lunedì 30 giugno 2014

Associazioni dei consumatori, servi dei servi

Pos obbligatorio per pagamenti sopra i 30 euro. Polemiche. Confesercenti: "La misura ci costerà 5 miliardi". Salvini: "Mazzata per le partite Iva". Di Maio: "Ridurre al minimo i costi per i commercianti" di Raffaello Binelli

Come anticipato nei giorni scorsi da oggi per imprese, lavoratori autonomi e professionisti scatta l'obbligo di dotarsi di Pos, il sistema di pagamento elettronico mediante carte di credito e bancomat. Per gli importi superiori ai trenta euro i cittadini potranno pagare, dunque, senza contanti. Ma per il momento non è prevista alcuna sanzione per chi non si adegua. La misura punta a rendere più tracciabili i pagamenti (anche su piccole somme), permettendo una lotta maggiore all'evasione fiscale. Ma ci sono dei costi non indifferenti che gravano sulle imprese. Confesercenti stima un costo aggiuntivo di circa 5 miliardi l'anno per le imprese. Per una Pmi media (50mila euro di transazioni l'anno) si stima un costo di circa 1.700 euro l'anno, tra canoni, commissioni, installazione e spese di utilizzo. Intanto, tra accuse (è un regalo alle banche) e proteste, divampano le polemiche.  "Non è ammissibile obbligare per legge artigiani, commercianti e liberi professionisti a regalare milioni di euro alle banche. Il Governo deve intervenire ed applicare il buonsenso, come per il caso Sistri, e ripristinare il provvedimento con cui si escludono dall’obbligo almeno le imprese che hanno un giro d’affari inferiore ai 200 mila euro all’anno". È categorico Giuseppe Sbalchiero, presidente di Confartigianato imprese Veneto nel bocciare il decreto che obbliga, da oggi, professionisti, artigiani e commercianti a dotarsi di Pos, per poter accettare pagamenti dai clienti, d’importo superiore a 30 euro, a mezzo bancomat o carte di debito.

"L’introduzione dell’obbligo del Pos per i pagamenti sopra i 30 euro non deve trasformarsi in un’ulteriore tassa sulle spalle di imprenditori e professionisti: il costo delle transazioni dovrebbe essere azzerato da parte delle banche o, quanto meno, distribuito in modo equo tra chi incassa e chi paga". A chiederlo è il segretario generale della Confederazione libere associazioni artigiane italiane (Claai), Marco Accornero. "Siamo convinti - aggiunge - che adeguarsi alle tecnologie e facilitare i rapporti con la clientela, favorendone i pagamenti, rappresenti un aspetto positivo, ma questo non può tradursi in nuove tasse per gli artigiani". Secondo un calcolo effettuato dalla Claai, sottolinea Accornero, "un artigiano che incassa 50mila euro l’anno con il Pos sarebbe costretto a pagarne 591,50 per l’utilizzo di un apparecchio base, 604 con un cordless, 620 se collegato con Gsm".

La protesta ovviamente corre anche sul fronte politico."L'obbligo del pagamento con bancomat è l'ennesima mazzata per gli artigiani, i commercianti, le partite iva". Il segretario della Lega, Matteo Salvini, attacca duramente il pos obbligatorio per i liberi professionisti da oggi in vigore. "Come Lega - ha preannunciato parlando ad Agorà, su Raitre- sto preparando una proposta fiscale con un'unica aliquota. Una riduzione fiscale con una tassa uguale per tutti che dovrebbe costringere tutti a pagare perché gli conviene".

Si unisce alla protesta anche Luigi Di Maio (M5S), vicepresidente della Camera: "Io sto con i commercianti", scrive su Facebook. "Premesso che non sono un tifoso delle carte di credito e dei bancomat, più i nostri soldi saranno virtuali, maggiore è la probabilità che banche e agenzie finanziarie ci speculino con interessi, commissioni e aggi. L'obiettivo di questa norma potrebbe essere anche nobile, ma il Governo si è chiesto quanto costerà ai commercianti e artigiani adeguarsi? Dalle stime in mio possesso oltre 600 euro all'anno in media solo per il noleggio del dispositivo. A questo va aggiunta la commissione sulla transazione che in alcuni casi supera anche l'1% della cifra del pagamento: di questi tempi una parte consistente del guadagno dell'esercente, al netto dei costi".

"Imprese tartassate... Dopo il canone speciale, da domani POS obbligatorio per le imprese, altro freno ai consumi e più spese di gestione". Lo scrive su Twitter Maristella Gelmini, vice capogruppo vicario di Forza Italia alla Camera dei deputati.

Codacons: rifiutarsi di pagare in contanti

Tutti i consumatori, da oggi, devono rifiutarsi di pagare importi superiori a 30 euro in contanti e farsi mandare il conto a casa. È l’invito che lancia il Codacons ai consumatori per protestare contro esercenti, artigiani e professionisti che non si sono muniti di Pos, come previsto dalla legge. "Dal momento che, nei confronti dei trasgressori, non c’è alcuna possibilità di agire - spiega il presidente Carlo Rienzi - perché il decreto che introduce il provvedimento ha dimenticato di introdurre sanzioni per chi non si adegua, si rischia l'empasse: commercianti, professionisti e artigiani non possono infatti obbligare i clienti a pagare in contanti, ma senza Pos non sarà possibile per gli utenti effettuare i pagamenti con carta di credito o bancomat".

Dentisti, rischio aumento tariffe

"Come categoria siamo avanti in questo settore - afferma Gianfranco Preda, presidente dell’Associazione nazionale dentisti italiani (Andi) - il 70% dei dentisti si è già dotato di un Pos prima di questa scadenza, e chi non l’ha ancora fatto lo farà presto". Ma secondo il presidente dei dentisti c’è il rischio di un aumento delle tariffe. "Abbiamo - aggiunge - cercato di ridurre i costi dello strumento attraverso convenzioni bancarie per i nostri associati. Ma - osserva - è una spesa che potrebbe comunque ricadere sulle tariffe, perché il professionista deve pur rientrare della spesa sostenuta, con il rischio che i prezzi aumenteranno".

Adusbef e Federconsumatori favorevoli

C'è anche chi si dice a favore della misura adottata dal governo. "L'obbligo di accettare pagamenti con moneta elettronica - osservano Federconsumatori e Adusbef - è un grande passo avanti in termini di tracciabilità dei pagamenti e lotta all'evasione", nonché "un ampliamento ed un'agevolazione a favore del cittadino, che disporrà di un ulteriore metodo di pagamento".  

Ci si domanda: ma FI dove stava?

Prima di leggere l'articolo qui sotto, bisognerebbe informarsi sul significato della parola "ANATOCISMO".

Arriva la mini patrimoniale di Renzi. Le aliquote per le rendite finanziarie passano dal 20 al 26%. Forza Italia: "L'ennesima bastonata" di Giovanni Corato

Risparmiatori, occhio alle aliquote. L'arrivo di luglio si porta dietro anche all'aumento delle tasse sulle rendite finanziarie che da domani passano dal 20 al 26%. Una mini-patrimoniale che colpirà non solo le somme risparmiate ma anche gli interessi derivanti da conti correnti bancari e postali, toccando conti deposto e praticamente tutti gli investimenti italiani, eccetto i titoli di Stato. Restano invece al 12,5% le aliquote per emissioni del Tesoro, postali e polizze. Bisogna quindi scegliere tra tre opzioni: pagare l'aliquota maggiorata anche sulle plusvalenze passate, vendere i titoli oggi e ricomprarli da domani in modo da evitare la retroattività dell'aumento o decidere per l'affrancamento, come ha spiegato qualche giorno fa Ennio Montagnani su ilGiornale. "Dopo l’alluvione fiscale dello scorso 16 giugno, dopo l’obbligo d’utilizzo del Pos per esercenti, professionisti, artigiani e imprese a partire da oggi, e in attesa dell’ormai certa manovra lacrime e sangue del prossimo ottobre, domani scatterà l’ennesima bastonata del governo Renzi", commenta la senatrice Anna Maria Bernini, vice presidente vicario di Forza Italia, "A essere colpite però non saranno le società, le banche o le grandi famiglie del capitalismo, ma gli operosi risparmiatori italiani molti dei quali, magari perso il lavoro, sono riusciti ad andare avanti solo grazie ai proventi del proprio patrimonio investito. Ancora una volta quindi, per finanziare le sue promesse elettorali e propagandistiche, Renzi fa pagare il conto ai cittadini, ’colpevolì di aver risparmiato in tempi di crisi. Una scelta miope, dannosa, iniqua e gravemente punitiva, che avrà come unico effetto quello di dare il colpo di grazia a famiglie e imprese, già tartassate dai recenti salassi tributari".

Oltre gli aiuti forzati, malattie ed epidemie


Ancora una tragedia nel Canale di Sicilia. Una trentina di immigrati sono morti, forse per asfissia, a bordo un vecchio peschereccio su cuisono state stipate oltre seicento persone. Quando in nottata la Grecale, una nave della Marina militare, ha raggiunto il natante, per alcuni di loro non c'era già più niente da fare. Una tragedia annunciata che porta i nomi di colpevoli ben precisi: da una parte quell'Unione europea che, al di là di un pugno di vaghe promesse, non scende in campo al fianco dell'Italia; dall'altra il governo Renzi, e in particolar modo il ministro dell'Interno Angelino Alfano, che subendo passivamente l'operazione "Mare Nostrum" non è in grado di opporsi a un'emergenza sempre più allarmante.

L’ondata di clandestini e profughi che cercano di raggiungere l'Italia fuggendo dalle guerre e dalla disperazione non si arresta. Dall’inizio del 2014 sono già oltre 60mila gli uomini, le donne e i bambini salvati nel canale di Sicilia. È ormai evidente non solo che verrà superato il record raggiunto nel 2011, quando si superò i 63mila arrivi, ma anche che è sempre più realistica la previsione dei tecnici del Viminale che non escludono la possibilità che si arrivi a 100mila persone entro la fine dell'anno. E così, mentre il governo non prende provvedimenti seri e si bea delle misure tampone offerte da Bruxelles, un'altra tragedia annunciata torna a macchiare le acque del Mar Mediterraneo. Stipati in una parte angusta del barcone, una trentina di immigrati sono morti molto probabilmente per asfissia. Proprio la posizione in cui si trovavano i corpi ha impedito l'immediato recupero da parte dei militari della Grecale: solo un paio di cadaveri sono stati portati a bordo della nave militare che ha poi scortato il barcone verso il porto di Pozzallo. "Le camicie di Renzi e Alfano - ha commentato il leader della Lega Nord, Matteo Salvini - sono sporche di sangue".

Quella che si è conclusa in nottata tragicamente è stata un’altra giornata di soccorsi per gli uomini e le unità del dispositivo Mare Nostrum. Oltre all'intervento della Grecale, le navi della Marina militare e della Guardia costiera hanno soccorso sette barconi nel solo fine settimana. Complessivamente sono state salvate 1.654 persone, tutte partite dalle coste del Nord Africa. L'ennesimo fine settimana di soccorsi ripropone il problema di come uscire dal vicolo cieco in cui si è finiti con l’operazione "Mare Nostrum" varata proprio dopo la strage di Lampedusa. Perché, sebbene grazie alle navi italiane siano state salvate migliaia di vite, non solo è stato impossibile evitare del tutto le morti ma sono stati attirati nuovi disperati. Le partenze sono infatti aumentate non appena le navi italiane hanno cominciato a pattugliare molto più da vicino le coste libiche. Al G6 di Barcellona Alfano ha ribadito che Mare Nostrum "deve diventare un’operazione europea", con Bruxelles che deve farsi carico "di questo peso" e mostrare "una strategia chiara". Parole che al summit di venerdì scorso non sono state però tradotte come l’Italia sperava. Se infatti sono state poste le basi per un rafforzamento di Frontex, che per il 2014 ha un budget di soli 90 milioni di euro (l'equivalente del costo di dieci mesi della missione Mare Nostrum), è saltato dall’accordo finale il "mutuo riconoscimento" delle decisioni sull’asilo, punto su cui il premier Matteo Renzi puntava non poco dal momento che, nel medio e lungo periodo, si sarebbe potuti arrivare al superamento di Dublino 3, il regolamento dell’Ue che costringe i migranti a fare richiesta d’asilo nel paese in cui sbarcano.

