giovedì 31 marzo 2011

Clandestini in rivolta

Domanda... come mai non vogliono tornare ora che c'è democrazia? Non è che percaso... ma molto percaso i tunisini sono davvero quelli scappati dalle patrie galere e tornare in patria significherebbe tornare in galera? Se così fosse, non è giusto che paghiamo noi lo scotto di tutta questa storia. Non vogliono tornare e noi non possiamo ospitarli. Non c'è spazio e non c'è lavoro... e di disoccupati italiani ce ne sono anche troppi e abbandonati a se stessi. Dall'italia hanno già avuto anche troppo.


LAMPEDUSA (Agrigento) - I migranti di Lampedusa chiedono di lasciare l'isola, subito, e non vogliono tornare in Tunisia. Lo urlano. E' venuto il momento della loro protesta, anche se per fortuna totalmente pacifica. E' scoppiata nel pomeriggio: un migliaio di nordafricani ha organizzato un corteo nella centrale via Roma di Lampedusa. Poi si sono radunati al porto, una folla, forse più di mille. Gridano «Sicilia, Sicilia», e chiedono di essere subito trasferiti da Lampedusa ma non per la Tunisia. La situazione è stata molto difficile e ha rischiato di degenerare. L'ha tenuta a bada un funzionario di polizia, Corrado Empoli, che tramite un traduttore ha parlato con i migranti e ha provato a convincerli di attendere fino a venerdì o al massimo fino a sabato. «Oggi le navi sono già partite cariche di altre persone. Non possiamo farvi andare via subito. Siete tanti, dovete capire che è difficile gestire questa situazione». Urla dalla folla, il traduttore fatica a farsi sentire. Uno dei migranti prende la parole e in inglese spiega la drammaticità della situazione che stanno sopportanto a Lampedusa da oltre 10 giorni. Il traduttore spiega che la paura di molti migranti è quella di essere traditi, di nuovo. Hanno rischiato la pelle per arrivare in Italia e ora non vogliono perdere quel poco che hanno conquistato. Parlano in tanti, le voci si sovrappongono e il rischio che la situazione degeneri resta alto. Empoli ribatte: «Io vi chiedo di aver fiducia in me. Dovete avere ancor un po' di pazienza. Non tornerete in Tunisia. Un giorno o due di più in più di fronte alla possibilità di cambiare la propria vita per sempre non è nulla». Dalla folla si alza un grido, scandito più volte, urlato da una folla che si concentra su una sola persona diventata il loro referente: «We trust you». Noi crediamo in te. E poi «grazie, grazie». La protesta è stata durissima, alimentata da una forma di esasperazione ormai incontenibile, ma grazie alle capacità di un funzionario di polizia, assistito da un giovane tunisino nel ruolo, già noto sull'isola per il suo ruolo di mediatore culturale, per oggi non è degenerata. Al cronista del Corriere della Sera che, quando la tensione si era ormai sciolta, ha chiesto a Empoli se le promesse fatte ai migranti non fossero un po' azzardate, il funzionario di polizia ha risposto: «Ho solo ribadito quello che ha detto Berlusconi».

«DORMIAMO DOVE NON STAREBBERO NEANCHE I CANI» - Prima si erano levate queste voci dalla folla: «Dormiamo in posti che non sarebbero adatti neanche ai cani» dice Jahshen, tunisino, uno dei manifestanti. «Siamo troppi. Io aspetto da 11 giorni e da 5 dormo su quella che voi chiamate la "collina della vergogna"», dice Haithem, 23 anni, arrivato da Djerba. «Tutti abbiamo paura - aggiunge - di essere portati in Tunisia e dopo tre giorni di mare io non posso tornare nel Paese da cui sono fuggito. Mercoledì Berlusconi è venuto qui, ha detto che provvederà per noi, ma le sue sono solo parole e se stasera pioverà, come promette il tempo, noi non abbiamo come ripararci». Sono 3.731 gli immigrati presenti attualmente a Lampedusa, dopo i trasferimenti avvenuti con le prime navi e con due ponti aerei. Il dato è stato fornito dal sindaco dell'isola, Bernardino de Rubeis.

MARE GROSSO - La nave della T/Link, che avrebbe dovuto imbarcare a Lampedusa circa 500 migranti con destinazione Taranto, non è riuscita ad attraccare al molo di Cala Pisana a causa del mare agitato. I migranti sono da qualche ora in attesa sulla banchina. Il traghetto ha anche provato un attracco al molo commerciale, ma anche lì ci sono le stesse difficoltà. Per adesso i previsti trasferimenti sono stati sospesi e le autorità non sanno se può essere rispettata la scaletta delle partenze.

ALL'ALBA - All'alba erano partiti 1.716 migranti con la nave Excelsior della Grandi Navi Veloci. Poi dal molo di Cala Pisana è salpata la «Catania» della Grimaldi con 600 migranti, entrambe dirette a Taranto, mentre 200 sono stati portati via con due ponti aerei. Intanto, alla fonda davanti al porto di Lampedusa ci sono altre 3 navi: la «Clodia», la «Waitling Street», e la nave militare San Marco.

LA RUSSA - Sulle destinazioni degli immigrati spunta una novità. Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, al termine del Consiglio dei ministri dedicato all'emergenza, annuncia d'aver «fornito a Maroni un elenco di sette siti della Difesa, tutti al Nord» per ospitare i migranti.

BERLUSCONI - Nel frattempo, il premier Silvio Berlusconi, in una telefonata all'assemblea congressuale dei Cristiano-Popolari è tornato a parlare dei problemi degli immigrati. Il governo tunisino non sta mettendo in atto gli accordi sull'immigrazione stipulati con l'Italia, ha denunciato il Cavaliere. Scusandosi al telefono per la sua assenza, Berlusconi ha parlato del Cdm in corso «che sta affrontando - ha detto - il problema con la Tunisia. Il governo aveva assicurato di fermare le barche degli immigrati ma questo non è avvenuto. Il governo - ha aggiunto - ha garantito impegni finanziari per la ripresa economica delle città tunisine e di contro il governo tunisino deve accettare il rimpatrio dei suoi concittadini».

MARONI - Su questo aspetto della vicenda è intervenuto anche il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, al termine della riunione dell'esecutivo: «C'era l'impegno della Tunisia per il contrasto dei flussi illegali, ma finora ciò non è avvenuto, così come non c'è disponibilità ad accettare i rimpatri degli 19mila tunisini identificati. Ho chiesto quindi a Berlusconi di sollecitare il primo ministro, se necessario andando a Tunisi». Il titolare del viminale ha poi fornito alcune cifre. I profughi arrivati dalla Libia, soprattutto eritreri e somali sono circa duemila. «Abbiamo concordato un piano di emergenza con le Regioni - ha detto Maroni -, che si impegnano a trovare siti per ospitarli».

TENDOPOLI - Il ministro ha anche spiegato che il piano messo a punto per accogliere i migranti sbarcati a Lampedusa prevede una «disponibilità di diecimila posti in tendopoli, in tutte le Regioni italiane ad eccezione dell'Abruzzo». Il piano sarà illustrato venerdì alle Regioni e agli Enti locali in una riunione al Viminale. Alle ore 9 inoltre è convocata a Palazzo Chigi la prima riunione della cabina di regia sull'immigrazione cui prenderanno parte esponenti dell'esecutivo e rappresentanti degli enti locali. «Atteggiamenti di rifiuto - ha voluto sottolineare Maroni - non possono essere giustificati, è un'emergenza grave che richiede il concorso di tutte le Regioni». Da parte sua però il presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani, ha voluto subito replicare spiegando che «l'accordo con il governo riguarda i profughi. Le Regioni - ha precisato Errani - non hanno condiviso invece le questioni relative alle tendopoli per gli immigrati irregolari: quella è una scelta unilaterale del governo».

L'EUROPA - La gestione di flussi migratori irregolari e l'impegno europeo sulla solidarietà concreta nei confronti di Lampedusa saranno al centro della discussione che si svolgerà lunedì prossimo al Parlamento europeo a Strasburgo. L'11 aprile invece il Consiglio Affari interni, programmato a Lussemburgo sarà l'occasione per i 27 ministri Ue di affrontare la delicata questione del «burden sharing» per quanto riguarda i rifugiati, ovvero la ripartizione fra stati membri di chi ha diritto di ottenere la protezione internazionale.

Obama e la guerra in Libia


I nuovi patrioti costituzionali, pronti a insorgere contro il tiranno Berlusconi in un onirico remake del Risorgimento, si sono subito schierati con Obama sulla guerra di Libia per abbattere Gheddafi-Berlusconi, e chissà se tra poco, il nostro presidente della Repubblica recupererà come valore della Resistenza anche la guerra di Libia, finora deprecabile anticipazione del colonialismo fascista. Negli Stati Uniti, però, la guerra di Obama in Libia è considerata anticostituzionale e si sono levate autorevoli voci democratiche e repubblicane per denunciare la fine della Repubblica e l’inizio di una presidenza imperiale che agisce in politica estera senza consultare il Congresso. Su Foreign Policy, fondata da Samuel P. Huntington, non certo un pacifista, e su Stratfor, importante rivista di global intelligence, Bruce Ackerman e George Friedman hanno denunciato l’incostituzionalità della guerra di Obama in Libia e la minaccia incombente sull’America di essere trasformata in un impero, dove un solo uomo decide la guerra, con conseguenze tragiche come accadde con Mussolini e Hitler. Ackerman, docente di diritto e scienze politiche a Yale, autore nel 2010 di The Decline and the Fall of America Republica, vicino alle posizioni di Rawls, osserva che Obama ha ricevuto dall’Onu la legittimazione a bombardare la Libia, ma la Carta dell’Onu non sostituisce quella degli Stati Uniti, che dà al Congresso, non al presidente, il potere di dichiarare la guerra.

Dopo la guerra in Vietnam, il Congresso approvò il War Powers Resolution per il quale al presidente è concesso di inviare forze armate all’estero solo con l’autorizzazione del Congresso e soltanto in caso di una “emergenza nazionale creata da un attacco agli Stati Uniti, i suoi territori o possedimenti, o le sue forze armate” può decidere azioni militari di soli 60 giorni. Il War Powers Resolution prevede anche ulteriori 30 giorni per il ritiro, se il presidente non riesce a ottenere l’autorizzazione del Congresso o una dichiarazione di guerra. Come osserva Bruce Ackerman, è plateale la violazione della Costituzione nel caso della guerra di Libia, perché Gheddafi non ha attaccato gli Stati Uniti. Obama non ha neppure avvisato il Congresso della decisione di bombardare la Libia. Mentre Bersani & C. accusavano Berlusconi di non essere andato a parlare in Parlamento, scambiandolo col presidente degli Stati Uniti, che ha invece l’obbligo costituzionale di parlare al Congresso e sotto accusa per averlo completamente ignorato. Obama ha soltanto rivolto un discorso alla nazione lunedì, dove non ha mai menzionato i ribelli, perché – come si scrive nei forum americani – il presidente non sa chi sono e si è gettato in avventura poco chiara. C’è chi accusa Obama di essersi venduto alla Lega araba e chi di essersi venduto alla lobby ebraica e questo è grave in un paese multiculturale.

