domenica 30 giugno 2013

Sono tutti ciechi...


(ANSA) - ZAGABRIA - Il governo italiano ha ottenuto a Bruxelles ''risultati molto significativi'' e ''sarebbe assurdo non riconoscere il ruolo che ha avuto l'Italia nello spostare fortemente l'accento sui temi della crescita e della disoccupazione''. Lo ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano parlando con i giornalisti a Zagabria.

Quella del bue...

... che dice cornuto all'asino. Parla Mr salvaitalia Mario Monti.


«Mi sento in dovere di affermare che, senza un cambio di marcia, non riteniamo di poter contribuire a lungo a sostenere una coalizione affetta da crescente ambiguità». Lo scrive su Facebook il leader di Scelta Civica, Mario Monti, che propone un «contratto di coalizione» per rafforzare gli impegni dei partiti che sostengono Letta.

RIFORME - «Ha ragione Matteo Renzi - scrive l'ex premier - "Piccoli passi non bastano". Il governo Letta ha iniziato bene, ma la sua missione - trasformare l'Italia in un Paese competitivo e capace di crescere, mantenendo la ritrovata disciplina di bilancio - richiede riforme radicali. Queste non potranno essere decise e realizzate senza una grande e genuina unità di intenti, non solo all'interno del Governo ma anche fra i partiti che hanno dato vita alla grande coalizione». «Scelta Civica, il primo partito ad avere proposto, già prima delle elezioni, un governo di grande coalizione - ricorda Monti - ha dichiarato recentemente che il governo Letta deve e può proporsi come orizzonte l'intero quinquennio della legislatura. Con altrettanta chiarezza, però, mi sento in dovere di affermare che, senza un cambio di marcia, non riteniamo di poter contribuire a lungo a sostenere una coalizione affetta da crescente ambiguità».

AMBIGUITA' - «L'ambiguità - si legge ancora nel post - proviene dai due partiti maggiori», l'uno impegnato nel congresso, l'altro che «sta affrontando una situazione difficile, anche per le vicende di Silvio Berlusconi, al quale va peraltro dato atto di essersi finora lealmente astenuto dal farne pesare le conseguenze sul governo». «Non è comunque accettabile - sottolinea - che singoli partiti, nel partecipare all'attività di un governo che dovrebbe durare per anni, si posizionino quotidianamente come se fossero già in campagna elettorale». «In Germania, le grandi coalizioni - osserva poi Monti - nascono sulla base di un "Koalitionsvertrag", un vero e proprio contratto, scritto e molto dettagliato, che i partiti devono rispettare. La grande coalizione che appoggia il governo Letta ha, come sola base, le brevi dichiarazioni programmatiche del Presidente del Consiglio alle Camere del 29 aprile. Troppo poco. Enrico Letta dovrebbe ora proporsi di dare solidità e slancio riformatore al suo governo, e di metterlo al riparo da possibili insidie provenienti dai travagli dei partiti, proponendo presto un testo di "contratto di coalizione". Esso dovrebbe contenere, oltre ad un quadro preciso delle linee politiche e dei provvedimenti, anche un breve codice di condotta, con elementari regole di comportamento per chi vuole partecipare in buona fede ad uno sforzo comune per risollevare il Paese, dimenticando per qualche tempo gli interessi elettorali».

Ripetiamolo all'infinito

Un governo da buttare di Ida Magli

Da quando Napolitano ha fatto saltare, chiamando al governo Mario Monti, le regole della democrazia che, nel bene e nel male, avevano sorretto le istituzioni della repubblica italiana anche nei periodi più bui della sua storia, la crisi etico- politica, oltre che economica, dell’Italia è andata peggiorando ogni giorno di più ed è inutile sperare che il Signor Letta trovi una soluzione perché, anche se lo volesse, non è in condizioni di riuscirci. I motivi sono evidenti. Il suo governo è nato per collocare, senza più né dubbi né ripensamenti, in maniera definitiva l’Italia alle dipendenze dell’Unione europea. Diciamo, in sintesi, che ha concluso, fingendo di tornare alla legalità democratica, il lavoro iniziato da Mario Monti. Tutto quello che dice Enrico Letta sui problemi da affrontare è preceduto dall’affermazione che gli impegni presi con l’Europa saranno mantenuti, che il rapporto debito-Pil è ferreo e nulla potrà impedire che tale rimanga. Batterà i pugni sul tavolo di Bruxelles? Barzellette! Enrico Letta ha costruito la sua carriera sull’Europa e dunque quello che conta è “Lui”, Letta, e il suo buon rapporto con l’Europa, non l’Italia e i suoi bisogni. Se passiamo ad analizzare il modo con il quale ha scelto i suoi membri, balza subito agli occhi che il governo Letta somiglia a uno dei tanti governi esibiti dai paesi emersi di recente alla ribalta della storia, quelli un po’ da ridere, quelli che, dall’alto della propria civiltà, gli italiani erano soliti definire repubbliche delle banane. Una balda “immagine” di avanzata democrazia e sotto il vestito, non il nulla, ma la brutalità della più selvaggia delle dittature (vedi il controllo dei conti correnti) e la castrazione dei sudditi. La storia della campionessa promossa a ministro è stata ormai troppo discussa per dovervisi soffermare, ma è appunto una storia da paesi delle banane. Una cosa però bisogna aggiungerla. È naturale, è ovvio, oltre che tanto noto da aver ispirato innumerevoli barzellette e gag famose come quelle delle interviste di Tognazzi e Vianello ai vincitori di turno, che i campioni dello sport non possiedano particolari doti di pensiero e nessuna competenza per fare qualsiasi cosa tranne che esercitarsi nel proprio sport. Sbalzarli a governare, a fare le leggi, a comandare ai popoli è da stupidi oltre che offensivo per i popoli stessi. Il signor Letta adopera però il populismo di “genere”: perché la canoista Idem e non il calciatore Balotelli? Letta sapeva bene che se avesse nominato ministro Balotelli, anche se molto più famoso e pieno di fans, si sarebbero messi tutti a ridere. Adesso, però, c’è la questione della condanna di Berlusconi, capo del partito di governo, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Non discutiamo qui in nessun modo la condanna (comunque medioevale), ma il dato di fatto. Il governo doveva dimettersi, se appunto l’Italia non fosse stata ridotta a repubblica delle banane. Esponenti del Pdl scendono in piazza per protestare contro la condanna mentre altri, compreso il vicecapo del governo, continuano a governare come nulla fosse successo. E osano affermare che questo è un governo per il bene del paese. Il bene del paese sarebbe quello di appartenere ancora alla civiltà democratica.