Il gran numero di arrivi sta mettendo a dura prova il sistema di accoglienza nei Comuni. E non è un caso che Antonio Satta, componente dell’ufficio di presidenza dell’Anci, sia tornato a chiedere al governo un intervento. "Bisogna mettere a punto - ha dichiarato - nuove misure per sostenere più da vicino i Comuni che in queste settimane stanno affrontando l’arrivo di immigrati. Serve un più stretto raccordo tra governo, Prefetture e Comuni. Ad oggi, l’iniziativa, non di rado, è stata lasciata a questo o quell’amministratore locale. Non possiamo pensare che tutto sia affidato alla buona volontà dei Comuni".

Immigrati, un "caso clinico" allerta il ministero della Salute. Allarme a bordo di un barcone che naviga verso l'Italia. Isolato uno straniero: "È un caso sospetto di malattia infettiva" di Sergio Rame

Scatta l'allerta. Durante le operazioni di soccorso effettuate ieri dal pattugliatore "Orione" della Marina Militare, che è intervenuto prestare assistenza a un barcone, è stato identificato un caso sospetto di malattia infettiva. A lanciare l'allarme è stato il ministero della Salute rassicurando che il paziente è stato isolato a bordo. Nel corso dei controlli sanitari il personale sanitario di bordo e il personale degli uffici di Sanità marittima ha identificato "un caso sospetto di malattia infettiva" che rientra nei casi di interesse per il Regolamento sanitario Internazionale dell’Oms. I Immediatamente attivate le procedure necessarie di routine previste per giungere alla diagnosi del caso, il paziente è stato isolato a bordo. "Il ministero della Salute e la Marina Militare - fanno sapere dal dicastero guidato da Beatrice Lorenzin - proseguono nell’opera di rafforzamento del dispositivo di sorveglianza sanitaria nei confronti di potenziali rischi infettivi connessi ai flussi migratori". L’attuazione del protocollo contribuisce ad alzare ulteriormente il livello di tutela dei cittadini residenti nel nostro Paese e quella degli stessi immigrati. La nave "Orione" avrebbe dovuto sbarcare in serata a Catania, ma all'ultimo momento è stato rinviato il rientro. Non è chiaro se il rinvio o l’eventuale cambio di destinazione sia stato deciso dopo il trasferimento in ospedale del sospetto di malattia infettiva.

venerdì 27 giugno 2014

Mutande in faccia per continuare a mantenere il mostro rai

Canone anche sui computer. Rivolta contro l'estorsione Rai. Un imprenditore di Como lancia la sfida: "Non lo pagherò mai, ora mi vengano pure a prendere" di Gabriele Villa

Furioso. Giorgio Colombo, 59 anni, firma d'eccellenza, per tradizione di famiglia, dei Cantieri Nautici con sede a Grandola e Uniti è furioso. Sdegno che tracima il suo, mentre sventola il bollettino che gli ha inviato la Rai: 407,35 euro di «canone speciale» perché, con il pc che ha in azienda, potrebbe guardare la tv.

«Ma vi pare possibile? Siamo qui in cantiere tutti i santi giorni a spaccarci la schiena, da una vita, e la Rai ci viene a chiedere questi denari per qualcosa che neanche sappiamo se e come si possa riuscire a combinare. L'unico computer ci serve per i fornitori, per tenerci al passo con l'evoluzione della cantieristica e per le mille procedure burocratiche imposte dallo Stato assieme a una fiscalità senza pari nel mondo. E adesso è arrivata anche la Rai ad appiopparci questa nuova tassa camuffandola come un pagamento dovuto per godere della tv». Se vogliamo dirla tutta e bene è praticamente un tentativo di estorsione. Ecco perché si accendono di indignazione i computer della piccole e medie imprese artigiane, come denunciato anche dal quotidiano locale la Provincia di Como. Perché è da qui, chissà poi perché, che è cominciato il grande «rastrellamento» della Rai. Una raccolta di denari arrivata, come fanno notare i funzionari della Cna di Como, al Cantiere nautico di Giorgio Colombo ma anche a metalmeccanici, ad alimentaristi, persino ad un paio di auto-demolitori. «Siamo all'assurdo- sottolineano nel quartier generale della Cna in viale Innocenzo XI - perché molti di questi titolari di imprese artigiane sanno a stento come funziona un computer, figuratevi se si sognano di andare a capire se nel loro pc è installata o meno la scheda del sintetizzatore che permettere di guardare le trasmissioni televisive».
Invece è vero il contrario. Che sui video dei pc, delle piccole e medie imprese della provincia di Como, è comparso un enorme punto esclamativo. Il punto esclamativo della protesta. Della rabbia di chi si sente braccato, vessato. Di chi vuole urlare il proprio no all'ennesima provocazione. Di chi non ci sta alla libertà vigilata e condizionata adesso anche dalla Rai. Un'esasperazione che, ancora una volta le parole di Giorgio Colombo, presidente, tra l'altro, della Cna di Menaggio evidenziano concretamente: «Sa che cosa le dico e che cosa mando a dire ai signori della Rai? Che questa è una follia, soltanto una pura follia. Vengano pure a prendermi con il carro armato, se credono, ma io non intendo pagare e non pagherò mai una tassa così ingiusta. Lo scriva, lo scriva, lo scriva pure. Vengano. Io sono qui ad aspettarli. Per dimostrare, una volta di più, che questo è anche un Paese fatto di gente che, dalla mattina alla sera sgobba per rimanere a galla. E mai questo termine è stato più appropriato in un settore come il nostro. Qui in provincia siamo tutti sconcertati. Pensavamo che si trattasse di un errore. Di uno scherzo, addirittura. E invece? Ecco il bollettino».

Si sforzano di rassicurare e spegnere le tensioni alla sede centrale della Cna di Como: «Qualche anno fa la Rai ci aveva già provato. Poi tutto era rientrato. Ora ci riprova, con la scusa che, oltre alla radio, che un imprenditore può tenere in azienda e al pc, eventualmente dotato di sintonizzatore, ci sono anche gli smartphone con cui, in teoria si può accedere ai programmi televisivi. Ma noi, che ci stiamo muovendo anche a livello nazionale per tutelarci, consigliamo ai nostri associati della provincia di non perdere tempo in risposte inutili. Eppure la situazione rischia di degenerare perché, se questo tentativo di racimolare denari andrà a coinvolgere più o meno tutte le nostre imprese si parla di diciottomila associati. E le prime avvisaglie non fanno altro che alzare la tensione dato che, da tre giorni a questa parte, stiamo ricevendo decine di telefonate di protesta per questi bollettini». Come dire? Da Como prove generali di ennesimo saccheggio nelle tasche degli italiani. Un programma monotono che può avere effetti collaterali: nel caso migliore sbadigli, nel caso peggiore fuga per la salvezza verso altri lidi. E se va in onda la provocazione allora spegniamola con il telecomando della protesta.

martedì 24 giugno 2014

... non sono aumentate le tasse

Firmato il decreto sull'equo compenso: stangata sui telefonini. Firmato il decreto che aggiorna le tariffe sull'equo compenso. Nel mirino tutti i dispositivi con una memoria da almeno 16 Gb di Chiara Sarra

Il ministro Franceschini lo aveva promesso. E ieri dopo mesi di polemiche è stato firmato il decreto sull'equo compenso che aggiorna (e aumente) le tasse su smartphone, tablet e altri dispositivi elettronici. Si tratta di una tassa già presente da anni e che doveva essere rimodulata già nel 2012. Allora il governo Monti aveva altro a cui pensare, ma per Dario Franceschini sembrava una battaglia personale. Così per ogni smartphone o tablet da almeno 16 Gb di memoria allo Stato andranno 4 euro (contro i 0,9 precedenti per gli smartphone e gli 1,9 per i tablet), 6 per i pc (prima la tassa andava da 1,9 a 2,4 euro) e circa 0,4 euro su memorie Sd, chiavette Usb e altre tipologie di disco dai 4Gb in su. Smacco anche per chi compra le smart tv: si passa da nessuna tassa a un versamento di ben 5 euro.

Le tariffe per "il compenso per la riproduzione privata di fonogrammi e di videogrammi previsto dalla legge sul diritto d’autore", recita il comunicato del Mibact, saranno valide per i prossimi tre anni. "Con questo intervento si garantisce il diritto degli autori e degli artisti alla giusta remunerazione delle loro attività creative, senza gravare sui consumatori", ha commentato Dario Franceschini, secondo il quale "parlare di tassa sui telefonini è capzioso e strumentale: il decreto non introduce alcuna nuova tassa ma si limita a rimodulare ed aggiornare le tariffe che i produttori di dispositivi tecnologici dovranno corrispondere (a titolo di indennizzo forfettario sui nuovi prodotti) agli autori e agli artisti per la concessione della riproduzione ad uso personale di opere musicali e audiovisive scaricate dal web. Un meccanismo esistente dal 2009 che doveva essere aggiornato per legge".

Nessun automatismo sui prezzi di vendita. "Il decreto non prevede alcun incremento automatico dei prezzi di vendita. Peraltro, com'è noto, in larga parte gli smartphone e tablet sono venduti a prezzo fisso", assicura Franceschini. Ma la polemica non si placa, soprattutto da parte dei produttori. Un "provvedimento ingiustificato che non riflette il comportamento dei consumatori e l’evoluzione delle tecnologie", dice il presidente di Confindustria Digitale Elio Catania, "Si tratta di un provvedimento certo non in linea con lo sforzo che il paese deve compiere per sostenere l’innovazione digitale".

I pasticci dei coglioni di governo

Governo Renzi, l’avvertimento di Napolitano: basta pasticci sui decreti. Bozze confuse, scatole vuote, articolati che mettono insieme la magistratura e le mozzarelle di bufala. Con una lettera riservata, il Quirinale richiama all'ordine l'esecutivo. I testi su Pubblica amministrazione e anticorruzione non ancora pubblicati dopo l'annuncio del 13 giugno. Problemi anche sulla riforma del Senato di Sara Nicoli

Per ora è stato solo un avvertimento, brusco e allo stesso tempo risoluto: pasticci sui decreti non saranno più tollerati. Ieri, dal Quirinale è partita una lettera riservata verso Palazzo Chigi. Firmata da alcuni tecnici del Colle, sul cui tavolo, dopo giorni e giorni di attesa, era finalmente arrivato l’agognato decreto sulla riforma della Pubblica Amministrazione. Dal 13 giugno, giorno della conferenza stampa di Renzi durante la quale aveva stupito tutti dicendo “intanto vi dico che abbiamo varato il decreto, ma i dettagli e i testi ve li diamo domani”, sul tavolo di Napolitano erano arrivati solo ed esclusivamente bozze informali di tutte le norme. Poi, solo due giorni fa, alla fine, ecco un articolato. Il secondo è stato inoltrato solo per mail, fatto assolutamente inusuale trattandosi di decretazione d’urgenza. Ad oggi, per riassumere, al Colle non sono ancora in possesso delle carte comprendenti la riforma quadro del sistema Pubblica Amministrazione. Colpa, sostengono a Palazzo Chigi, della Ragioneria Generale che frena la fretta di Renzi e, soprattutto, che mette a repentaglio i suoi effetti annuncio che – certo – influenzano l’opinione pubblica e si traducono in un crescente consenso, ma poi, nel concreto, mostrano il bluff. E la triste realtà. Ovvero che il governo Renzi è molto bravo a far credere di aver fatto, ma poi non mostra mai le carte del suo straordinario lavoro di “rottamazione” del sistema Paese. E nessuno sa se la rivoluzione c’è o resta una promessa.

