martedì 30 aprile 2013

Crimini e criminali


La Banca Centrale Europea continua ad impartire ordini sull’Austerity nonostante negli ultimi mesi sia il Fmi che il duo Reinhart e Rogoff siano stati smascherati ed abbiano ammesso i propri errori. Lo stesso nuovo Presidente, Saccomanni e Giovannini grandi estimatori delle misure che hanno causato l’attuale crisi. Se è (fosse?) un vero politico denuncerebbe immediatamente l’inganno alla luce del sole. Il periodo storico 1990-2008 è alle nostre spalle, ineluttabilmente, ma mentre altri eserciti hanno difeso le proprie roccaforti qui, in Europa, epicentro – come sempre, da un secolo – Berlino, le battaglie sono state tutte perse. Ora, si sta perdendo la guerra, perché sono giunte due disfatte irrimediabili.

PRIMA DISFATTA: L’Imperatore del Mondo Finanziario, il Fondo Monetario Internazionale, si ritira dalla lotta dell’Austerità, ad inizio anno, nonostante sia la sua lotta. Olivier Blanchard e Daniel Leigh, i colonnelli sul fronte, affermano che “hanno sbagliato i conti“. Proprio così: hanno consigliato una strategia ma poi, come scolaretti con le tabelline, si accorgono che i consigli che hanno dato per anni, e che hanno condotto alle manovre lacrime e sangue nel Sud Europa, erano basati su errori da loro stessi commessi. Da Keynes Blog: “Secondo Blanchard e Leigh i moltiplicatori fiscali non sono stati modesti come previsto (0,5) ma significativamente più elevati (1,5). Questo significa che una contrazione fiscale di 1 euro (ovvero un taglio della spesa pubblica, ndr) ha creato una depressione di 1,5 euro invece che solo 0,5. Già nel 2009, tuttavia, il fondo aveva sottoposto al G20 una nota in cui si affermava che i moltiplicatori potevano essere compresi tra 0,3 e 1,8 per i tagli alla spesa e tra 0,3 e 0,5 per gli aumenti delle imposte (si noti che coerentemente con la teoria keynesiana, i moltiplicatori delle tasse misurati sono minori di quelli della spesa pubblica)”.  In pratica ogni volta che vi hanno martellato i santissimi dicendo: “Occorre ridurre la spesa pubblica per rilanciare lo sviluppo e l’occupazione”, hanno mentito, si sono sbagliati. Eppure sono ancora lì: la non santa trinità della Troika li vede sempre al vertice del triangolo d’occupazione.

SECONDA DISFATTA ED ESERCITO NEOLIBERISTA IN ROTTA: Ma da sola quella sconfitta non basta, dopo El Alamein arriva la batosta: ormai siamo alla ritirata di Russia, dopo la mattanza di Stalingrado. La notizia ha fatto il giro del mondo, ma qui nella periferia dell’Impero si preferisce parlare di francescoboccia e nunziadegirolamo. Altri due generali dell’Austerità mondiale hanno perso la loro battaglia, perché hanno sbagliato – scientemente – tutti i calcoli. Non sapevano usare Excel, come un soldato che non sappia usare una bussola. Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff rappresentano il più inquietante caso di indirizzo di politiche anti-popolari su scala mondiale basato su assunzioni del tutto inventate (oltre che con pesanti coinvolgimenti personali). Nel loro studio “This Time is Different” i due studiosi di Harvard affermavano, in pratica, che attraverso la loro ricerca potevano assicurare che gli Stati con un rapporto debito/Pil superiore al 90% erano destinati al declino, al contrario di quelle nazioni nelle quali, sempre per l’assunzione farlocca del punto 1 (meno spesa pubblica=più sviluppo) quel dato era basso. Delirio matematico-economico travasato in bigonci che i camerieri eletti o tecnocratici hanno trasformato in politica lacrime e sangue: tasse, tagli, povertà, lacrime di coccodrillo. Purtroppo non abbiamo anime che reagiscano con la passione e la competenza di Mike Norman, almeno nel ponte di comando. Ma se avete 5 minuti, ascoltatelo.

A - CLAMOROSO ALLA BANCA CENTRALE EUROPEA: Nel Rapporto Annuale 2012 della Bce, di cui la stampa italiana ha sbrigativamente trattato nei giorni scorsi, si leggono le solite trite litanie. Gli enricoletta manco li pensano. Il cuore del dispaccio di guerra è a pagina 73. Titolo: “Ulteriore risanamento dei conti pubblici è atteso nel 2013“. Ma come? E le fregnacce di Blanchard e di R&R? Possibile che Draghi non le abbia lette? Va bè. Andiamo avanti.

“In rapporto al PIL, le entrate dovrebbero aumentare di 0,5 punti percentuali, mentre la spesa diminuirebbe di 0,3 punti. Si prevede che il debito pubblico dell’area dell’euro in rapporto al PIL continui ad aumentare, di 2,0 punti percentuali al 95,1 per cento, con valori superiori al 100 per cento in cinque paesi (Belgio, Irlanda, Grecia, Italia e Portogallo)”. Tra minore spesa e maggiori tasse c’è un trasferimento di risorse da famiglie e imprese agli Stati dello 0,8% del Pil.

E così “Il risanamento dei conti pubblici deve proseguire“. Ma come? Vediamo ancora: “Nonostante i progressi realizzati finora, occorre proseguire sulla via del risanamento per ripristinare la sostenibilità a lungo termine del debito nell’area dell’euro. Per quanto il risanamento possa dare luogo a un deterioramento temporaneo della crescita economica, se ben disegnato esso conduce a un miglioramento permanente dei saldi strutturali, con un impatto favorevole sulle traiettorie del rapporto debito/PIL“. Si faccia attenzione a questa affermazione: deterioramento “temporaneo” (viene da ridere), ovvero meno lavoro, meno consumi, meno “vita”, con impatto favorevole sulle traiettorie del debito/Pil. Ma chi se ne frega di un dato astratto? Qualcuno mangia il rapporto debito/Pil? Alt. Qui arriva la menzogna scritta nero su bianco. Andiamo a capo.

“Le evidenze empiriche mostrano che livelli persistentemente elevati del rapporto debito pubblico/PIL (intorno o superiori al 90 per cento) incidono negativamente sulla crescita economica”. Una menzogna ribadita dopo che è stata dimostrata falsa dagli stessi autori che l’hanno divulgata. Ma come è possibile? Continua: “Oltre ad avere un effetto diretto di spiazzamento dell’investimento privato, essi si associano a premi per il rischio sul debito pubblico più elevati, i quali comportano a loro volta tassi di interesse maggiori, con ripercussioni avverse per gli investimenti e altri ambiti dell’attività economica sensibili all’andamento dei tassi di interesse (tutto ciò non avviene ad esempio nel vicino Regno Unito, o non ha relazione ad esempio a quanto avviene fra Spagna e Italia, ma evidentemente c’è il dovere di sbagliare, a Strasburgo, ndr)”.

“Il risanamento delle finanze pubbliche può favorire la crescita economica nel breve periodo” (poco fa si è scritto che aveva un impatto deleterio nel breve periodo, ndr) (…) “Accrescere la flessibilità dei mercati del lavoro, dei prodotti e dei servizi migliorerebbe in misura decisiva la capacità di tenuta delle economie dell’area dell’euro”. Ecco cosa si intende. Pagina 66, titolo: “Sono necessari ulteriori sforzi per continuare il processo di riequilibrio”. Il tutto per creare il “mercato comune” liberal-comunista: “Una sensibile, effettiva riduzione del costo del lavoro per unità di prodotto (…) è particolarmente urgente nei paesi dove l’elevata disoccupazione rischia di divenire strutturale e la concorrenza è debole“. Ok. Claro. Sì, parlano di noi.

Ancora, alla faccia di Blanchard e R&R: “(per aumentare la competitività) richiederà il contenimento della spesa e una maggiore efficienza di quest’ultima, in particolare nelle aree dell’istruzione, della sanità, della pubblica amministrazione e delle infrastrutture (…)”. E inoltre, incredibilmente: “Le strategie di risanamento dei conti pubblici dovrebbero essere incentrate sul rigoroso rispetto degli impegni già assunti nell’ambito del Patto di stabilità e crescita e del fiscal compact (per l’Italia circa 50 mld di euro l’anno per 20 anni, ndr). Tutti i paesi sottoposti a procedure per i disavanzi eccessivi devono assicurare il pieno conseguimento degli obiettivi di bilancio (…) Laddove ciò non avvenga, occorrerebbe adottare misure procedurali tempestive nell’ambito della procedura per i disavanzi eccessivi al fine di evitare che il consolidamento sia indebitamente ritardato e che venga compromessa fin dall’inizio la credibilità della nuova governance rafforzata per le finanze pubbliche“. Ditelo a enricoletta.

2 - CLAMOROSO SILENZIO DELLA STAMPA ITALIANA: Insomma, Mario Draghi ripete a pappardella le raccomandazioni dimostrate errate (quando non peggio) del Fmi, continua a farne strumento di ricatto politico per centinaia di milioni di cittadini. Non c’è un giornalista che lo faccia notare. Prendo Barbara Corrao del Messaggero, la quale scrive “che la Bce ricorda che un rapporto debito/Pil oltre il 90% danneggia lo sviluppo”. Ma è tutto così, copia e incolla, anche a La Stampa, Repubblica, Rai.it, e via discorrendo.

3 - PEGGIO, SEMPRE PEGGIO, A BERLINO NON HANNO PIETA’: Quanto letto sopra è lo zucchero. In Germania, infatti, vogliono che il caffè sia amarissimo, indigesto, e non vogliono neppure che si dia il minimo sollievo al malato: altro che Stati Uniti d’Europa, siamo agli Stati Leghisti d’Europa.

4 - LETTA SE CI SEI BATTI UN COLPO: Dunque la Banca Centrale Europea, sottratta al controllo democratico, dà indicazioni a stati ex sovrani di diminuire il costo di salari e stipendi basandosi su affermazioni dimostrate come false. Si auspica che il nostro nuovo Presidente del Consiglio, consapevole di errori tanto evidenti, chieda la verifica delle competenze degli estensori del rapporto, la rimozione del Presidente Mario Draghi per responsabilità oggettiva e apra immediatamente un tavolo europeo di verifica della congruità di tutti i documenti economici approvati su queste basi e il loro annullamento.

Impossibile, forse. Lui non è un cuor di leone ma con Enrico Giovannini che in tv dice il contrario di quel che è scritto nei documenti ufficiali da lui firmati e con Fabrizio Saccomanni che affermava che “le misure di austerity porteranno ad una crescita attraverso la riduzione dei tassi di interesse”, c’è poco da sperare. Anzi, niente.

Le risorse

Come ci ha detto la ministra dell'integrazione e cooperazione? Che gli immigrati sono una risorsa? No, lo so che non è l'unica a dirlo, ovvio, da immigrata non potrebbe parlare diversamente. C'è chi la stessa cosa l'ha detta e ripetuta fino a fare lavaggi del cervello molto prima di lei... peccato che poi chi fa simili affermazioni, non si guarda in giro e non s'accorge che gli immigrati tutto sono tranne che risorse. Qui il video. No, non è un paese arabo. E' milano.


Scarpe spaiate, maglie e pantaloni a brandelli, cellulari, cavi elettrici, paccottiglia, sigarette di contrabbando, cibarie, cartoni di birra. La distesa di panni e oggetti inizia nel mezzanino del metrò. San Donato, capolinea della linea gialla, domenica alle 6 del mattino. Il mercato di ambulanti che apriva i battenti nell’autorimessa dei bus, lì di fronte, è stato chiuso due domeniche fa dal Comune di Milano, perché l’associazione che lo gestiva non ha presentato la documentazione richiesta, che ne avrebbe consentito la legalizzazione. Ma, via le bancarelle storiche, i venditori estemporanei che erano soliti assieparsi ai margini del mercato non hanno abbandonato la piazza. Anzi, si sono impadroniti del capolinea, trasformandolo in una via di mezzo tra un mercato delle pulci e un vivace suk metropolitano, sopra e sotto. A mezzogiorno il pienone, impossibile per i mezzi pubblici di superficie arrivare al capolinea e difficile persino camminare tra i tappeti stesi a terra e le montagne di usato che stanno trasformando il confine tra Milano e San Donato in una terra di nessuno.

... e dove stava quando li ha creati?