Lo sbrego alla costituzione americana di Obama ha superato per Ackerman quello di Clinton per il bombardamento del Kosovo, per il quale però il ministero della giustizia aveva assicurato che il Congresso aveva dato il consenso con appositi fondi. Nel caso della guerra di Libia, il Congresso non ha stanziato alcun fondo per bombardare Gheddafi: Obama sta usando soldi stanziati dal Pentagono per altri obiettivi, non per i bombardamenti. Il dissenso del Pentagono, grave durante una guerra, si può cogliere anche dal tanto materiale sui crimini dei kill team in Afghanistan uscito su Der Spiegel e sulla rivista Rolling Stones, scelta tempo fa dal generale Stanley McChrystal per sprezzanti esternazioni su Obama e Biden. Per George Friedman, non certo un pacifista ed esperto di intelligence, il tentativo di trasformare gli Stati Uniti in impero globale – come hanno mostrato tante operazioni, dal Kuwait, ad Haiti, al Kosovo, all’Afghanistan, all’Iraq – è stato un disastro. Si è persa soprattutto la ragione della razionalità della guerra che è quella di prevenire il nemico ad agire, non di punire uno stato in cui è in corso una rivolta interna. La discussione sulla guerra incostituzionale di Obama alla Libia non è una questione morale, rivela le preoccupazioni politiche per le possibili negative conseguenze per gli Stati Uniti. Forse sarebbe il caso che da noi i volenterosi patrioti della Costituzione, cominciassero a rendersi conto delle perplessità americane su Obama per questa operazione bellica priva di legittimità, per la quale il Congresso non ha votato fondi e sulla quale il Pentagono dà segni di scetticismo.

Clandestini, Frattini e Malmstrom


ROMA - I migranti gia' arrivati in Italia 'devono essere rimpatriati verso la Tunisia o distribuiti in altri paesi europei'. Lo ha detto il titolare della Farnesina, Franco Frattini, parlando a Mattino cinque, prima del consiglio dei Ministri sull'emergenza immigrazione. Frattini annuncia che il 4 aprile sara' a Roma per un colloquio un rappresentante degli insorti. Frattini spera che l'Ua chieda a Gheddafi di mettersi da parte ma sull'esilio finora c'e' solo una richiesta formale dell'Uganda.


TUNISI - L'Ue vuole aiutare concretamente i rifugiati: lo ha detto il commissario europeo per gli Affari interni, Cecilia Malmstrom, da ieri in Tunisia, in dichiarazioni riferite oggi dai media locali, aggiungendo che l'Europa potrebbe accogliere chi non puo' tornare in patria per motivi politici o legati alla guerra. Malmstrom ha anche detto che avviera' colloqui con il nuovo ministro dell'Interno tunisino, Habib Essid, sulle modalita' di rimpatrio degli immigrati tunisini a Lampedusa.

Smettiamola una volta per tutte di chiamarli rifugiati. Sono CLANDESTINI.

Pensioni d'oro


Prodi prende oltre 14mila euro di pensione al mese. Anzi: pensioni. Al plurale. Eh sì, perché il Professore di vitalizi ne incassa addirittura tre: uno da 5.283 euro come ex presiden­te della Commissione europea, uno da 4.725 euro come ex parlamentare e uno da 4.246 come ex professore universitario. Totale 14.254 euro lor­di. La somma lo deve imbarazzare non poco. E infatti poco tempo fa, in una dichiarazione Ansa del 24 no­vembre 2010, si è abbassato l’asse­gno previdenziale, esattamente co­me le donne si abbassano l’età: cita­va sì correttamente i 5.283 della com­missione europea, ma poi parlava di 1.797 euro lordi da ex parlamentare e di 2.811 lordi come ex professore universitario, mostrando una prematura ma quantomai conveniente smemoratezza senile: in realtà quelle cifre cui lui si riferisce sono al netto. E al lordo corrispondono appunto a 4.725 (esattamente 4.725,04) e 4.246 (esattamente 4.246,43) euro mensili.

Tutti strameritati, per carità: non c’è trucco, non c’è inganno. Ma allora, perché, Professore, dire le bugie? A sfrucugliare nei meandri della previdenza italiana si fanno scoperte assai interessanti. Per esempio, il cumulo di vitalizi d’oro è una consuetudine piuttosto diffusa, anche fra coloro che fanno professione di pauperismo operaio. Prendete il vecchio Cossutta: l’uomo dei rubli incassa una pensione Inps dal 1980, cioè dall’anno in cui a Mosca c’era ancora Breznev, Aldo Maldera era il capitano del Milan e Bobby Solo a Sanremo cantava «Gelosia». E lo sapete perché incassa quella pensione? Grazie alla famosa legge Mosca, con cui l’odiato Stato borghese ha riconosciuto a dirigenti di partito e sindacalisti contributi mai versati. Dal 2008, poi, il tovarisc Armando di pensioni ne riceve due: all’assegno dell’Inps unisce infatti il sostanzioso vitalizio parlamentare, 9.604 euro lordi al mese, una cifra che è quasi una beffa per il compagno operaio.

Ma tant’è: per non farsi mancare nulla, al momento di lasciare il Parlamento, dove aveva piantato le tende da ben 10 legislature, Cossutta ha anche incassato una liquidazione monstre pari a 345.744 euro, pudicamente definita «assegno di solidarietà». Eccome no: solidarietà. Ma con chi? Con il suo conto corrente? Due pensioni riceve anche Luciano Violante: 9.363 euro lordi come ex parlamentare e 7.317 come ex magistrato, per un totale di 16.680 euro lordi al mese. Tre pensioni riceve l’economista finiano Mario Baldassarri, che con Prodi condivise la famosa seduta spiritica sui colli bolognesi durante il rapimento Moro: diventato presidente della Commissione finanze, non ha fatto un gran che per risanare i bilanci pubblici, ma per quel che riguarda i bilanci privati, beh, non si può certo lamentare. Due pensioni vanno in tasca al compagno Giovanni Russo Spena: quella parlamentare ( pari a 5.510 euro netti dal 2008) si va a sommare a quella da professore universitario (2.277 euro netti dal 2002, cioè da quando aveva 57 anni), per un totale di quasi 8mila euro netti.

Sommano una pensione all’indennità parlamentare sia Rocco Buttiglione (3.258 euro netti come professore universitario dal 2007) sia Franco Marini (circa 2.500 euro grazie alla legge Mosca dal 1991, cioè da quando aveva 57 anni). Ancor più giovane è andato in pensione Sergio D’Antoni, deputato del Pd, vicepresidente della commissione Finanza, già sindacalista assai favorevole ai rigori sulla previdenza altrui: prende una pensione Inpdap di 5.233 euro netti al mese (8.595 euro lordi al mese, 103.148 euro lordi l’anno) dal 1º aprile 2001, cioè da quando aveva 55 anni. Ma il bello è che la pensione è stata liquidata sulla base di (udite bene) 40 anni di servizio. 40 anni di servizio? A 55 anni? E dunque D’Antoni era in università a 15 anni? E faceva già il docente? Possibile? Forse siamo davanti a un genio precoce della scienza giuridica e non ce ne siamo mai accorti? Si badi bene: lo scandalo qui non sono tanto i 5.233 euro netti di pensione Inpdap (che pure non sono pochi per un sindacalista che ha sostenuto la necessità di tagliare le pensioni dei lavoratori) e nemmeno il fatto che essi vadano a sommarsi senza colpo ferire all’indennità parlamentare.

mercoledì 30 marzo 2011

Immigrati economici


L'accusa parte dal ministro degli Esteri, Franco Frattini, che ai microfoni di Sky Tg24 ha detto: "L’Europa è assolutamente inerte in questo periodo". Il titolare della Farnesina ha commentato le parole del commissario europeo all’Immigrazione, Cecilia Malstrom - che aveva invitato l’Italia a non procedere a respingimenti di massa usando le risorse messe a disposizione da Bruxelles - come la "tipica espressione di una burocrazia europea che pensa che coi denari si possa risolvere tutto". Ma questo non basta, secondo Frattini "ci vogliono interventi politici. L’Europa dev’essere un’Europa politica, deve darsi carico di un problema, parlare ad esempio ai francesi che stanno mettendo un muro a Ventimiglia quando è noto che l’80% degli immigrati clandestini che arrivano a Lampedusa parlano francese e quindi hanno magari parenti in città della Francia". Il ministro ha precisato che non vuole portare tutti gli immigrati oltralpe, "ma dico creiamo una programmazione europea che permetta di affrontare questa questione, il tema della solidarietà tra paesi europei. Questo spetta all’Europa. Non si può dire 'l’Italia ha avuto 7 milioni di euro, si arrangi, faccia lei'.

La replica della Ue. Immediata la risposta dell’Unione europea che ribadisce che la responsabilità di gestire l’emergenza è dell’Italia. "Quanto abbiamo visto finora e che le persone arrivate in Italia dalla Tunisia sono per lo più migranti per motivi economici - ha detto Matthiew Newman, portavoce competente della commissione europea - quindi se ne stanno occupando le autorità italiane e sono loro responsabili". Quello che la Commissione europea sta facendo è mettere a disposizione dei fondi specifici per il rimpatrio volontario dei migranti. L’Italia, come ha ricordato il portavoce della Commissione, ha a disposizione per il 2011 6,9 mln di euro e nel 2010 ne ha avuti 6,7 nell’ambito del fondo Ue ad hoc per i rimpatri. Inoltre Newman ha ribadito che ci sono ulteriori 25 mln di euro disponibili per tutti gli Stati membri per misure di emergenza. "C’è quindi una risposta europea e ci sono fondi disponibili", ha concluso il portavoce. Il portavoce della Commissione ha quindi precisato che per gli anni 2010 e 2011 la cifra complessiva messa a disposizione da Bruxelles per l’Italia sotto il programma che raggruppa tutti i vari fondi Ue per la solidarietà e l’immigrazione ammonta a 80 mln di euro.

Nel frattempo in Siria, Assad denuncia un complotto ai danni della nazione.

Perchè i francesi si...