E’ dall’inizio del governo Renzi che i testi dei provvedimenti adottati non vengono mostrati sul sito del governo contemporaneamente alla loro presentazione in conferenza stampa post Consiglio dei Ministri come è sempre avvenuto, invece, per i governi Monti e Letta. E bisogna attendere giorni, il più delle volte, per entrare in possesso di carte che gli uffici dei ministeri competenti riescono a scrivere solo dopo aver dato un’ordine ad appunti e bozze spesso pieni di errori oppure disorganizzati e confusionari, come se gli interventi legislativi fossero maturati senza un’attenta valutazione del quadro su cui vanno ad incidere per riformarlo. La smania di visibilità del governo produce strafalcioni. E dopo, metterci le mani è sempre faticoso. Soprattutto per il Quirinale. Che ora, appunto, ha dato un secco stop alla “ciatroneria” dell’invio di materiale legislativo “non del tutto lavorato e approfondito”.

Un po’ come è successo per la riforma del Senato; uscita da palazzo Chigi con le fanfare dopo il patto del Nazareno con Berlusconi, è arrivata sul tavolo di Anna Finocchiaro in commissione Affari Costituzionali come un’ossatura priva di qualsiasi contenuto; in pratica, un guscio vuoto. Tutto da riempire, tutto da studiare. Ma a sentir Renzi, sembrava già tutto fatto, pronto per il voto. Invece. Le scivolate del governo sulle carte che non ci sono e sui decreti che, improvvisamente, spariscono per poi riapparire sotto mutate spoglie (e con contenuti, spesso, diversi da quelli annunciati) cominciano ad affastellarsi in modo sempre più frequente. Ma quella della PA rischia di diventare un caso politico/istituzionale capace di un certo imbarazzo. Perché sembra che Renzi, alla fine, si sia scusato con il Colle per aver fatto “un po’ di confusione” sul fronte dell’impianto del nuovo sistema. E che, sempre per via della fretta dettata dall’incalzante cronoprogramma a cui lui stesso si sottopone con il governo (è di oggi l’ultimo crono/annuncio, “in 1000 giorni cambieremo il Paese”), abbia promesso di rimettere mano all’intero impianto della riforma. Quindi, ai decreti. Perché la ministra Marianna Madia dovrà rispacchettare tutto.

Dunque, venerdì prossimo, la riforma della PA ritornerà sul tavolo del Consiglio dei Ministri per essere divisa almeno in due diversi decreti. Almeno. Al Quirinale, infatti, si sono visti arrivare un indigeribile provvedimento monstre con dentro sia le “misure urgenti per la semplificazione e la crescita del Paese”, che quelle sulla “riforma della pubblica amministrazione”; decreto, il secondo, dilatato in 82 articoli e lungo 71 pagine e zeppo di materie inconciliabili tra di loro, questioni che spaziavano dal pubblico impiego alla magistratura, dall’anticorruzione alle invalidità delle patologie croniche, dalle fonti rinnovabili alle mozzarelle di bufala. I tenici del Colle, dopo una prima occhiata, si sono subito arresi: ancora troppe materie in un testo unico. E Napolitano ha fatto la voce grossa. Serviranno almeno due provvedimenti urgenti nuovi per chiudere “l’incidente”. Almeno due, si diceva. Il sottosegretario Graziano Delrio ha tentato una rassicurazione generale gettando acqua sul fuoco: “Le cose sono andate avanti, al momento non c’è nessun problema. E’ tutto finito, è tutto a posto”. Ma chissà quando riusciremo a vederne il contenuto della rivoluzione amministrativa renziana, targata Madia, e a capire se alle promesse e agli annunci spot sono seguiti davvero i fatti.

Dire una cosa e fare tutt'altro...

Padoan ci prende in giro? Il titolare dell'Economia: "Urge abbassare le tasse". Ma in quattro mesi il governo non ha fatto altro che aumentarle di Domenico Ferrara

"In un momento in cui molti italiani affrontano una fase di difficoltà è urgente intervenire per contenere l'elevata pressione fiscale e l'onere del prelievo deve inoltre essere distribuito in modo più equo". Ma il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, dov'è stato finora? Delle due l'una: o non si è accorto della raffica di tasse che il governo Renzi ha messo in atto in questi pochi mesi, oppure se n'è accorto a tal punto che sta cercando di sedare gli animi. Con i soliti proclami. "Il governo ritiene cruciale procedere a un riordino complessivo del sistema tributario nazionale, e questo avverrà attraverso la delega fiscale di cui il Consiglio dei ministri ha approvato ieri i primi elementi", annuncia Padoan.

Sarà. Intanto di sicuro c'è solo che da quando si è insediato, l'esecutivo ha provveduto a falcidiare i portafogli dei contribuenti italiani. Si è partiti con l'Imu per le seconde case, nel complesso risultata più alta rispetto all’Ici, poi c'è stato l'aumento della Tasi (con la conseguenza che oltre il 50% delle famiglie ha dovuto versare di quanto ha speso lo scorso anno), poi è arrivato il rincaro del balzello sulle rendite finanziarie e sui risparmi (dal 20 al 26%). La lista non finisce qui: sono arrivati i rincari delle accise sulla benzina, il raddoppio delle tasse sui passaporti, l'aumento della trattenuta che i fondi pensione versano allo Stato sui rendimenti maturati (dall'11 all'11,5%) e sono aumentate le aliquote regionali.

C'è poi il capitolo relativo ai rischi di nuove imposte: da quella sui telefoni e tablet passando per il bollo auto fino alla tassa di successione. Tutte sul tavolo del ministero e del governo. Come se non bastassero le tasse che ci sono già. Sì, è vero: Renzi può sventolare il fiore all'occhiello degli 80 euro in busta paga. Ma si tratta di un provvedimento transitorio (definito "un surrogato" dalla Corte dei Conti) mentre gli aumenti dei tributi sono permanenti. Quanto al taglio delle bollette per le Pmi, oggi è arrivata anche la bacchettata della Cgia di Mestre secondo cui tale sconto energetico non produrrà alcun beneficio per l'85% delle imprese e dei lavoratori autonomi presenti in Italia. Insomma, Padoan adesso invoca un urgente taglio della pressione fiscale (quale ministro dell'Economia non l'ha già fatto?). Meglio tardi che mai, un taglio delle tasse è sempre benvenuto, ma per il momento ha provveduto solotanto ad aumentarle. E che ciò sia successo a sua insaputa è solo un dettaglio.

1000 giorni di lui... e di balle

Renzi l'europeista promette: "Mille giorni per fare le riforme". Renzi illustra il semestre Ue a guida italiana: "Siamo a un bivio, l'Europa cambi o si perde". E sull'emergenza immigrazione: "Ci aiuti oppure si tenga la sua moneta" di Sergio Rame

Matteo Renzi va a farsi bello a Bruxelles. E ci va con una forte trazione europeista che, sebbene l'Italia abbia incassato la concessione della cancelliera Angela Merkel di sforare sui conti pubblici, influirà negativamente sulle future misure economiche del governo. "In questi anni abbiamo dato l’impressione come classe dirigente del paese l’idea di un’Italia che considera il paese come un luogo altro - tuona il premier alla Camera - ma noi siamo in Europa quando usciamo la mattina di casa, quando ci guardiamo allo specchio, l’Europa non è qualcosa di altro da noi". Così, rivolgendosi a tutti i parlamentari ("indipendentemente dall'appartenenza politica e dal giudizio delle ultime elezioni"), annuncia di puntare a portare "in Europa un’Italia forte".

Dopo aver registrato dal presidente del Consiglio Ue Herman Van Rompuy un documento che va nella direzione auspicata dal governo, Renzi parla alle Camere per tracciare le linee del semestre italiano a Bruxelles. Un discorso che, di fatto, apre la strada alla fitta agenda di appuntamenti europei: il Consiglio del 26 e 27, il discorso a Strasburgo il 2 luglio e l’incontro a Roma con la commissione europea il 4 luglio. Per il presidente del Consiglio il semestre europeo deve essere l'opportunità perché "la politica torni sempre più in Europa a sentirsi a casa propria e non sia una sorta di impedimento alle decisioni della burocrazia e tecnocrazia". A parole, si sa, è bravo. Così rimbalza da un ombiettivo all'altro schivando abilmente emergenze e problemi. Spiega, quindi, che non bisogna andare a Bruxelles con "la solita macchietta per cui l’Italia deve alzare la voce", ma ci si deve impegnare ad alzare "l’asticella delle ambizioni anziché la voce". Ma non spiega come. "L’Europa non può essere solo la terra di mezzo della burocrazia dove si vive di cavilli, vincoli e parametri - incalza - milioni di giovani non sono morti perché ci attaccassimo ai parametri".

Insomma, uno slogan dietro l'altro che nascondo il limite vero dell'Unione europea. Renzi aggira abilmente lo scontro sul futuro presidente della Commissione Ue ("Decidiamo prima dove andare, poi chi ci guida") così come tocca solo marginalmente una delle emergenze più stringenti: l'immigrazione di massa. Per il premier, infatti, il problema è che in Europa si sono viste prese di posizione "al limite della xenofobia", e non che l'operazione "Mare nostrum" ha attirato sulle coste italiane decine di migliaia di clandestini decretando così il fallimento delle politiche migratorie comunitarie. "Un’Europa che spiega al pescatore calabrese che non può pescare il tonno con una determinata tecnica ma poi quando ci sono i cadaveri si volta dall’altra parte, non è degna di chiamarsi Europa di civiltà - incalza - non basta avere una moneta, un presidente in comune, una fonte di finanziamento in comune: o accettiamo destino e valori in comune o perdiamo il ruolo dell’Europa davanti a se stesso". Sui risultati disastrosi di Mare nostrum, però, non una parola.

Per quanto riguarda il futuro del Paese, Renzi fa quello che gli riesce meglio: promette. Se da una parte promette che non verrà violato il tetto del 3%, dall'altra annuncia in pompa magna "un pacchetto unitario di riforme" che si sviluppa su un "arco di tempo sufficiente, un medio periodo politico di mille giorni: dal primo settembre 2014 al 28 maggio 2017". Si passerà dal fisco all'agricoltura, dal welfare alla pubblica amministrazione. Un piano omnicomprensivo che il premier si guarda bene dal dettagliare. Le promesse, guarda caso, sono le stesse che fece agli italiani quando andò a chiedere la fiducia al parlamento. "Viola il trattato chi parla solo di stabilità, non chi parla di crescita - spiega - non c’è possibile stabilità senza crescita. Senza crescita c’è l’immobilismo". Nell'agenda, ad ogni modo, Renzi trova lo spazio per infilare pure la lotta alla disoccupazione. "Oggi l’Italia ha la responsabilità di prendere la moneta e dire che non vogliamo inganni: rispettiamo le regole e vogliamo che le rispettino gli altri - conclude Renzi - ma o l’Europa cambia direzione di marcia o non esiste possibilità di sviluppo e crescita".

giovedì 19 giugno 2014

Madonna Boldrini, gli immigrati e il disprezzo per gli italiani

Boldrini fa la tour operator sulla pelle degli italiani. La situazione sbarchi è al collasso, ma la presidente della Camera spalanca le frontiere agli immigrati di Massimiliano Parente

M a quale emergenza immigrazione, suvvia. Non esageriamo. Migliaia di sbarchi di sfollati ogni giorno e Laura Boldrini è lì lì per sbarcare in Sicilia, non a nuoto come Beppe Grillo perché non ha ancora fatto la prova costume ma portandosi dietro un mare di belle parole da dire agli immigrati, sentite qui: «Welcome, benvenuti in un posto sicuro, nessuno vi torturerà, nessuno vi ammazzerà, nessuno vi perseguiterà più». Una figata. Un discorso sensibilissimo, annunciato in un'intervista alla Stampa, che passerà alla storia come il discorso del welcome. Welcome, che problema c'è, è l'uovo di Colombo, l'ovetto fresco di Laura. Perfino l'Europa, un pachiderma addormentato che si è reso conto di Hitler solo quando ha invaso la Polonia, registra una situazione gravissima, gli svizzeri se ne fregano e con un referendum hanno chiuso le frontiere, ma per Laura la soluzione è semplice, è welcome, accogliere tutti con una ghirlanda di fiori come alle Hawaii, tanto diciamo la verità, Mare Nostrum per ora sono solo cavoli nostri. Attenzione, Laura mica parla a vanvera. Lei è stata in Sudan, lì si dorme nelle bettole, il bagno è un buco per terra, sarà di quelli alla turca, ma senza offesa per i turchi, ci mancherebbe. Ci sono posti in cui ti camminano addosso gli scarafaggi, lo sapevate? Se è per questo ci sono pure in molte periferie italiane, ma mica si possono imbarcare per tornare qui a prendere il welcome di Laura. Comunque sia: «Ora che siete qui organizzatevi, non riposate sugli allori, perché bisogna essere realistici, l'Italia può fare molto, ma non può fare tutto».