“Chiedo scusa a tutti coloro ai quali ho creato angoscia.” Lo afferma a Focus economia su Radio 24, l’ex ministro Elsa Fornero. “In quelle giornate mi e’ stato chiesto di fare la riforma delle pensioni- spiega- i risparmi di spesa che venivano fuori sembravano sempre insufficienti anche con le misure che sono state aggiunte, come l’aver tolto indicizzazione alle pensioni salvando soltanto quelle bassissime. Gia’ questa e’ stata una conquista perche’ all’inizio non c’era spazio neppure per salvare dal taglio dell’indicizzazione le pensioni piu’ basse. E quando all’elenco di tutte le persone da salvaguardare chiedo una stima agli uffici e mi viene detto 50.000 e poi portate a 65.000, avrei dovuto dire: ‘fermi tutti, io avrei bisogno di 15 giorni per verificare che questa cifra sia corretta’. Io non l’ho fatto, avrei dovuto, ma non l’ho fatto”, conclude Fornero. “Oggi non c’e’ l’emergenza esodati”. Ha aggiunto la Fornero: “Aver determinato una salvaguardia per 140.000 persone non puo’ piu’ voler dire essere in emergenza. Oggi c’e’ un processo che andra’ governato con equita’ e serieta’- continua l’ex Ministro Fornero- l’Inps ce l’ha messa tutta per far partire le prime 65.000 mila lettere, poi ci sono gli altri 55.000 e mi auguro che arriveranno presto, altri 10.000 della legge di stabilita’ e i 10.000 della mobilita’ Sacconi”.

Zanonato, la riduzione delle tasse e nessuna alternativa a questo governo...


”La direzione è chiara: vogliamo ridurre le tasse senza tagliare i servizi o aumentare il debito. Il lavoro più difficile sarà quello di reperire le risorse. Ci sono diverse leve su cui si può agire: migliorare la lotta all’evasione fiscale, ottenere un rendimento maggiore del patrimonio pubblico, ridurre la spesa”. Lo afferma il neo ministro allo Sviluppo economico Flavio Zanonato, che in un’intervista a Repubblica spiega l’esigenza di rinegoziare il patto di stabilità con Bruxelles.“Se vogliamo mantenere in Europa una reputazione che ci consenta di tenere basso lo spread e quindi non pagare maggiori interessi sul debito, dobbiamo avere una politica economica credibile. Ma ci interessa anche ricontrattare con l’Unione il patto di stabilità”, dice Zanonato. “Soprattutto deve esserci la possibilità di sfilare dal patto la spesa per investimenti. Senza questa possibilità non si rimette in moto la crescita”. Parlando dell’Imu, spiega: “Se si riesce a rimodulare l’imposta sulla casa in base al reddito, per agevolare quelli più bassi, saremo i primi ad esserne soddisfatti. Ovviamente trovando le compensazioni per i Comuni”. Sulla riduzione del costo del lavoro, “intanto chiariamo che non significa abbassare i salari. Anche qui bisogna usare la leva fiscale e contributiva e puntare a un sistema più efficiente, perché il costo del lavoro si contiene anche tagliando i costi energetici. Ma la cosa più importante è fare in modo che chi assume, chi crea lavoro e quindi ricchezza, abbia dei vantaggi fiscali”, osserva il ministro. Quanto al reddito minimo, “occorre trovare dei meccanismi per collegarlo a delle attività di pubblica utilità”, perché “il lavoro è anche appartenenza a una comunità, è dignità”. Nell’intervista Zanonato esclude un cambio di atteggiamento da parte dell’M55, perché “le cose da fare richiedono una visione istituzionale che loro oggi non hanno”. Per questo, conclude, “è automatico che le forze che sentono una responsabilità istituzionale affrontino la situazione. Non c’è alternativa a questo governo”.

Talebani europeisti


Incassata la fiducia, Enrico Letta ha iniziato il suo tour europeo per rassicurare gli altri Stati membri sulle politiche europeiste del suo governo. Prima tappa: Berlino, dove ha incontrato Angela Merkel. Tra domani e giovedì, il premier vedrà poi François Hollande e gli alti rappresentanti dell'Unione europea.

In Germania, il premier è stato accolto dagli onori militari e dagli applausi di un gruppetto di italiani che lo aspettavano al di fuori della Cancelleria. Letta e la Merkel si sono stretti la mano e hanno scambiato qualche parola in inglese prima del colloquio, durato circa mezz'ora. "Ogni Paese deve fare i propri compiti, l’Italia ha già compiuto un pezzo di strada", ha detto la Cancelliera alla fine dell'incontro, "Sono molto soddisfatta della nostra collaborazione che inizia con questo bilaterale". Per la Germania, l'Europa deve proseguire nel "consolidamento fiscale" e conquistare la crescita e la fiducia dei cittadini attraverso riforme strutturali e miglioramento della competitività."Dopo due mesi di una faticosa crisi politica, l’Italia esce forte", ha aggiunto il premier italiano, ribadendo l’impegno a "continuare sulle politiche di risanamento, con gli impegni di mantenere i conti pubblici a posto". Sui rapporti tra i due Paesi, Letta ha aggiunto: "Dobbiamo agire insieme. Nessuno ha intenzione di dire ai cittadini tedeschi cosa devono fare, così come i cittadini tedeschi non hanno alcuna intenzione di dire agli italiani cosa devono fare". Il presidente del Consiglio ha poi spiegato che "la crisi che ci ha colpito per 5 anni non ha trovato soluzioni sufficienti è perchè non c’è stata abbastanza Europa". E ha aggiunto: "Non vogliamo un’Europa che consenta di fare debiti a chi li vuole fare. Ora la determinazione con la quale l’Europa ha costruito le regole deve essere pari a quella per portare avanti politiche per la crescita. Se l’Europa è la nostra rotta, a noi sembra che l’Europa debba impegnarsi sulla strada del rigore e del risanamento ma non solo su quello. Serve altrettanto impegno sul terreno della crescita".

Madonna Boldrini si infuria

Qualche commento: "Fatemi capire, mi state dicendo che chi non è d'accordo con il ministro e il presidente della camera è un "razzista"? E' questa l'idea di democrazia che hanno queste persone? Che propongano le loro leggi nei territori in cui sono state elette, a questo punto chi si è assunto la responsabilità di eleggere queste persone porti il peso delle loro scelte, io personalmente non ho un solo poro della pelle in comune con loro, non per razza, sesso, religione ma per idee, cultura, valori. NON MI RAPPRESENTATE."

"Ma non era un governo che doveva occuparsi di poche urgentissime cose e poi subito a votare? E il diritto di cittadinanza ai peggiori soggetti piovuti in Italia è urgentissimo?"

"ma questa e' appena arrivata e dobbiamo gia subire imposizioni che non stanno ne in cielo ne in terra! Con tutti i problemi seri che abbiamo, a questo ministro dovra' essere data la parola solo se avanza del tempo. E non ne avanzera' di certo!"

"Abbiamo già lo sfascio economico. Con lo IUS SOLI arriverebbe anche lo SFASCIO SOCIALE. Ci si aspetta che Lega e PDL non facciano passare questa porcheria demagogica, altrimenti entrambi i partiti TRADIREBBERO i loro elettori e darebbero una mazzata al paese. Non sto neanche a commentare la bassezza della sinistra, sia per la nomina in se di un ministro che proviene dal Congo (!) che per le idee che tale 'ministro' professa, che sono a totale discapito dell'interesse degli italiani. Il centrodestra ha il dovere di sterilizzare le insensatezze del 'ministro'."

Diritto di cittadinanza, la Boldrini difende la Kyenge: "Indegni insulti". Il ministro dell'Integrazione in campo per cambiare la legge sulla cittadinanza. Piovono critiche e insulti. La presidente della Camera: "Razzismo intollerabile" di Sergio Rame

Il dibattito sull'immigrazione e sulla cittadinanza italiana agli stranieri entra prepotente in parlamento. Un dibattito che rischia di dividere il governo di larghe intese. Non appena Cècile Kyenge, a cui Enrico Letta ha deciso di affidare il dicastero dell'Integrazione, ha iniziato a parlare di ius soli, la Lega Nord e più in generale il centrodestra hanno alzato le barricate. Le posizioni dell'esponente piddì hanno diviso anche i social network. Non sono poi mancati quelli che hanno criticato apertamente il premier per aver nominato il primo ministro di colore. Critiche che non sono affatto piaciute al presidente della Camera Laura Boldrini: "È indegna di un Paese civile la serie di insulti che, soprattutto da alcuni siti in rete, ma non solo - si sta rovesciando sulla Kyenge". Il neo ministro dell’Integrazione è nata a Kambove in Congo, ha 49 anni ed è un medico oculista. Modenese, vive a Castelfranco dell’Emilia, ed è da tempo impegnata in politica, prima nei Ds, poi nel Partito democratico. da subito, la Kyenge ha messo nero su bianco le linee guida del suo dicastero: chiederà l’abrogazione della legge Bossi-Fini e del reato di clandestinità, l’abolizione del permesso di soggiorno a punti, la chiusura dei Cie e il passaggio dallo ius sanguinis allo di ius soli per il riconoscimento della cittadinanza. A marzo è stata una dei quattro firmatari - oltre a Pier Luigi Bersani, Khalid Chaouki e Roberto Speranza - della proposta di legge depositata alla Camera sul riconoscimento della cittadinanza agli immigrati. Proposta che contempla il riconoscimento della cittadinanza per chi nasce in Italia da stranieri residenti da almeno cinque anni e della possibilità di richiederla anche per chi non è nato in Italia, ma vi è cresciuto.

Il segretario della Lega Nord Roberto Maroni ha subito chiesto al Pdl e, in particolar modo, al ministro dell’Interno Angelino Alfano di chiarire qual è la posizione del governo sulla cancellazione della Bossi-Fini e sulo ius soli. Anche ai grillini la nomina della Kyenge non è piaciuta. La stessa capogruppo alla Camera Roberta Lombardi ha spiegato che il M5S non si è rifiutato di applaudirla in Aula: "Ci è parso che venisse esibita...". Non sono solo le posizioni della Kyenge ad accendere il dibattito. Non è infatti mancato chi ha criticato duramente la nomina con insulti e attacchi personali. L’eurodeputato leghista Mario Borghezio, per esempio, ha bollato la nomina come "un elogio all’incompetenza". Secondo Matteo Salvini, invece, è il simbolo di "una sinistra buonista e ipocrita, che vorrebbe cancellare il reato di clandestinità e per gli immigrati pensa solo ai diritti e non ai doveri". Da qui l'invito al ministro di visitare alcune città del Nord per "vedere come l’immigrazione di massa ha ridotto gli italiani a minoranza nei loro quartieri". Di tutt'altro avviso la Boldrini che, nel veder giurare la Kyenge al Quirinale, ha avvertito che "l’Italia stava facendo un passo avanti importante". Proprio per questo, il presidente della Camera ha subito avvertito che non può essere tollerata "la volgarità razzista mirata contro una persona per il colore della pelle". Sul banco degli imputati i siti in cui viene incitato l’odio razziale che resta un reato anche se espresso via web. "Molto gravi sono anche le parole usate da qualche esponente politico, che vanno ben oltre il legittimo dissenso sulle iniziative che Kyenge intende promuovere", ha concluso la Boldrini ritenendo "inaccettabile che queste bassezze possano, anche grazie alla compiacenza di una parte dell’informazione, entrare nel circuito della discussione politica senza suscitare l’esecrazione che meritano". Immediata la replica di Borghezio che, ai microfoni della Zanzara, ha detto: "La parola 'negra' in Italia non si può dire ma solo pensare. Fra poco non si potrà neanche dire 'clandestino', si dirà 'sua eccellenza'".

lunedì 29 aprile 2013

Niente è scontato... sulle spalle dei contribuenti


Mentre a Roma Enrico Letta annuncia che l’Imu da giugno scomparirà, a Siena il presidente del Monte dei Paschi, Alessandro Profumo incrocia le dita sul rimborso di quattro miliardi di Monti bond, cifra corrispondente grosso modo all’incasso che il governo uscente ha intascato dalla tassa sulla casa. All’assemblea dei soci, Profumo sul tema ha detto chiaramente che “nulla è scontato”, ma c’è la “possibilità di vincere la sfida per rimborsare” il debito contratto con lo Stato che, in caso di mancata restituzione del prestito, diventerebbe il primo socio della banca senese. “Ce la dobbiamo fare – spiega Profumo ai soci – è l’unico modo per mantenere indipendente la banca e la sede a Siena”.