... e noi no. Copio e incollo un post preso dal blog di Giovanni:


Sapete perché la Francia può chiudere le frontiere? Sapete perché la Francia può rispedire in Italia gli immigrati? Grazie ad un accordo bilaterale con l’Italia del 1997. Firmato da Romano Prodi. Complimenti per la bella idea. Grazie, Prodi. Tutti sono giustamente indignati per come gli esportatori di diritti umani e di libertà francesi si stanno comportando alla frontiera con l’Italia, nei pressi di Ventimiglia. Non fanno passare nessun clandestino, chiudono la dogana e rimandano indietro tutti, indistintamente. Tunisini, Eritrei, Libici. Tutti. D’altronde, qualche settimana fa, il Ministro degli Interni Guéant si è presentato a Mentone sostenendo che “nessun clandestino passerà mai quel confine”. Lessico abbastanza stupefacente per un esponente chiave del Governo dei moderni missionari salvavita. Eppure, può farlo. Che ci piaccia o no, la Francia ha tutto il diritto di rispedire in Italia gli immigrati clandestini che tentano di passare il confine. E sapete grazie a chi Parigi può lavarsene le mani? Grazie a Romano Prodi. Eh già, sempre lui. Nel 1997, infatti, firmò a Chambery un accordo bilaterale con cui si istituivano sulla linea di confine due Centri di Cooperazione di Polizia di Dogana, uno a Ventimiglia, l’altro a Modane.E sapete qual è uno dei principali compiti assegnati a questi centri? La riammissione di stranieri irregolari. Sostanzialmente, l’Accordo consente di “ricondurre nel territorio dell’altro Paese persone rintracciate sul proprio territorio in posizione irregolare di cui si possa provare, attraverso una serie di elementi oggettivi, la provenienza dall’altro Stato”. E tra le prove oggettive, pensate un po’, è compreso un semplicissimo biglietto ferroviario. Insomma, se un clandestino da Lampedusa si presenta alla dogana francese, i gendarmi transalpini hanno tutto il diritto di rimandarcelo indietro. E questo grazie alla favolosa politica dell’allora Premier Prodi, dell’allora Ministro dell’Interno Giorgio Napolitano e dell’allora Ministro della Solidarietà Sociale Livia Turco. E’ grazie a questo fantastico trittico se oggi il vecchio confine di Ventimiglia è diventato una barriera insuperabile per le migliaia di clandestini che dall’Italia vogliono trasferirsi in Francia. Il bello è chenon possiamo farci niente, neppure lamentarci. Complimenti davvero per la genialata. Rispondiamo alle contestazioni o ai dubbi di chi sostiene che le disposizioni in materia di riammissione degli stranieri irregolari non si troverebbero nel dettato dell’Accordo di Chambery sottoscritto da Prodi il 3 ottobre 1997. Queste disposizioni si trovano nell’Annesso al medesimo Accordo, come testimoniato dalla Gazzetta Ufficiale n. 164 del 15.07.2000.

Napolitano chi?

Meglio tacere e dare impressione d'essere scemo, piuttosto che aprire bocca e togliere ogni dubbio. E noi tutti i dubbi su di lui ce li siamo già tolti da un pezzo. Poteva tacere e non ha voluto farlo. Peccato, ha perso una buona occasione.

Napolitano, Lampedusa frontiera europea

NEW YORK - 'Quello degli sbarchi a Lampedusa non e' solo un problema italiano, perche' a Lampedusa non c'e' solo la frontiera dell'Italia, ma anche quella dell'Europa'. Esordisce cosi' il presidente Napolitano in un'intervista alla New York University in occasione del conferimento di una medaglia d'onore. Napolitano dice di non capire la scelta della Germania di non partecipare all'intervento militare in Libia e critica il fatto che i principali paesi membri dell'UE si siano divisi sull'intervento.

"Napolitano dice di non capire la scelta della germania e critica il fatto che i paesi dell'ue si siano divisi sull'intervento"... forse perchè l'europa non doveva intervenire e perchè la ue esiste solo sulla carta e per giunta carta igienica, caro il mio leccapiedi ammerigano?

martedì 29 marzo 2011

Parigi e i suoi respingimenti


MILANO - L'emergenza immigrati non riguarda solo Lampedusa. La situazione è infatti assai critica anche a Ventimiglia . «Gli arrivi sono iniziati il 15 febbraio - spiega il sindaco Gaetano Scullino (Pdl) - e, a parte i primi giorni in cui c'è stato un picco fino a 120 arrivi al giorno, la situazione si è stabilizzata e oggi ne registriamo circa 100 al giorno». La paura del primo cittadino è però che questo numero possa aumentare. «Se ciò accadesse - avverte -, a Ventimiglia non saremmo più in condizione di gestire la situazione».

«PREOCCUPATI DAI RESPINGIMENTI» - Solo la notte scorsa nella città di confine sono arrivati 200 migranti. Fuggiti da Lampedusa, sono tutti diretti in Francia, ma la politica di respingimento del paese d'Oltralpe costringe gli stranieri a sostare a Ventimiglia. «In città - spiega Scullino - ci si accorge che qualcosa è cambiato. Fortunatamente, fino ad oggi, non ci sono state situazioni di tensione, eccetto i primi giorni. Vedendo quello che succede a Lampedusa e in Sicilia, siamo molto preoccupati. C'è il rischio che altre duemila o tremila persone dirette verso la Francia, la Germania, il Belgio o l'Olanda scelgano di passare dai valici di Ventimiglia. Ma la Francia ha ristabilito controlli ferrei: i nostri sei valici sono tutti presidiati dalla polizia francese che ogni giorno procede con i respingimenti. Questo ci preoccupa».

«CONTINUO ANDIRIVIENI» - Sul fronte dell'accoglienza, Scullino chiarisce che la sua città non è «nella condizione di organizzare centri e, comunque - ammette -, non abbiamo le strutture adatte. Molti immigrati rimangono solo una giornata, in attesa di parenti o amici che dall'estero li vengano a prendere. Per il momento abbiamo allestito un salone all'interno della stazione ferroviaria, nei locali dell'ex dogana francese, dove offriamo loro un po' di pasta, un tè caldo. È una cosa minima perché, per ora, si tratta di poche decine di persone. Quelli che vengono respinti dai gendarmi francesi, provano diverse volte a passare il confine e prima o poi ci riescono. È un continuo andare avanti e indietro. In realtà - afferma il primo cittadino di Ventimiglia - si tratta di clandestini, tunisini, egiziani che qui non dovrebbero nemmeno arrivare. Andrebbe semplicemente applicata la legge. Bisogna imbarcarli sulle navi e rimandarli nei loro paesi d'origine. Noi, da soli, non ce la facciamo. È inaccettabile - conclude Scullino - che questo problema sia affrontato solo a livello italiano. È un problema europeo, da risolvere tutti insieme».

LA MOSSA DELLA LEGA - Sul caso Ventimiglia interviene anche la Lega. Nel consiglio regionale ligure di giovedì il Carroccio presenterà un ordine del giorno con cui intende impegnare il presidente e la giunta ad «attivarsi presso il governo per i rimpatri coatti dei nordafricani che invadono la Liguria». Secondo Edoardo Rixi «la situazione a Ventimiglia è insostenibile. Ci sono oltre mille clandestini nordafricani che scorrazzano per la città e si accampano abusivamente nella stazione ferroviaria, con tutti i relativi problemi legati alla sicurezza e sanitari, tanto che le autorità temono un contagio di tubercolosi e scabbia».

Altri vermi


Roma - Il riconoscimento degli immigrati come "cittadini", portatori di "diritti e doveri", è un traguardo che non può essere "ulteriormente dilazionato". Riuniti a Roma nel Consiglio Episcopale Permanente i vescovi hanno dedicato la loro giornata di lavori alla discussione sui tempi proposti dalla prolusioni di ieri del cardinale presidente Angelo Bagnasco. La Cei ha lanciato un durissimo monito al parlamento invitando a equiparare gli immigrati ai cittadini

I vescovi chiedono accoglienza. Sulla delicata questione dell’immigrazione, i vescovi hanno sottolineato che "la pace e l’accoglienza risultano strettamente collegate: ci si apre all’una, solo se si è aperti anche all’altra". Per la Cei, infatti, "la necessità di una nuova stagione di inclusione sociale che porti al riconoscimento degli immigrati come cittadini, soggetti di diritti e di doveri, è un obiettivo che non potrà essere ulteriormente dilazionato". Della prolusione di Bagnasco, nei molti interventi di oggi è stato apprezzato l’approccio generale e, in particolare, la trattazione di alcuni temi come lo specifico contributo della Chiesa al nostro Paese e "la richiesta di abbandono delle armi con l’avvio di una soluzione diplomatica per la questione libica".

Il ruolo delle parrocchie. Sullo specifico dell’azione ecclesiale è stata valorizzata da vari vescovi l’immagine delle parrocchie "come palestre dello Spirito", dove "avvengono miracoli perché si cerca il Signore". L’attività pastorale, dunque, non è "una distesa polverosa di fatti burocratici che si ripetono", ma "una serie provvidenziale di eventi che aiutano le persone ad uscire dall’individualismo", ripartendo dalla realtà. Per far questo - è stato sottolineato - si richiede anche uno sforzo di pensiero che tragga spunto dalla rivelazione cristiana. "Solo un discernimento attento che faccia perno sulle categorie cristiane di fondo evita di andare a rimorchio dei luoghi comuni o dei pregiudizi più diffusi, facendosi interpreti di un giudizio originale e controcorrente", spiega monsignor. Pompili. Così, ad esempio, "il problema demografico è un segno dell’erosione antropologica che dovrà mettere in conto non solo politiche familiari più attente, ma anche una cultura della vita più diffusa". Secondo i vescovi, inoltre, il decennio appena avviato sarà l’occasione non tanto per riflessioni accademiche sull’educare quanto piuttosto per concrete esperienze educative che "sappiano valorizzare l’ordinarietà della vita ecclesiale per una rinnovata stagione di evangelizzazione".

Immigrazione clandestina


Roma - Il problema si chiama Lampedusa. "Una bomba pronta a esplodere" diceva la Regione Sicilia nei giorni scorsi. Una bomba che sta deflagrando nei palazzi della politica. E a cui il governo tenta di dare una risposta. L'idea di Silvio Berlusconi, che ha convocato per domani un Consiglio die ministri straordinario, è il "catenaccio navale", come spiega una ricostruzione de il Foglio. Un pattugliamento costante del Canale di Sicilia tutto intorno a Lampedusa per intercettare i barconi carichi di disperati in fuga dal Nord Africa "dirottandoli" direttamente nei centri d'accoglienza in giro per l'Italia.

Piano in più punti. Una soluzione, quella del catenaccio navale, che fa parte di un piano più articolato. Intanto c'è da "svuotare" Lampedusa dove, da sabato, sono giunte oltre 4mila persone. A questo si provvederà domani, come annunciato dal prefetto straordinario per l'emergenza Giuseppe Caruso. Sei navi trasferiranno gli immigrati nei 13 centri d'accoglienza distribuiti in tutta Italia individuati dal ministro dell'Interno, Roberto Maroni, insieme ai prefetti. Ma sul tavolo del Cdm di domani finirà anche la verifica dell'accordo siglato da Maroni e Frattini con Tunisi per il pattugliamento delle coste del Paese magrebino. Un'operazione che, secondo fonti italiane, sarebbe molto poco efficace.