Lettera aperta ad Enrico Letta


Lettera aperta al Presidente del Consiglio, on. Enrico Letta:

"Eccellenza Illustrissima,

con la presente La voglio ringraziare a nome di tutti i giovani italiani, soprattutto quelli al di sotto di 29 anni, che vivono da soli fuori di casa, che possono dimostrare di non lavorare da dodici mesi e che non sono laureati, i quali, grazie alla illuminante, nonchè prestigiosa, idea vincente della Sua superba mente da ineguagliabile statista, potranno finalmente usufruire della piena occupazione riacquistando la piena dignità operativa. Consapevole che tutto ciò è stato ottenuto grazie alla poderosa macchina da guerra da Lei sapientemente allestita, con indomita arguzia e coraggio leonino di solida marca italiana, è con lucida commozione che dò il benvenuto al Suo placido rientro sul suolo nazionale, pregandoLa di accogliere questa umile missiva con la Sua consueta virile bonomia. Da lunedì 1 luglio, grazie alla prorompente vittoria conseguita a Bruxelles, i giovani italiani avranno la possibilità di vedere finalmente i propri sogni e le proprie ambizioni divenire solida realtà. E' notizia grata, questa, che la plebe festosa accoglie con l'entusiasmo caratteristico del popolo, muto e chino dinanzi a simile poderosa strategia politica, applicata con sapiente rigore arcano da chi è stato in grado di coniugare autorevolezza e sapienza, lungimiranza e accortezza.

Finalmente l'espressione vincere e vinceremo esce dalla palude della retorica d'archivio per fondersi in un rinnovato tripudio di allegria collettiva, ben coniugata a un ritrovato senso di armonia che ci fa ben sperare nel futuro nostro e della nostra prole. Da oggi, credere obbedire combattere diventano la nostra seconda pelle, indossata con l'orgoglio di una ritrovata unità nazionale, nel nome del successo da Lei ottenuto a nome dell'intera collettività. Grazie alla mai doma stoffa del condottiero di cui madre natura Vi ha privilegiato, oggi, per i giovani italiani si aprono prospettive occupazionali che non possono non riempire la popolazione di entusiasmo, allegria, ottimismo, ferrea volontà. Finalmente la crisi economica è superata e l'Italia può comunicare al mondo di aver voltato pagina. Molto presto, grazie al solerte ingegno delle menti sopraffine di cui la Vostra Illuminata Grazia ha saputo circondarsi, il paese godrà di insospettabili benefici che lanceranno la nazione verso il ruolo di Grande Potenza che le spetta nel mondo.

In questa serenità ritrovata e rinnovata, diventa un imperativo categorico per le menti pensanti degli intellettuali mettersi a disposizione di Vostra Signoria, consapevoli di partecipare a un poderoso impegno vincente che già annuncia straripanti vittorie in ogni campo del sapere, dalla scienza all'innovazione tecnica, dall'istruzione alla sanità, dalla cultura all'accademia. La prego, quindi, di voler accogliere, nella sua prorompente generosità di autentico patriota, i sensi della più doverosa stima da parte di questo modesto cittadino, che qui si firma

Vostro servo perenne, umilmente a disposizione"

sabato 29 giugno 2013

Dal pianeta luna alla spending review


ROMA -Ridurre la spesa pubblica prima di tutto. E poi verificare gli effetti di quella manovra a «costo zero» che il governo ha realizzato bloccando la prima rata dell'Imu sulla abitazione principale, impedendo l'incremento dell'Iva al 22%, offrendo incentivi sulle ristrutturazioni edilizie e aiuti alle zone colpite dal sisma. Il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, non raccoglie gli attacchi di cui è stato fatto oggetto in questi giorni e scommette su una ripresa nella seconda metà dell'anno. I primi segnali ci sono già, osserva. E sui pagamenti della Pubblica amministrazione dice che una verifica sugli effetti verrà fatta a settembre: allora sarà possibile decidere se ci sono margini per ulteriori pagamenti rispetto a quelli già previsti.

Ministro Saccomanni, un anno fa la riforma Fornero diventava legge, il premier Mario Monti annunciava la spending review e lo spread era sopra i 400 punti. Oggi a che punto è il Paese? «Ieri si è chiusa formalmente la procedura d'infrazione. Sul piano della credibilità abbiamo consolidato i progressi fatti dal governo Monti. Ma la credibilità non è qualcosa che si acquisisca per sempre, va alimentata tutti i giorni».

Non si può vivere di sola politica del rigore. «Abbiamo un debito pubblico elevato che va onorato, perché ogni anno emettiamo 400 miliardi di titoli. Un obbligo che sarebbe lo stesso se non fossimo nell'Ue e non ci fosse il Fiscal compact, anzi sarebbe peggio, perché l'Italia dovrebbe conquistarsi da sola la credibilità sui mercati. Sappiamo che non basta: vogliamo rilanciare l'economia riducendo le tasse su lavoro e imprese. Non possiamo farlo aumentando il debito, quindi dobbiamo ridurre le spese, cosa che tutti i governi hanno provato a fare».

In che modo intendete ridurre la spesa? «Il primo, più dannoso in fase recessiva, è ridurre gli investimenti, cosa che è stata fatta per molti anni. Noi vogliamo ridurre le spese correnti ma non è un lavoro che consenta nel giro di poche settimane di reperire miliardi di euro come se avessimo la bacchetta magica».

Perché? «È il paradosso della spesa pubblica: sembra che non ci sia niente da tagliare su un totale di 800 miliardi del 2013, 725 al netto degli interessi. Tolti i redditi da lavoro, le prestazioni sociali, le altre spese correnti, quelle in conto capitale, gli interessi e il rimborso dei debiti, il totale su cui si può lavorare ammonta a 207 miliardi. Una cifra che è già calata dello 0,5% rispetto al 2012 e ben dell'8,5% rispetto al 2009».

La cura Monti ha funzionato? «Molto è stato fatto con la revisione della spesa iniziata con Tommaso Padoa-Schioppa. Lo scorso governo si è concentrato sull'analisi e la valutazione della spesa ma ha avuto una battuta d'arresto con la crisi politica e la fine della legislatura».

Come pensate di organizzarvi e in che tempi? «Riconvocheremo il comitato interministeriale per il controllo della spesa e avremo un commissario straordinario. Porteremo avanti il lavoro di Monti ma esamineremo l'intera strategia e le procedure operative. Ad esempio i costi standard sono stato già applicati sulla spesa sanitaria ma non quella delle Regioni a statuto speciale. Serve un intervento».

In che tempi? «Agiremo con la collaborazione di tutti i diretti interessati: dai ministeri alle Regioni. C'è un nuovo Ragioniere generale, che viene da Banca d'Italia: Daniele Franco ha una profonda conoscenza di finanza ma anche di tecniche informatiche. Analizzeremo i tipi di spesa su cui intervenire più rapidamente, ma sia chiaro che tagli indolori non esistono».

Riprendete il lavoro di consulenti come Francesco Giavazzi? «Certo. Ma nessuno s'illuda che vengano fuori spese misteriose da tagliare senza che nessuno protesti. Bisogna scandagliare settore per settore. Insomma non è possibile ridurre la spesa del 10% con un tratto di penna. E ci vuole tempo».

Nel frattempo il Paese è bloccato. «Vorrei ricordare che abbiamo vissuto una fase di prolungata stasi politica, durata, a essere caritatevoli, almeno sei mesi, fino al maggio 2013. Questa stasi ha avuto un effetto paralizzante su investitori, consumatori e banche. Mi piacerebbe che se ne tenesse conto quando si giudica il lavoro che abbiamo fatto in 60 giorni».