Argomento, quest’ultimo, particolarmente sentito nel capoluogo toscano dove la Fondazione Mps, primo socio della banca con il 37,56%, dovrà fare i conti con l’aumento di capitale che si prospetta all’orizzonte del 2014. Un’operazione che dovrebbe portare nel capitale dell’istituto senese nuovi azionisti. “Soci non bancari”, ha spiegato Profumo che assieme all’amministratore delegato, Fabrizio Viola, punta a cambiare le regole del gioco nel capitale di Mps. Attualmente, però, per statuto, solo la Fondazione può avere una quota superiore al 4% di Rocca Salimbeni, ma l’obiettivo del management è rimuovere la soglia massima rendendo la banca contendibile ed interessante per i grandi investitori. Tuttavia per il presidente della Fondazione Mps, Gabriello Mancini, il cambiamento della clausola del 4% è solo una “opinione personale” espressa da Viola. Detta in altri termini, la Fondazione, pur navigando in acque tempestose (331 milioni di euro la perdita del 2011) non è intenzionata a ridimensionare il proprio ruolo in Mps. Non solo: “La Fondazione – ha dichiarato Mancini – non rinuncerà alla scelta dei soci per la banca”. In altre parole, chi metterà il denaro nella banca senese, dovrà essere gradito agli enti locali, Comune e Provincia, grandi elettori della Fondazione.

Ma l’ente guidato da Mancini, che ha dato l’ok all’azione di responsabilità verso gli ex vertici di Mps, non può’ permettersi errori: la Fondazione “fallirebbe se il Tesoro entrasse nell’azionariato della banca. Si parla sempre di alcune cose senza riflettere sulle conseguenze ed in questo caso la Fondazione avrebbe più debiti di quanto non avrebbe all’attivo”, come ha spiegato Profumo lasciando intendere i grossi rischi che corre l’ente senese. E Mancini ne è consapevole. Non a caso ha esortato il management ad andare avanti rapidamente nel piano di ristrutturazione della banca: “Il raggiungimento degli obiettivi del piano è infatti vitale sia per il mantenimento dell’indipendenza strategica della banca che per il futuro della Fondazione”. L’eco della giornata senese è arrivato fino a Roma. Così, mentre due rappresentanti statunitensi della Banca Nomura erano a colloquio nelle stanze della Procura di Siena per far luce sull’affaire derivati, nella capitale il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri, ha dichiarato che “l’affermazione del presidente di Mps, Profumo, secondo cui la restituzione del Monti bond di 4 miliardi non è scontato, costituisce una prospettiva gravissima”. E poi ha aggiunto: “La somma che lo stato italiano, dunque i cittadini, ha messo a disposizione per salvare la banca, equivale all’Imu pagata per la prima casa. Forse sarebbe stato meglio nazionalizzare Mps. In ogni caso, questa vicenda deve entrare con la massima urgenza nell’agenda del governo che dovrà chiedere chiarezza ai vertici di Mps”. Insomma, il braccio di ferro fra politica nazionale, locale e management di Mps è appena iniziato. E la Borsa lo ha già intuito spingendo il titolo al rialzo del 6,88 per cento mentre i conti, approvati dall’assemblea, testimoniano una perdita netta da oltre 3 miliardi di euro.

Terzomondismo e politically correctness

Ho la libertà di dire ciò che penso. E ciò che penso è che la signora congolese, non mi rappresenta affatto. Per una sola piccola differenza, che io sono italiana al 100% e lei è congolese. Il discorso è da bar ma così è. E la sua entrata in parlamento è puramente strumentale e dunque, agli italiani la sua nomina non serve a nulla.


Come ex-immigrato da 40 anni orgogliosamente italiano denuncio la nomina di Cécile Kyenge a ministro della Cooperazione internazionale e l'Integrazione come un atto di razzismo nei confronti degli italiani. Lei personalmente non c'entra nulla: il fatto che sia di origine congolese, che abbia o meno la doppia cittadinanza e, per cortesia, lasciamo stare il discorso sul colore della pelle che è indegno di una nazione civile. La mia denuncia si fonda innanzitutto sul fatto che l'integrazione degli immigrati non può prescindere dalla condivisione dei valori fondanti della nostra identità nazionale e dal rispetto delle regole che sostanziano la cittadinanza italiana. Viceversa Kyenge e il Pd, un contenitore che sta per implodere che associa ex-comunisti, catto-comunisti e spregiudicati qualunquisti, promuovono un modello di società multiculturalista, relativista e buonista dove si vorrebbe imporre alla nostra Italia di adottare l'ideologia immigrazionista, che c'impone di spalancare le frontiere per accogliere tutti, costi quel che costi, concependo l'immigrato buono a prescindere, e che in definitiva ci porterebbe ad annullarci come nazione per fonderci nel globalismo considerato come il traguardo più ambito, l'apice della nuova civiltà che ci premierebbe quali «cittadini del mondo», liberandoci definitivamente del «provincialismo» che ancora ci lega all'amore per la Patria.

In secondo luogo denuncio il fatto che, in un momento in cui circa 6 milioni di italiani sono letteralmente ridotti alla fame e metà delle famiglie non arriva a fine mese a causa di uno Stato ladrone e aguzzino che costringe ogni giorno mille imprese creditrici a fallire, il governo dovrebbe avere come proposta programmatica di fondo il principio «Prima gli italiani». Di fronte agli imprenditori e ai lavoratori che si suicidano per disperazione e che arrivano, come è accaduto ieri, a voler uccidere i simboli delle istituzioni, è da criminali favorire gli immigrati a discapito degli italiani. In questa crisi strutturale causata dalla speculazione finanziaria globalizzata, dalla dittatura europea e dallo strapotere delle banche, il governo ha il dovere di privilegiare gli italiani nell'accesso ai beni e ai servizi per salvaguardare il nostro legittimo diritto alla vita, alla dignità e alla libertà qui nella nostra casa comune. Invece questa sinistra ci dice che dobbiamo rassegnarci alla prospettiva della civiltà multiculturalista, dove si diventa italiani se si nasce in Italia anche se i genitori disprezzano l'Italia, dove si sommano e si fondono i valori, le identità e le culture perché sarebbero tutte uguali a prescindere dai loro contenuti.

Il risultato è il fallimento della civile convivenza che si tocca con mano proprio nei Comuni amministrati dalla Sinistra, da Torino a Bologna, da Padova a Firenze. In terzo luogo denuncio il fatto che per ragioni vergognosamente elettoralistiche, con la finalità di accaparrarsi il voto degli immigrati costi quel che costi, il Pd investe sul maggior afflusso degli immigrati in Italia per colmare il deficit demografico e i posti di lavoro sgraditi dagli italiani. Un governo che ama l'Italia dovrebbe invece favorire la crescita della natalità degli italiani sostenendo concretamente la famiglia naturale e, in parallelo, riformare l'Istruzione per affermare la cultura della responsabilità, del dovere e delle regole che induca i giovani italiani a rivalorizzare i lavori manuali. Mi auguro di essere smentito dall'operato del neo-ministro Kyenge ma nell'attesa è nostro diritto e dovere proclamare ad alta voce «Prima gli italiani».

sabato 27 aprile 2013

Gli imbecilli si spellano le mani

Non chiamatelo inciucio di Marco Cedolin

A due mesi esatti dalle elezioni di febbraio, sembra essere nato, dopo un parto lungo e travaglliato, il nuovo governo destinato ad accompagnare gli italiani sul fondo del baratro. Già ad una prima occhiata, non si fatica a rendersi conto che il neonato governo Letta rappresenta per molti versi un qualcosa d'inedito rispetto a quelli che lo hanno preceduto, pur muovendosi nel solco del "pilota automatico" voluto da Mario Draghi. Ad attirare l'attenzione non sono tanto i nomi dei singoli ministri, con qualche eccezione come quello di Emma Bonino che di fatto garantisce la completa suddittanza nei confronti degli Usa e d'Israele, quanto piuttosto la filosofia di carattere puramente "estetico", posta alla base della squadra di governo. In presenza di un pilota automatico che imporrà all'esecutivo tutte le mosse da compiere e considerata la mancanza di spazio per qualsiasi autonomia di pensiero, il lavoro si é concentrato insomma esclusivamente sul messaggio mediatico che il nuovo governo dovrà veicolare nelle case degli italiani, per ottenere un'apertura di credito in termini di speranza e simpatia...

Non appena ufficializzato l'elenco dei ministri, giornali e TV hanno iniziato a spendersi in ogni sorta di panegirico concernente le lungimiranti scelte compiute da Enrico Letta, grazie alla resurrezione di Napolitano e all'aiuto comprensivo di Silvio Berlusconi. Finalmente un governo strapieno di donne (ben 7) come mai se ne erano visti prima. Finalmente un governo di giovani (con l'età media intorno ai 50 anni) come mai era accaduto in precedenza. Finalmente un governo che annovera fra le sue fila un ministro di colore, a sancire il nostro terzomondismo. Finalmente un governo di larghe intese, dove il PD ed il PDL hanno compreso la necessità di unirsi per il bene del paese. Finalmente un governo grazioso esteticamente, politico ma non troppo, tecnico fino ad un certo punto, di destra ma anche di sinistra, di rottura ma anche di continuità e soprattutto molto, ma molto europeista senza se e senza ma. Un governo dall'immagine curata, con alcuni ministri diventati famosi proprio nei salotti della TV, con gli equilibri politici studiati con cura a tavolino, con pochi nomi "pesanti" diluiti per mezzo di nuove comparsate, adatto per distribuire a piene mani speranze di cambiamento, promesse di ripresa ed immagini patinate cariche di ottimismo e prospettive di un futuro migliore.

Parlare d'inciucio di fronte ad un'operazione di marketing di questo genere potrebbe risultare disdicevole. Non solamente per il rischio d'incorrere nell'ira dell'immarcescibile Napolitano, ma anche perché adesso che le elezioni sono un lontano ricordo quale utilità potrebbero rivestire i distinguo? Vogliamoci bene e lavoriamo tutti insieme per costruire l'Italia del futuro, sembra il leit motiv veicolato dal circo mediatico vestito a festa per l'occasione. E probabilmente, come sempre accade, gli italiani abboccheranno all'amo, felici del fatto che finalmente esiste un nuovo governo, preposto a risolvere i loro problemi. Per poi risvegliarsi regolarmente di fronte alla prima legnata fiscale, alle raffiche di licenziamenti e agli ufficiali giudiziari mandati da Equitalia. Tutto sommato non si può negare che l'intera operazione sia stata gestita scientemente con estrema competenza. L'astensionismo elettorale é stato limitato lavorando sull'antagonismo fra PD e PDL. Il PD ha raccolto quasi il 30% dei consensi attraverso una campagna elettorale di odio nei confronti del "nemico" Berlusconi. Il PDL ha ottenuto altrettanto, chiedendo i voti per arginare l'avanzata del demone della sinistra e schierandosi contro l'Europa e l'euro. Entrambi hanno pesantemente criticato le scelte scellerate compiute dal governo Monti con il loro sostegno. Ed oggi, forti dei numeri derivanti dal consenso ottenuto proprio grazie all'antagonismo, Berlusconi, il PD e Monti si uniscono tutti in un abbraccio fraterno, giurandosi amore eterno, nel nome di più Europa e più euro e nel segno del cambiamento. Non chiamatelo inciucio, si tratta di vero amore, di quelli destinati a durare a lungo, per tutto quello che conta c'è sempre il pilota automatico e non occorre pensarci più.

