di "alzare un po la soglia" con cui far scattare il premio di maggioranza, "introdurre le preferenze" e "trovare un modo coerente sulle soglie di sbarramento". Modifiche che, però, non possono tener fuori i contraenti del patto.

mercoledì 30 luglio 2014

Punti di vista sull'Ucraina

Sorseggiando lacrime di Nicolai Lilin

Diverso tempo fa ho visto un poster americano che ha suscitato il mio interesse. Era raffigurato un aereo che lanciava le bombe e sotto c’era scritto: “se non volete accettare la democrazia, ve la buttiamo addosso”. Allora non avevo capito se era un poster di denuncia politica oppure un’immagine usata per motivare i militari americani a fare il loro sporco lavoro. Ho vissuto e combattuto diverse guerre, ma quell’immagine mi si era impressa nella mente, rimanendo a vagare nella mia coscienza come un enorme iceberg nell’oceano in cerca del suo Titanic da affondare. Da soldato operativo non ho potuto mai capire come può un uomo d’armi – una persona che impara a maneggiare materiale bellico letale per uccidere il nemico – giustificare, o addirittura incitare, all’omicidio di cittadini innocenti. Nei miei ricordi di guerra il dolore e le ingiustizie sofferti dai cittadini civili, involontariamente coinvolti nei conflitti, mi tormentano molto di più di terribili e brutali memorie degli scontri armati. Non capisco come alcuni militari riescano a ridicolizzare o ironizzare sulla disperazione e la morte dei civili.

Credo che un simile comportamento sia una chiara indicazione di mancanza di etica, di totale assenza di morale. Persone che si comportano in questo modo non sono degne di chiamarsi soldati. A mio parere sono assassini e basta. È proprio con questa mentalità che oggi opera l’espansionismo militare statunitense. Bombardano e massacrano per i loro sporchi interessi geopolitici, deridendo il dolore altrui nei loro film, nei video giochi, nelle loro canzoni. Purtroppo ci sono diversi esaltati nel mondo che prendono ad esempio il comportamento americano. Ricordo con rammarico il video del soldato georgiano che sparava dalla torretta del suo blindato con una mitragliatrice pesante su un condominio civile, nella città di Tshinval, capitale dell’ Ossezia del Sud. Ripreso con il telefonino da un suo compagno, quel bravo guerriero georgiano, dopo aver scaricato una lunga raffica di colpi contro le finestre dietro cui c’erano delle persone innocenti, aveva gridato per l’esaltazione, a cavalcioni sulla sua mitragliatrice come fosse un cavallo, imitando i cowboy al rodeo. Era disgustoso vedere quello scempio e sapere che quella feccia era il prodotto dell’esercito statunitense.

In questi giorni, seguendo le dinamiche del conflitto civile in Ucraina, vergognosamente taciuto da nostri media, mi accorgo che la macchina propagandistica dei golpisti di Kiev, spalleggiata dagli USA e dalla UE, ha acceso un focolaio di odio e xenofobia in una parte del popolo ucraino che è andato oltre qualsiasi limite di comprensione umana. Riesco a capire perché il governo di Kiev e gli oligarchi a lui vicini danno sostegno agli estremisti nazionalisti militanti: sono in gran parte provenienti dalle falange neonaziste ucraine, confuse nella loro visione politica, in quanto unici esponenti di estrema destra in Europa, insieme ad alcuni dei movimenti di estrema destra italiana, troppo insignificanti da poter essere nominati. Apertamente e senza alcun rimorso, questi militanti diventano burattini dei capitalisti americani, contraddicendo la loro dottrina stessa di nazionalsocialismo, il loro faro ideologico. È chiaro che i nuovi padroni di Kiev hanno bisogno di qualcuno organizzato militarmente, che non abbia rimorsi, che non costa caro e che un giorno, volendo, può essere messo a tacere con una semplice azione legale, rigirando la frittata politica. Per questo usano come squadre di morte falangi di ultras di calcio, nazisti ed esponenti di basso livello delle organizzazioni criminali ucraine sparse per tutto il mondo.

Quando di fronte al mondo intero i golpisti di Kiev sono stati costretti a dimostrare almeno apparentemente di agire nei limiti della legalità, queste falangi estremiste sono state legalizzate e trasformate in vari battaglioni speciali dell’esercito. Proprio da queste figure è composta la base dell’attuale esercito ucraino: esaltati e confusi pseudo-neonazisti, decerebrati ultras di calcio e delinquenti giunti in Ucraina dai paesi dove erano impegnati in racket, furti di automobili, traffici illeciti, omicidi a pagamento e sfruttamento della prostituzione. Attorno a loro ci sono anche vari lobotomizzati dalla propaganda che credono di combattere per la Patria, anche se nessuno di loro capisce che in questo momento, la loro Patria, non solo rasenta un profondo vuoto economico-sociale-politico, ma non possiede nemmeno quella legittimità statale di un governo nato dopo un golpe armato. Tutto quello che avviene oggi in Ucraina viola la sua stessa Costituzione, oltre che le leggi internazionali. In ogni caso, quello che mi spaventa, non sono gli esaltati violenti al soldo degli oligarchi pro-occidentali. Della loro esistenza si era a conoscenza da tempo. Molte persone che sostengono la legalità, che ci tengono a difendere la Costituzione e i valori dello Stato e del popolo ucraino, si erano preparate in anticipo per difendersi adeguatamente. Quello che mi lascia senza parole sono altri cittadini, gente che una volta poteva essere chiamata normale, ma che è ormai lobotomizzata da media corrotti e falsi, che generano odio e xenofobia. Gente che si esalta per la morte di civili, cittadini come loro. Gente che li chiama “terroristi” solo perché non condividono i loro punti di vista politici. Auspicano la morte per quelli che sono, secondo logica storica, fratelli connazionali.

Ho condiviso sul mio spazio Facebook la foto di una giovane donna uccisa insieme a sua figlia di appena due anni durante un bombardamento nella cittadina di Gorlovka. L’immagine straziante, un abbraccio mortale tra la madre e la figlia, è stata una scena che ha avuto un forte effetto anche su di me, nonostante abbia già visto il terribile volto della guerra più volte. Credevo di essere immune a certi sentimenti. Invece immaginando che al posto di questa povera giovane madre poteva esserci mia moglie, al posto di sua figlia ci poteva essere la mia bambina, ho sentito rompersi qualcosa dentro di me. Qualcosa che mi ha sconvolto, ha smosso la vecchia melma dai fondali della mia anima, facendomi provare una misera parte di quel sentimento di perdita assoluta, quello che si prova quando se ne va qualcuno che noi amiamo più di noi stessi. Ho sentito il gelo stringermi la gola, come se le anime dei morti che avevo visto nella mia vita fossero tornate tutte insieme per soffocarmi, per farmi sentire il dolore che avevano provato nel momento in cui la vita gli veniva strappata. Ho provato paura per i miei cari. Ho sentito quella paura che ti fa sentire un tremore nelle ginocchia. E, subito dopo, una profonda rabbia. Rabbia per l’ingiustizia, per chi mette in atto genocidi, per chi organizza e fa le guerre per i propri interessi.

Ma la mia indignazione è cresciuta a dismisura quando ho letto i commenti dei sostenitori della Kiev golpista. Persone che non meriterebbero di essere chiamate tali, che non meritano nemmeno di essere paragonate alle bestie, perché neanche le bestie sono capaci di tanta cattiveria e vigliaccheria. Nei loro commenti, gli irriducibili di Maidan, alcuni ucraini e alcuni italiani, hanno dimostrato la loro vera anima, ormai ridotta ad un cumulo di cenere avvolto nelle banconote verdi americane. Gli insulti nei confronti delle due persone innocenti brutalmente massacrate, superavano qualsiasi immaginabile limite di decenza. Le persone che hanno fatto questo hanno dimostrato di non avere niente di sacro, perché hanno calpestato due figure che rappresentano la sacralità più alta per qualsiasi essere umano, indipendentemente dalle sue origini, opinioni politiche o convenzioni religiose. La madre e sua figlia, che incarnano il senso del passaggio della vita, della bellezza del creato. La povera innocente bambina di due anni e sua mamma sono state chiamate “terroriste” e “separatiste”, la loro morte ironizzata con delle frasi terribili come “ecco, ora non potrete sbandierare il tricolore russo”, “due filo russe di meno”, “se la sono cercata”. Sono intervenuto subito per cancellare i commenti, fotografando la schermata che intendo usare per la denuncia che presto sporgerò nei confronti dei titolari dei profili che si sono espressi in quel modo orribile. Però una cosa non posso cancellare: l’esaltazione degli estremisti ucraini e dei loro sostenitori. L’odio che porta dentro di sé questa gente e che ogni giorno riversa non solo nella rete, ma anche nella vita, anche qui in Italia, nella nostra società, e che non farà alcun bene al nostro Paese.

In questi giorni ho saputo che in Ucraina un gruppo di attivisti esaltati dall’estremismo razzista e xenofobo ha lanciato una campagna per il sostegno del loro “glorioso” esercito di assassini che bombarda le città del Donbas. Gli attivisti vendono per strada acqua in bottiglia che si chiama “Le lacrime dei separatisti”. Sull’etichetta sono disegnate lacrime a forma di bombe. In questo modo, per un prezzo modesto, ogni passante può dissetarsi durante una calda giornata estiva, consapevole che i soldi pagati per questo piccolo piacere quotidiano contribuiranno a provocare altri morti tra la popolazione civile del Donbas, che ogni giorno subisce pesanti perdite per colpa dei bombardamenti dei militari ucraini. Pare che, per ora, la “democrazia” e la “libertà” che il colpo di stato armato, sostenuto e pagato dagli USA e UE, ha garantito all’Ucraina non vada oltre il piacere di sorseggiare lacrime di civili massacrati, mentre insultano in rete le foto dei loro cadaveri.

lunedì 28 luglio 2014

Quel genio di renzie fonzie...

Riforme: Renzi scrive ai senatori. Lettera aperta del premier: "Da voi dipende il futuro dell'Italia". Il ministro Boschi a Palazzo Chigi

Matteo Renzi vuole chiudere sulle riforme costituzionali e sa di giocarsi moltissimo su questa partita, così scrive una lettera aperta ai senatori: "Dalla vostra capacità di tenuta dipende molto del futuro dell'Italia. Siamo chiamati a una grande responsabilità: non la sprecheremo". Da parte sua il premier mostra disponibilità sulla legge elettorale: "La discussione del Senato consentirà di affrontare i nodi ancora aperti: preferenze, soglie, genere". Renzi ricorda la sua tabella di marcia: "Da settembre, si riparte con il programma dei mille giorni: la questione giustizia, la riforma del terzo settore, la delega fiscale, la riforma del mercato del lavoro, il piano infrastrutture, la semplificazione della pubblica amministrazione".  Spiega Renzi: "Solo le riforme strutturali ci consentiranno di essere credibili per usare la flessibilità necessaria a far ripartire l'occupazione e la crescita. Abbiamo mille giorni per riportare l'Italia a fare l'Italia. Dopo ognuno farà le proprie scelte in libertà e rispetto. Ma i giorni che abbiamo davanti non possono essere buttati via. Non ce lo possiamo permettere noi, non se lo possono  permettere gli italiani". E ancora: "Stiamo vivendo un momento molto delicato soprattutto sotto il profilo internazionale: l'Ucraina, la Siria e l'Iraq, il Medio Oriente e la Terra Santa per tacere della Libia che per noi italiani è il problema più prossimo. In questa cornice sta sulle nostre spalle la responsabilità di fare dell'Italia e dell'Europa i luoghi di un dialogo possibile che affermi le ragioni della pace e della speranza". Intanto in Aula al Senato va avanti l'esame del ddl riforme: il ministro Maria Elena Boschi è a palazzo Chigi per incontrare il presidente del Consiglio.