Ma dopo la stasi, a maggior ragione il Paese chiede segnali positivi. «I segnali positivi ci sono ma a volte le polemiche, anche dentro la coalizione, finiscono per dare l'impressione che la situazione continui a peggiorare. Non è così: il livello della produzione industriale si è stabilizzato. I dati di Confindustria segnalano un lieve recupero dell'attività in maggio. E poi ci sono i dati sulle aspettative delle imprese manifatturiere, i consumi elettrici aumentati, come il gettito dell'Irpef».

Non è ancora troppo poco? «Gli impegni presi sui pagamenti della Pubblica amministrazione, gli incentivi per le ristrutturazioni, la rata Imu non pagata, il mancato aumento dell'Iva, i fondi per la cassa integrazione in deroga, quelli anticipati alle amministrazioni regionali, lo sblocco dei versamenti per il sisma, l'accelerazione nell'uso dei fondi strutturali, tutti questi interventi compongono una importante manovra di stimolo all'economia realizzata senza aumentare debito, in alcuni casi ricollocando fondi stanziati per altre finalità. Si tratta di una serie di misure-ponte che servono a guadagnare tempo: da un lato per il ridisegno della fiscalità e la revisione della spesa, dall'altro per l'alleggerimento del peso che grava sull'economia nel breve periodo, in attesa che si materializzino gli effetti delle misure adottate e si avvii la ripresa».

Rispetteremo il vincolo del 3%? «Certo. Confidiamo nella ripresa nell'ultima parte dell'anno e in una riduzione della spesa per interessi sul debito pubblico rispetto alle previsioni. Tutto questo non deve farci dimenticare che abbiamo utilizzato uno 0,5% per pagare i debiti e siamo così vicini al tetto del 3% del rapporto deficit/Pil. Bisogna perciò fare attenzione e muoversi con cautela».

Per questo avete caricato il mancato taglio dell'Iva sugli acconti? «L'operazione costa un miliardo e l'alternativa era procedere subito con tagli di spesa indiscriminati. Si è preferito fare un anticipo degli acconti: può essere considerato un prestito dei contribuenti che a livello individuale ha un peso molto soft comunque compensato con minori versamenti al momento del saldo. Il Parlamento può decidere di cambiare le coperture purché siano certe. Non sarebbe stato credibile per l'Ue promettere a copertura un maggiore gettito futuro dell'Iva».

E sul pagamento dei debiti della PA alle imprese, qual è lo stato dell'arte? Non potrebbero essere una fonte di gettito Iva aggiuntivo? «Entro settembre, in tempo per la legge di Stabilità, dovremmo avere un quadro affidabile del debito della PA, che finora è stato soltanto stimato, e potremo valutare l'effetto dei 40 miliardi di pagamenti - che corrispondono a una poderosa manovra, pari a quasi tre punti di Pil in 12 mesi - e se sarà possibile finanziare un'ulteriore tranche di pagamenti. Allo stesso tempo avremo anche una stima del gettito Iva addizionale».

C'è chi propone lo sforamento del 3% del rapporto deficit/Pil. «L'Italia non sta cercando deroghe o sanatorie per sé, ma piuttosto di proporre una rimodulazione della strategia europea per gestire più efficacemente questa fase di crisi che si sta rivelando molto dura. I frutti di questo lavoro cominciano a vedersi con le importanti decisioni assunte dal Consiglio europeo di ieri, soprattutto nella lotta alla disoccupazione giovanile e nel sostegno alle piccole e medie imprese. Il momento per fare il punto sarà il Consiglio europeo di ottobre cioè, non a caso, dopo le elezioni tedesche. Allora il Consiglio valuterà se vi siano le condizioni per ulteriori misure di rilancio dell'economia europea».

Non si poteva chiedere più tempo come hanno fatto e ottenuto gli altri Paesi? «Questa vulgata è sbagliata. La Francia ha ricevuto delle raccomandazioni molto più severe delle nostre, ad esempio deve fare una riforma delle pensioni che noi abbiamo già fatto. Le nostre riguardano azioni che sono state già in parte attuate».

Quali sono i prossimi passi? «L'approvazione della delega fiscale che ha ottenuto in Parlamento una corsia preferenziale ci consentirà di riformare il Fisco, ad esempio partendo dal catasto. Non mi aspetto che tutto questo produca risorse maggiori ma avremo un Fisco più moderno e affidabile anche per gli investitori stranieri».

La riforma dell'Imu va fatta entro agosto? «Come promesso. Faremo una cabina di regia coinvolgendo tutte le forze politiche della coalizione e le commissioni parlamentari. Stiamo predisponendo uno scenario di opzioni e ne discuteremo in maniera aperta: il governo vuole trovare larghe intese.».

La vicenda dei derivati ha gettato un'ombra sulla nostra credibilità? C'è il rischio di panico sui mercati? «Non c'è stato alcun panico: le emissioni dei titoli sono andate bene e il nostro spread è sceso nuovamente a 280 punti. Gli strumenti di copertura dei rischi comportano ovviamente un costo. Che vale la pena di sostenere per riparare i conti pubblici dalle continue oscillazioni dei tassi di interesse. In prospettiva c'è un rischio concreto di rialzo dei tassi».

L'onorevole Brunetta sostiene che i conti pubblici siano opachi. «L'Italia ha un grosso debito pubblico ed è obbligata a gestirlo nel modo più trasparente e professionale, dotandosi degli strumenti più adeguati di copertura del rischio. Di tutte le operazioni viene data informazione regolarmente alla Corte dei Conti».

Antonella Baccaro

venerdì 28 giugno 2013

Marziani al governo

Pianeta Papalla di Davide Giacalone

I (non) provvedimenti del governo sono un danno per l’Italia. Le sue (non) scelte servono solo a consegnare la sovranità economica nelle mani di chi ci commissarierà. Così procedendo ci accingiamo a un tonfo profondo, con grandi aziende che si accartocciano e piccole che scappano o restano sotto le macerie. Abbiamo bisogno di meno spesa pubblica e quella invece cresce, perché dalle parti del governo nessuno la conosce, nessuno sa da che parte aggredirla, in compenso tutti hanno paura d’essere aggrediti dagli ipotetici danneggiati. Non sapendo tagliare taglieggiano, così c’è bisogno di meno pressione fiscale e quella, invece, aumenta. La compensazione della sospensione, per tre mesi, del punto d’Iva con i maggiori acconti non è solo violenza carnale nei confronti della lingua italiana (giacché un acconto che pareggia o supera il saldo può esistere solo in una neolingua adatta a ignoranti o imbroglioni), è aumento delle tasse. Il gettito del punto d’Iva era del tutto teorico, mentre quello degli anticipi è reale, quindi i secondi non compensano il primo, per larga parte inesistente, ma introducono nuova sottrazione di ricchezza. C’è bisogno di maggiore flessibilità nel mondo del lavoro e il governo premia la rigidità, per giunta in un modo così scombiccherato (giovani, meglio se meridionali, disoccupati da tempo, con familiari a carico e non istruiti, che già l’idea che i disgraziati abbiano gente a carico la dice lunga sulla lucidità dell’idea) che sarà una stabilizzazione fasulla. Dicono che quegli incentivi creeranno occupazione. Se gli incentivi non creano lavoro, ma occupazione, se il mercato non crea ricchezza, ma usa gli incentivi per mascherare insuccessi, alla fine dei conti ci sarà solo recessione. Recessione&tassazione.