Il nostro disagio e il nostro disgusto... non necessità, virtù

Un lungo commento di Gondor: "Come dare torto a Veneziani per quello che ha scritto ?! Una sola eccezione: "fare di necessità virtù". Siamo sicuri che la necessità di formare un governo con questa composizione sia ora una virtù? A ben pensare, il Governo Letta è l'esatta fotocopia di quello precedente (dominato dai Poteri forti transnazionali) e poco conta a tale riguardo l'assenza tra le sue fila del Commissario liquidatore dell'Italia (M. Monti), già mandato dai Poteri forti sovranazionali a blindare la morte del Sistema Italia (precedente e, a ben vedere, propedeutica di quella della Nazione Italia). Una informazione prezzolata fatta da troppi pennivendoli-schiavi (... e pure arroganti) lascia passare del tutto inosservato (tra le tante altre cose) che il Fiscal Compact, vero e proprio cappio al collo dei popoli economicamente, politicamente e socialmente deboli, sta per stringersi in maniera definitiva intorno al nostro (dopo quello greco, spagnolo, ecc ecc). Sanno gli italiani che a Ottobre, dopo la stangata estiva dell'IVA, la Commissione Europea (non eletta da nessun cittadino europeo!) avrà potere di veto e indirizzo assoluto sulle nostre manovre finanziarie, a partire da quella del prossimo Ottobre? Conoscono gli italiani e gli altri popoli europei i contenuti del Trattato di Lisbona in termini di gestione poliziesca del dissenso e delle residue prerogative politiche ed economiche lasciate ai governi nazionali? Le dismissioni dei beni pubblici (da regalare ai privati a prezzi stracciati e, al tempo stesso da fare apparire e accettare al popolo-gonzo come la ben nota “carota”, anche se si tratta del solito e proverbiale “cetriolo”), l'estrazione del (residuo) sangue dalle nostre vene con ulteriori tasse ecc ecc, lo strozzamento finale da parte delle banche della piccola e media impresa e dell'artigianato (bastioni storici dei popoli antichi e delle loro tradizioni culturali, sociali e civili) sono mosse sapientemente articolate da combriccole autoreferenziali, violente e senza Patria, che dominano da tempo la scena mondiale e l'Europa, in particolare. Il concetto stesso di Sovranità politica dei popoli dovrà essere cancellato in quanto opposto alle strabordanti visioni globalizzanti e massificanti dei Poteri forti, a tutto vantaggio delle Tecnocrazie finanziarie (e non solo) che mirano alla creazione di una Gotham City planetaria nella quale possedere, amministrare e dirigere tutto: dalla giustizia (la Corte internazionale dell’Aja è solo un esercizio preliminare) alla politica (l’EU e le tante Unioni commerciali ed economiche tra paesi e di interi continenti sono solo passi preliminari), dal commercio (WTO) alla società (Internet e i social network sono un vero veleno messo sapientemente nelle mani di giovani ignoranti e senza autocoscienza). Altri (e ben tristi) esempi sono sotto gli occhi di che vuole guardare. La stessa globalizzazione dei diritti (ne stiamo morendo ubriachi sulla carta, ma drammaticamente privi nella realtà), incluso quello delle adozioni per le coppie gay (la Francia dei giorni scorsi è solo l’ultimo stato, morente, che ha accolto questa nefandezza), è un modo come un altro per dire: l’Uomo e i Diritti naturali, la Storia e il Presente non sono nulla ed è necessario sostituire a essi un nuovo Pantheon, un nuovo Codice e una nuova Civiltà (Civiltà???!!) per il futuro (tutto questo e anche di più, se possibile, viene chiamato “Nuovo Ordine Mondiale”). Il tutto da inoculare rapidamente e a piccole dosi affinchè questi veleni possano essere metabolizzati, senza creare eccessive resistenze, nel sangue ormai annacquato e fiaccato delle vittime globali globalizzate, incoscienti e narcotizzate. Non a caso non si parla più dei Doveri, il fondamentale contrappeso dei Diritti, fonte di Valori archetipali e quindi necessari alla convivenza comune e alla stessa essenza dell’Individuo. A mio modo di vedere, quindi, è del tutto necessario che il popolo italiano (prima ancora che altri, in virtù della sua Storia e Nobiltà antiche di millenni) si svegli e comprenda che (tra le altre mille cose) ha i giorni contati. E’ diventato del tutto inutile, oltre a essere controproducente, dividersi politicamente tra destra e sinistra. Questo antico (ma per molti vecchio e logoro) discrimine sociale e economico (poi divenuto politico) nato a metà dell’800 aveva ragion d’essere in un mondo proto-industriale e industriale maturo che ha terminato di essere effettivo negli anni scorsi, con ogni evidenza dalla caduta del Muro di Berlino e dalla successiva globalizzazione dei commerci e del terziario avanzato. Il vero e cruciale discrimine politico dei nostri giorni è un altro, ben più drammatico e centrale delle contrastanti visioni (per l’appunto di destra o di sinistra) sulle modalità di creazione e distribuzione della ricchezza e dei frutti del progresso tecnologico. La nuova categoria centrale e discriminante nella politica di oggi (e ancora per poco tempo, temo) è il concetto di Sovranità nazionale. In un certo senso, la Destra tende, per sua natura storica e sociale, a volerla preservare (anche perché considerata come la sommatoria politica dei Diritti naturali individuali). Al contrario, la Sinistra tende a considerarla una categoria storica con ampie ricadute economiche e sociali assolutamente avverse alla formazione di una massa popolare omogenea (da indottrinare e dirigere nell’utopia dell’Uomo Nuovo). Per i motivi appenna accennati, non c’è da meravigliarsi del fatto che la (vera) Destra italiana (ormai allo “zero-virgola” dal punto di vista dei consensi e delle capacità di creare un serio dibattito storico, culturale e politico) non parteciperà al Governo della Tecnocrazia e della Finanza, mentre la quota-parte della Sinistra, già metabolizzata e ridotta a scendiletto dei Poteri forti (ovvero il PD), ne farà parte in modo più o meno entusiastico. In questo senso, il PDL ha due possibilità: la prima è di partecipare al banchetto per contrattare un’agonia dell’Italia il più indolore possibile (si può davvero??); l’altra è di far finta di nulla per lucrare grazie a posizioni di rendita. Che la Destra (quella “accomodante” e maggioritaria in Italia) estragga dal cilindro magico un coniglio che si chiama “uscita dall’Euro” (la vera riconquista della Dignità e Sovranità nazionale, a mio parere auspicabile,) è tutto da verificare, ma molto improbabile. A quel punto il Governo cadrebbe dopo un secondo anche se la Sinistra si opponesse con tutte le sue (residue) forze in virtù della sua “sciocca” e proverbialmente “sciagurata” vocazione europeista. Nella realtà, la Sinistra storica mira alla distruzione della Sovranità dei popoli ed è per questo motivo un ottimo e ideale (temo non inconsapevole) alleato della Finanza globale e della Tecnocrazia globalizzante (nonché di visioni europeiste retoriche, infondate ed astruse). Quest’ultima tende a sfruttare masse enormi non più solo di lavoratori, ma di interi popoli mentre la Sinistra politica ed elitaria mira semplicemente a rappresentarle. Ben diverso è il caso della sinistra popolare (SEL, in Italia) che, non a caso, non parteciperà al nuovo (nuovo??) Governo. Se lo scenario presente e futuro è davvero quello prospettato (ma molte evidenze sembrano confermarlo) non c’è da stare allegri; staremmo infatti assistendo alla “fine programmata” di millenni di storia e tradizioni di interi popoli a scala planetaria. Un’operazione enorme e drammatica che proprio perché tale non va nascosta dai suoi artefici, ma, al contrario, resa manifesta e addirittura condivisa con le masse in virtù del vecchio adagio secondo il quale “per nascondere davvero occorre palesare”. Siamo in grado di individuare e contrastare questo scenario? Non c’è più molto tempo per agire!"


Non solo a sinistra si vivono le larghe intese con largo disagio. Anche a destra, se permettete. Ci sembra di star solo cambiando incubo. Ma la realtà ci impone di prenderne atto e fare di necessità virtù. E allora un governo transitorio d'emergenza dev'essere sì incentrato sulle urgenze e dunque sul fare, ma deve pur avere alle sue basi una scintilla per accendere il motore, una visione comune. Quell'idea comune non può essere la Resistenza o la Costituzione, a cui pur va il nostro rispetto, ma qualcosa che esprima il Bene Comune. Non riesco a trovare altra sintesi che questa: l'Italia e gli italiani, ovvero la loro salute e la loro sovranità, popolare e nazionale. Ognuno poi avrà le sue aspettative e le sue priorità, ma la priorità unitaria sia quella. Poi lo spirito con cui partire non è «siamo alla frutta, altrimenti c'è il baratro» ma l'opposto: si azzera il pregresso, palla al centro, si inizia daccapo. Si ricostituisce su basi unitarie e sul reciproco riconoscimento la fase successiva quando ciascuno andrà a rappresentare la sua parte. Arrivano morte la destra, il centro e la sinistra, sfiniti i loro leader e i loro simulacri. Erano l'ultimo retaggio del Novecento. Questo interregno serva a cambiare le forze politiche e la loro cultura, i loro leader e i loro dirigenti. Impresa temeraria quasi come uscire dalla crisi. Ma l'unico modo per accettare il promiscuo vagone Letta che sta partendo è istradarlo su questo binario, Bene Comune e politica nascente. Senza una visione comune il treno non parte o deraglia.

Il nuovo governo


Alfano al Viminale, Cancellieri alla Giustizia, Saccomanni all’Economia, Bonino agli Esteri. Era ed è l’unico governo possibile, ha spiegato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Enrico Letta (“il vero artefice di questo governo” l’ha definito il capo dello Stato) ha sciolto la riserva ed è il nuovo presidente del Consiglio. Domani alle 11,30 giurerà insieme al resto della squadra di ministri, mentre tra lunedì e martedì chiederà la fiducia alla Camera e al Senato.

Nasce, dunque, il governo di Enrico Letta. Un governo “politico”, con “record di presenza femminile”: 21 ministri, tra cui sette donne. Nove vanno al Pd, 5 al Pdl, 3 a Scelta civica e quattro sono i nome di alto profilo, anche a livello internazionale, come aveva auspicato il presidente della Repubblica. La lista dei ministri conferma solo in parte le voci che sono girate nelle ultime ore sulla bozza con la quale Letta si è presentato nel pomeriggio al Quirinale. Ci sono molte donne, l’età dei ministri si è considerevolmente abbassa. Ci sono il primo ministro di colore della storia della Repubblica e la prima olimpionica ministro, Josefa Idem. Ci sono tre personalità che non sono state scelte dalle file dei partiti che concorreranno a sostenere il governo: il presidente dell’Istat Enrico Giovannini, il direttore generale di Bankitalia Fabrizio Saccomanni e la radicale Emma Bonino.

Questa la lista illustrata dal capo del governo Letta. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio sarà Filippo Patroni Griffi (ex ministro alla Funzione Pubblica nel governo Monti). Partiamo dai ministeri senza portafoglio. Il ministro alla Pubblica Amministrazione e all’Innovazione è Giampiero D’Alia, la delega agli Affari regionali andrà a Graziano Delrio, le Pari Opportunità, il Turismo e lo Sport andranno a Josefa Idem, la Coesione Territoriale a Carlo Trigilia, ministro per i Rapporti con il Parlamento e il coordinamento del lavoro dell’esecutivo sarà Dario Franceschini, alle Riforme Istituzionali andrà Gaetano Quagliariello, all’Integrazione la democratica di origine congolese Cecile Kyenge. L’unica conferma è quella per gli Affari Europei dove resterà il ministro del governo Monti, Enzo Moavero Milanesi.

I ministeri con portafoglio. Agli Interni Angelino Alfano (sarà anche vicepresidente del Consiglio), agli Esteri Emma Bonino, all’ Economia Fabrizio Saccomanni, alla Giustizia Anna Maria Cancellieri, alla Difesa Mario Mauro, allo Sviluppo Flavio Zanonato, alle Infrastrutture e ai Trasporti Maurizio Lupi, all’Agricoltura Nunzia De Girolamo, all’ Ambiente Andrea Orlando, al Lavoro e al Welfare Enrico Giovannini, all’Istruzione Maria Chiara Carrozza, ai Beni Culturali Massimo Brai e alla Salute Beatrice Lorenzin.

Evviva! Il nwo avanza a grandi passi

Chi è Cécile Kyenge, primo ministro di colore. Kyenge, 49enne congolese, ha militato nei Ds e nel Pd: ha già depositato una proposta di legge per riconoscere la cittadinanza ai nati in Italia di Sergio Rame

Il neo ministro dell’Integrazione, Cecile Kyenge, è nata a Kambove in Congo 49 anni fa ed è un medico oculista. Modenese, vive a Castelfranco dell’Emilia, ed è da tempo impegnata in politica, prima nei Ds, poi nel Partito democratico. Già responsabile regionale per l’immigrazione nel Pd, è consigliere provinciale a Modena, è stata eletta deputata lo scorso febbraio, sola parlamentare di colore della diciassettesima Legislatura alla Camera. Prima donna di origine africana a sedere in Parlamento Kyenge è sposata e madre di due figlie, è laureata in medicina e chirurgia, specializzata in oculistica. Nel 2004 è stata eletta in una circoscrizione del comune di Modena per i Ds, prima di divenire responsabile provinciale del Forum della Cooperazione Internazionale ed immigrazione. Dal settembre 2010 è portavoce nazionale della rete Primo Marzo per cui si occupa di promuovere i diritti degli immigrati e i diritti umani. Il primo marzo del 2010 il movimento ha organizzato una giornata di mobilitazione e sciopero indirizzata a far comprendere "quanto sia determinante l’apporto dei migranti alla tenuta e al funzionamento della nostra società e come sia importante che italiani vecchi e nuovi si impegnino insieme per difendere i diritti fondamentali della persona, combattere il razzismo e superare la contrapposizione tra 'noi e loro'". L’associazione chiede l’abrogazione della legge Bossi-Fini e del reato di clandestinità, l’abolizione del permesso di soggiorno a punti, la chiusura dei Cie e il passaggio dallo ius sanguinis allo di ius soli per il riconoscimento della cittadinanza. Tra i diversi impegni della Kyenge c'è la promozione e il coordinamento del progetto "Afia" per la formazione di medici specialisti in Congo in collaborazione con l’Università di Lubumbashi. A marzo è stata una dei quattro firmatari - oltre a Pier Luigi Bersani, Khalid Chaouki e Roberto Speranza - della proposta di legge depositata alla Camera sul riconoscimento della cittadinanza agli immigrati, uno degli otto punti che lo stesso Bersani aveva proposto per il nuovo governo. La proposta di legge contempla il riconoscimento della cittadinanza per chi nasce in Italia da stranieri residenti da almeno cinque anni e della possibilità di richiederla anche per chi non è nato in Italia ma vi è cresciuto.