Sblocca Italia,'bonus' a piloti Alitalia. In bozza Dl norma che proroga agevolazioni su indennita' di volo

ROMA, 28 LUG
- Spunta anche una norma 'Alitalia' nel decreto Sblocca Italia. In una bozza del testo entra una misura che proroga per il triennio 2015-2017 gli sconti fiscali sull'indennita' di volo, (percepita da piloti e assistenti), che non concorreranno "alla formazione del reddito ai fini contributivi".

domenica 27 luglio 2014

Le furbate dell'autistico bimbominkia di governo


Scava, scava e ti accorgi che, alla fin fine, la spending review ricade sempre sui privati. Gli affitti, per esempio. Il premier Matteo Renzi ha, infatti, trovato il modo per anticipare una manovrina pensata dal predecessore Mario Monti e risparmiare un miliardo di euro che la pubblica amministrazione versa ogni anno ai privati per l'affitto degli immobili. Lo ha fatto in silenzio, di nascosto, infilando la norma in un codicillo al decreto sul bonus da 80 euro. Adesso che il presidente di Confedilizia Corrado Sforza Fogliani se ne è accorto, si è subito messo a studiare le carte dei giudici che avvallano la tesi dell'incostituzionalità.

"Un simile intervento legislativo - tuona il presidente dell'Unione piccoli proprietari immobiliari (Uppi), Gabriele Bruyère - è un bieco e deprimente attacco alla libertà di contrarre dei cittadini costituzionalmente e giuridicamente garantita". Il decreto del governo colpisce moltissimi cittadini. Ad affittare uffici, locali e immobili alla pubblica amministrazione sono le banche e le grandi imprese, ma anche soggetti privati con enormi patrimoni immobiliari. "Potrebbe essere un principio troppo pericoloso - incalza Bruyère - che potrebbe anche portare a ben altri interventi ancora più invasivi della proprietà privata e dei rapporti privati". Proprio per questo Confedilizia sta valutando l'ipotesi di battere legalmente la strada della incostituzionalità. Tesi che è supportata da numerosi pareri dei giuristi.La sforbiciata, che ridurrà i canoni di locazione del 15%, era stata introdotta da Monti nell'ottica della spening review. Al comma 4 del decreto sugli 80 euro il governo ha, infatti, sostituito le parole "1 luglio 2014" a "1 gennaio 2015". Settimana prossima, insomma. Una furbata che potrebbe appunto trovare contraria la Corte costituzionale.

La portata del blitz di Renzi vale circa un miliardo di euro. E fa gola al ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan che, a fronte di un pil che non riesce a crescere, arraffa l'arraffabile. Inutile dire che il codicillo andrà a colpire anche i piccoli proprietari immobiliari. "In alcuni casi ci sono contratti probabilmente frutto di vecchie logiche da Prima Repubblica, e dunque particolarmente favorevoli ai proprietari - spiega Francesco De Remigis su LiberoMercato - in altri accordi a prezzi di mercato che ora verranno asciugati ulteriormente". Sebbene Renzi continui a svendere gli immobili della pubblica amministrazione, lo Stato sborsa ogni anno all'incirca 12 miliardi di euro per affittare uffici ai privati.

sabato 26 luglio 2014

Kyenge e il leghista

Un paio di commenti: "Una delle pochissime cose positive che riconosco a Renzi è quella di aver buttato fuori questa signora dal governo cancellando anche un ministero che era un'autentica provocazione per i cittadini.Kyenge non può certo lamentarsi degli italiani visto il super strapuntino graziosamente concessole in europa.Ma questa signora resta un'autentica nullità,l'esempio vivente del razzismo alla rovescia,denari e privilegi ottenuti solo grazie al colore della pelle".

"35 mila ero al mese da parlamentare europea non bastano?"

"Penso e spero che, almeno in ambito privato, possano tranquillamente esprimersi i propri convincimenti senza timore di incorrere in censure ad opera di quelle anime candide dei nostrani moralisti sinistrorsi e/o baciapile ..."

"il razzismo alla rovescio non è punito...stranezze della politica nell'a,d,2000"

Kyenge, leghista condannato. Dovrà risarcire anche associazioni tutela diritti. Nel luglio del 2013 Paolo Serafini, 52 anni, entrato in consiglio circoscrizionale di Trento con la Lega Nord (poi finito nel gruppo misto), insultò il ministro. Per la diffamazione aggravata dall'odio razziale il giudice ha deciso una multa 2500 euro oltre al pagamento delle spese processuali e al risarcimento del danno morale in favore delle associazioni che ci sono costituiti parti civili di Marco Zavagli

In attesa della pronuncia dei rispettivi tribunali sui casi di Roberto Calderoli e del suo collega di partito Fabio Ranieri, segretario della Lega Nord in Emilia-Romagna, per le offese all’ex ministro Cècile Kyenge, a Trento è stata emessa una sentenza che potrebbe far giurisprudenza. Oltre alla condanna per diffamazione aggravata dall’odio razziale, l’imputato è stato condannato anche a risarcire le associazioni che si erano costituite parte civile. La storia nasce anch’essa su Facebook. Nel luglio del 2013 Paolo Serafini, 52 anni, entrato in consiglio circoscrizionale di Trento con la Lega Nord (poi finito nel gruppo misto), sull’onda della polemica innescata giorni prima da Calderoli, dedica alla Kyenge un pensiero tutt’altro che ovattato: “Dopo l’insulto di Calderoli la ministra che continua a dire che l’Italia non è un paese razzista dichiara di ricevere ogni giorno, soprattutto online, minacce di morte. Ma cosa pensava di trovare questa in Italia? Forse di essere accolta e di trovare il plauso della nazione? [...] Prenda atto la ministra che ovunque si muove viene fischiata e insultata. Ci sarà un perché! Rassegni lei le dimissioni e se ne torni nella giungla dalla quale è uscita”. A corollario ‘geografico’ delle frasi ecco comparire anche un serie di foto di scimmie. Quanto basta per spingere un consigliere del Pd a presentare un esposto in procura, dal quale è partita la denuncia della procura trentina e quindi il processo, che si è concluso lo scorso 15 maggio. La difesa aveva sostenuto che l’imputato avesse pubblicato il post nella convinzione di renderlo visibile solo agli “amici” di Facebook. In subordine aveva cercato di far valere il principio costituzionale della libera manifestazione del pensiero. Ma il tribunale ha ritenuto che “il limite della continenza sia stato superato” e che piuttosto che diritto di critica, nel caso di specie si possa parlare solo di “un attacco personale gratuito all’ex ministra, lesivo della sua dignità morale, nel solco di quello espresso a livello nazionale da eminente uomo politico nei giorni precedenti” (leggi Calderoli). Quanto alla frase “se ne torni nella giungla dalla quale è uscita”, si possono dire “integrati gli estremi dell’aggravante dell’odio razziale”.

Ora sono state depositate le motivazioni della sentenza, con la quale il giudice collegiale (a fronte della richiesta di 8 mesi di reclusione avanzata dal pm) condanna Serafini a 2500 euro di multa oltre al pagamento delle spese processuali. Ma soprattutto, qui l’inedita appendice, lo condanna al risarcimento del danno morale in favore della parti civili (le associazioni Arci e Anpi del Trentino, l’Associazione Nazionale Giuristi Democratici, l’Associazione stati giuridici per l’immigrazione, l’Associazione trentina Accoglienza stranieri). Nel determinare l’entità del danno i giudici tengono conto del “criterio della gravità della condotta” e della “lesione di un bene di primaria rilevanza costituzionale”: in sintesi 2000 euro per ognuna della parti costituite, più spese legali.

venerdì 25 luglio 2014

Notizie sparse

Lo staff di Angelino Alfano mi ha bannata dal suo facebook. Eppure, non sono nè stata volgare e nè offensiva. Ma tant'è che vigliacchi simili, aprono le pagine facebook o quelle di twitter e se la pensi diversamente da loro, ti bannano. Che le aprono a fare se non vogliono sentirsi dire la verità? L'altro sempre attaccato ai social nel mentre ci tassa e ci tartassa ed emula Mussolini è l'ebetino, aggiungo io, autistico bimbominkia, si inventa hashtag, accoglie clandestini e se ne frega degli italiani e, oltretutto, per farci credere che ha ancora una maggioranza, si premura di porre una nuova fiducia ad un maxiemendamento per servire i suoi amici. Poi, scopriamo che nelle marche, ci sono 42 porci consiglieri che hanno mangiato e mangiato e mangiato... eh, ma si sa, i moralmente superiori mangiano diversamente. Hanno fiducia nella giustizia. Poi, di notizie ce ne sarebbero molte altre. Una su tutte, nel mio paesello d'origine di 2300 anime, sono arrivati a sorpresa e senza alcun preavviso, 10 clandestini che loro chiamano profughi. Il comune, ha donato loro gli appartamenti pubblici. Ieri hanno pensato bene di riunirsi ad altri extracomunitari in un paese vicino. E' chiaro che tra spacciatori si conoscono... i carabinieri li hanno riportati al paesello.

lunedì 21 luglio 2014

Sull'aereo malese


Dalla pagina facebook di Diego Fusaro. Pochissime parole per raccontare la verità

Prima le patetiche Pussy Riots e la pagliacciata dell'Ucraina, ora il fantomatico aereo abbattuto: quali altre mosse di diffamazione preventiva ai danni della Russia dobbiamo attenderci? Perché gli USA e il presidente Obama - imperialista col premio Nobel per la pace - non dicono chiaramente che odiano la Russia nella misura in cui essa non si inginocchia dinanzi alla 'special mission' americana di occupazione del mondo intero? Il clero giornalistico e il circo mediatico assicurano l'ordine simbolico dominante, portando la popolazione occidentale a odiare la Russia e ad amare i carnefici USA.

Senza commenti

Immigrati, gli scafisti: "Ricchi con un viaggio". Gli immigrati partono dalla Libia stipati nella stiva: le imbarcazioni sono insicure e il "biglietto" costa 1.500 euro a persona di Sergio Rame

"Sapevo che in Libia cercavano scafisti. Sono andato lì e mi sono arruolato con loro per guadagnare soldi. Faccio il pescatore ma quello che prendo in un solo viaggio per portare persone è lo stesso che guadagno in due anni col mio lavoro". Con gli investigatori della squadra mobile di Ragusa Saber Helal, 27enne tunisino fermato perché ritenuto di essere lo scafista dei 251 immigrati sbarcati ieri mattina a Pozzallo, vuota il sacco. E le sue dichiarazioni sono come un pugno nello stomaco. Perché, mentre l'ennesima strage di clandesini parla di almeno sessanta morti, Helal racconta di aver fatto pagare 1.500 dollari a ciascun africano che volesse sfidare il mare per raggiungere l'Italia. "Questi non sono scafisti - sbotta il questore di Genova Vincenzo Montemagno - ma schiavisti".