Nessuno, sano di mente e intellettualmente onesto, può rimproverare al governo in carica le molte cose che non riesce a fare. Il guaio è che va condannato per quelle che fa. Spiace dirlo, perché esistevano le condizioni per impostare una storia del tutto diversa, ma questi sono mestieranti del galleggiamento, politicanti di terza fila, sprovveduti spocchiosetti. L’unica cosa che li tiene in piedi è proprio quello che si crede potrebbe farli cadere: il giuoco e gli interessi dei partiti, nonché dei loro capi. Si dice che la stabilità è un pregio, lo stesso presidente della Repubblica s’è in tal senso speso. Ma se questi sono i risultati della stabilità, meglio la crisi. Questi scolari che anelano d’essere rimandati a settembre, sapendo per certo che la promozione è esclusa e che l’alternativa è la bocciatura secca, questi sopravvenuti per collasso altrui ci portano dritti nelle mani della Bce e del Fmi. E festeggeranno anche, perché sono stati ricevuti a palazzo, perché hanno rivolto la parola a quelli che contano, e perché a quel punto le riforme saranno fatte. Con la pistola puntata alla tempia, impoverendoci e senza sovranità. Stiamo correndo verso questa meta. Alternative? Dopo le elezioni di febbraio sostenemmo che questa era l’unica maggioranza possibile. Confermo. Ma questo non è l’unico modo possibile d’interpretarla. Anzi, è il peggiore. Letta e Alfano sembrano due marziani. Provino a guardare nel banco a fianco, scopiazzando il compito che sta svolgendo il governo inglese: taglio (non lineare e profondo) della spesa, taglio dei dipendenti pubblici, taglio degli sprechi del welfare quale unica condizione per poterlo salvare. Può darsi che sul loro pianeta, il Papalla, queste cose siano considerate impossibili. Nel qual caso, però, i terrestri potrebbero ragionevolmente considerare loro inutili.

Il monsignor mentecatto, l'ue, il lavoro e le banche

Nuovo gioco del nuovo governo (anco peggiore che quello Monti), il rinviatutto colmo di bugie ed ipocrisie, qui, ce lo spiega Johnny Doe.

Dal primo luglio aumenterà la bolletta della corrente elettrica... ma guarda un pò. Diminuisce però quella del gas (eh, bhe, siamo in estate, mica dobbiamo accenderli i riscaldamenti...) E, come dice monsignor Letta, non ci saranno aumenti (od ulteriori) tasse. Nooo. Inoltre, grande vittoria (e qui, ci viene sia da ridere che da piangere... o viceversa, a seconda dei casi) al vertice Ue. Secondo monsignor Letta (che si bea come un mentecatto), ora le aziende non hanno più scusanti per non assumere a tempo indeterminato. Forse che la mancanza di ordinazioni (e di conseguenza di lavoro), non è una scusante abbastanza credibile? Monsignor Letta, per favore, scendi da quella cazzo di luna che è meglio e vatti a fare un giro nelle piccole e medie aziende. Ah, si, e sul fallimento ordinato delle banche? Chiaramente, oltre che a sborsare pesanti gabelle per conti correnti e quant'altro, il cittadino dovrà pagare anche per l'eventuale fallimento della propria banca.


“Adesso le imprese non hanno alibi, possono assumere giovani, ovviamente a tempo indeterminato”. Enrico Letta annuncia così i “quasi 1,5 miliardi di euro per l’Italia” previsti dall’accordo raggiunto al vertice Ue. “E’ un grandissimo risultato”, ha detto il premier italiano, sottolineando che “abbiamo quasi triplicato i soldi che spetteranno all’Italia nel complesso dall’Ue” e precisando però che sul lavoro “bisogna rifuggire da aspettative eccessive”. Letta ha poi spiegato che “nell’accordo finale è stata aggiunta una disponibilità di 3 miliardi di euro oltre ai 6 di prima”, così che Bruxelles attribuisce “una quota complessiva di 9 miliardi” per la lotta alla disoccupazione. Per l’Italia le risorse sono “all’incirca 1 miliardo nel primo biennio” e il resto negli anni successivi, “ma conto che quando saremmo qui a rinegoziare il bilancio fra due anni, riusciremo ad ottenere ancora di più”, ha precisato il premier. La somma dell’intervento italiano e dei fondi europei fa quindi “un pacchetto di interventi con una massa critica significativa”, ha aggiunto, sottolineando che siamo in presenza di un “abbattimento del cuneo fiscale”.

Il vertice Ue ha inoltre certificato l’uscita dell’Italia dalla procedura per deficit eccessivo. Una buona notizia, per quanto attesa, che ha permesso comunque a Letta di commentare con entusiasmo: “La giornata di oggi è cominciata meglio di com’era cominciata ieri”. L’incontro tra i leader europei non è però iniziato di certo iniziato nel migliore dei modi. Il premier inglese David Cameron ha infatti provato a mettere i bastoni tra le ruote, mettendosi di traverso dopo l’intesa raggiunta sul bilancio europeo 2014-2020, temendo che Londra ci rimettesse qualcosa. Cameron difendeva il suo sconto (“rebate”), di cui gode dai tempi della Thatcher, messo in discussione da Parigi per una interpretazione diversa della nuova politica agricola comune che ha rivisto i fondi dello sviluppo agricolo. Una volta accontentata Londra ha ritirato la minaccia di veto e il vertice ha potuto approvare il nuovo piano per l’occupazione giovanile che si arricchisce anche di almeno due miliardi in più sui sei già stanziati.

I 27 hanno accettatto così di anticipare al biennio 2014-2015 i sei miliardi dell’Iniziativa per l’occupazione contenuta nel quadro finanziario pluriennale. L’accordo sul bilancio era stato trovato inizialmente al vertice di febbraio, ma era stato bloccato dal Parlamento europeo, che chiedeva più flessibilità tra le voci di spesa e la copertura dei deficit. “Si è decisa la riapplicazione delle decisioni di febbraio sul bilancio”, ha commentato Letta lasciando il vertice, riassumendo l’esito del confronto e in particolare sul mantenimento dello “sconto” in favore della Gran Bretagna. Mentre la cancelliera tedesca Angela Merkel ha ricordato che “a febbraio avevamo raggiunto l’accordo che non sarebbero state cambiate le basi di calcolo”, lasciando capire che l’Ue ha dato a Cameron quello che gli era dovuto. E dicendosi soddisfatta perché “ora possiamo pianificare” gli interventi per la crescita. L’esito del vertice a Bruxelles è un risultato che si aggiunge all’intesa raggiunta nei giorni scorsi sul “fallimento ordinato” delle banche, ovvero i criteri da applicare in caso di ristrutturazioni o chiusura degli istituti. I minstri finanziari hanno trovato così un compromesso tra chi, Berlino in primis, cheideva regole uguali per tutti e chi, come l’Italia, chideva più flessibilità.