Vi presento l’onorevole Cécile Kyenge Kashetu ora ministro dell'integrazione di Luigi Riccio

Libera circolazione, una nuova legge sulla cittadinanza e l’abrogazione della Bossi-Fini. Con queste parole d’ordine è stata celebrata, il primo marzo, la quarta Giornata senza di noi. Molto è cambiato dalla prima edizione. Dalla clamorosa mobilitazione del 2010, il movimento è diventato più riflessivo: organizza eventi, convegni, produce documentari sul razzismo istituzionale. La “piazza” c’è ancora, ma l’idea dello sciopero ha perso centralità. Di tutto questo parliamo con Cécile Kyenge Kashetu, medico di origine congolese (Rdc), portavoce nazionale della Rete Primo Marzo e, da poco, neodeputata alla Camera per il Partito Democratico.

La Rete Primo Marzo ha celebrato la sua quarta Giornata senza di noi. Che bilancio fa di quest’esperienza? «Positivo. Noto una maggiore coscienza sulla tematica. È una questione che crea dibattito, coinvolgimento. C’è ancora tanta strada da fare. Ma l’idea di una società meticcia, senza distinzioni tra “noi” e “loro”, è sempre meno utopistica».

Il movimento è diffuso su tutta la Penisola, ma con il tempo è diventato meno visibile. Perché? «Lo “sciopero degli stranieri” è nato in un momento di grave crisi economica e questo successivamente ha influito. Ma adesso il Primo Marzo non è più solo mobilitazione. Lo troviamo nei circoli, nelle radio, nelle sale. È entrato nelle case».

Ha pesato, nel 2010, il mancato appoggio dei sindacati? «Un po’ sì. Il Primo Marzo era percepito come uno “sciopero etnico”, mentre noi chiedevamo una presa di coscienza più forte dei sindacati sulle tematiche del lavoro migrante. È stato difficile farci capire. Almeno per il primo anno. Poi lo scenario è cambiato».

In che modo? «Con lo sciopero di Nardò, appoggiato in primis dalla Cgil, contro il caporalato: una protesta contro lo sfruttamento e i diritti negati».

Adesso lei è anche neodeputata del Partito Democratico. Come si conciliano le due cose? «Non le vedo come separate. Fare politica per me significa stare in mezzo alla gente, tradurre le esigenze in progetti politici. Ed è anche la sfida più grande: non perdere il contatto con il territorio e la società civile».

Come ha cominciato ad appassionarsi alla tematica immigrazione? «Dalle difficoltà che ho vissuto sulla mia pelle. Ho iniziato a lavorare due anni dopo la laurea perché non potevo accedere ad un concorso pubblico. Alla mia storia, si sono sommate quelle di tanti immigrati che vedevo in difficoltà».

Come è avvenuto il salto in politica? «Ho cominciato in un consiglio di quartiere a Modena, grazie ad un’amica, che adesso è morta. Fu lei a farmi notare la vena politica».

Lei è la prima donna sub-sahariana in Parlamento: come ci si sente? «Una grande responsabilità. Ma non va visto come un successo personale: è il risultato di un progetto portato avanti, passo dopo passo, con il Forum Immigrazione del Pd».

Quali priorità porterà in Parlamento? «La riforma della legge sulla cittadinanza, come primo atto. E l’abrogazione della Bossi-Fini».

venerdì 26 aprile 2013

La civile india e il caso marò


Nonostante le obiezioni sollevate dalla difesa dei due marò e dalle stesse autorità italiane, la Corte Suprema dell’India ha affidato alla polizia anti-terrorismo nazionale (Nia) le indagini sul caso dei due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone che sono accusati di duplice omicidio. Il 16 aprile scorso il governo italiano aveva depositato una memoria nella quale eccepiva la mancanza di giurisdizione sul caso da parte della stessa polizia anti-terrorismo. In questo modo veniva contestato il riferimento, contenuto nella relazione preliminare stilata dalla Nia, a una legge del 2002 in materia marittima che prevede la pena di morte per atti di terrorismo o di pirateria coinvolgenti navi battenti la bandiera indiana. L'Italia reclamava pertanto l’eliminazione del riferimento dal testo e la conseguente attribuzione dell’inchiesta alla comune polizia criminale (Cbi). Questa mattina, però, tutte le richieste sono state respinte. La Corte Suprema dell’India ha ordinato alla polizia anti-terrorismo non soltanto di mantenere la titolarità delle indagini, ma altresì di "completarle speditamente". I giudici indiani hanno, inoltre, ribadito che la competenza esclusiva a giudicare i due militari italiani resta alla Patiala House Court di New Delhi, uno speciale collegio istituito ad hoc inseguito allo scontro a fuoco al largo delle coste del Kerala. La pronuncia, attesa per ieri, era stata rinviata di 24 ore per l’assenza dall’aula del procuratore generale. La possibilità quanto meno teorica che la pena capitale sia inflitta ai marò, qualora riconosciuti colpevoli dell’uccisione dei due pescatori, contrasta con il solenne impegno in senso opposto, assunto personalmente qualche settimana fa dal premier Manmoan Singh con il presidente del Consiglio Mario Monti.


Un processo, la condanna, 92 giorni di carcere e il trasferimento in Italia dove avrebbero, in teoria, scontato la pena in una struttura militare ma dove, in realtà, avrebbero potuto svolgere tranquillamente il loro lavoro e fare carriera.  Edward Luttwak, noto esperto di politica estera e di strategie militari ed economiche, sostiene in un'intervista concessa a Daniele Lazzeri per «Il nodo di Gordio» che la vicenda dei due marò italiani detenuti in India sarebbe già stata risolta da tempo senza gli errori compiuti proprio dall'Italia. Secondo Luttwak, l'errore più clamoroso è stato inviare, per occuparsi del caso, il sottosegretario italiano agli Esteri, Staffan De Mistura: «Un personaggio che non è un esperto ma che ha fatto la sua intera carriera all'Onu, dove essere totalmente incapace non è certo un ostacolo alla carriera. È solo un bellimbusto e in India, ma non solo lì, è considerato un cretino». Luttwak afferma che dopo l'arresto dei due marò italiani era stata individuata una soluzione che rispettasse lo stato di diritto di un Paese come l'India senza penalizzare troppo i due militari italiani. Soluzione che prevedeva, appunto, il processo in India e il successivo e pressoché immediato trasferimento dei marò in Italia. Ma poi sulla scena è comparso De Mistura e tutto è stato bloccato. Peccato, perché l'ambasciatore italiano in India, Daniele Mancini, «aveva brillantemente risolto il problema». Ma l'errore principale, che avrebbe poi generato tutti i problemi successivi, è stato fare entrare in porto la nave con a bordo i marò. Il fatto si era verificato in acque internazionali, dunque la nave non doveva entrare nelle acque indiane. A quel punto l'India ha considerato i marò come se si fossero costituiti e ha rispettato le proprie leggi che obbligavano a processare i militari.

Qualche notizia

Due anni in più alla spagna per aggiustare i conti, qui. Schauble (il ministro paralitico soprattutto di cervello) all'italia: "basta lamenti, datevi da fare". Il Presidente della Bce e personalità autorevoli del mondo bancario hanno più volte sottolineato, in tempi recenti, le difficoltà del credito alle Pmi, invocando soluzioni strutturali per i finanziamenti, poiché le aziende non riescono ad ottenere la fiducia delle banche. Oggi l'allarme si fa più pressante: con l'ultimo bollettino, la banca Centrale denuncia che le piccole e medie imprese italiane e spagnole sono al «top» nell'Eurozona per quanto riguarda il peggioramento di utili e fatturato fra ottobre 2012 e marzo 2013. Quelle italiane, poi, «hanno contribuito più di tutte all'aumento netto della necessità di prestiti bancari e aumento dello scoperto», qui.

giovedì 25 aprile 2013

Del prendere ancora tempo


Ha ascoltato tutti i partiti presenti in Parlamento in un solo giorno, poi 24 ore di riposo e forse Enrico Letta scioglierà la riserva tra sabato e domenica. Da una parte dice che il compito è grave e che con il Pdl le differenze restano. Dall’altra che lo spirito è costruttivo e che, nonostante senta ancora il peso sulle spalle, tutti lo incoraggiano, compreso Silvio Berlusconi. Il presidente incaricato dunque potrebbe ricevere il mandato da Giorgio Napolitano, annunciare una lista di ministri (sarebbero 18) e presentarsi alle Camere tra sabato e domenica. Per arrivare subito ai numeri l’esito della giornata è che le chiusure nette sono arrivate da Movimento Cinque Stelle, Sel, Lega Nord e Fratelli d’Italia. Tutti gli altri o hanno già dato disponibilità a sostenere l’esecutivo di grande coalizione o – come il Pdl – fissare bene i paletti e disegnare la cornice all’interno della quale ci si deve muovere. Inutile negare, per esempio, che il problema principale sarà trovare una convergenza tra le varie forze politiche della nascitura maggioranza (Pd, Pdl, Scelta Civica) sulla restituzione dell’Imu promessa dal centrodestra. Sulla carta il governo Letta dovrebbe partire da un bacino potenziale di 456 voti a Montecitorio e 239 al Senato, quindi uno scarto di 140 voti alla Camera e di 79 a Palazzo Madama.

Tuttavia, a parte la prudenza di Letta, quale sia il risultato del dialogo tra le varie parti in gioco traspare da alcune dichiarazioni. Cicchitto parla di un governo che deve durare 2 o 3 anni. Il presidente del Senato Piero Grasso auspica una durata, per effettuare le riforme necessaria, addirittura di 5. Letta ha messo le carte in tavola e chiarito quali sono i lati del triangolo dentro al quale sta agendo: emergenza economico-sociale e sviluppo, riforma della politica e revisione degli accordi Ue. Una chiarezza che sembrano avere apprezzato perfino i capigruppo Cinque Stelle, anche se la replica è stata prevedibile. Il ragionamento dei parlamentari del Movimento resta: voteremo legge per legge, quando vedremo i fatti valuteremo sul da farsi, perché al momento di cambiamento non c’è neanche l’ombra. Al che Letta ha avuto l’agio (rispetto al suo “predecessore” Bersani) di poter rispondere: “Fate un passo, anche dopo il no alla fiducia”. L’invito del presidente incaricato è stato quello di abbandonare questa “frustrante incomunicabilità” e di “mescolare i voti”, che è l’unico modo per risolvere la questione nel modo più corale possibile. Insomma: “Scongelate i vostri voti”. Vito Crimi e Roberta Lombardi hanno replicato che da una parte lo stallo non è certo dovuto alla presunta “incomunicabilità” dei Cinque Stelle (“Noi il dialogo l’abbiamo offerto con la candidatura di Rodotà”) e dall’altra che il congelamento semmai è quello degli ultimi 20 anni a causa degli stessi partiti che ora intendono governare insieme.