Veramente in Italia non riescono a organizzarsi neppure gli italiani per se stessi, siamo annientati dalle tasse, nei supermercati la gente toglie un detersivo dalla busta della spesa perché non ce la fa a arrivare a fine mese e non ha gli occhi per piangere e neppure la scorta per ridere. La disoccupazione forse si smuoverà nel 2017, con questa data che si sposta sempre più avanti, praticamente i giovani disoccupati già adesso hanno cinquant'anni. Ma non ci camminano mica addosso gli scarafaggi, al limite ci camminano addosso gli africani, ma questi sono discorsi egoistici. Anche perché gli italiani, non dimentichiamolo, sono occidentali, e per una di sinistra l'Occidente è come il peccato originale per un cattolico.

Qui al limite si suicidano gli imprenditori, che comunque per Laura sono il simbolo del capitalismo. Anzi, io questo welcome lo piazzerei a Lampedusa con un cartello al neon tipo Las Vegas. Che poi non sarà mica limitato ai soli poveracci che si imbarcano nel Mediterraneo, credo vada esteso a tutto il mondo, dovremmo organizzare un ponte aereo con ogni Paese sottosviluppato e portarli qui, a Welcomelandia. E anche sul femminicidio, quello vero, diamo asilo a tutte le donne maltrattate dai musulmani, sempre però che lo vogliano loro, perché la cultura islamica va rispettata sia lì sia quando arrivano qui, mica siamo Oriana Fallaci. Un italiano che picchia una donna è da arrestare, un musulmano che la uccide e la sotterra in giardino, in fondo, è cultura. Infatti l'esportazione della democrazia è sempre stata un'aggressione occidentale, per quelli come Laura. Invece la ricetta di Laura Welcome è geniale, è la dottrina Bush al contrario: importare l'Africa, e a questo punto scusate anche l'India, volete mettere il vantaggio, non c'è più bisogno di andare lì per ritrovare se stessi, si tengano solo i marò.

Welcome a chiunque voglia, insomma, senza discriminazione. Anche agli zingari, che sono nomadi ma non so perché sono stanziati da anni dentro i cassonetti sotto casa mia, appena li vedo gli dico welcome. Però poi Laura Welcome dice anche che «ci vuole una cabina di regia capace di far colloquiare tutti gli attori» e ti viene il dubbio che forse stia parlando di un film, abbiamo frainteso tutto. E allora se non la candidiamo al Nobel per la pace diamole almeno premio un Oscar per la migliore interpretazione della Vispa Teresa, mandiamola a Hollywood e quando torna l'accogliamo anche noi con un bel welcome a quel paese.

sabato 14 giugno 2014

Alfano si lagna...

Questi qui sotto, sono due post consecutivi presi dal facebook di Angelino Alfano. Furono proprio lui con Enrico Letta l'anno scorso a decidere dell'operazione Mare Nostrum. Sapevano a cosa sarebbe andata incontro l'italia. Sapevano che certe normative ue avrebbero impedito di avere qualunque tipo di aiuto. Ora, non fa altro che lagnarsi. Nel secondo post, lui dice di voler proporre (se la ue non aiuterà l'italia) di non proseguire più con tale operazione. Eppure, non più tardi di due giorni fa, Delrio ha detto che l'operazione DEVE andare avanti.

"L'Italia è un Paese accogliente, ma non può accogliere tutti. L'Europa deve fare la sua parte, il conto non lo possono pagare solo l'Italia e gli italiani". [qui]

"Così com'è l'operazione Mare Nostrum non può andare avanti. Noi siamo assolutamente certi di avere fatto il bene e siamo altrettanto certi che così non si può andare avanti perché questo mare Mediterraneo è una frontiera europea e noi salviamo le vite di chi vuole venire in Europa non di chi vuole andare a Pozzallo, Augusta o Porto Empedocle. Noi salviamo le vite di chi vuole andare in Europa. O l'Europa si fa carico di un'operazione di "search and rescue", di ricerca dei possibili naufraghi, di salvezza e di intervento umanitario lì sul Mediterraneo, oppure la mia proposta sarà quella di non proseguire l'operazione Mare Nostrum". [qui]

venerdì 13 giugno 2014

Gli immacolati

Il Pd scarica Orsoni: "Si dimetta da sindaco". La Serracchiani chiede a Orsoni un passo indietro, in giunta c'è aria di crisi: il sindaco di Venezia lascia Ca' Farsetti: "Non c'era la compattezza che mi era stata annunciata" di Chiara Sarra

Dopo averlo difeso - e dopo che il sindaco di Venezia ha ammesso le sue colpe e patteggiato - il Partito democratico ora scarica Giorgio Orsoni, coinvolto nello scandalo Mose e al quale ieri sono stati revocati i domiciliari. E alla fine il primo cittadino ha rimesso il mandato. "Le conclusioni che ho preso questa mattina sono molto amare perché ho verificato che non c'era quella compattezza che mi era stata annunciata", ha detto il sindaco di Venezia, "È per questo che ho voluto dare un segno chiaro della mia lontananza dalla politica, un segno che si è concretizzato innanzi tutto con la revoca della giunta che non riguarda l'operato amministrativo dei singoli assessori ma perché è venuto meno quel rapporto fra la mia persona e la politica che mi ha sostenuto finora. Il mio è un gesto esclusivamente politco e che vuole significare questo e con forza, anche se a qualcuno può non sembrare logico revocare una giunta che ha bene operato. Ma non è questo il punto, il punto è la chiara presa di distanza dalla politica. Questo è il primo gesto che ho fatto stamane, successivamente ho rassegnato le mie dimissioni, che per il momento non hanno effetto immediato ma dopo 20 giorni". Orsoni, ieri mattina era tornato in libertà, patteggiando una pena di 4 mesi e una multa di 15mila euro nell'ambito dell'inchiesta sul Mose. Secondo quanto si apprende,  avrebbe ammesso davanti ai pm l'esistenza dei finanziamenti illeciti. Inoltre avrebbe raccontato ai magistrati che furono i vertici del Pd veneziano Davide Zoggia (presidente della Provincia di Venezia dal 2004 al 2009 e ora deputato) e Michele Mognato a spingerlo da Giovanni Mazzacurati, presidente del Consorzio Venezia Nuova, a chiedere soldi per la campagna elettorale.

A chiedere le dimissioni era stata questa mattina Debora Serracchiani, secondo cui "abbiamo maturato la convinzione che non vi siano le condizioni perché prosegua nel suo mandato". "Invitiamo Orsoni a riflettere sull’opportunità di offrire le dimissioni", ha detto il vice segretario Pd spalleggiato da Roger De Menech, segretario regionale Pd, "Siamo convinti, inoltre, che non si debba disperdere quanto di buono il Pd di Venezia e tanti bravi amministratori hanno fatto e stanno facendo per la città. Per questo e per la necessaria chiarezza indispensabile in simili frangenti riteniamo che lo stesso Orsoni saprà dare prova di grande responsabilità". In giunta nel Comune di Venezia, tra l'altro, c'è già aria di crisi: ieri sera l’assessore ai servizi sociali, Tiziana Agostini (Pd), si è dimessa, oggi 24 consiglieri hanno chiesto un passo indietro al sindaco. Ieri Orsoni aveva ribadito la sua volontà a restare a Ca' Farsetti, ma le pressioni delle ultime ore potrebbero avergli fatto cambiare idea: una conferenza è stata convocata per le 12,30. Che voglia rimettere il mandato?

Quando si scandalizzavano per il M5S

Caso Mineo, Renzi tira dritto: "Non mi rassegno alla palude". Ma Mauro fa ricorso a Grasso. Il premier: "La sostituzione non è epurazione". Mauro, altro sostituito nella Commissione, fa ricorso al presidente del Senato di Nico Di Giuseppe

L'ultima grana per Matteo Renzi si chiama Mauro Mauro. Il senatore dei Popolari per l'Italia ha infatti presentato ricorso a Pietro Grasso in merito alla sua rimozione dalla commissione Affari costituzionali. Mauro, come Vannino Chiti e Corradino Mineo del Pd, è tra i "dissidenti" rispetto al Ddl del Governo sulle riforme istituzionali ed è stato sostituito nei giorni scorsi quale componente della Commissione che sta esaminando il provvedimento. Il senatore dei Popolari per l’Italia Tito Di Maggio ha poi spiegato in una dichiarazione che "dopo aver affidato lo studio della rimozione del senatore Mario Mauro a illustri giureconsulti, non solo ci viene confermata la palese violazione del dettato costituzionale ma, fatto ancora più grave, che il provvedimento è stato adottato in totale spregio delle norme che riguardano la vita del Senato e quella dei gruppi parlamentari. Il ricorso presentato in data odierna al presidente del Senato nella sua qualità di presidente della Giunta del regolamento è volto a dimostrare, se ce ne fosse ancora bisogno che il Renzi-Casini pensiero in materia costituzionale è attuato in palese violazione della normale dialettica democratica e parlamentare. I loro sgherri sono avvertiti". L' ultima parola adesso spetta al presidente del Senato Pietro Grasso chiamato a fare da arbitro. Intanto, il peso della maggioranza è aggrappato a un solo senatore in più: 15 a 14. Nell'attesa della decisione di Grasso.

Intanto Renzi tira dritto e durante la conferenza stampa di illustrazione del Cdm sul ddl della Pa è tornato a parlare del caso Mineo. "Ho letto un po' di resoconti che trovo sorprendenti: la sostituzione di singoli parlamentari dalla commissione dove la maggioranza ha un voto di scarto può essere considerata in tutti modi, ma non certamente come un esercizio dittatoriale. Non è in gioco la libertà di coscienza che in Aula verrà rispettata. Ma la sostituzione non è epurazione, ma coerenza con il gruppo parlamentare". Poi il priemier ha rincarato la dose: "Non mi rassegno all’idea che vinca la palude".

martedì 10 giugno 2014

Di una domenica




Ma si, suvvia, è tutto sotto controllo...