Draghi, l'italia, la grecia e i derivati


Preoccupanti legami tra banchieri, privati e pubblici, imbroglioni, e affamatori del "popolo bue". Chi o che cosa ha autorizzato i nostri governi a giocare al casinò dei derivati con il denaro degli italiani? Quale regolamento interno, quale legge, quale norma della Costituzione? E perché non se ne può sapere quasi niente? Secondo quanto riferito da la Repubblica (e dal Financial Times) del 26 giugno, il Tesoro italiano è esposto per 160 miliardi di euro (più di un decimo del Pil italiano) con operazioni sui derivati la cui data di stipulazione non è nota. Il governo Monti ne ha rinegoziati nel corso dell'anno scorso per un importo di 31 miliardi, registrando su queste operazioni una perdita potenziale, non ancora giunta a scadenza, di circa 8 miliardi (poco meno dell'importo con cui la ministra Gelmini e, dopo di lei, il ministro Profumo sono riusciti a distruggere sia la scuola che le università italiane). Naturalmente il ministro del Tesoro ha subito smentito ogni rischio, ma quella smentita vale zero. Infatti solo un anno fa su un'altra partita di derivati del Tesoro si era già registrata una perdita di 3 miliardi, saldata dal governo Monti. Su di essa c'era stata una interrogazione parlamentare dell'Idv e una elusiva risposta - «si tratta di un caso unico e irripetibile» - del sottosegretario Rossi Doria; designato a rispondere non si sa perché, dato che si occupa di scuola e non di finanza, materia sui cui è lecito supporre una sua totale incompetenza. Ma se tanto dà tanto, sui 160 miliardi di derivati in essere, le perdite «a futura memoria», che verranno cioè caricate sul bilancio dello stato nel corso degli anni, per poi dire che gli italiani sono vissuti «al di sopra delle loro possibilità», potrebbero ammontare a molte decine di miliardi di lire.

Ma facciamo un passo indietro: da tre anni ci ripetono che la Grecia ha fatto il suo ingresso nell'euro truccando i conti perché, in base al suo indebitamento, non ne avrebbe avuto titolo; di qui i guai - e che guai! - in cui è incorsa successivamente. Successivamente. Perché all'epoca del suo ingresso nell'euro nessuno si era accorto di quei trucchi. Poi si è scoperto che a organizzarli era stata la banca Goldman Sachs, allora diretta, per tutto il settore europeo, da Mario Draghi, nel frattempo assurto alla carica di presidente della Bce, cioè dell'organo preposto a garantire la riscossione di quei debiti contratti in modo truffaldino. E di quei trucchi non si è più parlato. Ma lo stratagemma a cui il governo greco e Goldman Sachs erano ricorsi per truccare i conti era proprio quello di nascondere un indebitamento eccessivo (secondo i parametri di Maastricht) dietro a derivati da saldare in futuro. Nello stesso periodo - o poco prima, cioè con maggiore preveggenza - il governo italiano sembra essere ricorso esattamente allo stesso stratagemma: ufficialmente per coprire il debito italiano dai rischi del cambio (allora c'era ancora la lira) e dalle variazioni dei tassi di interesse: i derivati sono stati infatti introdotti nel mondo della finanza come forma di assicurazione contro la volatilità dei cosiddetti mercati; ma, come si vede, la funzione che svolgono è esattamente il contrario.

E' comunque del tutto evidente che lo scopo effettivo di quelle operazioni era quello di "truccare" i conti e garantire così anche all'Italia l'ingresso nell'euro. Qui la presenza ricorrente dello stesso personaggio è ancora più dirompente; perché nel periodo che intercorre tra la probabile - non se ne sa ancora molto - sottoscrizione di quei derivati e l'emersione dei primi debiti che essi comportano Mario Draghi è stato direttore generale del Tesoro (l'organismo contraente) dal 1991 al 2001; poi, utilizzando in modo spregiudicato il cosiddetto sistema delle "porte girevoli", responsabile per l'Europa di Goldman Sachs (una delle banche sicuramente coinvolta in queste operazioni), poi Governatore della Banca d'Italia e poi presidente della Bce e in questo ruolo uno degli attori più decisi a far pagare agli italiani - e agli altri infelici popoli vittime degli stessi raggiri - la colpa (in tedesco schuld, che, come ci ricordano i ben informati, vuol dire anche debito) di essere vissuti "al di sopra delle proprie possibilità". Non basta: ogni sei mesi, ci informa sempre Repubblica, il Tesoro è tenuto a trasmettere una relazione sullo stato delle finanze pubbliche, comprensivo anche dei dati sull'esposizione in derivati, alla Corte dei Conti. Ma in venti anni o quasi, questa si è accorta solo ora dei rischi connessi a queste operazioni e, per saperne di più, ha inviato la Guardia di Finanza nelle stanze del Tesoro; che però si sarebbe rifiutato di esibire la relativa documentazione. Ci ricorda qualcosa tutto ciò? Si ci ricorda da vicinissimo le recenti vicende del Monte dei Paschi di Siena i cui dirigenti - oggi in carcere o sotto inchiesta perché considerati dalle procure di Siena e Roma degli autentici delinquenti - sono riusciti a nascondere alla vigilanza della Banca d'Italia (che combinazione!) una esposizione debitoria incompatibile con il regolare funzionamento di una banca, nascondendola sotto degli onerosissimi derivati, che hanno tenuto rigorosamente nascosti per anni.

Il casinò dei derivati accomuna così le istituzioni di governo del paese alle banche truffaldine (per ora MPS; ma chissà quante altre si trovano nelle stesse condizioni, e non solo in Italia. Mario Draghi al vertice della Bce non ispira certo tranquillità). Per saperne di più, cioè per capire in che mani siamo finiti, in che mani ci hanno messo i governi che si sono succeduti negli ultimi 30 anni (da quando la teoria liberista e il pensiero unico la fanno da padroni e, in termini pratici, da quando è stato portato a termine il famigerato divorzio tra Tesoro e Banca centrale che ha messo le politiche dei governi in balia della finanza: leggi degli speculatori internazionali), basta leggere la sinossi di come funziona il casinò dei derivati che ne fa Luciano Gallino (Repubblica, 26 giugno).