Quanto a Berlusconi il problema è politico: dagli Stati Uniti il Cavaliere lancia l’idea di una sorta di nuovo decreto salva-Italia che accorpi le proposte chiave del Pdl di taglio dell’Imu e di aiuti alle Pmi e così cerca di imporre al premier incaricato un manifesto programmatico che è la bandiera del Pdl. Con tutto ciò che ne conseguirebbe in termini di immagine. L’ex presidente del Consiglio è sempre molto abile nel tenere coperti i suoi veri obiettivi. In questo caso tenta di disinnescare il problema del toto-nomine e la necessità di imporre sgraditi veti ai suoi candidati ministri (alcuni non piacciono al Pd) in cambio di un successo visibile sulle cose da fare. La stessa ipotesi di restituzione parziale dell’Imu sulla prima casa in titoli di Stato, brevemente circolata in giornata, rappresenterebbe agli occhi dell’opinione pubblica un adempimento delle promesse elettorali. Un successo. E’ chiaro che Letta non può farsi incastrare in una partita di questo tipo. E infatti Angelino Alfano, pur sottolineando lo spirito costruttivo, ha detto che restano alcuni nodi da sciogliere. Ma comunque il dialogo va avanti perché la vera emergenza, e su questo sono tutti d’accordo, è la paralisi dell’economia italiana. Del resto attardarsi nel minuetto dei veti incrociati è una strategia inutile nell’ottica di un governo del Presidente: si sa bene che l’alternativa al successo di Letta sono le elezioni anticipate. La stessa formazione della squadra di governo (tutti chiedono personalità di alto profilo) è in un certo senso secondaria rispetto al rasserenamento del clima generale.

Preoccupa piuttosto ciò che si muove sottotraccia nel Pd. I dissidenti pronti a non votare la fiducia (da Laura Puppato a Pippo Civati) non sono ufficialmente molti, ma in realtà il malessere è più ampio di quanto appaia. Lo dimostra la minaccia di espulsione dal partito di quanti assumessero un atteggiamento di questo tipo da parte di un fedelissimo di Letta, Francesco Boccia: se si è sentita la necessità di un tale avvertimento, significa che l’opposizione alle larghe intese è ancora troppo forte. Anche per i futuri alleati che rischiano di trovarsi spiazzati (Fratelli d’Italia – che non voterà la fiducia – teme una specie di Monti-bis, declinato in senso politico). Matteo Renzi assicura il suo sostegno al governo che nascerà: ”Saremo al suo fianco – dice il sindaco di Firenze – per mettere fine ad una delle pagine più brutte e inconcludenti della nostra storia. Ora arriva il momento nel quale gli auspici devono diventare realtà. Chi ha il coraggio delle proprie azioni deve arrivare in fondo, non deve disertare”. Letta è ben consapevole che, come nello sport, il primo avversario è il compagno di squadra. Ha sottolineato di essere in contatto costante con il capo dello Stato e cerca il dialogo con tutte le forze parlamentari, compresi i 5 stelle il cui potenziale – ha spiegato – dovrebbe essere scongelato.

Un atteggiamento simile a quello di Nichi Vendola il quale però non può sperare di organizzare con loro un’opposizione comune: basti pensare alle polemiche sul 25 aprile, di cui Beppe Grillo (“becchino planetario” per stare alle parole del leader di Sel) ha decretato la morte. Il fatto è che l’illusione di coniugare le critiche dei 5 stelle con quelle della sinistra non può durare a lungo: i primi non mancano occasione di distribuire indistintamente mazzate a destra e a sinistra, la seconda invece è animata principalmente dall’antiberlusconismo. Vendola è giunto al punto di paragonare il Pdl ai fascisti: provocazione caduta nel vuoto ma che finisce anche per dare la patente implicita del Quisling a chi collabora con la destra. Una scomunica che certo non aiuta il lavoro di ricucitura di Letta per una nuova fase di pacificazione nazionale.

Madonna Boldrini e internet


Non ha voluto la scorta in strada, per andare contro gli abusi della vecchia politica. L'ha pretesa invece sulla rete, per controllare internet e far incriminare chiunque si diverta a ironizzare su di lei. Escono inediti e inquietanti particolari sullo smodato uso del potere, da casta vecchio stile, della presidente della Camera, Laura Boldrini, che per arginare la foto-burla che su Facebook ritraeva una finta Boldrini nuda, ha scatenato l'inferno e preteso la presenza di ben 7 poliziotti alla Camera così da monitorare il web e perseguire chiunque osi scherzare sulla terza carica dello Stato. Il presidente della Camera Laura Boldrini I sette poliziotti ad personam sono stati distolti da importanti attività contro il crimine informatico tant'è che le altre indagini della squadra social network del compartimento Polizia postale e telecomunicazioni del Lazio sono praticamente bloccate. Formalmente solo la responsabile risulta aggregata a Montecitorio con un ordine di servizio. Gli altri 4 agenti della «squadra», e altri 2 poliziotti in forza alla PolPost del complesso Tuscolano, ufficialmente non risultano distaccati né aggregati in Parlamento: sono «fantasmi», a servizio della presidentessa, con problemi di straordinari, buoni pasto e vestiario (si sono dovuti pagare giacca, cravatta e tailleur per lavorare in presidenza) come denunciato dal sindacato Coisp. Ma c'è di più. Incrociando più fonti, e consultando carte, il Giornale ha ricostruito l'iter di quest'incredibile vicenda che ha portato al siluramento di Gaudenzio Truzzi, dirigente dell'ispettorato di polizia della Camera. Domenica 14 quest'ultimo riceve la denuncia «dalla persona offesa» (cioè la Boldrini, ma secondo il suo entourage non vi era stato intervento diretto). Truzzi informa la segreteria del capo della polizia e il vertice della «Postale» (Andrea Rossi). Vengono allertate Digos e Mobile a Latina che fanno visita a un giornalista di Fondi che aveva postato il fake su Fb. Respinti i poliziotti per mancanza del mandato di sequestro, la postale si rivolge alla procura di Roma. Salta fuori un pm disponibile, ma non è in ufficio bensì in un ristorante romano vicino piazza Navona. Tra uno stuzzichino e un drink, firma un decreto «d'urgenza» di sequestro preventivo. E parte il repulisti sul web, tra perquisizioni e sbianchettamenti. Spariscono molte foto della falsa Boldrini, ma anche articoli che denunciavano la bufala, come quello di Giovanni Pili, blogger della testata web You-ng.it, «oscurato» nonostante per primo avesse difeso l'onore della presidente rivelando il fake. Nel decreto diretto a You-ng e al sito cadoinpiedi vicino alla Casaleggio associati, si dispone «il sequestro preventivo mediante oscuramento delle pagine web (...) nonché delle diverse e ulteriori pagine web che verranno individuate sulla rete con loghi, marchi, contenuti, riconducibili alla persona offesa». È la parolina «contenuti» a inquietare. Non si può nemmeno parlare di questa storia? Siamo alla censura? Anziché chiedere ancora più poliziotti, come la Boldrini sembra voler fare per rendere operativa anche di notte la sua squadretta webbuoncostume, la presidente farebbe bene a fermarsi. E a riflettere.

L'imu definitiva


Addio con trappola di Mario Monti e Vittorio Grilli oppure il cedimento a un pressing europeo, in cambio della fine della procedura di infrazione contro l'Italia. Comunque sul cammino appena iniziato di Enrico Letta è piombato un regalino sgradito, l'ultimo del governo tecnico uscente. Il ministero dell'Economia lunedì sera ha modificato in corsa il Def, il Documento di economia e finanza che era stato approvato il 10 aprile. La prima versione prevedeva per i prossimi anni, due scenari diversi. Uno con la scomparsa dell'Imu, secondo le leggi vigenti, a partire dal 2015. Il secondo la riconferma dell'imposta municipale unificata e delle relative entrate. Nella correzione è rimasto solo quest'ultimo «tendenziale». Quindi, dal punto di vista dei conti, l'imposta municipale diventa permanente. E si dà per scontata la riconferma, anche quando la sperimentazione terminerà, dell'Imu o di un'altra imposta che porti le stesse risorse.

La ragione l'ha spiegata il ministro dell'Economia. «La Commissione Ue ha detto che non si può andare in giro con due tendenziali». Grilli non ha spiegato perché sia stata scelta proprio l'ipotesi che prevede la conferma dell'Imu. Dal punto di vista dei rapporti con Bruxelles è sicuramente lo scenario più tranquillizzante, ma da quello politico il nuovo Def rende tutto molto più complicato. Perché l'abolizione dell'imposta, perlomeno sulla prima casa, è un punto qualificante del centrodestra e in particolare del Pdl, che si appresta a sostenere un governo guidato dal Pd Enrico Letta. Dal punto di vista dei conti cambia poco: in ogni caso, si dovrà coprire le mancate entrate dell'Imu. Ma con un Def che prevede esplicitamente la sua riconferma, ci sarà bisogno di dare più rassicurazioni alla Commissione europea. Anche nel caso, più probabile, che si scelga non di abolire del tutto l'imposta, ma solo di modificarla. Ad esempio escludendola del tutto sulla prima casa o attenuando l'inasprimento della percentuale di rendita catastale sulla quale è calcolata (nella versione Monti passata dal 105% al 160%). Anche in questi casi, il nuovo governo dovrà rendere conto alla Commissione europea, pena la conferma della procedura per deficit eccessivo.

«È materia del prossimo governo», hanno precisato ieri i relatori del decreto sui debiti della pubblica amministrazione. Una preoccupazione in più, insomma, per Letta. Che si ritroverà ad affrontare anche altre emergenze come il rifinanziamento della cassa integrazione e la crescente disoccupazione. Problema strutturale, come ha certificato ieri l'Istat. In 35 anni l'istituto di statistica ha stimato quasi un milione e mezzo di disoccupati in più dal 1977 a oggi. In particolare quest'anno abbiamo battuto il record della disoccupazione giovanile che risaliva proprio al '77. Il tasso dei senza lavoro tra 15 e 24 anni l'anno scorso ha toccato il record assoluto al 35,3%, il livello più alto da 35 anni.L'Istat ha confermato anche la gelata dei consumi. Il nono calo congiunturale consecutivo. Rispetto all'anno scorso sono diminuiti del 4,8%, in particolare quelli dei beni non alimentari. Un segnale di come la crisi sia ormai entrata nella vita delle famiglie italiane. Ma anche un ulteriore campanello d'allarme per i conti pubblici. Le entrate fiscali, che sono già crollate, diminuiranno ulteriormente quest'anno. E renderanno più difficile centrare il pareggio di bilancio.

Adotta un clandestino...


La Caritas Italiana ha avviato un nuovo progetto finalizzato al mantenimento degli immigrati che entrano clandestinamente in Italia, oggi chiamati “profughi” dalle associazioni che lucrano su questo fenomeno criminale. Constatato che il mantenimento presso le strutture pubbliche a spese degli italiani non è da albergo di lusso e che gli immigrati devono essere serviti e riveriti in modo adeguato, mentre gli italiani rovistano nei cassonetti per cercare cibo, la Caritas vuole portare i clandestini direttamente nelle case delle famiglie italiane che dovranno quindi mantenerli e scambiare la “cultura”. L’iniziativa è chiamata “rifugiato a casa mia” e coinvolge 13 Caritas diocesane di tutta Italia al fine di sperimentare una forma di accoglienza diffusa in famiglie di rifugiati e titolari di protezione internazionale. Questa la nota, esilarante, della Caritas: “nella consapevolezza che il sistema nazionale di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale e rifugiati mostra diverse criticità sia in riferimento alla capienza che alla qualità dell’accoglienza, si intende intervenire con una proposta volta a sperimentare un approccio innovativo attraverso il coinvolgimento della comunità cristiana”. Si tratta di un progetto pilota che prevede forme di accoglienza in famiglia di richiedenti protezione internazionale e/o di rifugiati, da attivare, nel corso del 2013, attraverso il circuito delle Caritas diocesane già coinvolte nella gestione di questa particolare categoria di privilegiati.

Rispetto alle consuete modalità di accoglienza presso strutture o case famiglia, il nucleo del progetto consiste nell’assegnare centralità alla famiglia, concepita come luogo fisico e insieme sistema di relazioni in grado di supportare il processo di inclusione, al fine di portarlo a compimento, attraverso il raggiungimento di quel grado di autonomia che consentirebbe ai beneficiari di emanciparsi dalle forme di aiuto istituzionale o informale poste in essere dal terzo settore. Il progetto è rivolto a un duplice target di destinatari: da un lato, i richiedenti protezione internazionale e i rifugiati ai quali si proporrà una forma di accoglienza alternativa ai circuiti istituzionali; dall’altro, le famiglie che potranno sperimentarsi nell’accoglienza di persone provenienti da contesti e culture diversi. In conclusione, volete in casa un africano da coccolare e sfamare come fosse un cagnolino? Semplice, rivolgetevi alla Caritas, il centro che li distribuisce. Potrete vivere un’esperienza indimenticabile, scambiare la vostra cultura con la loro e dare sfogo alle vostre pulsioni terzomondiste e multietniche. Da consigliare soprattutto ai genitori di figlie femmine, e non osate dire di no perchè in tal caso sareste considerati dei “razzisti”.

mercoledì 24 aprile 2013

(Vecchi articoli) Un pò di sano complottismo (2)


Aggiornamento: 08/12/2012 - Dopo aver letto i legami tra Enrico Letta e Mario Monti, vedi anche quelli di quest'ultimo con David Rockfeller...