Secondo l’accusa il tunisino Saber Helal era al servizio di trafficanti libici ancora da identificare. "Ho atteso il mio turno ed anche io ho preso posto su uno dei due gommoni per poi salire sull’imbarcazione di legno - racconta uno dei clandestini sbarcati a Pozzallo - una volta sopra il natante, fu un libico ad indicarmi il posto che era stato a me assegnato, ovvero in coperta nella parte centrale". Secondo la ricostruzione degli inquirenti, i gommoni facevano altri tre o quattro viaggi tra la terraferma e la barca. "Gli stessi libici - ha riferito il tunisino - erano particolarmente duri con le persone di colore che stavano imbarcando e usavano i lunghi coltelli di cui erano in possesso, proprio per picchiare queste persone". Il sovraffollamento sulla barca era tale che veniva difficoltoso anche sedersi e, quando qualcuno lo faceva, doveva necessariamente sopportare il peso di altre persone che, per mancanza di spazio, ci si sedevano di sopra. Secondo i testimoni, agli immigrati non veniva assolutamente permesso di salire in coperta, nemmeno per prendere una boccata d’aria. Gli scafisti temevano, infatti, che il sovraffollamento in coperta avrebbe pregiudicato la stabilità dell’imbarcazione causandone il ribaltamento.

A distanza di poche ore dall'arresto di Saber Helal, la polizia i Ragusa ha fermato anche un altro tunisino, Naser Maa con l'accusa di aver pilotato il barcone di 229 immigrati, cittadini di Bangladesh, Mali, Ghana, Gambia, Costa D’Avorio e Senegal, giunti a Pozzallo ieri sera con la nave "Oreste Corsi" della Capitaneria di Porto che li aveva soccorsi. L’indagato, che ha ricevuto un compenso di 4.500 dollari per portare gli immigrati in Italia, è stato incastrato da un video da lui stesso realizzato durante la traversata. "Ho girato il video per ricordo - ha raccontato - volevo tenere con me queste immagini perchè sapevo che avrei rischiato sia di morire che la galera una volta giunto in Italia". Tra i 229 clandestini partiti dalla Libia un giovane del Bangladesh ha raccontato agli inquirenti di aver lavorato gli ultimi diciotto mesi per poter raggiungere l'Italia. Traversata che gli è costata 1.200 dollari. "Sono stato sistemato nella stiva, esattamente a poppa, vicino al motore - ha raccontato - l'imbarcazione sulla quale sono salito non era in buone condizioni ed era piccola per trasportare tutte le persone presenti tanto che ho temuto per la mia incolumità". Per questo motivo ha anche pensato di rinunciare al viaggio: "Non l’ho fatto perché avevo fatto tanti sacrifici per procurami i soldi per la traversata ed ero sicuro che i libici non me li avrebbero restituiti in caso di rinuncia". Appena la stiva si è riempita, un libico ha chiuso il boccaporto. "Molti di noi, me compreso, abbiamo cominciato a piangere dalla disperazione a causa della mancanza d’aria e dell’alta temperatura - ha concluso - non ci è mai stato somministrato cibo ed io ho bevuto l’acqua che avevo già portato con me all’interno di una bottiglia".

venerdì 18 luglio 2014

L'ennesimo sproloquio della miracolata madonna boldrini

Immigrati, la Boldrini nega l'evidenza: "Nessuna invasione". La presidente della Camera: "Dobbiamo prendere esempio dall'Africa" di Giovanni Corato

Sulle coste siciliane continuano gli sbarchi (solo ieri sono state soccorse in mare oltre 1500 persone), i centri di accoglienza sono ormai al limite, ma per Laura Boldrini non si tratta di "emergenza". "In Italia si parla di emergenza quando arrivano alcune migliaia di rifugiati e di migranti. Si parla di invasione quando i rifugiati che qui vivono sono 78mila", ha detto oggi in occasione del "Nelson Mandela Day", "L’Africa ne ospita circa 14 milioni. In uno Stato fragile con una popolazione di dodici milioni di persone,  come il Ciad, hanno trovato rifugio quasi mezzo milione di persone. E, dunque, è dall’Africa che dobbiamo imparare, è all’Africa che dobbiamo guardare quando parliamo di ospitalità, di generosità, di responsabilità". Aprendo il seminario parlamentare con gli ambasciatori in Italia degli Stati africani, la presidente della Camera osserva: "È all’Africa che dobbiamo guardare, anche perchè il 22% (oltre un quinto) dei migranti residenti in Italia proviene da questo continente e nelle nostre scuole vi sono bambini con storie e radici italo-africane. Infine, è all’Africa che dovremmo guardare per ridare nuovi orizzonti alle nostre economie, avviluppate da troppo tempo nella spirale recessiva. Appena il 5% delle esportazioni italiane è destinato al continente africano ed in Africa giunge solo il 7% dei nostri investimenti. L’enorme disparità rispetto all’attivismo di altri Paesi, soprattutto emergenti, è lampante. Perfino negli Stati cui siamo legati dalla vicinanza geografica o da vincoli storici, come quelli dell’Africa settentrionale o del Corno, i nostri imprenditori sono poco presenti, lasciando spazio a quelli di altri paesi".

Intesa, Mps e Unicredit

Intesa, UniCredit e Mps battono cassa da Draghi. Chiederanno alla Bce 34 miliardi. Le maggiori banche italiane ricorreranno a piene mani alle iniezioni di liquidità decise dall'Eurotower in giugno e subordinate alla concessione di prestiti all'economia reale. Ghizzoni e Viola hanno chiesto, per ora in via informale, 14 e 6 miliardi. Mentre Carlo Messina ha fatto sapere che ne prenderà 13. E li girerà ai clienti solo "parzialmente"

Fino a 34 miliardi di euro. È la cifra che le banche italiane chiederanno alla Banca centrale europea nel quadro della maxi-iniezione di liquidità decisa da Mario Draghi il 5 giugno. Gli amministratori delegati di UniCredit e Mps, Federico Ghizzoni e Fabrizio Viola, hanno già fatto le loro richieste informali, pari rispettivamente a 14-15 miliardi e 6 miliardi. Mentre il consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, giovedì ha fatto sapere di voler battere cassa per circa 13 miliardi. La prima tranche arriverà già a settembre, quando è prevista la prima delle due aste per complessivi 400 miliardi con l’obiettivo finale di aumentare il flusso dei crediti all’economia reale dell’Eurozona.

“Abbiamo intenzione di ricorrere ai Tltro (Targeted longer-term refinancing operations, cioè appunto l’immissione di liquidità negli istituti condizionata ai prestiti a famiglie e imprese, ndr) della Bce per altri 13 miliardi e il beneficio di questi verrà parzialmente girato sui nostri clienti”, ha detto Messina durante la presentazione di un accordo con Confindustria. Solo “parzialmente”, dunque, nonostante i nuovi prestiti con scadenza a 4 anni e tassi di interesse molto favorevoli siano stati studiati apposta perché le banche li utilizzino per fare prestiti. E non, come accaduto dopo l’operazione di rifinanziamento da oltre 1000 miliardi varata tra 2011 e 2012, per riempirsi di titoli di Stato o rifinanziare obbligazioni in scadenza. Peraltro le banche italiane, al contrario delle concorrenti europee, devono ancora restituire all’Eurotower gran parte di quei fondi. Solo Intesa ha chiuso i conti con Francoforte, ma convertendo una parte dell’ammontare residuo in strumenti di finanziamento con scadenza più ravvicinata.

Intanto, sempre da Francoforte sono arrivate nuove indicazioni in vista dell’asset quality review e degli stress test sulle 128 grandi banche dell’Eurozona. La Bce ha fatto sapere che gli istituti che hanno ammanchi nei bilanci avranno solo due settimane di tempo, in autunno, per preparare un piano finalizzato a trovare i fondi necessari.

Ticket sanitari e assicurazioni

“Il Servizio sanitario nazionale non può supportare ulteriori tagli, pena l’impossibilità di garantire i livelli di assistenza e quindi l’equità nell’accesso alle prestazioni socio-sanitarie. Pertanto, eventuali risorse recuperate attraverso misure di razionalizzazione della spesa dovranno essere destinate al miglioramento dei servizi sanitari”. Mette il dito nella piaga il documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sul Sistema sanitario nazionale (Ssn), svolta congiuntamente dalle commissioni Bilancio e Affari sociali della Camera, presentata giovedì a Montecitorio. Che, oltre a fotografare dettagliatamente la situazione con le sue luci e ombre, non manca di formulare proposte per il futuro. Tra quali, oltre all’annosa questione del ticket sanitario, trova un ampio spazio l’ipotesi di un ruolo sempre più crescente per le compagnie assicurative, che si affianca, questa volta però in un ambito più istituzionale, alle ipotesi formulate nei giorni scorsi nell’ambito della presentazione del rapporto Welfare, Italia. Laboratorio per le nuove politiche sociali di Censis e Unipol. Quello cioè che spingeva per “le proposte, di alcuni operatori privati, in primis Unipol, di attivare fondi sanitari integrativi di tipo territoriale, con una forte compartecipazione degli Enti locali”, che avevano prontamente suscitato il plauso del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin.

Una spesa sanitaria “tra le più basse dei Paesi avanzati” - Per quanto rigarda lo stato dell’arte, il documento delle Commissioni di Montecitorio sottolinea come “le azioni messe in campo per il controllo della spesa sanitaria hanno prodotto risultati significativi dal punto di vista economico-fìnanziario, tanto che nel 2012 tale spesa si è attestata a quota 110,8 miliardi di euro, facendo registrare, per il secondo anno consecutivo, una riduzione in termini nominali (pari allo 0,7 per cento contro lo 0,8 per cento dell’anno precedente). La spesa del comparto rappresenta comunque una quota significativa della spesa pubblica al netto degli interessi: circa il 15,5 per cento. Si tratta di un aggregato di spesa che, per altro, non trova separata evidenziazione nell’ambito della contabilità nazionale, ma è dato dalla somma delle diverse tipologie di spesa riconducibili al settore sanitario e, principalmente, ai costi del personale, facenti parte dell’aggregato redditi da lavoro dipendente, e alle spese per l’acquisto di beni e servizi, contabilizzati nei consumi intermedi”.

In termini di rapporto con il Prodotto interno lordo, secondo i dati Istat la spesa sanitaria pubblica si situa su un valore pari al 7,1 per cento del Pil nel 2012. “Tale percentuale sale, sempre nel 2012, a circa il 9,2 per cento con riguardo alla spesa sanitaria complessiva (che considera anche la componente di spesa sanitaria privata, cifrabile intorno ai 30 miliardi) e risulta tra le più basse dei paesi avanzati, attestandosi sia sotto la media OCSE, pari al 9,3 per cento, sia sotto quella dei Paesi UE-15, pari al 10 per cento”. Per quanto riguarda invece l’apporto pubblico, “il livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale cui concorre ordinariamente lo Stato per l’anno 2013 è stato determinato in 107.004,50 milioni di euro. Per altro, negli ultimi anni, alla riduzione delle risorse destinate al Fondo sanitario nazionale si è sommata la riduzione di quelle per le politiche socio-assistenziali e per le non autosufficienze“. Tutto ciò, sottolineano le Commissioni, “ha fatto emergere la piena consapevolezza che il Servizio sanitario nazionale non può sopportare ulteriori definanziamenti, pena l’impossibilità di garantire i livelli di assistenza e quindi l’equità nell’accesso alle prestazioni socio-sanitarie. Pertanto, eventuali risorse recuperate attraverso misure di razionalizzazione della spesa dovranno essere destinate al miglioramento dei servizi sanitari”.