«Nel mondo - spiega Gallino - circolano oltre 700 trilioni di dollari (in valore nominale) di derivati [cioè 700mila miliardi, oltre 10 volte il valore presunto del prodotto lordo mondiale, nota mia], di cui soltanto il 10 per cento, e forse meno, passa attraverso le borse. Il resto è scambiato tra privati, come si dice, "al banco", per cui nessun indice può rilevarne il valore». Ma aggiunge, anche di quel dieci per cento scambiato nelle borse, a definirne il valore concorre solo il 40 per cento [cioè il 4 per cento degli scambi complessivi, nota mia]. Di quel 40 per cento, almeno quattro quinti hanno finalità puramente speculative a breve termine...Di tali transazione a breve, circa il 35-40 per cento nell'eurozone e il 75-80 per cento nel Regno Unito e in USA si svolgono mediante computer governati da algoritmi...che operano a una velocità anche di 22mila operazioni al secondo...Ne segue che chi parla di "giudizio dei mercati" [praticamente tutti gli esponenti del mondo politico, imprenditoriale, manageriale e accademico europei, nota mia] dovrebbe piuttosto parlare di "giudizio dei computer". «Macchine cieche e irresponsabili - aggiunge Gallino - opache agli stessi operatori e ancor più ai regolatori. E per di più, inefficienti». Ma molto efficienti però, aggiungo io, nel trasferire ricchezza dai redditi da lavoro e dalla spesa sociale ai profitti e alla rendita, compito che nel corso degli ultimi trent'anni hanno svolto egregiamente. E non senza che gli addetti alla "regolazione" dei mercati, siano essi manager o politici, o entrambe le cose grazie al sistema delle "porte girevoli", ci abbiano messo tutta la loro scienza e il loro potere per portare questo trasferimento fino alle estreme conseguenze, quelle che oggi possiamo vedere esposte in vetrina nella catastrofe della Grecia. Ma allora, perché continuare a rimaner sottomessi a un sistema simile? Non è ora di trovare la strada per tirarsene fuori al più presto?

L'ammazzablog


Rispunta alla Camera la cosiddetta ammazza-blog. La norma è contenuta in una proposta di legge depositata da Scelta civica, sulle modifiche alla legge sulla stampa del 1948 per quanto riguarda le disposizioni sulla diffamazione. Il testo, a prima firma di Stefano Dambruoso, è stato depositato il 6 giugno e assegnata lo scorso venerdì alla Commissione Giustizia dove già si è avviato l'iter sulla riforma della diffamazione a mezzo stampa. Di una iniziativa simile si era fatto promotore nel 2011 anche il governo Berlusconi nell'ambito della sua campagna per limitare la pubblicazione di intercettazioni telefoniche. La proposta, sottoscritta da altri 13 deputati centristi tra cui Andrea Romano Mario Marazziti, estende l'obbligo di rettifica, su richiesta di chi si ritiene offeso, alle testate telematiche. Il comma, che contiene la norma anti-blog, reca modifiche all'articolo 8 della legge del '48 e recita cosi': "per i siti informatici, ivi compresi i blog, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate entro quarantotto ore dalla richiesta, in testa alla pagina, prima del corpo dell'articolo, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono". Per chi non rispetterà l'obbligo di pubblicazione della rettifica scatterà una multa da un minimo di "euro 8.000" a un massimo di "euro 16.000".

L'obbligo di rettifica viene esteso anche alla stampa non periodica, includendo quindi anche i saggi e i libri: la pubblicazione dovrà avvenire entro sette giorni dalla richiesta su due quotidiani a tiratura nazionale e nelle successive edizioni e ristampe con chiaro riferimento allo scritto 'incriminato'. La proposta di legge Dambruoso, anche per le testate tradizionali, prevede che la rettifica venga pubblicata "senza commento". Il testo cancella la pena del carcere in caso di diffamazione a mezzo stampa per un fatto determinato prevedendo solo la multa da "euro 5.000 a euro 50.000". Ora bisognerà vedere se la nuova proposta sulla riforma della diffamazione verrà abbinata alle altre due (una firma Costa e una a firma Gelmini del pdl) già all'esame della Commissione Giustizia di cui sono relatori Enrico Costa (Pdl) e Walter Verini (Pd).

Lo stesso Dambruoso nega però che lo scopo della sua proposta sia quello di "ammazzare" i blog. "La valorizzazione del momento della rettifica coglie da un lato l'esigenza di salvaguardare le persone che hanno un interesse alla correzione di dati inesatti, quando non addirittura diffamatori, e dall'altro introduce un correttivo che avrà ricadute significative nella determinazione del danno, il quale, dopo la pubblicazione della rettifica non potrà che risultare ridotto e in alcuni casi persino esaustiva", spiega il deputato di Scelta Civica. "E' dunque errato - aggiunge - denominare la proposta che introduce per blog e libri l'obbligo della rettifica come uno strumento 'ammazza blog'".

Heil Kyenge!


FALLITALIA - Il piano della Kyenge: rimpiazzare i vecchi italiani con i giovani clandestini. “La priorità è l’integrazione intesa anche come ringiovanimento demografico dell’Italia” “La priorità è l’integrazione intesa anche come ringiovanimento demografico dell’Italia”. Così ha detto ieri il ministro Kyenge a latere della solita conferenza sull’immigrazione e ha svelato dettagliatamente il suo piano che, molto presto, passerà al vaglio del governo. “Il reato di ingresso clandestino e di soggiorno illegale dovrebbe essere presto abolito in sede di revisione del Testo Unico sull’immigrazione da parte dei ministeri dell’Interno e della Giustizia e dal Parlamento”. Per il ministro, inoltre “il trattenimento delle persone da espellere nei Centri di Identificazione dovrebbe rappresentare solo l’estrema ratio e comunque- secondo lei- 18 mesi sono un periodo eccessivamente lungo”. “La questione immigrazione- ha concluso- rappresenta un nodo di estremo rilievo, un fenomeno che non può essere governato fra individualismi ed egoismi politici”.

Tradotto: l’Italia è da considerarsi un paese di vecchi e per ringiovanirla occorrono altri milioni di immigrati, che però con le leggi vigenti faticherebbero ad entrare. Per la sostituzione rapida del vecchio col nuovo (il ringiovanimento) occorre aprire le frontiere a tutti. Chi critica è un egoista razzista da mettere al bando. Se è così, si chiama rimpiazzo demografico: lo ha usato Stalin, lo usano i cinesi in Tibet, ne abbiamo visto gli effetti in Ruanda. Adesso è il turno dell’Italia.

mercoledì 26 giugno 2013

I criminali sono altri

Berlusconi è un criminale di Antonio Stragapede

Il socio pugliese dell’ARS ha scritto questo brillante articolo sulla “questione Berlusconi”:

Caro amico piddino scusami ma non intendo parlare di B.; sì lo so il titolo dell’articolo faceva presagire il contrario ma se ti avessi detto che intendevo parlarti dell’ultima follia avvenuta a Bruxelles tu nemmeno avresti iniziato a leggere! Ho dovuto ricorrere all’unico argomento al quale dimostri un inossidabile attaccamento. E anche tu caro amico pidiellino che forse ora ti stai chiedendo chi è questo pericoloso comunista che parla male di B.… anche a te voglio dire che non sono comunista e che in questa storia B. non c’entra per nulla.

Però entrambi piddino e pidiellino regalatemi cinque minuti del vostro tempo e continuate a leggere perché sto per raccontarvi una storia anzi una storiaccia di quelle che se l’Italia fosse un Paese normale riempirebbero le prime pagine dei giornali (altro che le trombate vere o presunte di B); di quelle che riempirebbero le piazze di gente incazzata e per le quali varrebbe davvero la pena di far dimettere in massa 200 deputati dal Parlamento (ogni riferimento a persone e/o cose reali è puramente voluto).  Alcuni giorni fa quella manica di fanatici, bigotti, fondamentalisti che reggono le sorti dell’Eurozona e che con troppa benevolenza ci limitiamo a definire “tecnocrati” ha redatto un documento ufficiale nel quale si mette nero su bianco che il salvataggio delle Banche private europee sarà pagato dai Governi e dai contribuenti europei. Qualcuno obietterà… bella novità è dall’inizio della crisi che i contribuenti europei stanno pagando per salvare il culo alle Banche cosa c’è di nuovo? Beh di nuovo c’è che questa volta sono stati compiutamente descritti regole, metodi, cifre, vincoli che regolamenteranno l’intero processo, lasciando poco spazio all’improvvisazione e all’immaginazione.