Mare nostrum, scatta l'allarme: "Dieci militari positivi alla tbc". La Marina Militare lancia l'allarme. E Salvini attacca il governo Renzi: "Questa gente riporta malattie che avevamo sconfitto da anni" di Sergio Rame

Mentre gli sbarchi non accennano a diminuire, la Marina Militare lancia un allarme che gela il sangue nelle vene. Una decina i militari impegnati nelle operazioni "Mare Nostrum" sono risultati positivi al test di Mantoux, la prova di screening che individua la la presenza di una infezione latente del micobatterio della tubercolosi. "Nessuno di questi casi è in fase attiva o contagiosa, sono risultati positivi a questo screening precauzionale e continuano a lavorare - assicurano fonti della Marina Militare all'Adnkronos - quindi nessun campanello d’allarme perché in operazioni così complesse e dove sono impegnati migliaia di uomini questo dato è fisiologico". Tra i dieci casi di contagio non ci sarebbe alcun medico né operatori sanitari impegnati nei soccorsi a bordo delle navi. Eppure, nonostante i toni consolatori della Marina Militare, la nuova ondata migratoria, che dall'inizio dell'anno ha inondato le nostre coste di almeno 50mila clandestini, riporta in Italia malattie dimenticate da anni come appunto la scabbia e la tbc. Non a caso, settimana scorsa, il ministero della Salute ha coordinato un tavolo di tecnici ed esperti della Polizia di Stato, della Guardia di Finanza, della Guardia Costiera e della Marina Militare che, insieme ai rispettivi uffici sanitari, hanno lavorato a un protocollo unico per tutti gli operatori in divisa finalizzato a individuare un'unica profilassi e strumenti adeguati al fine di garantire un requisito minimo di sicurezza sanitaria. Nella missione "Mare Nostrum" ogni aspetto sanitario ha come obiettivo la prevenzione della salute dei militari coinvolti e dei migranti che vengono soccorsi. "Dispositivi medici come tute, guanti e mascherine isolano gli operatori sanitari permettendo i controlli e le visite in perfetta sicurezza e isolandoli anche il resto dell’equipaggio delle navi impegnati in mare - spiegano dalla Marina Militare - queste ultime poi vengono sanificate dopo ogni operazione". Tuttavia, nemmno questi accorgimenti sono riusciti a proteggere i dieci militari che adesso risultano positivi al test di Mantoux. Un rischio che era stato già paventato settimane fa da Matteo Salvini. "La tubercolosi e la scabbia non arrivano dalla Finlandia - spiegava il segretario della Lega Nord a Tango - purtroppo con una sanità arretrata in Nordafrica questa gente riporta malattie che avevamo sconfitto da anni".

venerdì 6 giugno 2014

Sbarcano, sbarcano e sbarcano...

Ancora sbarchi di immigrati. Sapete quanto costa rimpatriare i clandestini? Un'inchiesta fa i conti in tasca allo Stato. Ogni giorno di permanenza nei Cie costa 40 euro a persona. E per riportarli a casa... di Franco Grilli

Le navi della Marina militare che fanno parte dell'operazione "Mare Nostrum" nelle ultime 24 ore sono state impegnate nel soccorso a 17 imbarcazioni cariche di persone provenienti dalle coste del nord Africa. In tutto sono stati soccorsi oltre 2.500 migranti, numero ancora provvisorio. La nave anfibia San Giorgio è intervenuta in assistenza a 5 natanti imbarcando 998 migranti tra cui 214 donne e 157 minori. Il pattugliatore Orione in tre eventi di soccorso, l'ultimo dei quali ancora in corso, ha trasbordato da natanti in difficoltà oltre 400 migranti, numero ancora non definitivo. La fregata Scirocco in tre operazioni di recupero ha imbarcato 206 migranti e trasferito altri 94 sulla nave mercantile Glory Tellus (bandiera panamense). Quanto costa rimpatriare un clandestino? I barconi carichi di migranti continuano a salpare alla volta dell'Italia. Per evitare stragi in mare aperto è necessario intervenire. Ma i problemi restano sul tappeto. Uno studio del quotidiano Il Tempo rivela che per ogni clandestino rimpatriato l’Italia spende 25mila euro. E a conti fatti, considerando il numero che dal 2010 sono stati "espulsi" (41mila), l'esborso cui dovrebbe farsi carico lo Stato italiano sarebbe pari a 1 miliardo e 25 milioni di euro. Usiamo il condizionale non perché i conti siano sbagliati ma perché i clandestini ricevono il foglio di via ma materialmente solo un'esigua minoranza viene riportata nel proprio paese.

Se consideriamo il rapporto tra i decreti d’espulsione emessi delle prefetture e gli accompagnamenti alla frontiera, scopriamo che è di cinque a uno, se non addirittura inferiore. Nel corso degli anni i governi si sono alternati a Palazzo Chigi, ma la sostanza è rimasta pressoché uguale: con la frase "decreti di espulsione emessi" i ministri dell’Interno hanno snocciolato numeri importanti, ma senza che vi sia l'esatta corrispondenza con i clandestini effettivamente allontanati dal territorio nazionale. E a quanto risulta col passare degli anni gli accompagnamenti alla frontiera diminuiscono. A far lievitare i costi per lo Stato c'è la permanenza dei clandestini nei Cie. I sei mesi di tempo (180 giorni) concessi dalla legge per l’identificazione e l’espulsione vanno moltiplicati per i 40 euro al giorno per ogni straniero presente nelle strutture: 1200 euro al mese, seimila per il periodo concesso, a cui si devono aggiungere alcuni benefit. Di fatto un clandestino espulso costa allo Stato una cifra pari al salario medio di un lavoratore italiano. Sono numeri importanti su cui è bene riflettere, anche solo per capire che un'opera di prevenzione a monte, mediante gli accordi con i paesi di partenza, pur costando qualcosa sarebbe sicuramente molto meno dispendiosa per le casse dello Stato.

Obbediamo!

F-35, richiamo del Pentagono all’Italia: “Meno aerei, meno posti di lavoro”. Derek Chollet, segretario aggiunto per gli Affari della sicurezza internazionale, ricorda le conseguenze occupazionali del taglio dei mezzi militari. Un messaggio che segue quelli rivolti all'Europa da Obama e del ministro della Difesa americana Chuck Hagel di non toccare la spesa militare

Dopo il ministro della Difesa americana Chuck Hagel e il presidente Barack Obama, anche il Pentagono interviene per sollecitare l’Italia a non tagliare la spesa militare per non danneggiare l’occupazione. In particolare il Dipartimento della Difesa Usa insiste sul mantenimento degli F35 perché “meno aerei significano meno posti di lavoro”. Derek Chollet, segretario aggiunto per gli Affari della sicurezza internazionale presso il Pentagono, lancia il messaggio all’Italia durante una conferenza a Roma. “Siamo consapevoli del dibattito in corso – dice Chollet – e comprendiamo le difficoltà” legate alle ristrettezze di bilancio. Tuttavia, prosegue l’esponente del Pentagono sottolineando l’importanza strategica per le capacità militari future degli Stati Uniti e dei loro alleati dei nuovi caccia F-35, “quando l’Italia ha diminuito il piano originale di acquisizione da 131 aerei a 90, si sono visti gli effetti negativi che possono verificarsi quando le acquisizioni diminuiscono e, purtroppo, c’è stato un decremento nella partecipazione industriale dell’Italia e nei posti di lavoro associati con gli F-35″.

Mentre il governo e il Parlamento italiani stanno procedendo alla messa a punto del cosiddetto ‘Libro Bianco sulla Difesa’ - che dovrà stabilire quali sono le minacce future per la sicurezza nazionale del nostro Paese e gli strumenti militari adatti a fronteggiarli -, Chollet chiede di “considerare l’investimento negli F-35 da due prospettive: cosa gli F-35 portano all’Italia in termini di capacità (militare ndr); e cosa gli aerei danno all’Italia in termini di ritorno del suo investimento economico“. All’incontro in corso a Roma sono presenti, tra gli altri, il presidente della commissione Difesa del Senato, Nicola Latorre, quello della commissione Esteri, Pier Ferdinando Casini, il capogruppo del Partito democratico della commissione Esteri della Camera Enzo Amendola, e il presidente di Finmeccanica, Gianni De Gennaro.

Il 3 giugno il presidente americano Barack Obama si era rivolto agli alleati europei affinché aumentassero la spesa militare. “Noi vediamo un declino continuo, questo deve cambiare”, ha detto Obama al termine di un incontro con il presidente polacco, Bronislaw Komorowski, deplorando i tagli alla spesa militare in Europa dovuti alla crisi economica. Un messaggio seguito il giorno dopo dall’ultimatum lanciato dal ministro della difesa americano, Chuck Hagel. Gli Usa stanno facendo la loro parte, aveva detto, ma nel vertice Nato in Galles a settembre gli europei “devono arrivare avendo preso misure nella giusta direzione” per invertire la riduzione degli investimenti per la difesa che “minacciano l’integrità della Nato”.

Richieste a cui il ministro della Difesa Roberta Pinotti aveva risposto sostenendo che l’Italia ha sempre contribuito alle missioni internazionali della Nato. In più, aveva aggiunto che il Paese sta studiando quali sono le proprie necessità di sicurezza e difesa, in modo da rendere più efficiente la spesa. “L’Italia sta lavorando a un libro bianco della difesa che parte dalle minacce e da quelle che sono le domande di sicurezza e difesa -ha spiegato il ministro- e sulla base di questo arriverà a definire esattamente quali sono le necessità”. Ma il ministro ha ricordato che “l’Italia, ed è evidente anche attualmente nelle principali missioni Nato, ha sempre dato un contributo molto alto in termine qualitativi e quantitativi. Pensiamo a quante persone sono state in Afghanistan e in Kosovo. L’Italia ha sempre fatto la sua parte”. In questo senso “si può rendere più efficiente la spesa, certamente non mettendo a rischio la nostra sicurezza”.

mercoledì 4 giugno 2014

Malato ed emarginato, buona scusa per ammazzare a picconate

Kabobo, uccise passanti a picconate. Il giudice: “Malato ed emarginato”. Il giudice, nelle motivazioni della sentenza che ha condannato il 31enne ghanese a 20 anni, sottolinea la sua "condizione di emarginazione sociale e culturale"

Nel “riconoscimento della seminfermità mentale” per Adam Kabobo, il ghanese che nel maggio 2013 uccise 3 passanti a colpi di piccone, la ”condizione di emarginazione sociale e culturale” è stata “valutata quale concausa della patologia mentale riscontrata”. A scriverlo è il gup di Milano Manuela Scudieri nelle motivazioni della sentenza che lo scorso 15 aprile ha condannato l’uomo a 20 anni (più tre anni di misura di sicurezza a pena espiata) come chiesto dal pm Isidoro Palma. Si tratta del massimo della pena che poteva essere inflitta, tenendo conto della semi-infermità mentale e dello ‘sconto’ previsto per il rito abbreviato.

Il ghanese, all’alba dell’11 maggio dello scorso anno, seminò il terrore nel quartiere Niguarda a Milano, ammazzando tre persone che ebbero la sfortuna di trovarselo di fronte, armato di un piccone, e in preda ad una furia omicida dettata dalle “voci”, come lui stesso le definì. Determinante nella commisurazione della pena (la difesa con i legali Benedetto Ciccarone e Francesca Colasuonno aveva chiesto l’assoluzione con la totale incapacità di intendere e volere) è stato lo ‘sconto’ per la semi-infermità mentale, che è stata riconosciuta così come chiesto dal pm che nel corso della sua requisitoria si era richiamato alla perizia psichiatrica depositata lo scorso ottobre.

Perizia che aveva accertato un vizio parziale di mente: Kabobo soffre di “schizofrenia paranoide”, ma la sua capacità di intendere al momento dei fatti non era “totalmente assente” e la sua capacità di volere era sufficientemente “conservata”. Secondo il gup, come si legge nelle motivazioni, “la condizione di emarginazione sociale e culturale dell’imputato è già stata (…) valutata, quale concausa della patologia mentale riscontrata, nel riconoscimento della seminfermità mentale ed è già stata quindi oggetto di adeguata considerazione ai fini della quantificazione della pena”.