L'opposizione non collabora. Il Pd, con il segretario Pierluigi Bersani, sta alla finestra sull'emergenza immigrazione. Non tende la mano e, anzi, critica le scelte dell'esecutivo: "Noi siamo disposti a una politica di solidarietà a una condizione: che il governo non tenga i piedi in due scarpe perché non è accettabile che un presidente di Regione debba allestire la solidarietà e sentire esponenti di governo che sparano contro". Per Bersani il governo ha mostrato "assoluta irresponsabilità. Non è possibile aver agitato la questione da mesi e trovarsi ora a Lampedusa in una situazione più che drammatica con due medici, due infermieri, tre barche e centinaia di persone in arrivo. Noi abbiamo avuto altre emergenze in questi anni, ma non ci siamo mai trovati in situazioni del genere. Non si può avere un governo dove c’è chi vuole dare soldi e chi vuole dare sberle, dove c’è Maroni che chiede solidarietà alla Regioni e Bossi che dice che bisogna mandarli a casa, dove c’è Tremonti che dice che li aiuterà a casa loro, ma poi taglia i soldi alla cooperazione. Non è accettabile che l’esecutivo tenga il piede in due scarpe. Se vogliono la solidarietà nazionale e internazionale, com’è giusto che sia, devono metterci la faccia, dare i messaggi giusti e agire con organizzazione e solidarietà. Perché se vogliono coltivare un problema non lo possono risolvere".

Vendola: "Permesso agli immigrati". Un permesso di soggiorno temporaneo per gli immigrati giunti nella tendopoli, ancora in allestimento, a Manduria. Questa la proposta del presidente della Regione Puglia e leader di Sel, Nichi Vendola, dopo la visita al centro di accoglienza temporaneo. "Continuiamo a chiedere al ministro Maroni perché non si prova ad immaginare, come si è fatto per altre emergenze umanitarie in Italia, di attivare quel permesso di soggiorno per protezione umanitaria che è stato lo strumento utile per affrontare le situazione di crisi?". Il permesso di soggiorno temporaneo è previsto dall’ articolo 20 del testo unico sull’immigrazione ed è stato applicato già per l’emergenza-immigrati provenienti dal Kosovo. "Questa gente non è un pericolo, sta scappando dal pericolo - ha detto ancora Vendola - dal pericolo della fame, della violenza, della vendetta politica, della guerra. La maggior parte dei tunisini che sono sul territorio italiano non sono qui per delinquere, stanno qui cercando un transito per le loro famiglie".

Alla faccia di Schengen

Continuo a chiedermi perchè certi governi possono, respingere, non accogliere, sparare, cacciare e bloccare e certi altri devono accogliere per forza? E loro (quelli che si sono ribellati e sono liberi di ricostruirsi le vite nei loro paesi), grazie alle rivoluzioni fiorate in nome delle democrazie, portano degrado e disperazione in giro per l'italia.


In prima fila quando c’è da mostrare i muscoli a Gheddafi e bombardare la Libia. Nascosta dietro l’angolo quando i profughi arrivano dalle nostre parti e addirittura pronta a cacciarli in malo modo, sperando che se ne faccia carico solo l’Italia. È la fotografia della Francia in questi giorni. E Ventimiglia, terra di frontiera fra i due Paesi, è il perfetto fermo immagine di questa surreale situazione. Basta passeggiare per le vie del centro di Ventimiglia, a meno di dieci chilometri dal confine con la Francia, per capire i riflessi che sta provocando la situazione del nord Africa. La cittadina è ormai da circa un mese assediata da immigrati diretti nel nord Europa, ma riportati in Italia dalle autorità francesi. «Loro fanno le guerre per il petrolio e noi dobbiamo pagare le conseguenze - spiega un edicolante vicino alla stazione, mentre osserva il via vai di nordafricani -. Ormai sono giorni e giorni che viviamo assediati da migliaia di magrebini che vivono per terra in attesa di chissà che cosa». Una Francia che quindi fa da imbuto e che riporta in Italia tutti i clandestini che trova sul suo territorio, approfittando magari di questa situazione per fare un po’ di pulizia interna: alcuni dei riammessi provenivano infatti da Parigi. È capitato che alcuni extracomunitari siano stati condotti entro i nostri confini solo perché trovati con uno scontrino fiscale italiano in tasca. I primi sono arrivati il 15 febbraio e, fino a oggi, la polizia ne ha identificato 3300 con una media di circa un centinaio al giorno, anche se nelle ultime 24 ore se ne sono contati duecento. A questi bisogna poi aggiungere tutte le riammissioni effettuate nel nostro Paese dalle autorità francesi, ufficiali e no. Sembra infatti che spesso gli immigrati fermati in Francia vengano «informalmente» fatti salire su treni diretti in Italia o addirittura portati fisicamente e lasciati a pochi metri dal confine. Persone che vengono identificate e poi espulse, ma che in realtà, vista la saturazione dei vari centri d’accoglienza italiani, divengono potenziale manovalanza a basso costo per la criminalità.

A Ventimiglia la situazione più difficile si sta vivendo alla stazione, divenuta ormai un dormitorio, con condizioni igieniche al limite, tanto che il sindaco Gaetano Scullino ha dovuto allestire i locali inutilizzati dell’ex dogana per evitare che la città si trasformi in un bivacco a cielo aperto. «Anche se siamo molto impegnati con le attività legate alla riammissione - spiega il dirigente della polizia di frontiera Pierpaolo Fanzone - in questo momento non tralasciamo i controlli anche in entrata nel territorio nazionale e le attività investigative, legate alla commissione di reati specifici come quello dei passeur, che portano le persone da un lato all’altro. Solo in questi ultimi 10 giorni, infatti, ne abbiamo arrestati otto con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina». Passeur, anche loro di nazionalità tunisina, che chiedono fino a 150 euro a viaggio per un passaggio oltre confine. «Sono cinque giorni che vivo qui a Ventimiglia per strada - dice Hamed - io voglio solo raggiungere la Francia dove ho alcuni amici che mi possono ospitare. Siamo bloccati qui, senza sapere cosa mangiare e dove andare a dormire». «Credevo che qui ci fosse lavoro, ma invece non è così - prosegue Jamel -, sono andato in Francia ma mi hanno riportato in Italia e adesso non so cosa fare». Il sistema rischia di andare in tilt, con la polizia di frontiera che, nonostante abbia già ricevuto rinforzi, conta solo 80 uomini. «Anche se c’è stata una tendenza generale a sminuire il problema, questo sta diventando un’emergenza dalle prospettive incerte, ingestibili e lasciate al caso» racconta Nicola Colangelo, segretario provinciale del sindacato «Nfa Autonomi di Polizia», che chiede un aumento di organico per fronteggiare la situazione. «Abbiamo anche proposto l’utilizzo di militari dell’esercito, come a Lampedusa, in ausilio alle forze di Polizia con esclusivi compiti di vigilanza». I sindacati ora sono preoccupati anche per i possibili problemi sanitari per gli agenti, a rischio di contagio di tubercolosi e scabbia come già avvenuto in alcune carceri italiane e nei centri di accoglienza. E si ribella anche Sanremo: «Sia chiaro che noi libici e tunisini non li vogliamo - mette le mani avanti il sindaco Maurizio Zoccarato -. Se li tengano altrove, qui da noi non c’è spazio. Io devo pensare ai miei cittadini e al turismo di cui vive questa città». Il timore è che questo sia solo l’inizio.

lunedì 28 marzo 2011

Geert Wilders


Personaggio controverso, perfino provocatorio, il politico olandese Geert Wilders rappresenta una nuova idea di Europa che ha messo in discussione i dogmi del multiculturalismo. In poco tempo, il suo partito ha conquistato 24 seggi nella Camera Bassa del Parlamento olandese diventando decisivo per la tenuta del governo di coalizione formato da liberali e cristiano-democratici. Dal 2004, Wilders vive sotto scorta dopo aver ricevuto un'infinita serie di minacce dalle sigle dell'estremismo islamico. Con lui parliamo di islam, immigrazione, libertà di parola. Guardando alle rivoluzioni che stanno sconvolgendo il mondo arabo e musulmano. Ieri Wilders ha tenuto la Lettura Annuale della fondazione Magna Carta, nella Chiesa di Santa Marta a Roma.

Lei sostiene da tempo il fallimento della società multiculturale. Perché? Multiculturalismo è un termine che ha molti significati ma viene comunemente usato per riferirsi a una specifica ideologia politica che promuove l’idea secondo cui tutte le culture sono uguali. E se tutte le culture sono uguali ne consegue che lo Stato non dovrebbe dare centralità ad alcun valore culturale specifico. In altri termini: secondo i multiculturalisti lo Stato non dovrebbe promuovere alcuna leitkultur – o cultura guida – cioè a dire quella cultura che gli immigrati dovrebbero accettare se intendono venire da noi e vivere insieme. Si tratta di una ideologia, il relativismo culturale, che la cancelliera tedesca Angela Merkel ha recentemente messo in discussione quando ha affermato che il multiculturalismo è stato un “fallimento assoluto ”. La Merkel ha realizzato – finalmente! – un dato che molta gente comune, come i nostri elettori, ormai aveva capito da anni. I cittadini comuni sanno cos’è il multiculturalismo: immigrati che non accettano i nostri valori, autorizzati a mantenere i propri anche se possono entrare in conflitto con quelli del Paese che li ospita. Il risultato paradossale è che li accogliamo e dobbiamo piegarci ai loro costumi. E' accaduto questo nei centri storici delle nostre città. Il multiculturalismo ci ha indeboliti a tal punto da spingerci a tollerare l’intolleranza. E ora l’intolleranza ha prevalso.

Cosa non ha funzionato nelle politiche dei paesi europei quando si parla di immigrazione e integrazione? Lo scorso mese il presidente francese Nicolas Sarkozy ha detto: “Siamo stati troppo attenti all’identità dei migranti e non abbastanza a quella del Paese che li stava accogliendo”. Un coro rafforzato dal primo ministro britannico David Cameron: “Abbiamo accettato l’indebolimento della nostra identità collettiva”. Biasimo questi politici a cui è servito così tanto tempo – troppo – per accorgersi di quanto stava accadendo. Hanno tradito i ceti popolari e i “colletti blu” che sono diventati le vittime delle politiche multiculturali. Un’indagine condotta nei Paesi Bassi nel 1988 mostrava che quasi tre olandesi su quattro volevano una restrizione dei flussi migratori, e ciononostante alla maggioranza degli immigrati è stato permesso di entrare in Olanda proprio a partire da quella data. Nel frattempo, un terzo dei nativi olandesi ha lasciato i quartieri dove generalmente vivevano i ceti popolari e la classe lavoratrice, mentre le fasce della popolazione immigrata diventavano predominanti imponendo la propria cultura su quella locale. Ce l’ho con i politici di cui parlavo prima anche perché, nonostante tutto, continuano a sostenere il dogma del multiculturalismo, un dogma uguale a quello che vuole l’Islam religione di pace. Cameron, tanto per fare un esempio, se la prende con “l’estremismo islamico” che crea problemi in Gran Bretagna, ma rifiuta di vedere che l’islam è un problema in sé, perché un islam moderato semplicemente non esiste. Questa settimana un prestigioso istituto di sondaggi dei Paesi Bassi ha rivelato che il 50% degli olandesi ritiene che l’islam e la democrazia siano incompatibili, mentre il 42% invece pensa il contrario. Addirittura due terzi degli elettori del partito liberale e del partito cristiano-democratico sono convinti che l’islam e la democrazia non siano compatibili.