“Basta tagli lineari, serve un cambiamento di metodo” - Tanto più che “nel corso dell’indagine conoscitiva, la Conferenza delle regioni e delle province autonome ha lamentato, sia a causa delle misure di contenimento della spesa di cui si dirà tra breve, sia a causa della riduzione del finanziamento del Servizio sanitario nazionale, una contrazione delle risorse destinate dallo Stato alle regioni pari a circa 31 miliardi e 553 milioni di euro nel periodo 2011-2015″. Ma se da un lato “non appare ragionevole pensare ad un reperimento di ulteriori risorse da destinare al finanziamento del Servizio, d’altro lato non sembra nemmeno possibile tagliare ancora risorse al settore della sanità, né è più pensabile ricorrere ulteriormente alla logica del taglio lineare, poiché essa ha obbligato il sistema e le regioni ad intervenire indistintamente su alcuni settori che non necessariamente rappresentano punti di debolezza o fattori di spreco”. I tagli lineari, spiegano ancora le Commissioni, “non possono essere il rimedio per tutte le necessità né la giusta medicina per affrontare il tema degli sprechi; le risorse necessarie devono invece essere reperite tenendo conto delle differenti capacità organizzative, culturali, nonché degli sforzi e dei successi già ottenuti negli anni dalle singole realtà regionali”. In sostanza, è necessario un “cambiamento di metodo, impostando il tema del contenimento della spesa non in termini di tagli (riduzione del livello e del volume dei servizi) ma in termini di razionalizzazione della spesa, vale a dire spendere meno con gli stessi fattori produttivi, prevedendo misure premiali non solo per le regioni che abbiano avviato percorsi virtuosi di rientro dal deficit sanitario, ma anche per quelle sottoposte a piani di rientro che abbiano intrapreso processi efficaci di riorganizzazione dei servizi sanitari e assistenziali in grado di rispondere in modo appropriato ai bisogni di cura e di salute dei cittadini”.

Il futuro del ticket - Tra le altre proposte, invece di un innalzamento del ticket sanitario, le commissioni propongono “la fissazione di una franchigia, calcolata in percentuale al reddito, fino al concorrere della quale si dovrà pagare interamente secondo le attuali tariffe ogni prestazione fruita nel corso dell’anno. Superata la franchigia, che potrebbe essere anche progressivale prestazioni sarebbero invece gratuite o con minime forme di compartecipazione ad effetto dissuasivo e comunque legate a percorsi di appropriatezza clinica”. Dunque, secondo questo sistema, si dovrebbe pagare ogni prestazione fino al raggiungimento di un tetto massimo, variabile in base al reddito, superato il quale le prestazioni diventerebbero gratuite o compartecipate.

Alla base della proposta un’articolata analisi che ricorda come la vigente legislazione nazionale prevede per le prestazioni di assistenza specialistica l’applicazione di un ticket pari al valore della prestazione fino ad un massimo di 36,15 euro, “con ampie categorie di esenzione, per patologie e per reddito, tanto che circa il 70 per cento delle prestazioni viene fruita da assistiti esenti”. In particolare per l’assistenza farmaceutica l’eventuale applicazione di un ticket è demandata alle regioni. “La maggior parte delle regioni ha disposto l’applicazione del ticket, generalmente di importo pari a 2 euro per ogni farmaco a carico del SSN, prevedendo al contempo ampie categorie di cittadini esenti. Il gettito complessivo dei predetti ticket è pari a circa 2,9 miliardi di euro annui: circa 2,3 per la specialistica e circa 0,6 per l’assistenza farmaceutica”. Nel corso dell’indagine conoscitiva, tuttavia,  ”è stato riscontrato come l’innalzamento dei ticket sulla specialistica piuttosto che ridurre il numero delle prestazioni le abbia invece trasferite sul settore privato, posto che la compartecipazione per alcune prestazioni è risultata addirittura più onerosa del loro stesso prezzo, facendo così venir meno il gettito atteso”. 

Non solo: “la problematica dei crescenti importi dei ticket contribuisce, per coloro che preferiscono rivolgersi al privato, al crescente fenomeno della spesa privata” che ammonta a circa 30,3 miliardi “costituendo in tal modo una percentuale rilevante della spesa sanitaria complessiva, e con una presenza molto più elevata in alcuni settori, quali quello delle cure odontoiatriche“. E’ stato tra l’altro segnalato come “tale spesa venga a determinare un aumento delle differenze nella tutela della salute al crescere del reddito, rivestendo per tale profilo una natura regressiva, in quanto dà luogo ad una offerta di prestazioni crescente all’aumentare del reddito del richiedente”. Essa, inoltre, “pur collocandosi su un livello non dissimile da quella di altri Paesi europei, è nel nostro Paese quasi per l’intero out of pocket,mentre altrove è in buona parte intermediata da assicurazioni e fondi. Si tratta di una spesa che, in quanto out of pocket, è individuale (spesso cash), e non ha pertanto alcun potere contrattuale nei confronti degli enti erogatori”.

Incentivare il ruolo delle assicurazioni con defiscalizzazioni - E qui si passa a un’altra proposta delle Commissioni: incentivare la sanità integrativa. “Un ultimo tipo di proposte, per aumentare l’efficienza del sistema sanitario, su cui molti degli auditi hanno convenuto, verte sull’incentivazione della sanità integrativa costituita da fondi integrativi, polizze assicurative, collettive ed individuali”. La richiesta, recita il documento “è di una maggior defiscalizzazione, i cui oneri per l’erario troverebbero compensazione nella minor pressione che la polizza sanitaria può determinare sulla richiesta di prestazioni pubbliche, diminuendo il numero di prestazioni erogabili dal sistema”. Secondo le Commissioni, poi, “una maggior presenza dei fondi integrativi, in quanto pagata dai fondi e dalle polizze, a fronte del versamento del premio assicurativo da parte dell’interessato, riduce la spesa privata out of pocket che, come prima detto, presenta effetti regressivi”.

Il ragionamento è in dettaglio questo. “La necessità di riorganizzare la spesa sanitaria privata mediante idonee forme assicurative deriva anche dalla diffusa percezione dell’insostenibilità del prelievo sia per le imprese (Irap) che per i cittadini (addizionali Irpef) nelle regioni sottoposte a piani di rientro. Tale riorganizzazione potrebbe operarsi aumentando la convenienza fiscale nei confronti dei fondi – posto che le imprese non godono di alcun vantaggio fiscale per i contributi versati ai fondi – in modo che questi arrivino ad una massa critica ed intermedino più spesa privata. In questo modo, i fondi, oltre ad intervenire necessariamente a fronte di fatturazione, raggiungendo una certa massa critica, potrebbero giungere ad avere un potere contrattuale nei confronti degli enti erogatori”, sostiene il documento.

Secondo il quale “ciò potrebbe consentire una maggior sostenibilità fiscale, una maggior equità sociale, in termini di attenuazione degli effetti regressivi della spesa privata individuale, di cui prima si è detto, e una miglior efficienza delle prestazioni del sistema se il predetto potere contrattuale divenisse significativo. In questo ambito è stata quindi richiesta una intensificazione degli sforzi per una progressiva messa a punto di sistemi complementari di intervento, ad esempio affiancando agli esistenti fondi integrativi – comunque da meglio sviluppare, come ripetutamente richiesto nel corso delle audizioni – un maggior ruolo ai fondi assicurativi “aperti”, sul modello seguito da altri Paesi dell’Unione europea, al fine di mantenere la piena copertura sanitaria anche in quelle aree che il sistema attuale dovesse non riuscire a coprire”.

Il tema dei fondi assicurativi presenta ovviamente anche diversi profili problematici, è l’ammissione, “atteso che essi danno luogo, per come attualmente composti, ad una segmentazione della popolazione protetta, che determina una differenziazione delle tutele offerte dal sistema. Essi inoltre presentano frequentemente forme di autotutela, in termini di franchigie, massimali ed altro, tese a scoraggiare taluni tipi di richiesta di prestazioni, nonché, si potrebbe dire, di selezione avversa – con riguardo alla cronicità, alle situazioni di long term care, di accesso oltre elevate soglie di età – meritevoli di approfondimento da parte del legislatore nel momento in cui si dovesse procedere ad un ampliamento del ruolo dei fondi stessi”. Sopra a tutto, però, secondo i deputati “la possibilità di ricorrere alla sanità integrativa dovrebbe comunque essere affrontata senza pregiudizi ideologici e valutando preventivamente con molta attenzione i costi e i benefici derivanti dal ricorso a tale soluzione”.

Prevenire, innovare, controllare - Gli altri punti non secondari toccati dal documento parlano di aumento degli investimenti in prevenzione primaria, innovazione e ammodernamento delle strutture e delle tecnologie, informatizzazione del sistema sanitario e migliore utilizzo dei dati, maggiore rapidità e omogeneità nell’accessibilità ai farmaci innovativi, aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza (Lea), incremento dell’attività della Consip, un’azione di coordinamento a livello centrale più forte e mirata di quella prevista e attuata con la riforma del Titolo V.

Su quest’ultimo tema le commissioni propongono di assegnare allo Stato la definizione degli standard, degli obiettivi di salute da raggiungere, e il controllo riguardo all’erogazione dei Lea; alle Regioni spetterebbe così un ruolo di programmazione e organizzazione dei servizi sanitari. Le commissioni chiedono inoltre “maggiore autonomia delle aziende in presenza di difficoltà sul lato delle risorse, al fine di gestire nel modo migliore possibile ed in modo flessibile i fattori produttivi disponibili, puntando, ad esempio, più sui vincoli, sulla responsabilizzazione e sulla verifica dei risultati sia sotto il profilo economico-finanziario sia dal punto di vista dell’efficienza e dell’efficacia dei servizi offerti”.

“L’assistenza di domani non può essere più progettata per una popolazione di ‘pazienti acuti‘, ma sempre più dovrà prestare attenzione all’attività di presa in carico nel territorio del ‘paziente cronico’ – si legge infine – Bisogna dunque superare la logica ospedalo-centrica a favore della domiciliarizzazione di strutture intermedie, vale a dire luoghi sanitari di prossimità dotati di una piccola equipe multiprofessionale, che consenta all’ospedale di divenire il luogo dell’intesività assistenziale, e non più, come spesso avviene ora, la struttura di intervento generalista”.

“L’istituzione, quasi quarant’anni fa, del Servizio sanitario nazionale ha rappresentato un punto di svolta nel modo di concepire la sanità e il suo rapporto con gli italiani. Nato per garantire l’universalità e l’equità delle cure, al Nord come al Sud, ai ricchi come ai poveri, questo strumento va oggi ripensato se si vogliono conseguire gli obiettivi che hanno ispirato la sua costituzione”, è stato uno dei commenti del presidente della Camera, Laura Boldrini. “Innovazione strutturale e tecnologica, omogeneità nell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza, lotta agli sprechi e alla corruzione costituiscono le direttrici da seguire – ha aggiunto Boldrini – per una riforma del sistema sanitario non più procrastinabile, necessaria a garantire standard qualitativi nell’offerta di prestazioni sanitarie compatibili con il diritto alla salute, riconosciuto dalla nostra Costituzione“.  Tanto più che, secondo l’analisi, l‘illegalità e la corruzione rappresentano all’incirca il 5-6 per cento della spesa sanitaria (cioè circa 5-6 miliardi di euro), “un fenomeno preoccupante che non solo incide sull’efficienza e sull’equità dei servizi, ma che mina alla radice il rapporto di fiducia tra istituzioni e i cittadini, in un settore essenziale per la vita del Paese quale quello sanitario”

mercoledì 16 luglio 2014

Ringraziando Mare nostrum...