Con la scusa della decadenza

Dl Irpef, salta allargamento del bonus di 80 euro. E spunta mini riforma Farnesina. Rinviata alla legge di Stabilità per il 2015 l'estensione del bonus alle famiglie monoreddito con figli a carico. Approvato il rinvio al 16 ottobre del pagamento della Tasi nei Comuni ritardatari. Per la Consob niente tetto agli stipendi. Maxi sforbiciata alle indennità dei diplomatici in servizio all'estero per finanziare la "promozione dell'Italia". Giovedì il governo porrà la fiducia sul testo, che va convertito entro il 23 giugno pena la decadenza

Con le modifiche al decreto legge Irpef approvate della commissioni Bilancio e Finanze del Senato “non si è in alcun modo annacquato l’intervento”. Parola di Maria Cecilia Guerra (Pd), relatore del testo insieme a Antonio D’Alì (Ncd), secondo la quale la spending review non è scalfita dai quasi 700 emendamenti che hanno ricevuto il via libera. Anche se la pioggia di modifiche presentate dalle diverse forze politiche ha, in alcuni casi, ammorbidito i tagli previsti nella versione originaria del testo. I dirigenti della Consob, per esempio, sono stati esclusi dal tetto di 240mila euro agli stipendi, mentre salta la norma che prevedeva un’ulteriore riduzione del 5% sull’acquisto di beni e servizi per province e città metropolitane che nell’ultimo anno hanno registrato tempi medi nei pagamenti superiori a 90 giorni. Solo “strade alternative per evitare che interventi troppo rigidi comportassero effetti non voluti”, assicura Guerra. Il sottosegretario ai rapporti con il parlamento Luciano Pizzetti, ha detto che giovedì il ministro Maria Elena Boschi sarà in aula per porre la questione di fiducia. Scelta largamente prevista, considerato che il provvedimento dovrà poi passare in seconda lettura al vaglio della Camera, dove è atteso il 13 giugno, e va convertito entro il 23 giugno pena la decadenza.

Tra gli emendamenti approvati c’è anche quello sul rinvio a ottobre del pagamento della Tasi nei Comuni che non hanno ancora deliberato sull’aliquota e quello dei relatori sull’aumento della tassazione su fondi pensione e casse private. E’ invece saltata, per ora, l’estensione del bonus Irpef alle famiglie monoreddito con figli a carico, voluta dal Nuovo centrodestra. Fino all’ultimo D’Alì assicurava: “Ci sarà”. Invece, dopo una battaglia parlamentare proseguita fino quasi alle 10 di mercoledì mattina, quando le commissioni hanno concluso i lavori, si è deciso di rinviare l’intervento all’autunno. Cioè all’approvazione della legge di Stabilità. Anche perché la misura aggiuntiva avrebbe richiesto una copertura di quasi 70 milioni. Di seguito le principali novità del testo, compresa una mini-riforma del ministero degli Esteri che, a sorpresa, comprende corposi tagli alle indennità dei diplomatici in servizio all’estero.

Più morbidi i tagli a province, comuni e città metropolitane - Tra le novità dell’ultima ora c’è anche l’esclusione dei contratti di servizio per i trasporti, di quelli per lo smaltimento dei rifiuti e di quelli per “altri corsi di formazione” dagli ambiti su cui le Province e le Città metropolitane dovranno puntare per ridurre la spesa per beni e servizi di 340 milioni di euro per il 2014 e di 510 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2017. Lo stabilisce un emendamento di Federico Fornaro (Pd). Inoltre viene cancellata la norma che prevedeva un’ulteriore riduzione del 5% sull’acquisto di beni e servizi per province e città metropolitane che nell’ultimo anno hanno registrato tempi medi nei pagamenti superiori a 90 giorni. Passa la soppressione dell’articolo 30 sui debiti fuori bilancio: non vi rientreranno quelli contenuti nel piano di riequilibrio finanziario pluriennale.

La Tasi rinviata a ottobre – Il versamento della prima rata della Tasi è stato rinviato, solo per il 2014, al 16 ottobre, nei Comuni che non hanno ancora deliberato l’aliquota. Lo prevede un emendamento del governo al decreto legge Irpef, depositato martedì. Nei comuni che non delibereranno le aliquote entro il 19 settembre il pagamento sarà rinviato al 16 dicembre con aliquota all’1 per mille. La proposta di modifica stabilisce che il pagamento avvenga “sulla base delle deliberazioni concernenti le aliquote e detrazioni” pubblicati nel sito informatico entro il 18 settembre. I comuni sono quindi tenuti a inviare le deliberazioni, esclusivamente in via telematica, entro il 10 settembre. Viene poi riconosciuta l’esenzione dall’Imu ai terreni “a immutabile destinazione agro-silvo-pastorale a proprietà collettiva indivisibile”.

Il tetto agli stipendi non varrà per Consob - La Consob non sarà equiparata a Bankitalia per le modalità di fissazione degli stipendi. Mentre i dipendenti di Palazzo Koch non potranno guadagnare più di 240mila euro, come da “tetto” stabilito dal governo, la commissione di vigilanza sui mercati guidata da Giuseppe Vegas sarà libera di erogare compensi più alti. A sforare sono il presidente, che guadagna 311.658 euro lordi l’anno, il commissario Paolo Troiano, a quota 280.492 euro, il dg Gaetano Caputi, con emolumenti per 290.425 euro, e il vice dg Giuseppe D’Agostino, a 270.745. Ma anche l’avvocato generale Fabio Biagianti, che riceve 265.883 euro l’anno, il segretario generale Guido Stazi, a 242.760, e il funzionario generale Pietro Farina, il cui assegno annuale ammonta a 249.703 euro.

Vigili del fuoco e soccorso pubblico esentati dal piano di razionalizzazione degli immobili – I presidi destinati al soccorso pubblico, come quelli in uso al corpo nazionale dei Vigili del fuoco, saranno esclusi dall’obbligo di presentare un piano di razionalizzazione degli immobili per garantire l’utilizzo esclusivo di edifici pubblici. Lo stabilisce un emendamento del governo. “L’introduzione di tale modifica rappresenta una necessità ineludibile per il dipartimento dei Vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile”, spiega la relazione illustrativa, “dal momento che i presidi territoriali del corpo, per le funzioni e i compiti che allo stesso sono affidati, nonché per le caratteristiche del tutto particolari dei mezzi tecnici in uso e le specifiche esigenze operative del personale assegnato, non si prestano a essere sottoposti agli stessi criteri adottati per gli edifici occupati da altri uffici pubblici né, tantomeno, a essere utilizzati in condivisione con questi ultimi”.

Salve le terme di Regioni e province a statuto speciale – Le Regioni a statuto speciale e le province autonome sono esentate dall’obbligo di cedere a terzi le aziende termali, qualora queste siano state trasferite a titolo gratuito. Lo stabilisce un emendamento del gruppo Autonomie, riformulato dai relatori.

Aumento tasse fondi pensione a 11,5% per “salvare” le casse privatizzate - Passa all’11,5% la tassazione dei fondi pensione nel 2014 per coprire la sterilizzazione dell’aumento dell’imposta sulle rendite finanziarie dal 20 al 26% per le casse previdenziali privatizzate. Si tratta di una norma-ponte “in attesa di armonizzare, a decorrere dal 2015, la disciplina di tassazione dei redditi di natura finanziaria” delle casse con le forme pensionistiche complementari. I 4 milioni di maggiori entrate, prevede l’emendamento approvato al decreto Irpef, andranno al fondo per gli interventi strutturali di politica economica.

Cento milioni di anticipazioni per Eur spa - La società Eur spa potrà chiedere entro il 15 luglio 2014 un’anticipazione di liquidità, nel limite massimo di 100 milioni di euro, per pagare i debiti commerciali certi liquidi ed esigibili al 31 dicembre 2013. Lo stabilisce un emendamento del Pd riformulato dai relatori. La società, controllata al 90% dal ministero dell’Economia e partecipata dal Comune di Roma, si occupa di gestire un vasto patrimonio immobiliare (oltre che di parchi e giardini), dovrà però presentare un piano di rimborso ”dell’anticipazione di liquidità, maggiorata degli interessi, in cui sono individuate anche idonee e congrue garanzie” e dovrà sottoscrivere un contratto con il ministero dell’Economia “nel quale sono definite le modalità di erogazione e di rimborso delle somme, comprensive di interessi, in un periodo non superiore a trenta anni, prevedendo altresì, qualora la società non adempia nei termini stabiliti al versamento delle rate dovute, sia le modalità di recupero delle medesime somme da parte del ministero dell’Economia e delle finanze, sia l’applicazione di interessi moratori”. Viene inoltre eliminato il limite di 5 milioni annui di maggiori entrate derivanti dalla distribuzione di utili d’esercizio o di riserve, che il Mef può utilizzare per aumenti di capitale di società partecipate.

Restrizione della platea Irap rimandata a delega fiscale - Le commissioni del Senato hanno approvato un ordine del giorno di Ncd che rimanda ai decreti delegati di attuazione della Delega fiscale la definizione del concetto di “stabile organizzazione” ridisegnato in maniera tale da restringere la platea dei contribuenti che devono versare l’Irap. Secondo quanto prevede l’Odg si dovrà intervenire anche sulla “determinazione e revisione della base imponibile, nonchè sull’incremento delle deduzioni calcolate sul costo del lavoro”.

Anticipato il riordino delle controllate degli enti locali - Anticipata dal 31 ottobre al 31 luglio 2014 la data entro la quale il commissario straordinario alla Spending review, Carlo Cottarelli, dovrà predisporre un programma di razionalizzazione “delle aziende speciali, delle istituzioni e delle società direttamente o indirettamente controllate dalle amministrazioni locali”. Un intervento che dovrà individuare misure per la loro liquidazione, l’efficientamento o la cessione di rami d’azienda “anche ai fini di una loro valorizzazione industriale”. È quanto stabilisce un emendamento di Linda Lanzillotta (Sc) approvato dalle commissioni Bilancio e Finanze del Senato. Il programma però “è reso operativo e vincolante per gli enti locali, anche ai fini di una sua traduzione nel patto di stabilità e crescita interno, nel disegno di legge di Stabilità per il 2015, da presentare in parlamento entro il 15 ottobre 2014″. Anche in questo caso, dunque, l’operatività slitta all’autunno.

Fondo da 15 milioni per promuovere l’Italia all’estero finanziato con i tagli alle indennità di servizio – Un emendamento di Giorgio Tonini (Pd), riformulato dai relatori e approvato dalle commissioni Bilancio e Finanze del Senato, prevede che il ministero degli Esteri svolga “attività per la promozione dell’Italia” anche sviluppando “iniziative e contatti di natura politica, economico-commerciale e culturale nell’interesse del Paese”. Attività che saranno finanziate con il taglio degli oneri di rappresentanza e alle indennità di servizio del personale diplomatico all’estero, grazie al quale verrà costituito nello stato di previsione del ministero degli Esteri un fondo ad hoc di 15 milioni per il 2015 e 13 dal 2016. In seguito la dotazione del fondo verrà determinata di anno in anno sulla base delle uscite da sostenere per attività come “il ricevimento annuale della festa della Repubblica, i ricevimenti in onore di autorità del Paese di accreditamento o di personalità in visita ufficiale, il complesso di manifestazioni o di iniziative volte a consolidare i rapporti anche in base alle consuetudini del luogo”. Per trovare le coperture vengono cancellate diverse norme che fissano i compensi per i dipendenti della Farnesina impegnati all’estero. Via gli assegni di rappresentanza per i “reggenti” e i sostituti capi, cioè i funzionari che assumono la guida della sede diplomatica o dell’ufficio consolare, addio all’assegno per le delegazioni diplomatiche speciali e colpo di spugna anche sull’articolo che prevede un rimborso extra per coprire eventuali “spese di rappresentanza sproporzionate rispetto alle indennità” in caso di “circostanze particolari di carattere eccezionale”. Addio anche all’assegno per le delegazioni diplomatiche speciali. In compenso viene aumentato l’organico del personale a contratto delle varie sedi all’estero: 2.600 unità per il 2015, 2.650 per il 2016, 2.700 dal 2017. Il tutto, viene previsto, verrà a costare 2,1 milioni di euro per il 2015, 3,8 milioni per il 2016 e 6 milioni dal 2017 coperti con la riduzione delle risorse per le indennità di servizio all’estero “con conseguenti soppressioni di posti di organico”. Il ministero degli Esteri dovrà monitorare gli oneri derivanti da quest’ultima disposizione e, in caso di scostamenti, il Mef agirà sempre sul capitolo delle indennità di servizio all’estero. Nello stesso giorno dell’approdo del testo in Aula al Senato, la Farnesina ha diffuso l’Annuario statistico 2014, da cui emerge che il bilancio di previsione del Mae ammonta a 1,6 miliardi di euro. Si tratta dello 0,20% del bilancio dello Stato, in diminuzione rispetto al 2013 quando la percentuale era dello 0,21%. Includendo anche gli Aiuti pubblici allo sviluppo (Aps) si arriva a 1,8 miliardi di euro, in calo dell’1,2% rispetto al 2013.