Perché ha lasciato il partito liberale e cosa l’ha spinta a creare un nuovo movimento politico? Ho lasciato il partito nel 2004 per diverse ragioni ma l’ultima e la più importante è stato il dibattito sull’ingresso della Turchia nell’Unione europea. Mi opponevo a questa eventualità ma il VVD decise che l’avrebbe sostenuta. Per me si trattava di una scelta inaccettabile ed è per questo che sono uscito dal partito, perché non volevo tradire i miei elettori. Tutti le maggiori formazioni politiche in Olanda sostengono l’adesione della Turchia nell’Unione europea, benché la maggioranza degli olandesi sia contraria. Io sto dalla parte delle persone. Lasciai il VVD, dunque, e a quel punto mi trovai da solo in mare aperto. Decisi di fondare il "Partito per la libertà". Nel 2006 vincemmo 9 seggi sui 150 della Camera dei Rappresentanti olandese. Nel 2010, ne abbiamo vinti ben 24. Siamo il partito che cresce di più nel panorama politico olandese. Non abbiamo paura di dire la verità sul multiculturalismo e sull’islam e difendiamo le libertà tradizionali e i valori del popolo olandese.

Quant’è importante la libertà di parola per salvaguardare i valori della civiltà occidentale? La libertà di parola è il più importante dei nostri diritti civili. Essere liberi di parlare definisce le nostre società moderne in quanto tali. Senza diritto di parola non può esserci democrazia, non può esserci libertà. Come disse una volta George Orwell: “Se la libertà ha un significato è certamente quello di avere il diritto di dire alla gente ciò che non vuol sentirsi dire”. Ripeto spesso le parole incise sopra la lapide del politico olandese anti-islamico Pyn Fortuyn, che riposa qui in Italia: “loquendi libertatum custodiamus”, custodiamo la libertà di parola. E’ nostro dovere difenderla.

Invece adesso si corre il rischio di finire addirittura in tribunale... Purtroppo, la libertà di parola non è più così scontata in Europa. Quel che un tempo pensavamo fosse una componente naturale della nostra esistenza è diventato qualcosa per cui bisogna tornare a combattere. Le persone che dicono la verità sull’islam vengono trascinate nelle aule di giustizia per i cosiddetti crimini di "incitamento all’odio". Recentemente, il giornalista danese Lars Hedegaard, presidente della International Free Press Society, ha dovuto far fronte a un processo a Copenhagen perché ha osato criticare l’islam. Il signor Hedegaard è stato prosciolto ma solo grazie a un cavillo. Non sapeva che le sue parole, espresse in una conversazione privata, in realtà erano state oggetto di una registrazione. I suoi accusatori hanno impugnato il verdetto e il mese prossimo Hedegaard dovrà vedersela con la Corte suprema danese. Di recente, Elisabeth Sabaditsch-Wolff, un’attivista viennese per i diritti umani, è stata multata per aver osato dire che il profeta Maometto era un pedofilo perché sposò una bambina di appena 9 anni.

E il suo processo invece come va? Il mio processo ad Amsterdam va avanti pur costituendo una bella perdita di tempo, tempo che potrei spendere meglio per rappresentare il milione e mezzo di elettori che mi ha votato. Il risultato perverso di questa situazione, comunque, è che oggi in Europa è praticamente impossibile avere un dibattito franco sulla natura dell’islam o sugli effetti che i fedeli musulmani hanno sull’immigrazione in generale. La libertà è fonte di creatività umana e di sviluppo. I popoli e le nazioni appassiscono senza libertà. C'è davvero ragione di temere se il prezzo che siamo chiamati a pagare per integrare l’islam è l’erosione della nostra libertà di parola. E bisogna preoccuparsi se coloro che negano che l’islam sia il problema non ci garantiscono neanche il diritto a dibattere la questione.

Servirebbe una campagna per promuovere i valori occidentali? Una campagna del genere sarebbe certamente importante, ma è qualcosa che dovrebbe svilupparsi già nelle nostre scuole e università. Dovrebbero insegnare i valori occidentali ai nostri bambini. Purtroppo il multiculturalismo ha intaccato le scuole, le università e talvolta, ebbene sì, anche la chiesa stessa. Tutti temono, al limite della riluttanza, di promuovere i valori dell’occidente per una semplice ragione: non credono più nella superiorità della cultura giudaico–cristiana e della cultura umanistica.

Guardiamo a quel che sta accadendo in questi giorni nel mondo arabo e musulmano. Lei pensa che l’islam possa essere riformato? Non penso che l’islam possa essere riformato. I popoli arabi bramano la libertà. Niente di più naturale. Ma rimane la questione di fondo, ovvero che l’ideologia e la cultura dell’islam è talmente interiorizzata da queste società che una vera libertà è semplicemente impossibile. Fintantoché l’islam rimarrà dominante non potrà esserci vera libertà. Guardiamo in faccia la realtà. Lo scorso 8 marzo, la festa della donna, 300 donne hanno dimostrato a piazza Tahrir al Cairo, nell’Egitto post-Mubarak. Dopo pochissimi minuti, sono state caricate da un gruppo di uomini barbuti che le hanno colpite e condotte via. Alcune di loro, a quanto pare, sono state addirittura molestate sessualmente. La polizia è rimasta a guardare. Questo è il nuovo Egitto. Un giorno le persone protestano per chiedere più libertà; quello appresso, gli stessi che chiedevano libertà picchiano le loro donne, che a loro volta erano in piazza invocando la stessa cosa.

Libertà e democrazia avranno spazio in Nordafrica o finiremo col sentire la mancanza di Mubarak e Gheddafi? Quello che ho detto non significa che io senta la mancanza di Mubarak. Mi dispiace molto sapere che Gheddafi sia ancora al potere. Quel tipo è assolutamente pazzo. Ma l’ingenuità è un lusso che non posso permettermi. Temo che difficilmente, nei paesi islamici, la democrazia si tradurrà in libertà. Un sondaggio condotto dall’American Pew Research Center ha messo in luce che il 59 per cento degli egiziani preferisce la democrazia a qualsiasi altra forma di governo. Detto questo, l’85 per cento afferma che l’influenza dell’islam in politica è una cosa buona, l’82 per cento che le adultere dovrebbero essere linciate, l’84 per cento vorrebbe la pena di morte per gli apostati e il 77 per cento pensa che i ladri dovrebbero essere fustigati o che gli andrebbero mozzate le mani.

Che posizione dovrebbero assumere l’Europa e gli Stati Uniti davanti a una crisi come quella libica? E di cosa ha più bisogno il mondo, dell’incertezza di Obama o della determinazione della prima ora di Bush jr.? Il mio partito ha sostenuto l’imposizione di una no-fly-zone sopra i cieli di Libia. Il mondo deve fermare Gheddafi – questo “cane rabbioso” come lo chiamò Ronald Reagan – e deve impedirgli di uccidere la propria gente. Comunque, andiamo a vedere cosa recita la risoluzione dell’Onu 1973 della scorsa settimana. Il testo dice che la responsabilità primaria degli “Stati della regione” è quella di dar corso alla risoluzione. Qualcuno mi spieghi perché un paese come l’Olanda deve contribuire con 6 jet da combattimento F16 per imporre l’embargo sulle vendite e il trasporto di armi verso la Libia, mentre un paese come l’Arabia Saudita non mette neppure un singolo velivolo della sua flotta di quasi 300 aerei. Altri arabi muoiono, ma i Paesi del mondo musulmano si sottraggono alle proprie responsabilità. Come ho già detto non dovremmo nutrire l’illusione che vi possa essere vera libertà e vera democrazia in un Paese fintantoché l’islam resta dominante. Stiamone pur certi. Non credo di dire chissà quale enormità quando spiego che, con buona probabilità, i risultati dello studio del Pew sull’Egitto potrebbero valere anche per la popolazione libica. Non è certo nel nostro interesse portare al potere i Fratelli Musulmani a Tripoli e che in Libia si installi un califfato.

Non Le sembra di essere un po' troppo pessimista? Guardi, io vado spesso in Medio Oriente. Conosco il potenziale che hanno questi paesi e questi popoli. Guardiamo alla prosperità di uno stato come Israele, che vive in condizioni geografiche e climatiche simili a quelle di un paese arabo. Benché Israele non goda di pozzi di petrolio, gli israeliani hanno costruito per sé e per i propri figli una nazione prospera, democratica e libera. Se solo le società arabe riuscissero a liberarsi dall’islam, allora anche loro diverrebbero delle nazioni prospere e libere. L’islam è il problema e non dobbiamo avere a paura di dirlo.

(Traduzioni/editing: Edoardo Ferrazzani)

Ancora notizie


LAMPEDUSA (AGRIGENTO) - Una coppia di coniugi è stata aggredita e derubata nella propria abitazione, a Lampedusa, da un gruppo di immigrati che ha fatto irruzione nell'appartamento domenica sera. Luigi Salina, 58 anni, è stato colpito con un pugno alla zigomo da uno dei cinque o sei extracomunitari che stavano rubando diversi oggetti in casa, da dove sono stati asportati preziosi e orologi. La coppia abita, col figlio Mirko, a villa Ambra, una casa vacanza in contrada Croce, dove sono alloggiati anche operatori della Croce Rossa, in servizio a Lampedusa per l'emergenza immigrazione, con quasi 6mila persone molte delle quali vagano senza meta di giorno e di notte. Salina racconta l'aggressione all'Ansa mostrando il referto medico rilasciato dal poliambulatorio dove si è fatto visitare lunedì mattina: ha una contusione allo zigomo. «Stavo rientrando con mia moglie dalla chiesa, intorno alle 20 - dice - Ho visto la porta della casa aperta, ci siamo spaventati. Ho capito che c'era qualcuno e ho chiamato subito i carabinieri col telefonino. Ma mi hanno sentito, erano in cinque o in sei. Mia moglie era impietrita. Uno di loro è venuto verso di me e mi ha dato un pugno, mentre gli altri gridavano police... police». Gli immigrati si sono arrampicati su una terrazza, «mentre tentavo di colpirli con un bastone», ricorda l'uomo. «L'abitazione era sottosopra - aggiunge - cassetti fuoriposto, una porta danneggiata e hanno persino fatto cacca sul pavimento». L'uomo riferisce che quella di domenica è la seconda intrusione in casa nel giro di 24 ore. «Sono entrati anche l'altro ieri - prosegue - Ero tornato dal comizio in piazza col presidente della Regione, Raffaele Lombardo, quando entrando ho visto una mensola rotta. Sopra c'erano delle bottiglie di vino che sono sparite; hanno preso anche alcuni coltelli, ho riferito tutto ai carabinieri. Mia moglie era a letto, dormiva, e non si è accorta di nulla. Probabilmente sono gli stessi entrati domenica sera, tenevano la mia casa sotto controllo». Solina dice di essersi presentato nella stazione dei carabinieri per la denuncia, col referto sanitario in mano. «Mi hanno detto che ho tempo 60 giorni per poterla fare: ma che risposta è! - protesta- Io voglio farla subito, è un mio diritto. Invece, mi hanno risposto di tornare tra due giorni. Qui si pensa agli immigrati, la gente è abbandonata. Abbiamo paura. Basta, basta, basta».