TRAPANI, 16 LUG - La nave militare Etna ha sbarcato nel porto di Trapani 1.171 migranti soccorsi nelle ultime ore nel Canale di Sicilia, in cinque distinte operazioni, dalle unita' impegnate nell'operazione Mare Nostrum. Tra i profughi ci sono anche 87 minori e 193 donne, di cui due incinte. Provengono da Siria, Senegal, Togo e Nigeria. Soltanto 320 saranno ospitati in centri di accoglienza in provincia di Trapani, gli altri saranno smistati in altre strutture della Sicilia e del Centro Italia.

domenica 13 luglio 2014

Sugli zingari

Tutelano più loro di noi due. Una donna scrive al Giornale per denunciare l'aggressione ai turisti da parte di un gruppo di zingari. Ma siamo un Paese civile, non si può più dire che gli zingari non mandano i figli a scuola ma sui marciapiedi a fare accattonaggio di Alessandro Sallusti

Egregio direttore, sono indignata e spaventata. Stamane (ieri, ndr), stazione di Roma. Treno delle 12.50 Freccia Argento per Venezia. Sul marciapiede del binario una cinquantina di zingari strappavano letteralmente i bagagli di mano ai turisti che, intimoriti, accettavano di farsi aiutare. A un turista che non ha accettato hanno sputato sulla gamba. Nella carrozza di prima classe ho trovato 30, dico 30, di questi signori ai quali ho urlato di scendere immediatamente. Mi hanno minacciata, stessa sorte a un'addetta delle ferrovie che li cacciava dai binari. È intervenuta la polizia che ci ha detto di averne altri 50 in ufficio da identificare. Che sta succedendo? Lettera firmata
 
Cara signora, dopo aver accertato la sua identità e la verità dei fatti da lei raccontati, ho deciso di omettere il suo nome (non lo renderò pubblico per alcun motivo) per proteggerla non dai rom, ma dallo Stato e dagli intellettuali di questo Paese. Lo dico a ragion veduta, perché caso vuole che io stamane sia sotto processo all'Ordine dei giornalisti per rispondere di un reato grave. Si tratta di un articolo dal seguente titolo, pubblicato circa due anni fa: «Prova a rapire un bimbo: un nomade ricercato e campi rom al setaccio». A denunciarmi è stato il presidente del Dipartimento per le pari opportunità della presidenza del Consiglio. Il quale non contesta la verità del fatto (c'è stata pure una sparatoria con ferito), ma l'uso delle parole «rom», «nomadi» e «zingari». Secondo loro sarei razzista, in quanto non ho rispettato i trattati che, cito testualmente «proteggono i migranti quali sono in parte le persone di comunità rom».

Lei quindi, cara signora, ha commesso il reato di definire per «etnia» la banda di ladri che in queste settimane si sta impossessando delle nostre stazioni ferroviarie. E non solo a Roma. Anche a Firenze e a Venezia la situazione è diventata insopportabile, come da noi già documentato. E le aggiungo che per questo siamo già stati indagati dallo Stato solerte e dai vertici burocratici della nostra categoria. Ma dove pensa di vivere, signora mia? Siamo un Paese civile, non si può più dire che gli zingari non mandano i figli a scuola ma sui marciapiedi a fare accattonaggio. Bisogna parlare di ragazzi migranti vittime di problematiche complesse. Guai a mettere all'erta le vecchiette da volontarie vestite in modo simile alle gitane che si offrono di portare la spesa a casa. Non parliamo di sconsigliare di mandare il proprio bambino a giocare nel campo rom del quartiere.

Equilibrio, signora, serve equilibrio. Non mi sorprenderei se nei prossimi giorni ricevesse una denuncia per procurato allarme con l'aggravante del razzismo. E le va bene che non è giornalista, altrimenti si ritroverebbe anche disoccupata e quindi squattrinata. A differenza di quei simpatici, al massimo problematici, signori che lei ha incontrato sul treno e che a sera, protetti dalla presidenza del Consiglio e dall'Ordine dei giornalisti, si spartiscono il bottino della giornata. Esentasse.

Franceschini e la tassa preventiva

 ... quindi, di conseguenza io, dopo aver pagato tale tassa, posso sentirmi libera di scaricare tutto ciò che mi pare...

Franceschini regala 70 milioni ad artisti, autori e produttori

Alzate le mani, anzi no, gli smartphones: questa è una rapina! In Italia si vendono qualcosa come 15 milioni di smartphones ogni anno. Per quanto fossero già in corso numerosi ricorsi la tassa è già attiva dal 7 Luglio. Come già detto il principio che sta alla base di questa tassa è assurdo e persecutorio. Si impone un importo che va da 3 a 5,20 euro per ogni smartphone, perché si presume che il consumatore faccia una copia privata di contenuti multimediali. Solo una piccola percentuale dei consumatori utilizza il telefono per questo scopo. Sono 3 euro fino a 8GB, 4 euro tra 8GB e 16GB, 4,90euro tra 16 e 32GB, 5,20 euro oltre i 32GB. Traducendo in soldoni la maggior parte degli Italiani avrà dei sovrapprezzi persino del 5%. Un’altra stangata silenziosa e perfida che colpisce un prodotto che invece va incentivato e non tassato. Infine ci sono risvolti ancora più inquietanti. La differenza di importo tra smartphones di alta fascia e di medio- bassa è irrisorio. E’ studiata per colpire produttori che operano nell’entry level e mercato medio in termini di prezzi e di performance e soprattutto per facilitare colossi come Samsung ed Apple che tipicamente affidano i rispettivi margini a prodotti molto costosi high end da 32GB e 64GB. Considerando una vendita di 15 milioni di pezzi all’anno la Siae incasserà solo dal prodotto smartphone ben 70 milioni di euro (andranno sommati gli introiti da pc, hard disk, tablet) che finiranno nelle tasche dei vari artisti, produttori ed autori. Quest’ultimi saranno sicuramente molto grati a Franceschini, gli Italiani un po’ meno.

Renzie, onlus e ong...

Cooperazione internazionale, in nuova legge tappeto rosso per banche e aziende. L'aula del Senato ha dato il via libera al Ddl di riforma della cooperazione per lo sviluppo. Che affida programmazione e gestione delle iniziative a una nuova Agenzia ad hoc e riconosce a tutti gli effetti il ruolo dei "soggetti con finalità di lucro". Anche troppo, spiega il mondo non profit: il rischio è di confondere il sostegno a Paesi economicamente deboli con la promozione delle imprese italiane all'estero. Ecco come di Chiara Brusini

Mentre la commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama votava gli emendamenti al ddl che cambierà la Carta, in aula è passata un po’ in sordina un’altra “grande riforma”. Quella della cooperazione internazionale per lo sviluppo, oggi regolata da una legge del 1987 che da almeno dieci anni la politica promette di rinnovare in tempi rapidi. Ora sembra sia la volta buona, con un testo che cambia nome e connotati al ministero degli Esteri e affida programmazione e gestione delle iniziative di cooperazione a una nuova Agenzia ad hoc. Lo scatto in avanti e l’impalcatura della riforma piacciono alle organizzazioni non governative e agli altri soggetti non profit che lavorano nei Paesi in via di sviluppo, in alcuni casi beneficiando dei contributi della Farnesina. Non tutto però li convince. E ora che il ddl passa in commissione Esteri della Camera (per approdare in aula forse prima della fine dell’estate) chiedono alcune correzioni di rotta, senza le quali si rischia di confondere i ruoli e aprire la strada ad abusi. Punto primo: ben venga l’istituzionalizzazione del ruolo delle imprese private, come accade a livello internazionale. Ma solo se rispettano standard precisi e con l’obiettivo finale di creare lavoro e sviluppo. Non certo per sfruttare opportunità di promozione commerciale o delocalizzare la produzione. Secondo: il testo non prevede che le organizzazioni senza fini di lucro possano proporre in maniera autonoma progetti e iniziative di cooperazione. Un’anomalia che va eliminata, sostengono ong, onlus e cooperative, perché chi lavora in un Paese da anni conosce esigenze e priorità più di qualsiasi “esperto” di stanza a Roma. Ecco le principali novità della riforma e i punti critici.

Corsia preferenziale per aziende e banche - I “soggetti con finalità di lucro”, cioè imprese ma anche istituti bancari, diventano a tutti gli effetti soggetti della cooperazione. Su questo spinge del resto anche la Commissione Ue, firmataria di una comunicazione ad hoc sul “rafforzamento del settore privato” in queste attività. Idea che il governo Renzi ha abbracciato con entusiasmo, mettendola in cima alle priorità del semestre italiano di presidenza del Consiglio Ue nel campo della cooperazione. Non per niente il 15 luglio a Firenze, a margine della riunione informale dei ministri europei competenti, si terrà un convegno sul tema aperto a ong e imprese. Ma in che cosa consiste il ruolo dei privati? L’articolo 27 spiega che l’Italia promuove la loro “più ampia partecipazione” alle “procedure di evidenza pubblica (gare) dei contratti per la realizzazione di iniziative di sviluppo finanziate dalla cooperazione allo sviluppo nonché da Paesi partner, Unione europea, organismi internazionali, banche di sviluppo e fondi internazionali che ricevono finanziamenti dalla cooperazione”. Non solo: una quota del fondo rotativo previsto dalla legge per sostenere le iniziative di cooperazione sarà destinata alla concessione di “crediti agevolati” per costituire imprese a capitale misto (joint venture) con società di Paesi partner.

Relazioni pericolose tra aiuto e promozione economica - E i paletti sono davvero pochi: le aziende devono “aderire agli standard comunemente adottati sulla responsabilità sociale e alle clausole ambientali” e “rispettare le norme sui diritti umani per gli investimenti internazionali”. Ci mancherebbe, viene da dire. “Sono favorevole al fatto che il mondo economico si mobiliti per affrontare i problemi dello sviluppo”, commenta Gianfranco Cattai, presidente della Focsiv, federazione degli organismi di volontariato internazionale, “ma ho qualche dubbio sul come. Il focus dev’essere sulla creazione di lavoro, non sull’internazionalizzazione dell’impresa. Altrimenti ovviamente saranno privilegiati i Paesi con economie più forti, mentre nessuno andrà a fare joint venture in Burkina Faso. In più, l’attuale ddl introduce per i soggetti con fini di lucro addirittura una corsia preferenziale: da parte loro “è promossa la più ampia partecipazione”, mentre per ong e onlus c’è scritto solo che “l’Agenzia può concedere contributi”. Mentre Marco De Ponte, segretario generale di ActionAid, teme soprattutto “il cosiddetto “aiuto legato”, cioè condizionato all’acquisto di beni o servizi dal donatore”. Pratica finora largamente diffusa e istituzionalizzata. Anche nella forma del finanziamento per opere e infrastrutture condizionato al fatto che ad aggiudicarsi la gara sia un’impresa italiana. “Questo è sostegno all’internazionalizzazione, non cooperazione. Lo faccia il ministero dello Sviluppo”. In più, “non possiamo permetterci di lasciare margini di incertezza sui criteri che i privati devono rispettare per qualificarsi come attori della cooperazione: occorre inserire riferimenti ai principi internazionali sull’uso efficace delle risorse, al Global compact delle Nazioni Unite e alle norme Ocse sulla responsabilità sociale delle imprese”.