Delega al governo per riformare la struttura del bilancio statale – Il governo “entro il 31 dicembre 2015 è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi per il completamento della riforma della struttura di bilancio dello Stato con particolare riguardo alla riorganizzazione dei programmi di spesa”. Lo stabilisce un emendamento approvato dalle commissioni Bilancio e Finanze del Senato. L’emendamento stabilisce anche che il governo sia delegato ad adottare, entro fine 2016, un decreto legislativo recante un testo unico delle “disposizioni in materia di contabilità di Stato nonché in materia di tesoreria”. Approvato anche l’altro emendamento del Governo che dà più flessibilità nella tempistica di adozione dei decreti attuativi della delega fiscale, permettendo la compensazione fra Dlgs che comportino maggiori oneri e altri che portino risorse, sempre mantenendo il principio che dall’attuazione della delega non devono derivare “nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica né un aumento della pressione fiscale complessiva a carico dei contribuenti”.

Via libera alla cessione dei crediti con garanzia statale a Cdp e Bei “I crediti assistiti dalla garanzia dello Stato” per il pagamento dei debiti Pa, già oggetto di ridefinizione, possono essere acquisiti dai soggetti creditori con una cartolarizzazione “ovvero da questi ultimi ceduti a Cassa depositi e prestiti, nonché alle istituzioni finanziarie dell’Unione Europea e internazionali”, come la Banca europea per gli investimenti (Bei). Lo stesso emendamento elimina la norma per cui le Regioni possono contrarre mutui ed emettere obbligazioni solo per provvedere a spese di investimento: potranno farlo nel caso di operazioni di ridefinizione dei termini e delle condizioni di pagamento dei debiti che non costituiscono indebitamento per gli enti locali e per le Pa. Viene inoltre riscritto (e quindi eliminato) l’articolo 38 del decreto, prevedendo che “le cessioni dei crediti certificati mediante la piattaforma elettronica per la gestione telematica del rilascio delle certificazioni possono essere stipulate mediante scrittura privata e possono essere effettuate a favore di banche o intermediari finanziari autorizzati, ovvero da questi ultimi alla Cdp o a istituzioni finanziarie dell’Unione Europea e internazionali”.

domenica 1 giugno 2014

La speranza di morire sul posto di lavoro...

Pensioni, Padoan: “Diminuzione dell’età? Semmai un graduale aumento”. Il ministro dell'Economia poi precisa che in Italia esiste un adeguamento all'allungamento delle aspettative di vita e che il riferimento era piuttosto alla Germania. Intanto manda a dire a Bruxelles che "se si vogliono dare le raccomandazioni devono essere complessive e esaustive". La Tasi? "Aumento apparentemente gigantesco, ma era atteso"

Premiare i Paesi che si dimostrano seri in Europa e che sono in grado di implementare le riforme strutturali. Rimettere al centro dell’agenda europea crescita e occupazione. Trovare le soluzioni per rilanciare gli investimenti. A due giorni dall’arrivo delle raccomandazioni europee a Roma, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, torna ad insistere sulle priorità che l’Italia porterà in Europa nel corso del semestre di presidenza europeo. Ma, pur alle prese con problematiche di carattere sovranazionale, il ministro non può che guadare anche a casa nostra e alle questioni che quotidianamente impegnano cittadini e governo, a partire dalla Tasi. L’aumento della tassazione sulla casa sembra “apparentemente gigantesco”, ma era atteso, perché nel 2013 l’Imu sulla prima abitazione non è stata affatto pagata e perché comunque saranno i Comuni a decidere l’aliquota, ridimensiona dunque il ministro dopo l’allarme scaturito dai dati della Banca d’Italia che ha spinto anche il sottosegretario Zanetti a ipotizzare un ripensamento complessivo con un’unificazione della tassazione nel 2015. Le rassicurazioni di Padoan arrivano quindi anche sul bonus Irpef, per il quale grazie a misure strutturali e “tagli permanenti di spesa” si troveranno coperture sufficienti per garantire gli 80 euro in più in busta paga in modo altrettanto permanente.

Parlando a tutto campo al Festival dell’Economia di Trento, il ministro si imbatte suo malgrado, anche in una delle materie in Italia più delicate, soprattutto dopo la riforma Fornero, aprendo un “caso pensioni”. Parlando della staffetta generazionale, tema caldo della riforma della Pubblica amministrazione, il ministro ha sottolineato di non aver “mai creduto che gli anziani rubassero il lavoro ai giovani”. “Non sono a favore di una diminuzione dell’età, piuttosto di un graduale aumento“, dice con parole che però lui stesso si è affretta a precisare poco dopo, spiegando che in Italia è in realtà già previsto un adeguamento all’allungamento delle aspettative di vita e che il riferimento era piuttosto ai Paesi, come la Germania, che hanno deciso di abbassare l’età e con cui lui non si trova appunto d’accordo. Qualsiasi argomento riguardi l’Italia, compreso il “vero dramma” del calo della produttività, va però inserito, insiste ancora il ministro, nella prospettiva europea e nella necessità di riportare occupazione e crescita al centro dell’agenda Ue. La bacchetta magica per risolvere il problema del lavoro lui non ce l’ha e l’unico che potrebbe averla – scherza con la platea – è il suo “energico capo” Matteo Renzi. Ma certo un cambiamento di mentalità in Europa, con una maggiore fiducia reciproca tra partner, e l’adozione di una sorta di meccanismi di premialità per chi si dimostra in grado di fare le riforme potrebbero aiutare.

“Se un Paese realizza le riforme strutturali, dovrebbe essergli riconosciuto un differente profilo di bilancio”, ha spiegato il ministro al Wall Street Journal, ripetendo quasi come un mantra in ogni occasione le sue parole chiave: crescita e occupazione. “Se nuovi argomenti vengono messi sul tavolo non è per svicolare, ma per essere seri su crescita e occupazione e questo è l’intento del governo italiano”, ha aggiunto guardando già a lunedì, quando arriveranno anche a Roma le nuove raccomandazioni della Commissione europea. Il messaggio a Bruxelles è chiaro: l’Italia farà le riforme, ma “se si vogliono dare raccomandazioni devono essere complessive e esaustive“, devono cioè tenere conto degli sforzi fatti e degli impegni presi da ciascun Paese. L’unica domanda a cui il ministro non risponde è però quella sul rapporto tra governo e Fiat e su una sudditanza del primo rispetto alla seconda. “Da piccolo mi hanno insegnato che non si risponde a una provocazione e da grande ne sono ancora più convinto”. Parole cui hanno fatto seguito quelle di Sergio Marchionne, anche lui al Festival: “Con Padoan il governo ha un asso nella manica”.

Tornano gli zombie...

Fini: “Pronto a tornare in politica. Destra italiana non può seguire Le Pen”. In un'intervista al Messaggero l'ex leader di Alleanza Nazionale critica la linea seguita da Forza Italia e appoggia il percorso seguito finora dal Nuovo Centrodestra. Poi l'attacco a Fratelli d'Italia: "Hanno utilizzato la nostra storia senza conoscerla"

Gianfranco Fini è pronto a tornare in politica per dare forma a un nuovo centrodestra. Come ha raccontato lui stesso in un’intervista al Messaggero: “Sto ragionando con me stesso e con altri amici per vedere se ci sono le possibilità di far sentire una voce organizzata di una destra che non ha nulla a che vedere con quella rimasta in campo. L’Italia ha bisogno di una destra che non scimmiotti Marine Le Pen e che non abbia come unico obiettivo quello di alleanze a prescindere dai programmi e dai valori di riferimento”.

L’ex esponente di Alleanza Nazionale fa una riflessione anche sui risultati delle Europee: “Renzi ha avuto un’affermazione innegabile. Il centrodestra al contrario versa in una condizione di assoluta difficoltà non solo per il calo evidente di voti e nemmeno per il problema della leadership che pure c’è ed è evidente”. La soluzione? Sicuramente non quella proposta da Fratelli d’Italia: “Il neolepenismo di Fdi, che ha utilizzato anche la storia di An senza conoscerla pur avendone fatto parte, scimmiotta in Italia la politica nazionalista e per certi aspetti xenofoba di Le Pen e non ha nulla a che vedere con una cultura autenticamente di centrodestra”. Fini appoggia soltanto la linea seguita dal Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano: “Quella del Ncd, che pure ha pagato un prezzo salato, è la linea giusta almeno in questa fase”. Il problema, secondo Fini, restano i contenuti: “Cosa vuol dire una politica di centrodestra? E’ quella che sta facendo il Ncd che appoggia il governo? O è quella che fa Fi di netta contrapposizione al governo? Su troppi temi non c’è un messaggio unitario”.

E proprio nei giorni del dibattito tra Silvio Berlusconi e Raffaele Fitto sulle primarie, Fini interviene sulla questione:  ”Il problema delle primarie è l’ultimo, così come ultimo è quello della leadership”, sottolinea. “Le leadership non si nominano a tavolino o si inventano. Il problema fondamentale è cosa vuol dire oggi una politica di centrodestra. Se non si riparte ognuno dalla propria attuale posizione con un lavoro di approfondimento, di contenuto e di programma, non si va da nessuna parte”. Intanto continua a tenere banco la possibilità di un centrodestra moderato, come auspicato nei giorni scorsi da Alfano; anche Maria Stella Gelmini (Fi) dichiara che il suo partito è pronto “a dialogare con tutti. Tra l’altro Alfano mostra di condividere quanto noi di Forza Italia diciamo da sempre, cioè che divisi non si vince. Uniti nella confusione, però, non si va molto lontano”, ha sottolineato. “Non voglio polemizzare con Alfano, tanto più che le sue riflessioni meritano considerazione e rispetto”, continua la Gelmini, “c’è un’ambiguità di Ncd che va sciolta nel tempo e con i fatti”.

Il pentolaio e l'ennesima scadenza...

Per dovere di cronaca, ricordiamo ciò che disse il pentolaio non appena approdato al governo: FEBBRAIO, legge elettorale, MARZO, riforma del lavoro, APRILE, riforma della PA, MAGGIO, riforma del fisco. Poi, bhe, c'era la moltiplicazione dei pani e dei pesci, la passeggiata sulle acque e infine, l'ascensione. Crea delle scadenze e non riesce a rispettarne nemmeno una. Fa tutto da solo rendendosi ancor più ridicolo di quanto non lo sia in realtà e, i gonzi che hanno ricevuto quei miseri 80 euro, gli hanno creduto dandogli il loro voto. Berlusconi era un dilettante.

