Mentre a Singapore una legge dello Stato autorizza di fatto la commercializzazione degli organi tra viventi, in Italia il Senato dà via libera a un disegno di legge in cui un cittadino non può neppure chiedere di sospendere l’alimentazione e la nutrizione qualora si venisse a trovare nella condizione di Eluana Englaro. Da una parte la totale disponibilità del proprio corpo, dall’altra l’indisponibilità assoluta. Bene, si dirà, il mondo è bello perché è vario e ogni Paese è libero di dotarsi delle leggi che vuole. Questo però non può esimerci dal farci riflettere criticamente tanto sui rischi della commercializzazione degli organi, quanto sulle nostrane disposizioni in materia di dichiarazioni anticipate di trattamento. Mi soffermo qui solo su queste ultime. Il testo approvato dal Senato presenta un grosso limite: esso risente fortemente dell’ondata emotiva suscitata nel nostro Paese dalla morte, decisa dai giudici, di Eluana. Pare quasi una rivincita del legislatore contro l’arbitrio giudiziario; si vuol oggi vietare con una legge quello che ieri i giudici hanno autorizzato. E in effetti è proprio così: se dovesse essere approvato dalla Camera il testo del disegno di legge cui il Senato ha dato via libera, non sarà in nessun caso possibile sospendere alimentazione e idratazione, perché «finalizzata ad alleviare le sofferenze fino alla fine della vita». Ora, anche trascurando per un momento il tema del consenso, che potrebbe entrare in collisione con l’indisponibilità del bene vita, ci sono casi - non quello di Eluana - in cui nell’imminenza della morte (in seguito ad esempio a malattie tumorali) è l'organismo stesso a non essere più in grado di assimilare le sostanze fornite, e alimentazione e idratazione invece di alleviare le sofferenze diventano esse stesse fonti di sofferenza. Ogni medico sa (o dovrebbe sapere) che nell’imminenza della morte può verificarsi questa condizione. Ebbene, sulla base della legge in discussione l’alimentazione e l’idratazione dovranno proseguire forzatamente sino all’arresto cardiocircolatorio o all’accertamento della morte cerebrale.Si poteva facilmente superare l’ostacolo sostenendo che l’alimentazione e l’idratazione sono atti doverosi, quando non risultino gravosi per il paziente. Sarebbe stata una norma comunque restrittiva, che avrebbe evitato il ripresentarsi di casi tipo quello di Eluana, ma per lo meno avrebbe evitato l’accanimento sul paziente nella fase terminale della vita. Fase terminale della vita non significa però soltanto stato vegetativo, non tutti siamo per fortuna destinati a morire come Eluana, ma potremmo morire a causa di altre malattie neurodegenerative, per le quali le dichiarazioni anticipate di trattamento sarebbero altrettanto importanti. Ebbene, il disegno di legge invece afferma che le dichiarazioni assumeranno rilievo nel momento in cui è accertato lo stato vegetativo. E allora, di grazia, in tutti gli altri casi? L’ombra di Eluana si estende dall’inizio alla fine su una legge che in fondo avrebbe dovuto riguardare i diritti dei malati in fase terminale e non soltanto quelli in stato vegetativo, che tra l’altro terminali non sono. In essa vengono ristretti tanto i diritti del paziente in stato vegetativo, quanto quelli dei malati terminali. E qui gli effetti della nuova legge sono potenzialmente devastanti. «Ogni forma di eutanasia» è categoricamente vietata e alcuni articoli del codice penale del 1930 sono stati ripresi di sana pianta, quando semmai sarebbero da tempo dovuti essere oggetto di riforma. Non c’era proprio bisogno di una nuova legge per ribadire la fedeltà assoluta al Codice Rocco. Eutanasia è un termine fonte di mille equivoci, ma non ogni forma di eutanasia deve essere giuridicamente ed eticamente aborrita come il male assoluto. Lasciar morire il paziente terminale (eutanasia