I DISPERSI - Intanto non si ferma l'ondata di immigrati sull'isola. E le notizie diventano drammatiche: non si hanno più notizie di un gommone partito dalla Libia con 68 migranti a bordo, tra i quali numerose donne e bambini, che domenica sera aveva lanciato l'Sos. Gli immigrati avevano raccontato di trovarsi a circa 60 miglia dalle coste libiche, con poco carburante e senza viveri. Un altro barcone partito sempre dalla Libia sabato sera, con circa 180 profughi a bordo, è stato invece segnalato da un peschereccio in navigazione verso le coste siciliane. Un barcone con circa 300 persone a bordo è invece ormai a circa 7 miglia al largo dell'isola, ma è in difficoltà perché imbarca acqua rischiando così di affondare. Le motovedette della Guardia costiera si stanno avvicinando all'ennesima imbarcazione.

LE CIFRE - Sono 1.933 i migranti sbarcati in 24 ore sull'isola di Lampedusa, il numero di più alto da quando è iniziata la nuova emergenza. Sono così quasi settemila gli immigrati nordafricani presenti sull'isola su un numero di abitanti che sfiora i 5.000. Il numero più alto di migranti da quando è iniziata la nuova emergenza. Mentre sarebbero 400 i minori sbarcati a Lampedusa e scomparsi. La denuncia arriva dal procuratore nazionale Antimafia, Piero Grasso, intervenuto a un convegno sul tema della tratta delle immigrate e sullo sfruttamento della prostituzione. «Alcuni di loro - ha detto - sono stati trovati con dei bigliettini sui quali c'era scritto il numero di un referente al quale collegarsi e che, probabilmente, fa capo a qualche organizzazione criminale».

IGIENE DRAMMATICA - Proprio questi numeri creano non pochi problemi, soprattutto dal punto di vista sanitario. «Non riteniamo che ci sia un rischio di epidemie, ma un problema igienico-sanitario importante e che potrebbe in futuro continuare. Anche per questo i nostri ispettori arriveranno sull'isola oggi» ha detto il ministro della Salute Ferruccio Fazio commentando la situazione dei migranti che in questi giorni si stanno accumulando sull'isola. «Non si tratta di emergenza - ha detto il ministro a margine lunedì a Milano di un'inaugurazione al'istituto nazionale dei tumori - ma le condizioni igienico sanitarie sono drammatiche: domenica ho parlato a lungo con l'assessore Russo, lui sta mandando due ispettori della regione e dell'Asl e noi stiamo mandando i nostri ispettori del ministero. Insieme a questi ci sarà un'osservatore dell'Oms che è già a Roma proprio per questo motivo, e anche un rappresentante dell'istituto dei migranti che dovrà valutare tutti gli aspetti inerenti alla copertura psicologica e sanitaria». Il ministro ha infine ricordato che il 13 aprile ci sarà una conferenza dei ministri della salute di tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo proprio per discutere di questa emergenza.

D'Alemallah e lo yacht


Per la verità, noi qualche sospetto lo avevamo sempre avuto. Guardatelo: capelli neri, ora avviati a diventare bianchi, occhi neri, baffetti, carnagione non propriamente svedese. Sembra un nordafricano, che non è un insulto: constatazione di indiscutibili tratti somatici. Adesso, per sua stessa ammissione, ne abbiamo la conferma: Massimo D’Alema è un immigrato. Viene dalla Tunisia o forse dalla Libia. Non sappiamo di preciso. Potrebbe anche essere algerino. Comunque, chi pensava ad un’origine sovietica, sbagliava: Africa del Nord. Un giorno di tanti anni fa, un suo antenato salì a bordo di una barca, che però non era un comune barcone di disperati. Date le passioni e le tradizioni, doveva essere un’elegante imbarcazione a vela di nome Ikarus comprata in cambio di sette tappeti, tre cammelli e un Veltroni d’epoca. Allora i leasing si facevano così. Oggi Veltroni non lo vuole più nessuno. I D’Alema sbarcarono a Lampedusa, e non finirono in un centro di accoglienza. Risalirono la Penisola, si iscrissero al Pci e fecero carriera. Il resto lo conoscete: Massimo divenne presidente del Consiglio (quello italiano, non tunisino) e oggi è presidente del Copasir. E ieri ha voluto svelare le sue origini: «Sono un immigrato di trentesima generazione». In attesa dell’espulsione, ecco la cronaca della confessione.

Sultano Max ha parlato alla prima Conferenza nazionale del Pd sull’immigrazione. Era vestito all’occidentale, ma non lasciatevi ingannare: il cuore, come sempre, era tutto sull’altra sponda del Mediterraneo, tra i connazionali. Ha detto che alla solidarietà non deve essere posto alcun limite. Tutti gli immigrati che arrivano da noi - ha spiegato - devono essere considerati rifugiati. Non bisogna andare «a vedere da dove vengono. Bisogna accoglierli temporaneamente, poi magari negoziare con gli altri Paesi per un rientro assistito». Sbarcate e noi vi spalancheremo coste e centri di ospitalità. Oggi, e anche domani, perché il nostro futuro è l’Africa. Dice il Sultano, e noi non gli crediamo: «Nei prossimi 15 anni, se l’Europa vorrà mantenere un livello demografico ragionevole e avere un decente sviluppo economico, avrà bisogno di almeno altri trenta milioni di immigrati». Dobbiamo presumere, visti i ragionamenti di D’Alema e la posizione geografica dell’Italia, che i trenta milioni sbarcheranno tutti a Lampedusa con il beneplacito del Pd. Poi, magari, gli altri Paesi, dopo aver opportunamente negoziato, se ne prenderanno due o tre mila. Non siamo certi se ai restanti ventinove e passa milioni penserà direttamente D’Alema o un suo incaricato. Ma non ha importanza. Alì Baffin è convinto. Convinto che il governo Berlusconi abbia sbagliato («la Francia sa quel che vuole, noi no»). Convintissimo che l’intervento militare in Libia abbia già prodotto effetti positivi («l’offensiva di Gheddafi contro il suo popolo è stata fermata»). Ultraconvinto che ciò che sta avvenendo a Lampedusa sia sempre colpa del governo («se li avessimo accolti decentemente, non si sarebbero neanche visti»).

D’Alema, si sa, è uomo dalle grandi e forti convinzioni, anche quando commette grandi errori e anche quando pensa di trasformare Roma e Milano in una succursale di Tunisi e Tripoli. Ma voi non dovete avercela con lui. Alì parla col cuore. Comprendetelo: anche se l’Ikarus non è un barcone, le origini sono quelle. Ha spiegato D’Alema: «Non esiste il ceppo etnico del popolo italiano. Siamo una mescolanza di razze che si è venuta formando nel corso dei secoli. Basta andare in giro per vedere diverse fisionomie e riconoscere i tratti originari dei nostri concittadini». Loro, per esempio, i D’Alema, non hanno nulla a che fare con normanni e longobardi: «Se noi dovessimo dividerci sulla base del ceppo etnico, io dovrei mettermi con Alim Maruan. Non ci vuole molto a capire che ci sarà voluto qualche secolo prima che il figlio di Alim diventasse D’Alema». La qual cosa, ripetiamo, di per sé non è un male né un bene. È solo l’origine, e può aiutarci a capire certi innamoramenti. Questione di fratellanza. Ne prendiamo atto e giriamo la domanda a voi: ma ad Alim Maruan D’Alema, noi italiani, dobbiamo dare il permesso di soggiorno o rispedirlo a casa?

Vermi

Parto da qui, da uno dei tanti commenti simili a questo articolo del giornale: "Napolitano per questo raffronto, che è davvero un vile affronto a tutti i nostri emigrati che hanno dato il loro lavoro e spesso la loro vita per fare la ricchezza altrui, è davvero un criminale: dà la misura completa della sua malafede e del suo fanatismo da ideologia perversa.... anche questa dovevamo sentirci ripetere, mentre ci angosci la situazione presente, da uno che solo pochi giorni fa ha celebrato la sacralità del patrio suolo... ! Buffone tragico!". E poi linko anche questo articolo qui, segnalatomi da Nessie... quindi, le rivoluzioni fiorate del maghreb, sono già state decise e non per liberare i popoli dai loro oppressori... solo che ieri sera avevo il voltastomaco e ho preferito spendere le mie energie leggendo un libro. Per quanto riguarda l'articolo, bhe, si commenta da solo; Napolitano, verme e primo traditore della propria patria pretende di lasciare i clandestini a casa nostra e pretende di ignorare il malumore degli italiani che si sentono invasi (caro ottantenne komunista, si ricordi che siamo NOI, quelli che lei vuole ignorare, a foraggiarle lautamente il posticino dove è seduto abusivamente)  e Maroni, si affida alla Ue...


Il tema immigrazione continua a tenere banco nel dibattito politico, specie dopo le sommosse del Nordafrica che, di fatto, hanno fatto aumentare notevolmente i flussi verso l'Italia. Dopo la polemica sulla opportunità, o meno, di dare agli immigrati che accettano di tornare al proprio paese un contributo economico (proposta lanciata da Frattini ma contestata da Bossi), sull'argomento interviene il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che fa sentire la sua voce da New York, dov'è in visita di Stato. Di fronte alle nuove ondate di immigrati - argomenta il Capo dello Stato - in Italia "ci sono ogni tanto delle posizioni, delle reazioni un po' sbrigative a livello di opinione pubblica" alle quali non bisogna indulgere. Piuttosto bisogna ricordare il nostro passato di paese numero uno in Europa per numero di emigranti e "governare" la nuova situazione che si è creata, anche se "non è semplice", ha detto Napolitano rispondendo a una domanda a margine della inaugurazione dello spazio espositivo "Industria Gallery" a New York. "Proprio perché c’è stata un’accelerazione, che - ha aggiunto Napolitano - nel giro di vent’anni ci ha fatto passare da una quota minima di immigrati ad una presenza pari al 7 per cento della popolazione, e quindi ci sono state delle scosse dal punto di vista sociale e psicologico, bisogna governarle". Quali sono gli elementi in comune fra quella emigrazione storica italiana e questa oggi in arrivo in Italia? "C’è la stessa ricerca talvolta disperata di lavoro e di vita decente" ha risposto Napolitano invitando a considerare che "nel frattempo è cambiato il contesto mondiale". "Oggi - ha spiegato - c’è un incrocio fra l’Italia e l’Africa che prima non c’era. E l’Italia è in Europa uno degli ultimi paesi che dopo essere stati paese di emigrazione, e l’Italia in passato è stato il numero uno, sono diventati luogo di immigrazione".