La nuova Agenzia e il rischio carrozzone - La legge ribattezza il Mae “ministero degli Esteri e della Cooperazione” (Maeci) e prevede l’obbligo di nominare un viceministro delegato a seguire la materia. L’altra faccia della medaglia, però, è che l’attuale Direzione generale cooperazione allo sviluppo della Farnesina viene svuotata sopprimendo “non meno di sei strutture di livello dirigenziale”. Perché a gestire le politiche di cooperazione, dall’istruttoria dei progetti ai controlli, sarà una nuova Agenzia, con un organico fino a 200 dipendenti (trasferiti dal ministero) tra Roma e le sedi estere, autonomia di bilancio e un direttore di “documentata esperienza”, esterno alla diplomazia ma nominato dalla politica. Evidente il rischio carrozzone, solo parzialmente compensato dal fatto che le risorse rimarranno invariate rispetto a quelle oggi previste dal bilancio del Mae. Cioè 231 milioni complessivi, in forte recupero rispetto agli 86 del 2012 ma ben lontano dal picco di oltre 700 milioni raggiunto nel 2008. A questo vanno aggiunti gli stanziamenti previsti da altri ministeri ma destinati anche in parte al finanziamento di politiche di cooperazione. “La legge stabilisce che dovranno essere tutti elencati in un allegato allo stato di previsione della spesa del Maeci”, chiarisce Nino Sergi, presidente dell’organizzazione umanitaria Intersos. Si spera che la novità basti a evitare che l’esistenza di fondi per lo sviluppo nelle pieghe dei bilanci ministeriali emerga solo allo scoppiare degli scandali. Come quello relativo ai fondi per opere di protezione ambientale in Iraq che ha portato all’arresto dell’ex ministro Corrado Clini.

Per ong e società civile nessun diritto di iniziativa – Per quanto riguarda il mondo non profit, sono riconosciuti come “soggetti della cooperazione” le ong, le onlus, le organizzazioni del commercio equo e solidale, le comunità di cittadini immigrati che sostengono lo sviluppo del Paese di origine e le cooperative e imprese sociali. Oggi è il Mae a selezionare le “ong idonee” e i progetti da finanziare, con procedure che due anni fa sono finite nel mirino della Corte dei conti per “una serie complessa di disfunzioni” tra cui l’assenza di procedure concorsuali (poi superata) e gli insufficienti controlli contabili. In futuro sarà invece l’Agenzia a tenere e aggiornare un nuovo elenco di organizzazioni che potranno avere accesso a contributi ed essere incaricate di realizzare iniziative di cooperazione. “Ma con il passaggio dalla vecchia alla nuova legge le ong, ora riconosciute come onlus, perderebbero la qualifica e le relative agevolazioni fiscali, come la deducibilità dei contributi e delle donazioni”, spiega Silvia Stilli, direttore di Arci cultura e sviluppo e portavoce dell’Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale (Aoi). “Insomma: risulterebbero penalizzate rispetto alle organizzazioni non specializzate nella cooperazione”. Anche Cattai è convinto che occorra ripensare quel comma. Ma per il numero uno della Focsiv c’è un aspetto ancora più critico: “Non è previsto che le organizzazioni iscritte nell’albo possano in maniera autonoma proporre progetti di sviluppo”. Insomma: addio diritto di iniziativa. L’unica via per ricevere finanziamenti rimarrebbe quella di “essere scelti” dall’Agenzia.

Il tavolo consultivo: una volta non basta – Un ridimensionamento che fa il paio con la debolezza del Consiglio nazionale per la cooperazione. Cioè il nuovo tavolo consultivo chiamato a dire la sua sulla coerenza delle scelte politiche, le strategie, le linee di indirizzo, la programmazione, le forme di intervento e soprattutto la loro valutazione. Ora la legge ne prevede la riunione una volta all’anno, un po’ poco per poter davvero influenzare le scelte politiche. Soprattutto se si considera che “programmazione e coordinamento” di tutte le attività sono demandate a un ulteriore organismo, il nascituro Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo presieduto dal premier. “Per questo chiediamo che il Consiglio possa anche autoconvocarsi su richiesta di un terzo dei suoi membri”, spiega Nino Sergi. Che promette anche battaglia perché nel testo siano inseriti meccanismi robusti di valutazione ex post dei progetti. “Al Senato era passato un emendamento che prevedeva l’intervento, in quella fase, di soggetti esterni indipendenti. Poi è stato cancellato, penso per questioni di budget. Non è un buon motivo”.

Le parole sono importanti – Tutto il mondo non profit, infine, è concorde su un’ultima criticità: non si deve più parlare di “aiuto pubblico allo sviluppo”. Si chiama cooperazione. Non è solo questione di correttezza politica, si tratta di prendere atto che non parliamo di “beneficenza” ma di attività che sono parte integrante della politica estera e si basano su un rapporto alla pari tra Paesi partner.

sabato 12 luglio 2014

Qualche foto...

Tornando a casa, un paio di foto delle (sor)ridenti campagne della mia zona
I miei capelli col sole del primo pomeriggio... sembrano fuxia ma non lo sono.
No, ma è bello avere un gatto in casa... Soprattutto quando mangi qualcosa, si pianta lì e aspetta... come un morto di fame.

Il tesoretto (autorizzato) esentasse...

Stipendi politica, ogni parlamentare guadagna 80 mila euro l’anno esentasse. I guadagni degli eletti di Camera e Senato sfiorano i 20 mila euro lordi al mese: 5 mila sono stipendio, altri 7 mila netti sono rimborsi (atuomatici e pagati anche senza presentare uno scontrino) e non vanno dichiarati. In una legislatura 407.940 e 434.400 euro.Tutto esentasse. A questi soldi vanno aggiunti 1.200 euro l’anno di spese telefoniche certificate e 1.850 euro circa al mese per il cosiddetto “esercizio di mandato”. Fanno altri 23.400 euro ogni dodici mesi di Marco Palombi

L’ultima volta ci ha provato, giusto un anno fa, Stefano D’Ambruoso, deputato questore della Camera del gruppo di Scelta Civica. È andato in Ufficio di presidenza e ha proposto una via per ridurre il costo dei parlamentari: via le indennità accessorie e i servizi agli eletti (ufficio, segreteria, telefono) li paga direttamente l’istituzione. Risposta: vedremo. L’allora suo collega di partito, Ferdinando Adornato, fu l’unico a dire pubblicamente no: “Per selezionare un personale politico di qualità occorre essere consapevoli che il talento ha un prezzo di mercato”. Ancor peggio andò alla commissione che Mario Monti incaricò a dicembre 2011 di risolvere la questione-stipendi: siano livellati sulla media Ue. Cinque mesi dopo Enrico Giovannini, all’epoca presidente dell’Istat, gettò la spugna: non si può fare, troppe variabili. A tagliare le pensioni e rinviare sine die quella di chi è ancora al lavoro, invece, erano bastate poche ore e qualche lacrima. Risultato: siamo ancora lì. A parte qualche taglietto, i soldi che entrano nelle tasche dei parlamentari sono sempre gli stessi e per la maggior parte sfuggono – legalmente – al fisco. È stato Giancarlo Galan, nella sua intervista al Fatto Quotidiano, a ricordarlo involontariamente: “La Finanza dice che vivo al di sopra delle mie possibilità? Non hanno calcolato la parte non imponibile dei miei stipendi di deputato, che è più cospicua dell’imponibile”. Vero: sono oltre 400mila euro a legislatura, un tesoretto.

Una vita tranquilla e 12 mila euro netti: Ci spiega il sito del Senato: “In tutti gli ordinamenti ispirati alla concezione democratica dello Stato è garantito ai parlamentari un trattamento economico adeguato ad assicurarne l’indipendenza”. È un modo di metterla. L’altro è raccontare come funziona il sistema attraverso la settimana perfetta (e i relativi guadagni) di un eventuale parlamentare scansafatiche (si tratta di un’astrazione, ovviamente, visto che tutti i nostri parlamentari lavorano continuamente, rimettendoci spesso del proprio). In sostanza – per ottenere il jackpot da 12 mila euro netti circa (le cifre precise sono nella tabella a centro pagina) – gli basta partecipare al 30% delle votazioni giornaliere e farsi vedere, ma poco, nella commissione di cui fa parte.

È lunedì mattina. L’eletto si sveglia nel suo letto, nella sua regione, lontano dalla Capitale. Spegne la sveglia e si riaddormenta: “Tanto oggi pomeriggio c’è solo una discussione generale, non si vota”. Martedì mattina arriva a Roma, passa nel suo appartamento, va a pranzo con un amico e verso le 15 entra in Parlamento: si fa vedere, un attimo, in commissione, poi va in Aula e vota un po’, giusto quel che serve. Nel frattempo telefona, chiacchiera con gli amici di ogni colore e grado, forse occhieggia galante a qualche funzionaria di bell’aspetto (ma su questo non potremmo scommettere). Mercoledì passa più o meno alla stessa maniera e pure giovedì, ma quando arriva la sera l’indolente eletto sfodera uno scatto felino, mentre il trolley rumoreggia al suo fianco. Venerdì non si vota e lui corre in aeroporto: ha un convegno a Siracusa sul “Sud come risorsa”. Sabato sera riesce infine a tornare a casa, così la domenica può curare il rapporto con la famiglia se non quello col collegio. È di nuovo lunedì e, giustamente, l’eletto si riposa: “Tanto oggi non si vota”. Questa settimana vale quasi 4 mila euro netti, 12 mila al mese, la maggior parte dei quali – ricorda Galan – esentasse.

Oltre 400 mila euro che il Fisco non vede: Ricapitolando. A Montecitorio, netti e senza dover presentare fatture e scontrini, un deputato (che non abbia un altro lavoro, altrimenti le cifre si abbassano un po’) incassa circa 11.770 euro al mese, cioè oltre 140.000 euro l’anno. A questi soldi, peraltro, vanno aggiunti 1.200 euro l’anno di spese telefoniche certificate e 1.850 euro circa al mese per il cosiddetto “esercizio di mandato” (anche queste devono però essere certificate e comprendono cose come lo stipendio di un collaboratore, l’organizzazione di un convegno, eccetera). Fanno altri 23.400 euro ogni dodici mesi. In tutto, insomma, parliamo di oltre 163 mila euro. Il costo lordo, cioè comprensivo di trattenute, per la Camera sfiora i 230 mila euro l’anno. Per i 630 deputati totali significa circa 145 milioni l’anno di soli stipendi e rimborsi (a bilancio per il 2013, però, ci sono 154,3 milioni, perché in questa voce vanno calcolati anche i contributi a carico del “datore di lavoro” Montecitorio).