passiva) in modo dignitoso non proseguendo trattamenti futili è già ammesso nel nostro ordinamento. Noi sospendiamo dopo sei ore di osservazione la respirazione artificiale in pazienti affetti da gravi lesioni encefaliche: è vero che una legge ci autorizza a farlo perché vengono dichiarati morti, ma di fatto in realtà li lasciamo morire, perché non avrebbe alcun senso tenerli in quella condizione. Il respiratore viene tenuto acceso solo in vista del trapianto a cuore battente. A proposito: è più violento sospendere l’idratazione e la nutrizione in un paziente in stato vegetativo con il suo consenso o asportare gli organi ad una persona in stato di morte cerebrale senza neppure avere il suo esplicito consenso, come già avviene? E ancora: il medico già oggi compie un’eutanasia indiretta quando per lenire il dolore come effetto secondario accelera la morte del paziente oppure quando con la sedazione terminale di fatto la cagiona. Questo sino ad oggi è ammesso, ma da domani sarà vietato. Addio alla medicina palliativa! Non è possibile che la morte di Eluana ci costringa a una legge che, con o senza testamento biologico, implicherà comunque un cumulo crescente di sofferenze per molti malati terminali.
sabato 28 marzo 2009
Fine vita
Testamento biologico: che errore questa legge, aumenterà solo la sofferenza dei malati di Paolo Becchi
Mentre a Singapore una legge dello Stato autorizza di fatto la commercializzazione degli organi tra viventi, in Italia il Senato dà via libera a un disegno di legge in cui un cittadino non può neppure chiedere di sospendere l’alimentazione e la nutrizione qualora si venisse a trovare nella condizione di Eluana Englaro. Da una parte la totale disponibilità del proprio corpo, dall’altra l’indisponibilità assoluta. Bene, si dirà, il mondo è bello perché è vario e ogni Paese è libero di dotarsi delle leggi che vuole. Questo però non può esimerci dal farci riflettere criticamente tanto sui rischi della commercializzazione degli organi, quanto sulle nostrane disposizioni in materia di dichiarazioni anticipate di trattamento. Mi soffermo qui solo su queste ultime. Il testo approvato dal Senato presenta un grosso limite: esso risente fortemente dell’ondata emotiva suscitata nel nostro Paese dalla morte, decisa dai giudici, di Eluana. Pare quasi una rivincita del legislatore contro l’arbitrio giudiziario; si vuol oggi vietare con una legge quello che ieri i giudici hanno autorizzato. E in effetti è proprio così: se dovesse essere approvato dalla Camera il testo del disegno di legge cui il Senato ha dato via libera, non sarà in nessun caso possibile sospendere alimentazione e idratazione, perché «finalizzata ad alleviare le sofferenze fino alla fine della vita». Ora, anche trascurando per un momento il tema del consenso, che potrebbe entrare in collisione con l’indisponibilità del bene vita, ci sono casi - non quello di Eluana - in cui nell’imminenza della morte (in seguito ad esempio a malattie tumorali) è l'organismo stesso a non essere più in grado di assimilare le sostanze fornite, e alimentazione e idratazione invece di alleviare le sofferenze diventano esse stesse fonti di sofferenza. Ogni medico sa (o dovrebbe sapere) che nell’imminenza della morte può verificarsi questa condizione. Ebbene, sulla base della legge in discussione l’alimentazione e l’idratazione dovranno proseguire forzatamente sino all’arresto cardiocircolatorio o all’accertamento della morte cerebrale.Si poteva facilmente superare l’ostacolo sostenendo che l’alimentazione e l’idratazione sono atti doverosi, quando non risultino gravosi per il paziente. Sarebbe stata una norma comunque restrittiva, che avrebbe evitato il ripresentarsi di casi tipo quello di Eluana, ma per lo meno avrebbe evitato l’accanimento sul paziente nella fase terminale della vita. Fase terminale della