Aggiornamento 21/04/2013: Si vocifera di Enrico Letta premier: se non sono Bilderberg non li vogliono...

Ieri abbiamo pubblicato una breve nota in merito al clamore mediatico intorno alle primarie del centrosinistra: a cui tutti i mass media hanno concesso grandissimo spazio. Una breve nota che evidenziava i legami del vicepresidente del PD, Enrico Letta, con le associazioni elitarie di stampo massonico del quale è membro anche Mario Monti: Bilderberg, Commissione Trilaterale e Aspen Institute... Leggi tutto (la lettura del breve articolo è consigliata prima di proseguire...)

La sola appartenenza a questi "club" è sinonimo di grande influenza e potere. Associazioni che rappresentano il trait d'union tra il mondo dell'alta finanza, delle banche, delle multinazionali ed i governi dei paesi occidentali, ed i principali partiti. Enrico Letta è il vice presidente del PD, tuttavia sembra mantenere un basso profilo. Di tanto in tanto è ospite ai salotti televisivi, tuttavia per essere il numero due ha ben poca visibilità; lavora "dietro le quinte", silenziosamente: come lo zio Gianni, braccio destro e uomo di fiducia di Berlusconi. In questo anno di governo Monti, ovvero di smantellamento dello stato sociale e dei diritti, il signor Enrico Letta insieme all'amico Pierfurby Casini si è distinto per la massima fedeltà al governo Monti: ha avallato tutto, dalla A alla Z senza proferire parola. Un piccolo Mario Monti: con il quale oltre all'appartenenza ai sopracitati gruppi ha in comune l'aspetto "sobrio" e l'assoluta freddezza nel portare avanti gli "ordini di scuderia". Enrico Letta sosteneva la cosiddetta "agenda Monti" fin da prima dell'insediamento di Mario Monti a premier, che definì "miracoloso" nel "pizzino" che consegnò a Monti quando si insediò a palazzo, mettendosi a sua completa disposizione sia "ufficialmente" che non. Cosa che non accadrà mai più: visto che dopo quell'episodio Gianfranco Fini ha proibito ai fotografi di utilizzare lo zoom che aveva già creato imbarazzi inquadrando politici che con l'I-pad visitavano siti di escort o giocavano a dama.

Già il 29 Settembre 2011, prima del golpe-Monti, Enrico Letta scriveva sul suo blog: "L’azione del futuro governo parta da lettera Bce" “I contenuti della lettera di Draghi e Trichet rappresentano la base su cui impostare politiche per far uscire l’Italia dalla crisi. È siderale – dice Enrico – la distanza tra quelle analisi e ciò che il governo ha concretamente fatto, o meglio non fatto, in queste settimane. Qualunque governo succederà al governo Berlusconi dovrà ripartire dai contenuti di quella lettera”.


Dell'agenda Monti è tornato a parlarne nel suo blog il 7 Agosto 2012, ad alcuni mesi di distanza dalla "luna di miele" tra gli italiani (manipolati dai media) e Mario Monti: per dissipare le polemiche - molto lievi - sollevate anche da una parte del centrosinistra: poche e saltuarie critiche, pur senza mai entrare nel merito di temi scottanti (fiscal compact, MES, etc..) sono costate a Di Pietro il sostegno dei "Montiani": "L'agenda Monti non si discute" Intervista rilasciata da Enrico Letta a Monica Guerzoni, pubblicata sul Corriere della Sera, martedì 7 agosto. «Dopo Monti nulla sarà più come prima». Per Enrico Letta la crisi dell’Italia è tale che i partiti non possono perdersi nel «dibattito agostano» e devono accelerare la firma del patto tra progressisti e moderati, che abbia come programma l’«agenda» di Mario Monti rafforzata da una visione di speranza. Il vicesegretario del Pd difende il premier dalle accuse che piovono dalla Germania e taglia definitivamente i ponti con Di Pietro dopo il «furibondo attacco» a Napolitano (...)

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Infine Enrico Letta è tornato a parlare di "agenda Monti" recentemente, dettando la linea in vista dell'entrare nel vivo del periodo elettorale: il 3 Ottobre 2012 Letta ha pubblicato questo articolo: "Nessun passo indietro sull’agenda Monti. Grande coalizione? Si decide dopo il voto." Intervista rilasciata da Enrico Letta a Monica Guerzoni. Corriere della Sera, 3 ottobre 2012. «Con queste premesse il nostro comune viaggio rischia di non cominciare nemmeno. Vendola sappia che il Pd non farà nessun passo indietro rispetto alle riforme di Monti, perché sarebbe un errore drammatico». Promessa impegnativa, vicesegretario Enrico Letta. Come farete a non spaccare il partito tra chi lavora per un bis di Monti e chi vorrebbe bruciare la sua agenda? «Faremo in modo che nella prossima legislatura ci sia una conferma rigorosa dell’agenda Monti (...)».

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Quest'ultimo articolo in particolare denota la ferma volontà di Enrico Letta di lavorare per il "Monti Bis": Non ci vuole uno scienziato per capire come Enrico Letta, vice presidente del PD, stia lavorando per portare il PD sulle posizioni di Mario Monti e di tutto l'apparato di cui Monti e Letta sono rappresentanti. E' evidente come spinga per soddisfare pienamente tutte le imposizioni/richieste dell'Europa, dove il potere è nelle mani di persone eletti da Bilderberg-Trilaterale-Aspen, etc. come ha evidenziato il leghista Borghezio, che ha fatto notare al parlamento europeo come tutti gli uomini finiti ai vertici dell'UE siano stati "spinti" da tali associazioni. Associazioni massoniche i cui uomini ricoprono ruoli importanti nei governi, nelle più importanti aziende, nel mondo dell'informazione ed in tutti i ruoli strategici... Le primarie servono solo a fare propaganda: riunendo il consenso grazie a più leader, che ottengono consensi in bacini di voti diversi, e conducono l'acqua al solito molino. Renzi è fin troppo ovvio che parli "alla pancia" delle persone scontente, nelle frange dell'antipolitica, cercando di erodere consensi a Grillo-Casaleggio; Bersani invece prova a "salvare il salvabile" dialogando all'elettorato di sinistra...

Alessandro Raffa

Un pò di sano complottismo


C’e’ la Trilateral e c’e’ Bruegel, ci sono Aspen, Astrid e, in primo piano, c’e’ la Fondazione Italianieuropei. E’ su questi tavoli che si sta giocando la partita per la guida del Paese, tanto a Palazzo Chigi quanto al Quirinale. Qui ricostruiamo la fitta ragnatela di interessi e personaggi collocati in ruoli apicali dentro sigle e fondazioni che da tempo reggono le sorti dei Paesi occidentali.



Un intreccio che riconduce immancabilmente ai nomi dei “papabilissimi” per guidare l’Italia secondo direttive gia’ scritte, come accaduto per il governo Monti finora. A sorpresa, dentro gli organigrammi dei prestigiosi istituti politici ricorre anche il nome di Giulio Napolitano, figlio del capo dello Stato in procinto di lasciare il Colle. Partite che, alla luce di questi scenari, appaiono dall’esito scontato. Proprio come ai tempi del Britannia. Tutto era andato, fino a gennaio, secondo le previsioni. E qualche lieve incidente di percorso – il Pdl che a dicembre decide di sfiduciare il governo Monti, anticipando d’un paio di mesi la gia’ fissata tornata elettorale – non sembrava, tutto sommato, aver modificato di molto quanto gia’ pianificato a tavolino sulle sorti dell’Italia. L’esecutivo guidato da Pierluigi Bersani con l’apporto sostanziale dell’alleato Mario Monti all’inizio del 2013 appariva quasi una certezza assoluta a quei poteri che da tempo tirano i fili della nostra economia, potendo contare su uomini ed apparati fidatissimi.

Poi qualcosa e’ andato storto. Nel corso di una campagna elettorale lampo, la prima tutta invernale nella storia della repubblica, Silvio Berlusconi sfodera le sue armi di sempre: presenzialismo massiccio in tv e piazze ma, soprattutto, attacco frontale ai padroni dell’euro e a quei governi che, a partire dall’esecutivo Monti, puntano a spogliare il nostro Paese della residua sovranita’ nazionale. Detto, fatto e centrato: contro ogni previsione dei sondaggisti, anche quelli di fiducia del Cavaliere, il Popolo della Liberta’ rimonta di giorno in giorno quel misero 14-16% assegnato al partito tra fine dicembre e inizio gennaio. Di pari passo l’exploit di Beppe Grillo, che sa cogliere le lacrime e il sangue di un Paese allo stremo per aggiudicarsi un risultato definito incredibile dai bookmaker alla vigilia del voto. 25 e 26 febbraio: il tavolo e’ sparigliato. Il voto consegna un Paese spaccato in tre minoranze. Monti riporta una sonora bocciatura. E il “Piano A” sembra andare gambe all’aria. Eppure, quella risicata maggioranza dello 0,3% del Pd permette al capo dello Stato Giorgio Napolitano di assegnare comunque l’incarico a Bersani. Poco importa se e’ gia’ chiaro che il Movimento 5 Stelle non abbocchera’, e se ad un Paese agonizzante resta ben poco tempo, con una media di mille imprese che ogni giorno chiudono i battenti. Bersani prova a oltranza. E fallisce.

Nell’uovo di Pasqua gli italiani trovano il “Piano B”, ovvero: creare le condizioni per attuare con ogni mezzo il “Piano A”, mettendo in campo dieci “saggi” prelevati dalle fila di Trilateral, Aspen, Italianieuropei ed altre “creature” tanto care a quella finanza internazionale che sta definitivamente espropriando gli italiani della loro terra e del proprio futuro. Cominciamo da un uomo che rappresenta, come vedremo, la stella polare della commissione di saggi chiamati a decidere sul destino dell’Italia. Lui e’ Valerio Onida, costituzionalista di gran fama, docente alla Statale di Milano nonche’ ex presidente della Corte Costituzionale e nel 2010 candidato alle primarie del centrosinistra per le elezioni del sindaco di Milano (fu terzo con il 13,41% dei voti dietro Giuliano Pisapia e Stefano Boeri). Meno nota e’ la comune presenza del professor Onida e di Giulio Napolitano, figlio del presidente della Repubblica Giorgio, nel comitato scientifico di Astrid, a sua volta costola primaria della Fondazione Italianieuropei di Massimo D’Alema. Ma procediamo con ordine e partiamo proprio da Astrid, la “Fondazione per l’analisi, gli studi e le ricerche sulla riforma delle istituzioni democratiche e sull’innovazione nelle amministrazioni pubbliche” che ha sede a Roma in corso Vittorio Emanuele 142.

Fondata nel 2009, Astrid «si finanzia con i proventi degli abbonamenti agli studi, ricerche e documenti di Astrid sottoscritti da imprese private, amministrazioni pubbliche, dipartimenti universitari e studi professionali e con i proventi derivanti da convenzioni o contributi per progetti di ricerca». Di sicuro interesse economico le convenzioni con gli enti locali. Per fare un solo esempio, ad aprile 2012 la Provincia di Siena ha rinnovato l’abbonamento annuo ai servizi informativi di Astrid, spendendo circa 1.800 euro. Presieduta da Franco Bassanini, marito della montiana Linda Lanzillotta, la fondazione vede al vertice del comitato scientifico Giuliano Amato e fra i componenti, oltre ad Onida e Napolitano, personalita’ come Stefano Rodota’, altro “papabilissimo” per Palazzo Chigi o per il Quirinale. A marzo 2011 Bassanini fu ascoltato dalla Commissione Bilancio della Camera nella sua doppia veste di numero uno Astrid e presidente della Cassa Depositi e Prestiti. Nel gruppo dei cinque “saggi” incaricati di sbrogliare la matassa istituzionale, accanto al professor Onida troviamo Luciano Violante. Anche questo non e’ un caso. Perche’ Violante – al di la’ dei fiumi d’inchiostro scorsi in questi giorni sulle sue rassicurazioni in aula a Berlusconi, nel 2003, a proposito dell’intoccabile conflitto d’interessi, che poi di fatto non fu mai “toccato” – e’ ovviamente da sempre un membro di primo piano dell’advisory board di Italianieuropei.