La busta paga dei senatori è più o meno simile, anche se leggermente più ricca, forse per via del fatto che gli inquilini di Palazzo Madama sono più onusti d’anni e d’esperienza: incassano – netti e senza neanche una fattura - 12.250 euro mensili, vale a dire 147 mila euro l’anno. Se ci aggiungiamo però gli altri 2.090 euro al mese a cui gli eletti a Palazzo Madama hanno diritto dietro certificazione quadrimestrale, il conto sale a 172 mila euro annui che garantiscono, com’è noto, l’indipendenza del senatore. Il lordo, ovviamente, anche in questo caso è maggiore: 236.500 euro l’anno circa. Nel bilancio 2013 di palazzo Madama il costo totale è di oltre 80 milioni per 320 senatori.

Ultimo capitolo. "Se consideriamo il solo netto dei rimborsi automatici – cioè quelli pagati dalle rispettive Camere senza nemmeno la presentazione di un contratto/scontrino/biglietto – i deputati vedono arrivare in banca all’ingrosso 6.779 euro al mese e i senatori 7.240 euro. L’anno fa, rispettivamente, 81.588 e 86.880 euro; in una legislatura 407.940 e 434.400 euro. Tutto esentasse. Il talento, d’altronde, “ha un suo prezzo di mercato”.

martedì 8 luglio 2014

Sull'immigrazione incontrollata o controllata dal sovranazionalismo...

Hanno aperto le gabbie di Eugenio Benetazzo

Per capire che cosa sia Mare Nostrum, bisogna vivere al centro del Mediterraneo. Io vivo ormai a Malta da dieci anni e durante questo decennio oltre che vedere molto da vicino quello che nel frattempo è accaduto ho avuto anche la possibilità di conoscere numerose personalità inserite tanto nelle organizzazioni umanitarie che hanno gestito le varie strategie di soccorso ai clandestini (che gli altri chiamano migranti o rifugiati politici) quanto nei governi che hanno attuato le varie linee guida per la gestione del fenomeno. Parlare di Mare Nostrum senza prima aver conosciuto qualche clandestino che è entrato in Italia, in Grecia o a Malta eludendo le vigenti disposizione di legge del rispettivo paese è come parlare di prostituzione ad una vergine ignara di come si espleta un rapporto sessuale. Recentemente all'aeroporto di Malta ho conosciuto per un caso fortuito un operatore sanitario presso una NGO presente in Libia. Cominciamo con il dire che i media nazionali in Italia hanno gonfiato a dismisura la favola (tragedia) della Siria, nel senso che tutti gli sbarchi che si stanno verificando in queste ultime settimane sono profughi siriani che scappano dal loro paese. Questa è una delle più grandi falsità che continuano ad utilizzare soprattutto la stampa di sinistra o quei giornalisti radical chic per giustificare l'accoglienza e gli aiuti ad infinitum nei confronti di questi clandestini.


Di siriani forse ve ne saranno due o tre ogni trecento che arrivano ed abbiamo anche preso un dato molto ottimistico. La stragrande maggioranza arriva dal Sudan, Egitto, Eritrea, Etiopia, Somalia, qualcuno dal Niger e Nigeria.  Nessuno di questi clandestini che arriva è fornito di documenti di riconoscimento: sono disposti per questo a spendere migliaia di euro, anche 5.000 ciascuno, pur di sostenere un viaggio della morte di dozzine di giorni in mezzo al deserto quando potrebbero arrivare in Italia atterrando a Roma in poche ore con un volo aereo in prima classe per molto meno della metà. Questo se avessero il passaporto. Generalmente non si possiede il passaporto perchè te lo hanno ritirato (chissà per quale motivo) oppure perchè non te lo hanno rilasciato (chissà per quale altro motivo). Dieci anni fa quando decisi di trasferirmi a Malta, dovetti presentare, contratto di affitto di un'abitazione, copertura sanitaria privata e la disponibilità di una provvista di fondi finanziari a cui avrei potuto attingere in caso di necessità o indigenza economica. L'operatore della NGO in qualità di medico mi ha rivelato che se la maggior parte delle persone in Italia fossero a conoscenza di quali rischi sanitari sta andando incontro la popolazione, soprattutto le fasce più deboli, bambini ed anziani, ci sarebbe una mobilitazione di massa che richiederebbe l'intervento dell'esercito a presidio dei confini nazionali.


Stiamo parlando di rischi ormai oggettivi legati a epidemie che potrebbero scoppiare in pochissimo tempo a causa delle condizioni igieniche e sanitarie che caratterizzano molti clandestini (scabbia e vaoiolo sono in pole position da questo punto di vista). La stampa ed i talk show nazionali, quasi tutti sinistriodi, se ne guardano bene nel dare visibilità a queste considerazioni: l'unico messaggio  che deve passare è dobbiamo aiutarli e farli entrare, costi quel che costi. Noi siamo ricchi (si fa per dire) e loro sono poveri disperati. A Malta ho conosciuto in questi ultimi tre anni imprenditori libiani (qui li chiamiamo cosi) ed egiziani che sono i primi ad essere timorati per questa situazione di disordine sociale e mancanza di controllo in Nord Africa. Tutti rimpiangono i vari leader/dittatori che prima governavano i rispettivi paesi. Più di tutti si rimpiange Gheddafi, l'uomo che agli inizi degli anni Ottanta aveva intenzione di creare gli Stati Uniti d'Africa, coalizzando e guidando tutti le nazioni del continente, per evitare di subire lo strapotere delle economie occidentali. Per questo faceva paura, non perchè era un dittatore ma perchè il suo carisma e leadership potevano portare ad un cambio di svolta epocale per l'Africa e le loro genti. Purtroppo per l'ingerenza statunitense e per l'egocentricità di Amin (dittatore dell'Uganda) il progetto cadde in disgrazia.


Purtroppo con la sua morte sono iniziati i problemi per il Mediterraneo: il controllo che aveva sulla Libia e sulle sue coste rappresentava la miglior garanzia di stabilità sociale per tutti le popolazioni del Mediterraneo. Mare Nostrum è una costosa coreografia che sta andando in scena per gestire l'invasione controllata e pianificata che l'establishment sovranazioanale europeo ha ideato per consentire la sostenibilità economica e finanziaria di pensioni e debito pubblico. Senza dimenticare anche i profitti delle multinazionali dei consumi di massa. In Europa servono 11 milioni di clandestini entro il 2020, questi nuovi consumatori e lavoratori consentiranno di compensare gli effetti negativi di un progressivo invecchiamento della popolazione europea e di un crollo della natalità. Non si parla di cospirazionismo o complottismo ma di exit strategy. L'Europa che ad oggi ha sempre voluto controllare e commisariare tutto quello di cui aveva paura o quello che doveva essere gestito per l'interesse di qualcuno, sino ad ora è sempre rimasta alla finestra lasciando agli italiani il compito di gestire il tutto. Questo è il principale indizio che vi fa capire come quanto sta accadendo non solo va benissimo, ma anzi deve continuare. Lasciare il tutto nelle mani degli italiani è la soluzione ideale. Sogno un nuovo primo ministro italiano che in partenership con quello maltese istituisca una nuova authority per la vigilanza e controllo militare del Mediterraneo, in modo da vigilare e proteggere tanto i confini della nazione quanto la sua credibilità.

La retorica dell'immigrazione di Diego Fusaro

La retorica dell'immigrazione, l'elogio a priori dell'immigrazione ecco un altro punto in cui emerge l'oscena complicità di sinistra e capitale. Non si tratta qui del problema dell'accoglienza dei singoli migranti, che è opera in sé umana e giusta. Si tratta, invece, del macrofenomeno dell'immigrazione che è promossa strutturalmente dal capitale e difesa sovrastrutturalmente dalle sinistre. Il capitale ha bisogno dell'immigrazione per distruggere i diritti sociali e la residua forza organizzativa dei lavoratori. Il capitale mira a renderci tutti come migranti, senza diritti, senza lingua, senza coscienza oppositiva. L'immigrazione è uno strumento della lotta di classe, è lo strumento con cui il capitale uccide diritti sociali e abbassa il costo del lavoro. Chi critica il capitale senza criticare il fenomeno dell'immigrazione è un fesso; proprio come chi critica il fenomeno dell'immigrazione senza criticare il capitale.

venerdì 4 luglio 2014

Bitonci e il ramadam

Ramadan, Bitonci minaccia multe. E sugli arrivi di profughi a Padova: “Scopi politici”. Il neo sindaco legista per andare contro la concessione (decisa prima della sua elezione) di una palestra all’Associazione Marocchina di Padova ha ricordato che "esiste un regolamento sull’utilizzo delle sale pubbliche, per la disciplina delle attività rumorose e la somministrazione di cibo o bevande". Dura anche la posizione sui migranti salvati con l'operazione Mare Nostrum: "L’arrivo di altri profughi lancia un sospetto: che le destinazioni vengano disposte ad orologeria" di Raffaele Rosa

Ramadan, il digiuno islamico, questo “disconosciuto”. Almeno secondo il pensiero del neo sindaco di Padova Massimo Bitonci (Lega) che a pochi giorni dal suo insediamento a primo cittadino della città del Santo ha subito voluto marcare il territorio. E lo ha fatto a modo suo, con uno di quegli annunci che ricordano lo stile già adottato ai tempi dell’esperienza da sindaco di Cittadella. Il niet lanciato proprio alla vigilia dell’inizio del periodo sacro voluto dal Corano riguarda l’annuncio dell’amministrazione padovana targata Bitonci di non avere più alcuna intenzione di riconoscere autorizzazioni per effettuare le celebrazioni del Ramadan nelle palestre comunali. Il tutto per andare contro una decisione che era stata presa il 5 giugno (quindi poco prima del cambio di guida della città, Bitonci è diventato sindaco il 9 giugno) dall’ex sindaco reggente Ivo Rossi e dall’ex assessore Umberto Zampieri che avevano concesso all’Associazione Marocchina di Padova la “Palestra Giotto” per il periodo dal 29 giugno al 28 luglio, cioè il mese del Ramadan. Ai musulmani padovani, però, il sindaco leghista ha promesso di vegliare su di loro. “Esiste un regolamento sull’utilizzo delle sale pubbliche, per la disciplina delle attività rumorose e la somministrazione di cibo o bevande. Qualora venissero accertate trasgressioni da parte del personale della Polizia Locale addetto ai controlli, compresi il disturbo delle quiete pubblica o problematiche legate alla sicurezza, provvederemo alla revoca immediata della concessione”. Come dire al primo sgarro vi caccio fuori e non ci saranno preghiere o digiuni che tengano.

In Veneto l’operazione Mare Nostrum porterà altri 778 migranti in fuga dall’Africa. Anche a Nordest, a Padova in particolare, le strutture sono già piene. E Bitonci non ha alcuna intenzione di accogliere altri profughi. “Passate le elezioni, a Padova sono arrivati 30 richiedenti asilo. Secondo la Prefettura 10 di loro si stabiliranno in città, presumibilmente anche nella Casa a colori di via del Commissario, nello stesso stabile già distrutto da precedenti ospiti – spiega lo stesso Bitonci sul suo sito internet – È bene ricordare che, nel gennaio 2013, dei richiedenti asilo hanno preso in ostaggio quattro cittadini italiani e dato vita ad una vera e propria rivolta. L’arrivo di altri profughi, a pochi giorni dall’insediamento della nuova Amministrazione, lancia un sospetto: che le destinazioni vengano disposte ad orologeria, secondo un preciso scopo politico. In questo caso quello di indebolire il consenso della nuova squadra che governa Padova. Di fronte a questa emergenza – aggiunge ancora – fatti salvi i diritti costituzionali che valgono per tutti, ci impegneremo perché i nuovi ospiti siano censiti e monitorati, per distinguere chi ha bisogno di aiuto per un periodo strettamente limitato all’emergenza, da chi è arrivato qui con altre intenzioni”.