Ue, Renzi: “Entro luglio lo sblocca-Italia”. Intanto riscrive l’agenda delle riforme. Il premier annuncia un provvedimento per far ripartire le opere pubbliche "ferme da 40 anni". Poi insiste su Italicum e interventi su Pa, giustizia e fisco: "Siamo in ritardo perché voglio discuterne". E sulla Rai: "Lo sciopero annunciato è umiliante. E' il mondo più politicizzato che conosca. Si taglia ovunque, lo facciano anche loro"

Matteo Renzi rilancia. Dopo il bagno elettorale fa ripartire l’orologio, in tutti i sensi. Riforme istituzionali, del fisco, della giustizia, della Pubblica amministrazione. Tutte questioni già sul tavolo, già dal giorno della celebre conferenza stampa con le slide. Ma l’orologio riparte da ora. E il presidente del Consiglio aggiunge una data: “Entro luglio farò un provvedimento che si chiama ‘sblocca-Italia’, che lascerà fare alla gente quel che vuol fare e consentirà di sbloccare interventi fermi da 40 anni”. Il capo del governo si presenta sul palco del Festival dell’Economia di Trento per una lunga intervista con il giornalista Enrico Mentana. E annuncia un nuovo piano delle riforme, dopo che lo scadenzario degli inizi faticava ad essere rispettato. Renzi spiega che entro 15 giorni i primi cittadini dovranno rivolgersi a Palazzo Chigi e indicare i problemi locali: “Dagli investimenti bloccati per l’imprenditore al sindaco bloccato dalla sovrintendenza, fino all’imprenditore straniero pronto ad investire a Milano se non avesse i permessi bloccati”. A Palazzo Chigi, spiega Renzi, ci sarà la cabina di regia del “sblocca-Italia” che “avrà un responsabile ad hoc”.

Il presidente del Consiglio promette un nuovo piano per le riforme e interventi immediati. E non si risparmia un attacco ai gufi e a chi rema contro il progetto. Così parla anche della Rai e dello sciopero annunciato per l’11 giugno dai dipendenti dell’azienda pubblica: “Vogliono fare sciopero? Lo facciano..poi andiamo a vedere quanto costano le sedi regionali.. E’ umiliante questa polemica sullo sciopero, quando nel paese reale tutte le famiglie tirano la cinghia. E’ una polemica incredibile. E’ una situazione umiliante. A questo punto, se vogliono aprire una riflessione sulla qualità del servizio pubblico, bene, altrimenti la protesta lascia il tempo che trova”.

Renzi si presenta rilassato e “spavaldo” dopo la vittoria elettorale. E parla del suo sogno di far diventare l’Italia “smart”. “La carta ce l’ho da adesso. Tra 10 anni mi immagino un’Italia smart. Non dico cool, perché magari fa storcere il naso e allora diciamo che immagino un’Italia bella, che faccia andare i giovani all’estero ma che li faccia ritornare perché è attrattiva”. Rilancia poi i due temi di riforme istituzionali su cui ha puntato fin da subito, fin dai mesi precedenti al suo arrivo a Palazzo Chigi. “La prossima settimana – annuncia – riparte la discussione sulla riforma del Senato e dopo l’approvazione in prima lettura torniamo alla legge elettorale”. Basta rallentamenti. “E’ ora di chiuderla con la stagione politica degli alibi. Se non facciamo le riforme, è colpa mia. Abituiamoci ad avere politici che si assumano responsabilità”. E a questo proposito, aggiunge il capo del governo, “la riforma del Senato molti dicevano che era messa in piedi a casaccio. Invece è frutto di 30 anni di dibattito”.

Lo scadenzario delle riforme del governo sta diventando via via un po’ diverso, meno serrato, da quello presentato i primi giorni. ”La riforma della pubblica amministrazione (prevista inizialmente per aprile, ndr) sarà in parte per decreto e in parte con un ddl delega. Bisogna rovesciare il rapporto tra lo Stato e la Pubblica amminstrazione, cambiare le regole del gioco”. Poi la giustizia, attesa “entro giugno” secondo le intenzioni iniziali: “La giustizia civile sembra barbara ma entro il 1 luglio avremo il disegno di legge delega e questa riforma”. Mentre la frenata, ammette Renzi, c’è sul fisco che avrebbe dovuto vedere una trasformazione a maggio. “La delega fiscale l’ho bloccata un po’ io – dice – martedì approfondiremo alcune cose con Padoan” tuttavia ”il fisco dev’essere una cosa semplice e invece abbiamo destagionalizzato il lavoro dei commercialisti. Il meccanismo di cambiamento è appena cominciato”.

Fin qui la politica interna. Ma non dimentica che presto l’Italia dovrà avere un ruolo oltre confine. Renzi da una parte si dice tranquillo su eventuali valutazioni dell’Europa (“Non ho timori”) e interviene anche sul dibattito che porterà alla formazione della nuova commissione europea. ”Io non credo che ci sia un problema Juncker, può essere un nome ma non il nome – risponde il presidente del Consiglio a una domanda di Enrico Mentana – Certo il problema della democrazia europea non si risolve così parlando solo di problemi. Bisogna avere una visione alta di indirizzo, la politica deve fare questo”. ”Non si fanno battaglie su base nazionale o di passaporto – precisa – Il Pd ha preso più voti assoluti della Cdu ma il consenso non va messo in una battaglia sui posti. Quest’atteggiamento rovina e distrugge l’impostazione filo-europea. Non è un problema di nomi ma di scelte, le nomine sono conseguenza delle scelte”.

Cambiare verso anche alla Commissione europea, insomma. Bastino un paio di temi, oltre alla “madre di tutte le battaglie che è il lavoro” ribadisce (come in campagna elettorale) il capo del governo e segretario del Pd. Intanto le politiche economiche che finora “hanno portato ad una disoccupazione senza precedenti in Italia. O si riparte con una nuova politica europea, con investimenti industriali e nuove regole sul lavoro, o non se ne esce”. Un altro tema è l’immigrazione. “L’Unione europea dice tutto sui decreti e sulle regole per la pesca ma se un bambino di tre anni affoga, girano la testa” dice Renzi, riprendendo anche in questo caso un cavallo di battaglia già usato durante i dibattiti pre-elettorali. Il presidente del Consiglio aggiunge che la necessità è “che l’Italia porti sul tavolo della discussione un pacchetto di proposte concrete”.

Sul conflitto d'interessi...

La sinistra affida a due furbetti la legge sul conflitto d'interessi. La proposta di riforma è sostenuta da Bassanini e Gitti. Ma proprio loro cumulano poltrone pubbliche in enti che si spartiscono affari milionari di Stefano Sansonetti

Una proposta nuova di zecca sull'eterna questione della lotta al conflitto di interessi. Nei prossimi giorni, sul tavolo del governo guidato da Matteo Renzi, planerà un testo di legge composto da 20 articoli. Chi li ha scritti? L'Astrid, pensatoio vicino alla sinistra presieduto dall'ex ministro Ds della Funzione pubblica Franco Bassanini, che oggi siede pure sulla poltrona di presidente di quella Cassa depositi e prestiti che è controllata al'80% dal ministero dell'Economia. Non c'è che dire, Bassanini e soci stanno facendo le cose in grande. La proposta sarà infatti discussa in un incontro in programma per il 4 giugno, al quale parteciperà anche il deputato dell'ormai defunta Scelta civica, Gregorio Gitti, incidentalmente genero del banchiere «prodiano» Giovanni Bazoli, dominus di Intesa Sanpaolo. Naturalmente il progetto è tale che non poteva che essere discusso e portato avanti da personaggi che di conflitto di interessi se ne intendono.

Diciamo innanzitutto che la bozza, nelle intenzioni dei «legislatori» di Astrid, dovrebbe essere applicata al presidente della Repubblica, ai parlamentari, ai componenti delle Autorità indipendenti e ai titolari della cariche di governo. Il tutto nell'assunto che, recita l'articolo 2, «sussiste conflitto d'interessi in tutti i casi in cui il titolare di una carica o di un ufficio pubblico è titolare di un interesse economico privato differenziato rispetto a quello della generalità o di intere categorie di cittadini e tale da poter condizionare l'esercizio delle sue funzioni pubbliche». Ovviamente ci vuole qualcuno che vigili. Per questo la proposta tira fuori dal cilindro l'ennesima Authority «indipendente», che dovrebbe essere costituita sotto il nome di «Autorità di vigilanza sui conflitti di interessi». Composta da 5 membri, potrebbe avere in pianta organica fino a 90 dipendenti. Di più, perché il costo del nuovo carrozzone sarebbe pari «a 30 milioni di euro a decorrere dall'anno 2014». Alla faccia della spending review.

Inutile dire che la bozza di Astrid si guarda bene dal toccare situazioni di conflitto d'interessi che il governo Renzi ha regalato nella recente tornata di nomine. Basti pensare a Emma Marcegaglia, nuovo presidente dell'Eni ma contemporaneamente ai vertici della holding di famiglia attivo nella trasformazione dell'acciaio. Attività per la quale il gruppo Marcegaglia è tra i maggiori consumatori di energia. Insomma, può stare la rampolla di famiglia in una società come l'Eni che produce energia? A sentir lei non c'è nessun problema. Tra l'altro l'Eni è uno dei maggiori «finanziatori» della Confindustria, che dai gruppi semi-pubblici associati riceve la quote più sostanziose. Più volte s'è detto che senza questi contributi l'associazione di viale dell'Astronomia andrebbe gambe all'aria. Anche qui, forse non si commette un peccato grave se si arriva a pensare che la Marcegaglia, ex presidente di Confindustria, potrebbe attivarsi per non fare mancare il sostanzioso appoggio finanziario dell'Eni. E poi ci sono gli autori della proposta Astrid sul conflitto d'interessi. Tra questi spicca proprio Bassanini. Il quale ha una certa dimestichezza con il cumulo di poltrone pubbliche e private. Non solo è numero uno della Cassa depositi, ma è anche presidente del consiglio di sorveglianza della società Condotte. Si tratta di uno dei principali gruppi italiani di costruzioni che, guarda caso, spesso e volentieri si trova a sviluppare grandi opere commissionate dagli enti locali e finanziate proprio dalla Cassa depositi. E così Bassanini, che secondo alcuni rumors ambirebbe a inserirsi nella partita della successione a Giorgio Napolitano, tiene un bel piede in due staffe.

All'incontro del 4 giugno, come detto, ci sarà anche Gitti, pronto a discutere del conflitto d'interessi con la massima cognizione di causa. Genero del prodiano Bazoli, dopo un lungo corteggiamento con il Pd nel 2013 è riuscito a strappare uno scranno alla Camera sotto le insegne della ormai esangue Scelta civica. Ma si dà il caso che Gitti sia anche tra i titolari di uno studio legale che offre consulenze lautamente pagate proprio alla Cassa depositi, a Intesa e a Ubi Banca. Del resto i contatti tra Gitti e la Cdp sono favoriti dall'amministratore delegato del colosso pubblico, Giovanni Gorno Tempini, che vanta un passato in Hopa, Mittel e Intesa, in pratica tutta la filiera tanto cara a Bazoli. Così come i contatti tra Gitti e Ubi sono confermati da tutta una serie di poltrone occupate dall'avvocato-deputato, che è presidente di 24-7 Finance srl, Lombardia Lease Finance 4 srl, Ubi Finance 2 srl e Ubi Finance 3 srl, ovvero tutte società veicolo del gruppo bancario. Per non parlare del fatto che, come emerge dall'archivio delle camere di commercio e dalla sua dichiarazione patrimoniale pubblicata sul sito della Camera, Gitti risulta pure consigliere di amministrazione di Skira editore (gruppo Rcs) e della Bassilichi spa, società specializzata in servizi di outsourcing che vede tra i suoi clienti pubbliche amministrazioni come Asl e università. E chi più ne ha più ne metta. Il tutto per un groviglio di interessi che, c'è da scommettere, renderà quanto mai animato il dibattito sulla proposta Bassanini.