Alla cui presidenza c’e’ lui, Giuliano Amato, altro presidente in pectore, del Consiglio o della Repubblica non si sa ancora. Nello stesso “board”, con Violante, ritroviamo Giulio Napolitano, e poi vip di casa Pd come Enrico Letta, come l’ex ministro delle Finanze Vincenzo Visco, o il titolare del governo Monti Francesco Profumo, o persone come Marta Dassu’. E’ chiaro che sta tutto qui dentro – o in altre proliferazioni che vedremo di qui a poco – il famoso “rovello istituzionale” dal quale dovra’ uscire il binomio che guidera’ il Paese. Viceministro degli Esteri nel governo Monti – con deleghe oggi appesantite dalle dimissioni di Giulio Terzi di Sant’Agata – Marta Dassu’ ci conduce dalle stanze della potente creatura dalemiana ad un’ancor piu’ lobbistica compagine internazionale, Aspen, nel cui organigramma Dassu’ riveste ruoli di vertice. Non meno rilevante la presenza della politologa italiana all’interno della Trilateral, quel “cuore nero” della massoneria internazionale da cui dipendono i destini del mondo. E’ stato reso noto appena pochi giorni fa l’elenco dei componenti ufficiali della Trilateral aggiornato ad aprile 2013. Ecco i nomi di maggior significato per l’attuale situazione politica italiana. Presidente del Comitato esecutivo Trilateral e’ Jean Paul Trichet, commissario europeo e predecessore di Mario Draghi alla guida della Bce.

Un ottimo amico di Mario Monti, Trichet: basti pensare che ha da poco dato il cambio all’attuale premier italiano come numero uno di Bruegel, la creatura montiana di cui si era occupata la Voce nel febbraio scorso, rivelandone l’esistenza e la potenza economica. Del resto, lo stesso Mario Monti e’ tuttora indicato nell’organigramma Trilateral e compreso fra gli ex componenti di spicco attualmente impegnati in cariche governative. Altro influente membro italiano della Trilateral e’ poi Enrico Letta, di cui viene ricordato l’incarico di sottosegretario durante il governo guidato da Romano Prodi. Circostanza, evidentemente, tutt’altro che trascurabile per il plenipotenziario Pd. Ne’ manca, al tavolo dei potenti della Trilateral, Carlo Secchi, rettore della Bocconi e gia’ per questo riconducibile sul piano culturale sempre allo stesso Monti. In una intervista rilasciata al Fatto Quotidiano lo scorso anno, il professor Secchi aveva ricordato, fra l’altro, che componente della Trilateral era stato lo stesso Romano Prodi, oggi in pole position per il Quirinale secondo i desiderata dei montian-bersaniani. Nel medagliere del rettore Secchi spicca fra l’altro la presenza al vertice di un organismo chiamato “Centrale finanziaria spa” fondato e presieduto dal massone Giancarlo Elia Valori. Nessuna meraviglia, percio’, che nella nomenklatura 2013 di Trilateral ci sia anche, fra gli italiani, il patron della Techint, Gianfelice Rocca, da sempre collegato a Valori e alle sue potentissime trame internazionali, nonche’ uomo assai vicino all’Opus Dei. Nel 2010 “Centrale Finanziaria spa” di Valori e Secchi dichiarava di amministrare patrimoni per oltre 1 miliardo e mezzo di euro, avendo un capitale sociale da appena 10mila euro.

Andiamo avanti lungo la piramide Trilateral per incontrare Stefano Silvestri, che con il suo IAI (Istituto Affari Internazionali) e’ strettamente collegato, anche attraverso appositi link, alla Fondazione Italianieuropei di Massimo D’Alema e C. Del giornalista Silvestri si occupano Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato nel libro “Attentato al Papa” (Chiarelettere), in cui si legge, fra l’altro: «(…) nel Rapporto Impedian 14, data di emissione 23 marzo 1995, con oggetto “Nino”, e’ scritto: “[Nino e'] contatto confidenziale del Kgb. Nino e’ stato vicedirettore dell’Istituto per gli affari internazionali (Iai), che era in stretto contatto con i ministeri italiani degli Affari esteri e della Difesa. Era un contatto confidenziale della Residentura del Kgb di Roma”». Ma «il vicedirettore dello Iai, nome in codice “Nino”, altri non era se non il professor Stefano Silvestri, esperto in relazioni internazionali, uno dei componenti del comitato di crisi nominato da Francesco Cossiga nei giorni del sequestro di Aldo Moro». E a tal proposito, nel libro “Doveva Morire”, Imposimato e Provvisionato aggiungono: «Un ruolo importante ebbe Stefano Silvestri, vice presidente dello Iai. Il Colonnello dei Carabinieri Domenico Faraone, capo del contro spionaggio competente per i Paesi del Patto di Varsavia, identifico’ nel Silvestri colui che, con il nome in codice Nino, nel Dossier Mitrokhin, era un contatto confidenziale della residentura del Kgb a Roma. (…)». Da ex giudice istruttore, nel libro Imposimato analizza lungamente la relazione del componente del comitato di crisi Silvestri. E cosi’ ne sintetizza il messaggio: «la forza delle BR e’ solo nel fatto di avere tra le mani Moro vivo. Se Moro muore, finisce il ricatto brigatista. L’altra soluzione sarebbe la liberazione di Moro. Il Silvestri liquida subito questa ultima ipotesi, ritenedola impraticabile e aggiunge che lo Stato faceva male a voler evitare il peggio. E cioe’? Semplice: lo Stato sbaglia a curarsi della vita di Moro e a cercare di salvarlo».

Sempre nella compagine di Trilateral, infine, siede Enrico Tomaso Cucchiani, numero uno di Banca Intesa, nonche’ membro di Aspen Institute. Il think tank euroatlantico Aspen Institute ha come presidenti onorari Giuliano Amato, Gianni De Michelis, Cesare Romiti e Carlo Scognamiglio. Attualmente il numero uno e’ Giulio Tremonti. Tra i suoi vice, Enrico Letta e John Elkann, entrambi anche in Trilateral. Nel board, l’immancabile Marta Dassu’ (direttore della rivista Aspenia) e la giornalista Rai Lucia Annunziata, ai vertici anche di Italianieuropei. Va ricordato che nella sua lunga attivita’ di conferenziere in giro per il mondo, restano memorabili gli interventi di Giorgio Napolitano ad Aspen Colorado. Il piddino Letta, insieme allo zio Gianni (altro possibile nome per il Colle), figura anche nel Comitato esecutivo di Aspen, insieme agli stessi Mario Monti, Enrico Tomaso Cucchiani, Romano Prodi e Gianfelice Rocca. Tutti insieme, tutti li’.

Sulla opacita’ dell’Istituto, che rappresenterebbe un autentico buco nero della democrazia europea ed italiana, si sono espressi molti commentatori. La miccia e’ stata accesa dalle stesse dichiarazioni d’intenti della “creatura”, nel cui sito si legge, alla voce “valori e leadership”: «Il “metodo Aspen” privilegia il confronto ed il dibattito “a porte chiuse”, favorisce le relazioni interpersonali e consente un effettivo aggiornamento dei temi in discussione. Attorno al tavolo Aspen discutono leader del mondo industriale, economico, finanziario, politico, sociale e culturale in condizioni di assoluta riservatezza e di liberta’ espressiva». I fantasmi di queste compagini “riservate” aleggiano sull’Europa per stabilirne i destini. Compresi quelli di Bilderberg, lil blindatissimo vertice annuale dei potenti, cui nel 2012 avevano preso parte, fra gli italiani, gli stessi Enrico Letta e John Elkann, oltre alla giornalista Lilli Gruber e al manager Telecom Franco Bernabe’. Bilderberg 2013, secondo fonti attendibili, si terra’ ai primi di giugno nei pressi di Londra.

Sintesi “massima” delle nomenklature fin qui tratteggiate, nonche’ delle linee-guida che porteranno alla nomina dei nuovi presidenti della Repubblica e del Consiglio, la Fondazione Italianieuropei si staglia come il bunker degli affari italiani nel cui crogiolo matureranno le scelte. Riassumiamo, percio’, nomi e ruoli dell’organigramma. Presidente di Italianieuropei e’ lo stesso “padre fondatore” Massimo D’Alema. Nel Comitato di indirizzo, a lungo presieduto da Alfredo Reichlin (padre di Lucrezia Reichlin, ricercatrice di spicco nella montiana Bruegel), troviamo anche il presidente PD della Toscana Enrico Rossi e il “saggio” di Napolitano Luciano Violante. Marta Dassu’ e Giulio Napolitano sono, come gia’ detto, nell’advisory board. Inutile ricordare, infine, la stretta vicinanza di Italianieuropei e soprattutto dell’omonima rivista con gli esponenti di Magistratura Democratica. Decine i convegni organizzati congiuntamente negli ultimi anni e non meno numerosi gli interventi dei vertici MD sul magazine dalemiano promosso dalla Fondazione. Vedi, per fare un solo esempio, l’articolo di Claudio Castelli, presidente MD, su Italianieuropei numero 1 del 2010. Titolo: “Oltre la crisi: un approccio diverso per il settore penale”.

SAGGI PER CASO?

Concludiamo con qualche notizia inedita su alcuni fra gli altri “saggi” di Napolitano, per completare il quadro di uno scenario che, alla luce di quanto abbiamo visto fin qui, appare gia’ delineato nelle sue linee essenziali. Solo un esercizio di stile, insomma, chiedersi come andra’ a finire. «A meno che non cambi qualcosa – commentano alcuni osservatori dentro il Palazzo – gli unici dubbi riguardano al massimo la scelta fra Amato e Prodi, o giu’ di li’». Sul saggio Filippo Bubbico molti particolari interessanti ce li fornisce in questi giorni il giornalista materano Nicola Piccenna che, attraverso il suo frequentatissimo blog “Toghe Lucane”, ricostruisce la storia recente dell’ex sottosegretario. Architetto, a capo dei consorzi Seta Italia e Seta Basilicata (che in questi anni hanno ricevuto consistenti fondi dall’Unione Europea «per realizzare gelseti, allevare bachi e produrre seta», ma «tranne qualche piantagione di gelsi e qualche capannone vuoto ed in disuso, nulla sembra giustificare l’enorme esborso di fondi pubblici», scrive Piccenna), Bubbico e’ stato a lungo presidente della Regione Basilicata. Da commissario ad acta autorizza la costruzione del Villaggio Marinagri alla foce del fiume Agri. Nel 2009 quel villaggio finisce nel mirino delle roventi inchieste targate Luigi de Magistris.

Poi sappiamo come e’ andata a finire. Tre anni prima Bubbico era nel registro degli indagati di un altro pubblico ministero d’assalto: si trattava di Henry John Woodcock, che nel 2006 a Potenza indagava su un «diffuso e metodico rapporto collusivo» tra un clan mafioso lucano e ambienti politici, amministrativi e imprenditoriali della Basilicata. Nessun problema anche quella volta per Bubbico, che ha continuato al fianco di Bersani e D’Alema – dei quali e’ notoriamente un fedelissimo – la sua escalation politica, oggi giunta ai massimi livelli con l’investitura da parte di Napolitano. Dulcis in fundo, l’avvocato siciliano Giovanni Pitruzzella e il senatore berlusconiano Gaetano Quagliariello. Un tandem che si compatta nel 2011, quando una ventata di polemiche accompagna l’investitura di Pitruzzella al vertice dell’Antitrust per volonta’ del nuovo primo ministro Mario Monti (sara’ questo uno dei primissimi atti del suo insediamento). Se infatti da Sel Claudio Fava insorge, ricordando come Pitruzzella, oltre che amico personale di Renato Schifani, e’ stato autore di libri insieme a Toto’ Cuffaro, condannato definitivamente per mafia, Quagliariello (altro saggio di Napolitano) scende subito in campo e tuona: «i presidenti del Senato e della Camera hanno nominato un valente giurista alla guida dell’Antitrust. Il fatto paradossale e’ che appena qualche settimana fa i colleghi della sinistra, per sostenere che la bocciatura del rendiconto avrebbe imposto le dimissioni del governo, evocavano nelle aule parlamentari il manuale Pitruzzella di diritto costituzionale quale fonte dottrinaria di indiscutibile autorevolezza. Ora, improvvisamente, lo si accusa quasi di indegnita’…». Chiude il cerchio Massimo D’Alema, che in quella stessa circostanza si butta a corpo morto in sostegno di Monti e delle sue scelte, rivendicando «la collaborazione di molti esponenti del nuovo esecutivo con la Fondazione Italianieuropei». Basta.