Quello che si annuncia come un rapporto difficile tra Bitonci e una certa parte della città di Padova riguarda anche il pugno di ferro che la Giunta Bitonci sta usando in città contro l’accattonaggio, la prostituzione e per combattere la microcriminalità. Anzi, proprio venerdì mattina al sindaco padovano e al suo assessore alla sicurezza Maurizio Saia è piovuta addosso una denuncia per istigazione a delinquere presentata in Procura da alcuni gruppi di attivisti sociali tra cui Razzismo stop, Beati i Costruttori di Pace, Giuristi democratici, Avvocati di strada, Antigone, Altra Agricoltura e Bio Lab. I fatti riguardano alcune dichiarazioni dell’assessore Saia che parlando di mendicanti, prostitute e venditori abusivi aveva invitato gli agenti di polizia municipale a “portarli al comando, procedere con il fotosegnalamento, fare un verbale e tenerli li il più a lungo possibile. Devono perdere la giornata di “lavoro”, perché questo è il deterrente”. Risultato, palazzo Moroni, sede del Comune, assediato dagli attivisti dei centri sociali del Nordest. Il Ramadan, intanto, va avanti. E l’estate padovana si fa sempre più calda.

La cgil a favore del ramadam

Il Ramadan nel Nordest rallenta l'economia. La Cgil di Treviso stila un prontuario per tutelare i lavoratori musulmani durante il mese di digiuno religioso di Luca Romano

A Treviso ce ne sono 30mila, in tutto il Veneto 180mila. Parliamo dei lavoratori musulmani. Quando arriva il Ramadan, il mese di digiuno religioso, per queste persone aumentano le difficoltà. E così, la Cgil di Treviso ha pensato bene di stilare una sorta di vademecum per tutelare la salute dei lavoratori. Dalle pause più lunghe ai turni meno pesanti. L'assessore veneto al Lavoro, Elena Donazzan, a Libero spiega: "Siamo in Italia e la produttività non può essere condizionata per 30 giorni di fila da precetti religiosi".

Ma il bimbominkia non ha messo altre tasse, eh!

L'ultima tassa occulta di Renzi. Nel decreto legge sulla PA è nascosto il rincaro del balzello per intraprendere un processo o fare un ricorso di Domenico Ferrara

Se Mario Monti era il tassator cortese, Matteo Renzi si potrebbe definire un tassatore occulto. A pomposi annunci di tagli alle spese e di bonus sono corrisposte nuove imposte celate nel ginepraio di articoli, commi e decreti legge. Non bastavano le accise sui carburanti, i rincari su smartphone e tablet, quelli sulle sigarette, l'aumento dell'aliquota sulle rendite finanziarie e il taglio di alcune agevolazioni fiscali. Adesso, l'ultima trovata dell'esecutivo è nascosta nel decreto Legge del 24 giugno n.90, precisamente all'articolo 53. Trattasi del contributo unificato, ossia un'imposta che colui che vuole accedere alla giustizia deve pagare per ciascun grado di giudizio nel processo civile (compresa la procedura concorsuale e di volontaria giurisdizione), nel processo amministrativo e in quello tributario. Cosa ha fatto Renzi? In pratica, per attuare l'agognato snellimento e la sempre invocata digitalizzazione della macchina della giustizia, ne ha aumentato i costi di accesso per i contribuenti. Come si legge nell'articolo 53 del decreto sulla Pubblica Amministrazione: “Alla copertura delle minori entrate derivanti dall’attuazione delle disposizioni del presente capo (...) si provvede con le maggiori entrate derivanti dall’aumento del contributo unificato di cui all’articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115”. Parliamo di un aumento generalizzato del 15%-20%. Qualche esempio?

Per i processi di valore fino a 1.100 euro si è passati da 37 euro a 43. In pratica se un cittadino volesse fare ricorso al giudice di Pace per una multa relativa al mancato pagamento della sosta sulle strisce blu (sanzione pari a 22 euro), dovrà pagarne 43 per poter accedere alla giustizia. Più del doppio. I rincari del balzello vanno a scaglioni. E così si passa da 85 euro a 98 euro per i processi superiori a 1.100 euro e fino ai 5.200; da 206 a 237 per i processi fino a 26mila euro; da 450 a 518 per quelli fino a 52.000 euro e via dicendo fino all'aumento maggiore – da 1.466 a 1.686 euro - per i processi di valore superiore a euro 520.000. Tutto questo in primo grado. Perché per i giudizi di impugnazione il contributo è aumentato della metà ed è raddoppiato in Cassazione. Ma non è finita qui. Per i processi di esecuzione immobiliare il contributo dovuto è pari a euro 278 (prima era di 242). E ancora: per la procedura fallimentare, il balzello passa da 740 a 851 euro. Oltre al danno c'è poi la beffa. Perché, come è scritto nel decreto, nel caso in cui le previsioni di entrate non siano quelle previste dal governo, il ministro dell’economia e delle finanze, con proprio decreto, provvederà "all’aumento del contributo unificato nella misura necessaria alla copertura finanziaria delle minori entrate risultanti dall’attività di monitoraggio”. Insomma, per il momento la riforma della giustizia è solo un pomposo annuncio, mentre le tasse sono già scritte nero su bianco e hanno già cominciato a gravare sui contribuenti.

Timidamente si parla di Ebola dall'africa... e si minimizza

Virus Ebola, lo scopritore: “Epidemia senza precedenti”. Ma l’Europa non rischia. Lo scienziato Peter Piot “È la prima volta che assistiamo a un’epidemia come questa in Africa occidentale. È la prima volta che sono interessati tre Paesi. Ed è la prima volta in città capitali”. Il pericolo per l’Europa e l'Italia "è molto basso" - afferma Giovanni Rezza, epidemiologo e direttore del Dipartimento malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità (Iss) di Davide Patitucci

“Senza precedenti” e “Prima volta”. Queste le espressioni usate dagli scienziati per descrivere l’epidemia di Ebola che sta riguardando tre Paesi dell’Africa occidentale, Sierra Leone, Guinea e Liberia e che, secondo quanto riportato ieri in una nota del ministero della Salute italiano: “Al 30 giugno ha colpito 759 individui, con 467 decessi”, la maggior parte in Guinea, dove l’epidemia ha avuto inizio, “il Paese più esposto con 413 casi”. A porre l’accento su queste due espressioni, in una intervista alla Cnn con Christiane Amanpour, è Peter Piot, uno degli scienziati che per primo, nel 1976, isolò il virus in un villaggio lungo le sponde del fiume da cui trae il nome, nell’attuale Repubblica democratica del Congo. “È la prima volta che assistiamo a un’epidemia come questa in Africa occidentale. È la prima volta che sono interessati tre Paesi. Ed è la prima volta in città capitali”. 

Parole che fanno seguito all’allarme lanciato nei giorni scorsi da Medici senza frontiere, secondo cui l’epidemia è “Fuori controllo nei tre Paesi dell’Africa occidentale, con più di 60 focolai d’infezione”. Una situazione che ha spinto l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) a convocare ad Accra, in Ghana, una riunione di due giorni, che si concluderà oggi, tra i ministri della Salute e i responsabili della prevenzione delle malattie infettive di 11 Paesi africani. ”Ormai non è più un focolaio limitato ad alcuni Paesi, ma una crisi sub-regionale”, spiega Luis Sambo, Direttore regionale per Africa dell’Oms, che ha convocato la riunione. Lo scopo dell’incontro è mettere in campo “Azioni drastiche” per contrastare la diffusione di Ebola in altri Paesi della regione. “Abbiamo bisogno di una risposta forte e di maggiore collaborazione dei Paesi interessati, specialmente nelle aree di frontiera tra Sierra Leone, Guinea e Liberia, dove – sottolinea Daniel Epstein, portavoce dell’Oms – continuano le attività sociali e commerciali”.

Al momento, tuttavia, l’Oms “non raccomanda restrizioni a viaggi e movimenti internazionali di persone, mezzi di trasporto e merci da applicare ai tre Paesi”, come confermato anche dall’ultimo comunicato del ministero della Salute. Gli esperti del ministero nelle note diramate in questi giorni affermano che “Il rischio d’infezione per i turisti, i viaggiatori in genere ed i residenti nelle zone colpite è considerato molto basso”, se si seguono, oltre alle comuni norme igienico-sanitarie, alcune precauzioni elementari, come “evitare il contatto con malati e/o i loro fluidi corporei e con i corpi e/o fluidi corporei di pazienti deceduti, o contatti stretti con animali selvatici vivi o morti”.

Ma quanto è concreto il pericolo per l’Europa e il nostro Paese? “Il rischio è molto basso – afferma Giovanni Rezza, epidemiologo e direttore del Dipartimento malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità (Iss) -. Si tratta di zone remote, è difficile che una delle persone colpite dal virus s’imbarchi su un aereo e vada in giro per l’Europa. La probabilità è molto bassa e, inoltre, non ci sono voli diretti per l’Italia. Non voglio minimizzare – aggiunge lo studioso -. Nelle epidemie non si può mai escludere nulla e in queste regioni dell’Africa occidentale Ebola è per la prima volta un problema più serio rispetto al passato, ma al momento non esiste un allarme europeo”. 

Nei giorni scorsi, però, con l’intensificarsi degli sbarchi di migranti nelle coste siciliane, si è diffuso il timore di un possibile veicolo d’infezione per Ebola in Italia. “Quello dei migranti verso le nostre coste è un viaggio lungo, prima via terra e poi per mare, che dura mesi e la malattia – spiega Rezza – per le sue stesse caratteristiche, come il periodo d’incubazione che in genere non supera i dieci giorni, impedirebbe loro di arrivare. È vero che in una società globalizzata i microbi viaggiano ormai insieme all’uomo, ma – sottolinea l’epidemiologo dell’Iss – Ebola non è come l’influenza. Come molte malattie tropicali rare, è una patologia che si autolimita. Il suo elevato tasso di mortalità, del 90%, e il fatto che è altamente debilitante da subito, manifestandosi con febbri emorragiche, diarrea e vomito, riduce, infatti, la probabilità che la persona malata possa andare in giro e diffondere il contagio. L’epidemia – chiarisce Rezza – si trasmette attraverso contatto diretto con fluidi corporei e la diffusione è, in genere, facilitata da usi e abitudini culturali locali, legate ad esempio alla sepoltura dei cadaveri, o a paure diffuse all’interno di alcune comunità, che spesso non informano le autorità sanitarie dei nuovi casi per timore degli ospedali, percepiti a volte come luoghi di morte anziché di guarigione. L’esistenza di guerre tribali tra i diversi Paesi – aggiunge lo studioso – rende, inoltre, difficile per motivi logistici controllare la diffusione dell’epidemia tra due o tre frontiere differenti. Il fatto che l’Oms non abbia imposto restrizioni ai viaggi dimostra, però, che l’allarme al momento è circoscritto. In ogni caso – conclude l’esperto – l’Europa, come gli altri Paesi industrializzati, qualora fosse necessario, sarebbe attrezzata a individuare e isolare eventuali pazienti colpiti dal virus”.