vita non significa però soltanto stato vegetativo, non tutti siamo per fortuna destinati a morire come Eluana, ma potremmo morire a causa di altre malattie neurodegenerative, per le quali le dichiarazioni anticipate di trattamento sarebbero altrettanto importanti. Ebbene, il disegno di legge invece afferma che le dichiarazioni assumeranno rilievo nel momento in cui è accertato lo stato vegetativo. E allora, di grazia, in tutti gli altri casi? L’ombra di Eluana si estende dall’inizio alla fine su una legge che in fondo avrebbe dovuto riguardare i diritti dei malati in fase terminale e non soltanto quelli in stato vegetativo, che tra l’altro terminali non sono. In essa vengono ristretti tanto i diritti del paziente in stato vegetativo, quanto quelli dei malati terminali. E qui gli effetti della nuova legge sono potenzialmente devastanti. «Ogni forma di eutanasia» è categoricamente vietata e alcuni articoli del codice penale del 1930 sono stati ripresi di sana pianta, quando semmai sarebbero da tempo dovuti essere oggetto di riforma. Non c’era proprio bisogno di una nuova legge per ribadire la fedeltà assoluta al Codice Rocco. Eutanasia è un termine fonte di mille equivoci, ma non ogni forma di eutanasia deve essere giuridicamente ed eticamente aborrita come il male assoluto. Lasciar morire il paziente terminale (eutanasia passiva) in modo dignitoso non proseguendo trattamenti futili è già ammesso nel nostro ordinamento. Noi sospendiamo dopo sei ore di osservazione la respirazione artificiale in pazienti affetti da gravi lesioni encefaliche: è vero che una legge ci autorizza a farlo perché vengono dichiarati morti, ma di fatto in realtà li lasciamo morire, perché non avrebbe alcun senso tenerli in quella condizione. Il respiratore viene tenuto acceso solo in vista del trapianto a cuore battente. A proposito: è più violento sospendere l’idratazione e la nutrizione in un paziente in stato vegetativo con il suo consenso o asportare gli organi ad una persona in stato di morte cerebrale senza neppure avere il suo esplicito consenso, come già avviene? E ancora: il medico già oggi compie un’eutanasia indiretta quando per lenire il dolore come effetto secondario accelera la morte del paziente oppure quando con la sedazione terminale di fatto la cagiona. Questo sino ad oggi è ammesso, ma da domani sarà vietato. Addio alla medicina palliativa! Non è possibile che la morte di Eluana ci costringa a una legge che, con o senza testamento biologico, implicherà comunque un cumulo crescente di sofferenze per molti malati terminali.
Mentre a Singapore una legge dello Stato autorizza di fatto la commercializzazione degli organi tra viventi, in Italia il Senato dà via libera a un disegno di legge in cui un cittadino non può neppure chiedere di sospendere l’alimentazione e la nutrizione qualora si venisse a trovare nella condizione di Eluana Englaro. Da una parte la totale disponibilità del proprio corpo, dall’altra l’indisponibilità assoluta. Bene, si dirà, il mondo è bello perché è vario e ogni Paese è libero di dotarsi delle leggi che vuole. Questo però non può esimerci dal farci riflettere criticamente tanto sui rischi della commercializzazione degli organi, quanto sulle nostrane disposizioni in materia di dichiarazioni anticipate di trattamento. Mi soffermo qui solo su queste ultime. Il testo approvato dal Senato presenta un grosso limite: esso risente fortemente dell’ondata emotiva suscitata nel nostro Paese dalla morte, decisa dai giudici, di Eluana. Pare quasi una rivincita del legislatore contro l’arbitrio giudiziario; si vuol oggi vietare con una legge quello che ieri i giudici hanno autorizzato. E in effetti è proprio così: se dovesse essere approvato dalla Camera il testo del disegno di legge cui il Senato ha dato via libera, non sarà in nessun caso possibile sospendere