Maroni: spero in sussulto di dignità dell'Ue. Il ministro dell'Interno Roberto Maroni auspica che le "drammatiche immagini di Lampedusa" possano "spingere l’Europa a un sussulto di dignità". In un’intervista a Radio Padania, il ministro dell’Interno ha nuovamente chiesto che "tutta l’Europa si faccia carico dei profughi". Una richiesta che, ha garantito, ripeterà "nei prossimi giorni" anche in sede Ue. "La partita vera continua a giocarsi in Europa", ha affermato, sottolineando che, davanti all’emergenza sull’isola siciliana, l’Italia è stata lasciata sola. Il titolare del Viminale ha poi spiegato che il problema delle lentezze e della mancaza assunzione di responsabilità da parte europea non risiede nelle decisioni della Commissione Ue, e elogiato il lavoro della commissaria agli Affari interni, Cecilia Malmstroem. Il problema, ha detto, è che "c’è resistenza dai singoli Paesi, in particolare quelli del Nord".

L'intervista di Maroni:

La guerra in libia, i migranti. Maroni alle Regioni: «Accogliete i profughi o agiremo d'imperio». Il ministro: pantano Libia, un errore partecipare alla guerra

ROMA - «La Tunisia aveva promesso un impegno immediato per fermare i flussi migratori, ma le barche continuano ad arrivare. Se non ci sarà un segnale concreto entro i prossimi giorni, procederemo con i rimpatri forzosi». Il ministro dell'Interno Roberto Maroni alza il tiro in materia di contrasto agli sbarchi. Fa propria e rilancia la linea della Lega, poi analizza la posizione dell'Italia nella coalizione che partecipa ai raid in Libia: «Per provare a uscire dal pantano, l'unica soluzione è quella diplomatica proposta da Franco Frattini in accordo con la Germania».

Venerdì al rientro da Tunisi lei si era mostrato fiducioso sulla collaborazione con il governo locale. Che cosa è cambiato? «Sono arrivate altre mille persone che dicono di essere tunisine. E poi, a bordo di due barconi provenienti dalla Libia, circa mille tra somali ed eritrei. Non siamo in grado di sostenere questi ritmi e dunque bisogna adottare un nuovo atteggiamento».

E crede che l'uso della forza sia la strada giusta? «Potrebbe trasformarsi nell'unica possibile se gli sforzi diplomatici del governo italiano dovessero fallire. I somali e gli eritrei non possono essere rimpatriati perché scappano dalla guerra e hanno diritto alla protezione internazionale. Per usare l'espressione del governatore Zaia "non hanno le scarpe firmate", dunque li assisteremo e rinnoveremo all'Europa la richiesta di attivare la distribuzione tra gli Stati membri. Ma questo non può valere per i tunisini».

Dunque che cosa ha in mente? «Il problema è estremamente complesso e non esistono soluzioni facili come quella dei mitra evocata dal governatore della Sicilia Lombardo. Mercoledì mattina si riunisce l'unità di crisi a palazzo Chigi. Io confido che il governo tunisino faccia quello che ha annunciato, però se non ci sarà un intervento vero per fermare le partenze chiederò al governo di attuare la proposta di Bossi e di procedere ai rimpatri forzosi. Siamo attrezzati per farlo. Li mettiamo sulle navi e li riportiamo a casa».

Senza attendere il nullaosta delle autorità tunisine? «Le loro procedure sono troppo lente e in ogni caso non hanno mai accettato i rimpatri collettivi».

Pensate di usare le navi militari? «Su questo è in corso una valutazione giuridica legata alla mancata adesione del Paese di provenienza, potremmo usare quelle civili».

Intanto Lampedusa è ormai allo stremo. Come pensa di risolvere il problema degli stranieri accampati ormai ovunque? «Vorrei ricordare che sull'isola non ci è stato consentito di allestire una tendopoli. In ogni caso abbiamo individuato alcune aree dove allestiremo campi temporanei per l'identificazione e l'espulsione che potranno ospitare fino a 500 persone ciascuno. Si tratta di tende e moduli abitativi gestiti dal Viminale perché destinati a chi è clandestino e deve essere tenuto sotto controllo prima di essere rimandato a casa».

Una sorta di Cie a cielo aperto. Saranno distribuiti in tutte le Regioni? «Sono siti individuati un po' ovunque dal ministero della Difesa in aree militari dismesse. Stiamo valutando attentamente i siti con le prefetture perché, a differenza dei profughi, queste persone non hanno diritto a rimanere in Italia e quindi contiamo di esaurire le procedure nel più breve tempo possibile e poi rimpatriarli».

Frattini aveva proposto di elargire almeno 1.500 euro a chi accetta di essere rimpatriato e poi avete offerto alla Tunisia soldi e mezzi. Non rischiamo di ritrovarci sotto ricatto, proprio come avvenne con il regime libico? «È una situazione completamente diversa perché noi dipendevamo da Tripoli per l'approvvigionamento di petrolio ed energia, mentre con la Tunisia le parti sono invertite, sono loro a dipendere da noi soprattutto nel settore turistico visto che ogni anno ci sono 600 mila italiani che visitano il loro Paese».

E questo è stato fatto pesare? «Durante gli incontri abbiamo già sottolineato la decisione di alcune compagnie che organizzano crociere e per motivi di sicurezza hanno escluso la Tunisia dai loro tour. Loro sanno bene che per tornare alla normalità hanno bisogno di noi. In ogni caso voglio ribadire che i rimpatri assistiti sono programmi finanziati dall'Europa nell'ambito della cooperazione con gli Stati terzi e sono gestiti dalle organizzazioni internazionali, nessun contributo diretto agli immigrati come invece erroneamente è stato detto».

Lei ha annunciato un piano per la distribuzione dei profughi con una stima di 50.000 persone che potrebbero arrivare dalla Libia in Italia. Crede davvero di riuscire ad assisterle? «Sono rimasto male impressionato per l'atteggiamento di alcuni amministratori locali che ufficialmente mostrano buona volontà e poi sottobanco cercano motivi per evitare di essere coinvolti. Lo ripeto: l'unica regione esclusa sarà l'Abruzzo. Altrove si procederà secondo il piano che ho sottoposto alle regioni, che prevede un tetto massimo di 1.000 profughi ogni milione di abitanti».

Chi decide dove alloggiarli? «I governatori in accordo con province e comuni».

E se ci saranno rifiuti? «Allora saremo noi a individuare le aree. Io sono un fautore della condivisione di queste scelte impegnative, ma se questo non è possibile - e soprattutto di fronte a una situazione di emergenza che riguarda profughi che scappano dalla guerra in Libia - saremo costretti ad agire d'imperio».

Il ministro Frattini propone un asse con la Germania per arrivare a una soluzione diplomatica in Libia. Lei condivide questa linea? «Sin dall'inizio la Lega era contraria alla partecipazione dell'Italia alla guerra e avevamo chiesto di comportarci come la Germania. È stato un errore e mi sembra che la soluzione Frattini sia l'unica possibile se si vuole uscire da un pantano che può rivelarsi molto pericolosa».

Che intende? «Secondo le ultime informazioni Gheddafi è riuscito a portare dalla sua parte anche la tribù che gli era più ostile, quella dei beduini. Forse chi ha voluto questi raid non ha analizzato le capacità finanziarie illimitate del Raìs, non ha saputo valutare la sua forza. Per questo ha ragione Frattini quando dice che bisogna coinvolgere nella trattativa tutte le tribù».

L'Italia sostiene gli insorti? «L'Italia dialoga con chi può rappresentare la transizione, sapendo perfettamente che la realtà non è mai come appare. Basti pensare che alla guida dei ribelli ci sono gli ex ministri dell'Interno e della Giustizia di Gheddafi. Non possiamo lasciare zone fuori controllo, soprattutto tenendo conto dell'influenza che i Fratelli musulmani hanno in quell'area e dunque del sopravvento che può essere preso dai fondamentalisti. La Libia deve essere messa in una situazione di stabilità».

Passando alla politica interna, nell'ultima votazione il federalismo comunale è passato con il voto contrario dell'Udc e l'astensione del Pd. E' un segnale di collaborazione? «Forse il Pd credeva che bocciando il federalismo la Lega se la sarebbe presa con Berlusconi e avrebbe fatto cadere il governo. Quando hanno capito che noi rimanevamo leali e questi mezzucci non sarebbero serviti hanno deciso di astenersi compiendo quello che io ritengo un giusto passo in avanti. Del resto il federalismo fa comodo anche a loro che hanno moltissimi amministratori locali. Diciamo che siamo sulla strada giusta, anche perché quello dell'Udc io lo interpreto come un atto di coerenza».

Era proprio necessario nominare ministro Saverio Romano? «Io lo conosco perché è stato mio sottosegretario al welfare e l'ho molto apprezzato. Più in generale posso dire che se neanche il presidente della Repubblica ha bloccato questa nomina vuol dire che non esistevano i presupposti per farlo».

In realtà lo stesso presidente ha voluto sottolineare che non poteva farlo. «La Costituzione prevede la presunzione d'innocenza fino alla condanna definitiva. Sulla base di questo posso dire che si tratta di una scelta che rispettiamo e abbiamo condiviso».

Fiorenza Sarzanini
Inoltre, mi è stato appena segnalato questo articolo.

domenica 27 marzo 2011

Le spese per i clandestini


Roma - Ogni anno sono almeno 460 milioni di euro: mezzo miliardo del bilancio dello Stato stanziati per gestire i flussi migratori, ovvero controllo delle frontiere, identificazione dei clandestini, espulsione, eventuali politiche di integrazione per coloro che sono in regola. Per fare un paragone, con un impegno economico di poco superiore sono stati costruiti i 4.600 nuovi appartamenti per 18mila sfollati dell’Aquila dopo il terremoto. Anche la gestione dell’immigrazione è un’emergenza: quando si riesce a chiudere una porta d’ingresso, come era stato con la Libia grazie al trattato di amicizia, basta un disordine politico e masse di giovani speranzosi si riversano in mare per raggiungere l’Italia. E allora occorre aprire un altro rubinetto: oltre 20 milioni per gestire l’emergenza profughi. L’Italia è il primo confine, il fronte sud. Paga la sua posizione di uncino nel Mediterraneo proteso verso l’Africa. È l’ultimo pezzo di Europa, la terra delicata del primo approdo, l’orizzonte della libertà, ma i numeri dicono che è il Paese dell’emergenza perenne da gestire quasi in solitudine.

