Roma - Presidente emerito Francesco Cossiga, avverte la strana elettricità nell’aria? Questi son giorni particolari... «Precisamente le idi di marzo. Ma alla rovescia».
Torna Cesare, il grande Romano. «Torna come salvatore. È bastata una telefonata del suo Antonio: Franceschini, potenza del nome».
Potenza anche del Nume del Pd, massacrato in Senato dai suoi, poco più di un anno fa. Una bella rivincita per il Romano Prodi. «Altro che ritiro. È in agguato...».
Da cattolico adulto, Prodi è resuscitato non dopo tre giorni, ma dopo un anno. Prende la tessera della sua creatura pidina. «Non è reincarnazione, ma proprio resurrezione dello spirito. Già si intravede che cambierà tutto. Il Pd è ancora senza presidente, il posto è pronto».
Non rischia di trasformare Franceschini in una «testa di paglia»? «No, Darietto non lo è. È l’uomo giusto, l’uomo della memoria condivisa: un padre partigiano, un nonno fascistone. Anzi, mi meraviglia che abbia giurato soltanto sulla Costituzione, avrebbe dovuto farlo anche sulla Carta del lavoro del ’27. Quella che noi dovevamo mandare a memoria... Ma lui è troppo giovane».
Lo spirito di Prodi però si trasfonderà nel Pd. Come? «Sarà un nuovo Ulivo, una nuova Unione. Ma si chiamerà Unità, stavolta. Anche per ridare un po’ di slancio al quotidiano fondato da Gramsci e acquistato da Soru».
Torna la politica delle grandi alleanze, da Casini a Trotzskij. «Certo: candideranno quelli che si distingueranno dalle parti della Maddalena, in occasione del G8. Per questo in prima fila ci sarà di sicuro Concita De Gregorio...».
Così l’operazione di rilancio dell’Unità sarebbe completa. E poi? «Poi i socialdem di Mussi e Fava, la sinistra critica di Ferrando, il Pdci di Diliberto, rientrerà Vendola e ci saranno i Verdi, gli unici che non hanno mai rinnegato Prodi...».
Vero. È stato sorprendente che, dalle elezioni in avanti, l’elemento della discontinuità da Prodi non sia mai stato messo in discussione dentro il Pd... «Finora. Fino all’arrivo di Franceschini, un altro giovane “cattolico adulto”, come Prodi si autodefinì in una celebre intervista a Famiglia Cristiana. Che da allora, pare, voglia anche cambiare testata in Famiglia cristiana, ma non troppo».
Con il ritorno ad alleanza del genere, almeno quelli del Pd non soffriranno di solitudine. «No, e poi soltanto due cattolici adulti potranno portare tutto il Pd nel Socialismo europeo, Marini compreso».
L’ex presidente del Senato si fa vedere in giro sempre più spesso con un bel basco blu, alla Pietro Nenni. «Si sta preparando. Ora metterà pure la cravatta rossa. E con lui Beppe Fioroni, già allievo di Vittorio Sbardella, e per questo soprannominato Squalino».
Bella compagnia. Ma Prodi non sarà mica tornato dall’Africa solo per fare il presidente del Pd? «Ha scoperto che chi entra in politica non ne può uscire più...».
Una malattia. «Come il vaiolo. Lascia cicatrici indelebili».
Ma poteva insegnare in prestigiose università americane... «Sì, ma ha scoperto che l’Università di Bologna è meglio della Rhode University. E pure che l’Africa non è posto per lui. D’altronde gli africani volevano Uòlter...».
Uolter! Ha pronunciato il suo nome. Non invano, spero. «Bruto è un uomo d’onore...».
Già, Bruto: allevato da Romano, le 23 pugnalate... Storia tremenda. «Gli ha pure fregato il brevetto del Pd, come l’americano Bell fregò al nostro Meucci l’invenzione del telefono».
E neppure una telefonata, ora che Lui s’è rifatto vivo. «È che Uòlt sta per trasferirsi a Washington: Obama ha bisogno di lui per risalire nei sondaggi. D’altronde qui non se lo filano de pezza, come si dice a Roma».
Con i post-dc al potere, sono tempi duri anche per D’Alema, però. «All’inizio pensavo che fosse lui a non voler intervenire. Ora mi pare davvero fuori gioco. Ci vorrebbe una guerra per risollevarlo».
Finché c’è guerra c’è speranza, come nel film di Sordi. Però nella congiura di Palazzo contro Romano c’erano anche altri... Lei che fu il «giapponese» dell’ultimo governo Prodi non ne sa nulla? «Romano è un bravo ragazzo, gli voglio bene, lo conosco da una vita. L’ho tenuto in vita, il suo governo, con la respirazione bocca a bocca, fino all’ultimo minuto. Ricorderà il mio discorso in suo favore, poco prima che finisse travolto... Berlusconi voleva che votassi contro, ma avevo appena appreso che Dini non era ancora pronto, temeva che il suo voto potesse non servire per la caduta di Romano. Quando s’è convinto che contava, ci s’è buttato a pesce».
Quante amarezze, povero Romano. Fortuna che ritorna. «Tornano sempre. Come De Mita, l’ultimo acquisto dell’Udc».
E noi qui ad aspettare. «En attendent deux Godot».
Certo che con la tessera del Pd in tasca a Prodi, il futuro torna roseo. Segretario e presidente, due ex tesserati dc, che consolazione. «Prodi fu iscritto alla Dc solo per un anno, quando Andreotti lo fece ministro. Festeggiammo assieme, a Bologna, la sua tessera. Una festa organizzata da Pierfurby Casini. Spero che mi inviti di nuovo».
Non mancherà. Ma forse la presidenza cui aspira Prodi non è solo quella del Pd.«Sicuro pensa al Quirinale. Scusi, se si candida Gianfranco Fini, forte della tessera Anpi, potrà ben candidarsi anche Romano, o no? «Ma credo che tra i due litiganti chi abbia le migliori chances sia il presidente del Senato, Renato Schifani. Parla di tutto, toni politicamente corretti... Chi più democristiano di lui?».
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