alimentazione e idratazione, perché «finalizzata ad alleviare le sofferenze fino alla fine della vita». Ora, anche trascurando per un momento il tema del consenso, che potrebbe entrare in collisione con l’indisponibilità del bene vita, ci sono casi - non quello di Eluana - in cui nell’imminenza della morte (in seguito ad esempio a malattie tumorali) è l'organismo stesso a non essere più in grado di assimilare le sostanze fornite, e alimentazione e idratazione invece di alleviare le sofferenze diventano esse stesse fonti di sofferenza. Ogni medico sa (o dovrebbe sapere) che nell’imminenza della morte può verificarsi questa condizione. Ebbene, sulla base della legge in discussione l’alimentazione e l’idratazione dovranno proseguire forzatamente sino all’arresto cardiocircolatorio o all’accertamento della morte cerebrale.Si poteva facilmente superare l’ostacolo sostenendo che l’alimentazione e l’idratazione sono atti doverosi, quando non risultino gravosi per il paziente. Sarebbe stata una norma comunque restrittiva, che avrebbe evitato il ripresentarsi di casi tipo quello di Eluana, ma per lo meno avrebbe evitato l’accanimento sul paziente nella fase terminale della vita. Fase terminale della vita non significa però soltanto stato vegetativo, non tutti siamo per fortuna destinati a morire come Eluana, ma potremmo morire a causa di altre malattie neurodegenerative, per le quali le dichiarazioni anticipate di trattamento sarebbero altrettanto importanti. Ebbene, il disegno di legge invece afferma che le dichiarazioni assumeranno rilievo nel momento in cui è accertato lo stato vegetativo. E allora, di grazia, in tutti gli altri casi? L’ombra di Eluana si estende dall’inizio alla fine su una legge che in fondo avrebbe dovuto riguardare i diritti dei malati in fase terminale e non soltanto quelli in stato vegetativo, che tra l’altro terminali non sono. In essa vengono ristretti tanto i diritti del paziente in stato vegetativo, quanto quelli dei malati terminali. E qui gli effetti della nuova legge sono potenzialmente devastanti. «Ogni forma di eutanasia» è categoricamente vietata e alcuni articoli del codice penale del 1930 sono stati ripresi di sana pianta, quando semmai sarebbero da tempo dovuti essere oggetto di riforma. Non c’era proprio bisogno di una nuova legge per ribadire la fedeltà assoluta al Codice Rocco. Eutanasia è un termine fonte di mille equivoci, ma non ogni forma di eutanasia deve essere giuridicamente ed eticamente aborrita come il male assoluto. Lasciar morire il paziente terminale (eutanasia passiva) in modo dignitoso non proseguendo trattamenti futili è già ammesso nel nostro ordinamento. Noi sospendiamo dopo sei ore di osservazione la respirazione artificiale in pazienti affetti da gravi lesioni encefaliche: è vero che una legge ci autorizza a farlo perché vengono dichiarati morti, ma di fatto in realtà li lasciamo morire, perché non avrebbe alcun senso tenerli in quella condizione. Il respiratore viene tenuto acceso solo in vista del trapianto a cuore battente. A proposito: è più violento sospendere l’idratazione e la nutrizione in un paziente in stato vegetativo con il suo consenso o asportare gli organi ad una persona in stato di morte cerebrale senza neppure avere il suo esplicito consenso, come già avviene? E ancora: il medico già oggi compie un’eutanasia indiretta quando per lenire il dolore come effetto secondario accelera la morte del paziente oppure quando con la sedazione terminale di fatto la cagiona. Questo sino ad oggi è ammesso, ma da domani sarà vietato. Addio alla medicina palliativa! Non è possibile che la morte di Eluana ci costringa a una legge che, con o senza testamento biologico, implicherà comunque un cumulo crescente di sofferenze per molti malati terminali.
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