Il tutto avverrà tramite il MES ovvero il Meccanismo Europeo di Stabilità detto anche Fondo Salva Stati ovvero quel meccanismo infernale e assurdo partorito dalle obnubilate menti di qualche banchiere per “salvare” gli Stati europei dal rischio di default. Semplificato ai massimi livelli il Fondo Salva Stati non è che un gigantesco Istituto di Credito sovranazionale dai poteri illimitati nel quale gli Stati Europei hanno deciso di versare soldi in gran parte prelevati dalla tasse dei loro cittadini (l’Italia si è obbligata per il momento a pagare la somma di € 125.000.000.000 – leggasi centoventicinque miliardi in 10 anni) ma tale somma potrebbe essere aumentata a giudizio insindacabile del MES. Tra il 2012 e il 2013 l’Italia avrà versato al MES la somma di € 35.000.000.000 (leggasi trentacinque miliardi). Se uno Stato si trova in difficoltà e non riesce a piazzare sul Mercato i titoli del debito pubblico che gli consentono di pagare stipendi, pensioni e quant’altro chiede aiuto al MES che gli “presta” i soldi che lo stesso Stato vi ha già depositato, in cambio di qualche ulteriore cessione di sovranità. Avevo già fatto notare che i soldi che “generosamente” il MES presta agli Stati per “salvarli” in realtà servivano in larga misura, come nel caso della Grecia, a salvare i crediti che le Banche private avevano nei confronti dello Stato in difficoltà in quanto possessori dei titoli del debito pubblico di quel Paese. E cioè in realtà il “salvataggio” degli Stati non era altro che il “salvataggio” delle banche private, spesso straniere, rispetto allo Stato da salvare. Ma qui si è andati ben oltre.

Adesso si è messo nero su bianco che il cd. Fondo Salva Stati non servirà solo a “salvare” gli Stati ma servirà direttamente a ricapitalizzare le banche private a rischio di fallimento. Ops… scusami amico piddino forse questi concetti sono troppo tecnici e lontani dalla tua sensibilità per cui tengo alta la tua attenzione con un concetto che sicuramente condividerai: BERLUSCONI È UN PEDOFILO! Contento? Ora, per favore, continua a leggere ancora per un po’. C’è un gigantesco bubbone che sta minando alle fondamenta la sostenibilità di tutto il sistema economico occidentale ed in particolare nei Paesi dell’Eurozona: è costituito dai crediti in sofferenza delle banche (in inglese NPL Non Performing Loan).

Secondo alcune stime il totale dei crediti in sofferenza nelle banche private della zona Euro ammonterebbe alla considerevole cifra di € 720.000.000.000 (720 miliardi) dei quali ben 500 sarebbero concentrati nei Paesi periferici; queste stime tuttavia non possono che essere approssimate per difetto vista l’oramai consolidata abitudine delle banche private di “truccare” i propri bilanci nascondendo sotto il tappeto la polvere tramite il massiccio ricorso a prodotti derivati che “aggiustano” fittiziamente i bilanci (Monte dei Paschi di Siena docet). E non è tutto: le aberranti politiche di austerity imposte dalla Germania all’Eurozona stanno rapidamente facendo aggravare la situazione specie nei Paesi periferici dove la percentuale dei crediti in sofferenza sta rapidamente aumentando. In Italia il NPL ha recentemente raggiunto la percentuale del 13,4 % del totale degli attivi bancari più o meno come la Spagna e il Portogallo ma ancora al di sotto dell’Irlanda 19% e della Grecia 25%. Per il momento la ricapitalizzazione diretta delle Banche private da parte del MES è limitata alla somma di 50-70 miliardi di euro, ben poca cosa rispetto alle dimensioni del bubbone che sta per scoppiare, ma è il principio quello che spaventa e che dovrebbe indignarci, sdegnarci e farci incazzare come iene.

Si stabilisce infatti che sarà compito degli Stati ricapitalizzare la banche private in difficoltà e che, nel caso in cui questi non riescano a farvi fronte, interverrà il MES. In altri termini o tramite l’intervento diretto dello Stato o tramite quello in seconda battuta del MES (finanziato dagli stessi Stati) saranno sempre i cittadini a pagare il conto, che si prevede salatissimo, del “salvataggio” delle banche private in difficoltà. Secondo alcuni ciò che sta avvenendo in Europa in questo periodo è il più grande trasferimento di ricchezza dall’economia reale alla finanza che sia mai avvenuto nel corso della storia. Perchè se è vero che tutto il sistema economico e finanziario occidentale è “bancocentrico” e cioè per funzionare ha bisogno delle banche qui in Europa, dove non ci vogliamo mai far mancare nulla, il rapporto tra Stati e banche è diventato patologico.

Gli Stati infatti dopo aver ceduto la loro sovranità monetaria alla BCE per potersi finanziare e quindi sopravvivere hanno bisogno che le banche private acquistino sul Mercato i loro titoli del debito pubblico; sino a quando le cose vanno bene le Banche realizzano grandi profitti ma nel momento in cui per politiche sbagliate, per propria inettitudine, o per semplici ruberie le cose vanno male chiedono aiuto allo Stato che usa le tasse dei cittadini per ricapitalizzarle ed evitare il loro fallimento secondo il più classico dei principi dell’integralismo liberista… privatizzare i guadagni, socializzare le perdite! Ora, qualche sapientone che scrive sui giornali di regime ci verrà a raccontare che anche negli Stati Uniti tra il 2008 e il 2010 la FED ha ricapitalizzato le Banche private “too big to fail” e questo ha impedito l’implosione di tutto il sistema e ora sta consentendo all’economia americana di uscire dalla crisi tanto che recentemente il Governatore della FED, Bernanke, ha dichiarato che smetterà di iniettare liquidità nel sistema perché l’economia può consolidare la sua ripresa da sola. Se l’hanno fatto gli Stati Uniti e ora stanno uscendo dalla crisi dobbiamo farlo anche noi. Ma proprio qui casca l’asino!