A febbraio, di fronte ai primi segnali dalla Tunisia che indicavano la fuga di migliaia di ragazzi verso Lampedusa, il governo aveva previsto una spesa straordinaria del ministero dell'Interno di circa 6 milioni di euro, più 15.168.216 per il lavoro della Croce Rossa e per l’invio in Sicilia di 200 militari, oltre a un milione di euro affidato alla gestione del commissario straordinario, il prefetto di Palermo Giuseppe Caruso. Era questo il preventivo della primissima emergenza. Bene, questo stanziamento iniziale è già superiore ai fondi offerti dall’Unione Europea all’Italia per l’intero anno al capitolo rimpatri e profughi, rispettivamente 12 milioni e 3 milioni e 300mila euro. I 460 milioni sono il totale previsto dal Viminale nella «Direttiva generale» del 2010. È chiaro che ogni previsione per il 2011 è destinata a saltare per l’emergenza Nord Africa in corso.

Ogni immigrato clandestino ospitato nei Cie, i centri di identificazione ed espulsione attualmente presenti sul territorio, costa allo Stato italiano circa 45 euro al giorno, comprensivi di vitto, alloggio, assistenza sanitaria. Cinquantamila profughi significano una spesa potenziale di due milioni e mezzo di euro ogni ventiquattr’ore. Un costo insostenibile per il governo italiano per un periodo troppo prolungato. Si capisce quindi perché il ministro dell’Interno Roberto Maroni stia chiedendo con insistenza all’Europa di dividere tra tutti i Paesi dell’Unione profughi che chiedono asilo appena sbarcati. L’Italia non può dare soccorso per sempre.

Basti pensare che sinora ogni clandestino rimane mediamente nei Cie per l’identificazione 150 giorni, e costa dunque all’Italia circa 7mila euro. La gestione completa di un immigrato irregolare, dal fermo fino all’espulsione effettiva, si avvicina dunque ai 10mila euro, tenendo conto delle spese per il volo di rientro e la scorta degli agenti impiegati nei rimpatri. La sola pratica legale si aggira intorno ai 650 euro. Un paragone piuttosto efficace: ogni clandestino costa allo Stato italiano oltre il doppio della spesa per l’istruzione di un bambino della scuola elementare, che non supera di molto i 4mila euro annui.

Gli accordi sinora stipulati con i Paesi africani per il rimpatrio non sono stati poi sempre semplici attestati di amicizia. La recente intesa con la Tunisia prevede una serie di aiuti dal turismo alla formazione, oltre alla proposta di un contributo di 1.500 dollari a clandestino riportato a casa. La cooperazione e l’amicizia della Libia per il rimpatrio immediato dei barconi diretti in Italia era stata ottenuta in cambio di un’ offerta di 177 milioni di euro l’anno, per un totale di 5 miliardi di dollari in 20 anni, per nuove infrastrutture. L’Italia si era poi impegnata a sostenere il 50% dei costi di pattugliamento, con mezzi tecnici e uomini.

C’è poi il comparto sanità. Non è una spesa registrata a bilancio, si tratta di una stima ricavata dai dati delle singole Asl. L’assistenza agli stranieri irregolari costerebbe al sistema sanitario nazionale circa 250 milioni di euro l’anno. «Fino a questo momento - spiega il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano - abbiamo speso 23 milioni di euro solo per emergenza. Se il trend continua a questo ritmo prevediamo una spesa di 230 milioni di euro entro la fine dell’anno». Solo per l’emergenza Nordafrica, senza calcolare l’ordinaria amministrazione e la prossima apertura di nuovi centri. Una cifra che potrebbe salire di molto «se si apre anche la porta libica». Quanto all’accordo con la Tunisia, sarà effettivo «solo se avremo fondi dall’Europa».

sabato 26 marzo 2011

Frattini e i rimpatri

Poi? Il governo razzista e fascista che altro deve regalare generosamente a questa massa di clandestini? Tutti soldi pagati con le tasse degli italiani e soprattutto soldi tolti agli italiani che ne hanno davvero bisogno.


Roma - Il governo italiano è pronto a mettere a disposizione una "dote" fino a 2500 dollari per ogni clandestino giunto in Italia che accetterà volontariamente di rimpatriare nel suo Paese. Al ritorno da una veloce missione a Tunisi insieme al titolare del Viminale Roberto Maroni, il ministro degli Esteri Franco Frattini ha anticipato parte del piano che sarà messo in campo dalla Farnesina per far fronte all'emergenza immigrazione.

Il piano per rimpatriare i clandestini. L’Oim (organizzazione internazionale per le migrazioni) darà una dote di 1500 dollari per ogni clandestino che farà rientro nel proprio Paese. In un’intervista a Quotidiano Nazionale, Frattini ha fatto sapere che il governo è disposto a superare questo importo, fino a 2000 o magari 2500 dollari, "dando così la possibilità di creare le condizioni per un rientro di migliaia di persone". Frattini ha ribadito che il modo migliore per sostenere le transizioni democratiche è "sostenerne il rilancio economico". "Se l’Europa non è pronta noi crediamo che sia opportuno iniziare a prendere impegni nazionali", ha spiegato il titolare della Farnesina riferendosi agli incontri a Tunisi. "Abbiamo offerto da un lato un sostegno per il bilancio del Paese nordafricano con una linea di credito di 95 milioni di euro, dall’altro abbiamo predisposto un pacchetto di aiuti che incida sui settori che hanno un valore aggiunto a cominciare dalle piccole e medie imprese - ha continuato il ministro degli Esteri - una proposta globale che cerca di affrontare le radici del problema".

Ancora sbarchi a Lampedusa. Sono proseguiti anche la notte scorsa gli sbarchi di nordafricani a Lampedusa. Nelle ultime ore altre due imbarcazioni con circa 140 persone hanno raggiunto l’isola dove al momento, nonostante continuino intensamente i trasferimenti via nave e con i ponti aerei, si trovano ancora più di quattromila immigrati. Il primo dei due natanti è stato soccorso intorno 2 a circa sei miglia a sud dalla costa dalle motovedette della Capitaneria di porto e della Guardia di Finanza, il secondo è approdato direttamente sulla terraferma. A mezzanotte, intanto, dopo aver caricato a bordo 500 persone, ha lasciato la rada lampedusana la nave San Marco, della Marina militare italiana, per far rotta verso il porto di Taranto dove arriverà questo pomeriggio. Al molo di Lampedusa, poi, questa notte ha attraccato la nave cisterna che con i suoi 4mila metri cubi d’acqua dovrebbe rimediare all’emergenza idrica creatasi negli ultimi giorni. Dopo le tensioni di ieri, legate al malcontento degli immigrati nei confronti del cibo e dei beni di prima necessità distribuiti loro sulla banchina del porto, un gruppo di cittadini lampedusani ha distribuito nel pomeriggio centinaia di razioni di couscous, contribuendo così a distendere il clima. Per domani, infine, è atteso sull’isola il presidente della Regione Siciliana Raffaele Lombardo che incontrerà il sindaco Bernardino De Rubeis.

Napoleone e l'abbronzato


Nicolas Sarkozy è una risorsa per la Francia e una speranza per l’Europa: sta diventando un problema, per tutti. Dal Dopoguerra ad oggi più volte sono sorti problemi e inimicizie tra leader di diversi Paesi, quasi sempre per eccesso di personalità. Margaret Thatcher portò più di un capo di governo sull’orlo dell’esaurimento nervoso, Helmut Schmidt e Helmut Kohl erano negoziatori implacabili, e gli stessi francesi hanno segnato più di una pagina con le alzate di Charles De Gaulle, Valéry Giscard d’Estaing, François Mitterrand, persino Jacques Chirac. Nessuno, però, può essere paragonato a Sarkozy per la totale insensibilità alle ragioni altrui e l’incredibile superbia con cui rifiuta di accettare le sconfitte.

Nelle ultime settimane ha provocato tutti: la cancelliera tedesca Angela Merkel, incrinando, come mai prima d’ora, l’asse franco-tedesco; Silvio Berlusconi, a dispetto di un rapporto fino a ieri ritenuto da entrambi privilegiato; l’inglese David Cameron, usato come uno yo-yo, nonché tutti i leader dei Paesi nordici. Ovunque passi, Sarkozy lascia macerie. Anche in casa. Date un’occhiata ai sondaggi: Sarko è straordinariamente impopolare e nemmeno la guerra in Libia è servita a farlo risalire, a conferma che la sfiducia dei francesi non è ciclica, come capita a ogni politico, ma consolidata. Giudicano il politico, ma diffidano innanzitutto dell’uomo, che ha dimostrato di non avere le doti di equilibrio, regalità e saggezza che il Paese richiede da sempre al presidente della République. Lo psicologo Pascal De Sutter aveva avvertito gli elettori, in un celebre libro del 2007: Sarkozy è un uomo tormentato, collerico, poco padrone di sè, eppure straordinariamente egocentrico, ambizioso e dominante. Personalità complessa, la sua, caratterizzata da un narcisimo compensatorio e dal bisogno di riconoscimento che lo porta a cercare sempre la rivincita, scaricando sugli altri le proprie colpe. In queste ore Sarkozy continua a incassare sconfitte: ha dovuto cedere alla Nato il comando delle operazioni militari in Libia, come richiesto da Berlusconi e da altri leader europei, ha dovuto subire la reprimenda sia del segretario generale del Patto Atlantico che della stessa Merkel. Eppure continua ad essere persuaso che siano gli altri a sbagliare e non rinuncia alla sua aggressiva supponenza.

Il problema psicologico è evidente, eppure potrebbe esserci dell’altro. Sappiamo che Sarkozy ha trascinato il mondo in questa guerra non tanto per ragioni umanitarie, quanto per motivi politici, economici e di riposizionamento geostrategico nel Nord Africa. Una domanda, però, sorge spontanea: possibile che il mondo lo lasci fare e, soprattutto, che l’America si lasci relegare in secondo piano con tanta facilità? Come ha rivelato l’altro giorno Franco Bechis su Libero, Nouri Mesmari, uno dei fedelissimi di Gheddafi, l’ottobre scorso è fuggito a Parigi con la famiglia e sarebbe l’uomo che, con l’aiuto degli 007 francesi, ha fomentato e poi organizzato la rivolta in Cirenaica contro il Rais. É inverosimile che Washington non sapesse della defezione, né che non conoscesse le vere dinamiche della «spontanea» rivolta libica. Eppure ha lasciato fare. Perché? Ufficialmente Obama ha mostrato freddezza sull’operazione, lasciando intendere di essere stato trascinato controvoglia dall’Eliseo. Il sospetto è che in realtà sia un gioco della parti: Sarko fa l’interventista, Obama il moderato, che protesta. Ma non lo ferma. Pensateci: se gli Usa fossero stati davvero contrari non avrebbero mai permesso che si giungesse a questo punto. Lasciano fare, forse perché il finale è già scritto: spartizione dell’energia e del gas libici. Con un solo grande perdente: l’Eni. E con l’Eni, l’Italia.