...Il Lussemburgo aspira a diventare uno dei poli strategici per lo sviluppo della finanze islamica in Europa. Da qualche tempo in qua, difatti, gli istituti finanziari con sede a Lussemburgo sono sempre più presenti sul mercato del sukuk mentre, contestualmente, si sono venuti a costituire nel piccolo Stato europeo una quantità sempre crescente di fondi d' investimento conformi alla Sharia. La finanza islamica si basa sul rispetto del divieto coranico di prestare o riconoscere gli interessi prodotti dal denaro stesso. Un sistema prossimo a quello della “banca etica” o, forse ancora di più, a quello del microcredito teorizzato dal Nobel economista Yunus, il fondatore della Gameen Bank. Non potendo far credito agli individui o alle piccole imprese, le banche islamiche gestiscono la propria clientela partecipando esse stesse all’impresa – e in seguito anche al profitto – facendosi ripagare per il rischio economico affrontato con dei sistemi che in Occidente definiamo “leasing”.La borsa del Lussemburgo è stata la prima, europea, presente sul mercato dei sukuk quotando obbligazioni islamiche fin dal 2002. Stando ai dati di fine settembre 2008, sono quotati nella borsa lussemburghese ben 14 piani obbligazionari legati alla finanza islamica per un valore totale di 5,5 miliardi di dollari mentre, contestualmente, sono ben 31 i fondi d' investimento conformi alla Sharia. La scelta delle autorità economiche lussemburghesi s’è rivelata vincente, soprattutto alla luce della recente “scoppola” finanziaria, che ha tramortito il fior fiore del capitalismo anglosassone. Così, nel 2005, la banca centrale del Lussemburgo, ha organizzato in collaborazione con l'Islamic Financial servizi Board una tribuna sui prodotti finanziari islamici ed il governo patrocinerà una conferenza dello stesso tipo nel maggio 2009. E l’Italia, dove si colloca in tutto ciò? Il Belpaese ha un ritardo siderale in materia di finanze islamiche. Complice, va detto, l’assenza di una immigrazione significativa che, invece, si è sviluppata tumultuosamente, nell’ultimo decennio. D’altronde, la stessa Francia, pur con un tessuto sociale che per il 10% è costituito da maghrebini naturalizzati, quasi tutti di fede musulmana, ha accelerato solo negli ultimi tempi un progetto di cooperazione con i paesi del Golfo, al fine di attirare la maggior quantità possibile di capitali freschi. Mentre centri finanziari come Londra, Ginevra ed anche il Lussemburgo hanno compreso molto rapidamente i vantaggi di sviluppare un terreno economico e giuridico che facilitasse la crescita della finanza islamica, nell'interesse di attirare denaro fresco, il resto dell’Europa, Italia compresa, è rimasta a guardare. In modo paradossale, molte banche italiane (ed europee) hanno saputo sviluppare una competenza reale in materia di finanze islamiche ma… soltanto fuori dell’UE. Gli attentati dell'11 settembre 2001 negli Stati Uniti ed il successivo doloroso corollario degli attentati di Londra e Madrid hanno contribuito non poco a rallentare lo sviluppo dello islamic banking nell’UE. Ora, però, alla luce della peggior crisi dal 1929, diventa piuttosto logico aspettarsi un netto sgretolarsi delle varie obiezioni morali, religiose e giuridiche dinanzi all’opportunità di poter polarizzare i fondi di investimento islamici nel rarefatto universo finanziario occidentale. Basti pensare al “mostro” per eccellenza: il fondo Sovrano Dubai, capace di amministrare qualcosa come 850 miliardi di dollari. Secondo le stime del Fondo monetario internazionale, infatti, le risorse gestite globalmente dai fondi sovrani oscillano tra i 2.000 e i 3.000 miliardi di dollari. Non solo: il 90 per cento dell’ammontare complessivo degli asset dei fondi sovrani è concentrato su 11 fondi, molti dei quali con sede in Paesi mediorientali. Sono maturi i tempi per l’adozione di misure concordate a livello internazionale in materia di trasparenza e controllo di fondi speculativi e fondi sovrani. A livello internazionale si registra un’ampia convergenza sulla necessità di un rafforzamento della trasparenza, soprattutto relativamente agli obiettivi di investimento. Ma, detto ciò, resta indubbio che, chi per primo catalizzerà questo fiume di denaro, si darà maggiori opportunità di ripartenza per propria economia. Ed arriviamo ad un punto chiave. A chi si rivolge la finanza islamica in Europa? Studi di settore sono davvero sorprendenti. Contrariamente alle popolazioni originarie del sud-est asiatico, i magrebini della Francia non sono propensi ad optare per questo tipo di offerta. Esiste certamente una minoranza che anela un metodo etico, scevro dai tassi d'interesse ma, nel complesso, i musulmani francesi hanno comportamenti identici a quelli del Maghreb. Mettere il loro denaro in un conto che produce interessi non li inibisce di certo. Questo potrebbe essere un elemento sul quale possono lavorare i giganti bancari europei. Ma Bruxelles produca, alla svelta, una giurisprudenza che non svenda il meglio dell’UE ai fondi sovrani.
Da: www.giustiziagiusta.info
2 commenti:
Si compreranno anche le nostre mutande!
Se le sono già comprate. Altrimenti non si spiega perchè tante accortezze a favore dell'islam.
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