Perché negli Stati Uniti le Banche private sono state salvate senza troppo clamore dalla FED tramite una massiccia e oceanica iniezione di liquidità creata dal nulla! Tra il 2008 e il 2010 la FED ha creato con un semplice click del computer una quantità enorme di liquidità (parliamo di una cifra prossima ai 7.700 miliardi di dollari) che è servita a sostenere il corso dei titoli finanziari e a ricapitalizzare direttamente il capitale sociale delle Banche private. Nessun cittadino americano ha pagato né direttamente né indirettamente un solo centesimo di dollaro per ricapitalizzare le Banche private americane responsabili della crisi finanziaria sistemica verificatasi nel 2008. E come se non bastasse il Governatore Bernanke ha deciso di dare ulteriori stimoli all’economia americana decidendo di far acquistare dalla FED a partire dal 2008 e a tutt’oggi ottantacinque miliardi di titoli del debito pubblico al mese. Secondo le teorie monetariste alla Milton Friedman così accreditate e fideisticamente seguite in Europa una iniezione così massiccia di liquidità creata dal nulla (parliamo di una quantità enorme pari a circa 3 volte il PIL dell’Italia) avrebbe dovuto avere effetti devastanti sull’economia americana determinando un aumento esponenziale dell’inflazione e una svalutazione enorme del dollaro.

In realtà è successo questo: impatto sull’inflazione pressocchè ininfluente; economia americana che cresce del 2,3% con prospettive per l’anno prossimo di aumentare la crescita sino al 3,5%; tasso di disoccupazione in calo al 7.5% livello più basso dal 2008. Pensate che questo abbia incrinato le inossidabili certezze degli euro-tecnocrati di Bruxelles? No cari amici piddini e pidiellini, non c’è nulla che possa incrinare le granitiche e inossidabili certezze dei tecnocrati di Bruxelles; il loro fanatismo ideologico liberista ha permeato dalla sua costituzione questa Europa delle banche e della finanza che non diventerà MAI un’Europa dei popoli. E anche quello che tra qualche giorno il nostro primo Ministro Letta si appresta a festeggiare come un successo personale (aver ottenuto che l’Europa sostenesse le politiche per l’occupazione giovanile con un impegno di spesa di 3 miliardi di euro da dividere per i 27 Stati dell’Eurozona) è talmente risibile, considerata l’entità della crisi in atto, che equivale a provare a spegnere l’incendio di una foresta con un secchiello di acqua. Ormai dobbiamo prendere atto con dolore e con dispiacere ma con realismo che la bella nave sulla quale abbiamo voluto a tutti i costi imbarcarci inseguendo il sogno europeo, come il Titanic, si sta andando a schiantare contro un iceberg. Dobbiamo scendere dalla nave prima possibile e provare a metterci in salvo: non è detto che riusciremo comunque ad evitare l’impatto con l’iceberg ma, se non altro, quando avremo riacquistato la nostra sovranità, ridiventeremo arbitri e padroni del nostro destino.

Dal consiglio dei ministri, genialità...


«Vogliamo aiutare il lavoro vero, di qualità». Così il presidente del Consiglio Enrico Letta ha presentato il dl occupazione. Il provvedimento è stato approvato dal Consiglio dei ministri, insieme al decreto carceri e al rinvio per tre mesi dell’aumento dell’Iva. Sull’occupazione, Letta ha annunciato: «È un intervento significativo, coperto in parte con fondi nazionali e in parte con fondi europei. Servirà ad assumere in 18 mesi 200 mila giovani con un’intensità maggiore nel centro Sud. Ma è un provvedimento che riguarda tutto il Paese. Vogliamo dare un colpo duro alla piaga della disoccupazione giovanile».

GLI INCENTIVI - Previsti «in via sperimentale» incentivi all'assunzione stabile di giovani tra i 18 ed i 29 anni. Così come anticipato, le risorse andranno per lo più alle Regioni del Sud. Il via libera del dl dal Consiglio dei ministri è il primo pacchetto di misure per il rilancio dell’occupazione. Sono previste anche agevolazioni per chi ha più di cinquant'anni di età e per i disoccupati da oltre dodici mesi. Un pacchetto definito un primo passo, «in attesa dell’adozione di ulteriori misure da realizzare anche attraverso il ricorso alle risorse della nuova programmazione comunitaria 2014-2020».

IL MEZZOGIORNO - Nel dettaglio, 500 dei 794 milioni messi a disposizione per i giovani, andranno alle Regioni del mezzogiorno (100 mln per il 2013, 150 per il 2014, 150 per il 2015 e 100 pe ril 2016). «Il pacchetto - ha precisato il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini - coinvolgerà circa 200.000 persone, 100.000 saranno quelle che potranno beneficiare degli sgravi contributivi mentre altre 100.000 sono coinvolte nelle altre misure di inclusione». «Profonda soddisfazione» è stata espressa dal vicepremier Angelino Alfano: «Altri due gol del governo su tasse e lavoro: l’Iva doveva aumentare e non aumenterà e il Parlamento potrà allungare questo termine».

CAMUSSO - «È sicuramente un segnale positivo - il commento di Susanna Camusso, segretario generale della Cgil - che il provvedimento degli incentivi si rivolga ad assunzioni a tempo indeterminato, a trasformazioni di contratti precari in contratti a tempo indeterminato». Il decreto lavoro, ha aggiunto il ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato, prevede «la defiscalizzazione totale, per una durata di diciotto mesi, per le imprese che assumeranno un giovane a tempo indeterminato».

SVUOTA CARCERI - Il consiglio dei ministri ha anche approvato il decreto proposto dal ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, contro il sovraffollamento carcerario. «Non è un provvedimento svuotacarceri in senso classico» ha spiegato. Il testo apre l’accesso ai lavori socialmente utili anche ai recidivi ma non nel caso di reati come l’associazione mafiosa, lo stalking e il maltrattamento di minori. Bloccato il fenomeno delle cosiddette “porte girevoli”, ossia il transito in carcere di soggetti per un breve lasso di tempo, 3/5 giorni. Nelle intenzioni del governo, il provvedimento dovrebbe portare alla diminuzione della detenzione in carcere di circa 6.000 persone nei prossimi due anni.

Tasse, tasse, tasse


Iva bloccata e congelata per 3 mesi (se lo sarà fino a dicembre, come vuole Silvio Berlusconi, si vedrà), e pacchetto da 1,5 miliardi per il lavoro. Il CdM vara un blocco di interventi importanti, ma dietro c'è lo scherzetto: per trovare la copertura (di cui l'Unione europea non era convinta) il governo piazza un aumento dell'acconto Irpef al 100%. Quando a novembre dovremo versare l'anticipo dell'acconto sulle persone fisiche, dunque, non si pagherà più solo il 96 per cento. Nel 2011 Mario Monti aveva ridotto l'acconto all'82 per cento. Ma l'Irpef, da sola, non basta. Ecco dunque due finezze da azzeccagarbugli: l'acconto sull'imposta sul reddito delle società è aumentata dal 100 al 101%, cioè con un leggerissimo anticipo delle tasse, mentre aumenta al 110% anche l'acconto dei versamenti di acconto che spettano a aziende e istituti di credito. Infine, e questo era già previsto da molti, arriveranno rincari sulle sigarette elettroniche, su cui graverà un'imposta del 58,5 per cento, mentre agli esercizi verrà richiesta una cauzione a garanzia delle imposte da versare.

La cresta - Una beffa, insomma: per rinviare l'Iva, il premier Letta anticipa le tasse. Qualche calcolo lo ha fatto, subito, la Cgia di Mestre, che sottolinea come le decisioni dell'esecutivo costringono le imprese ed i lavoratori autonomi ad anticipare all'Erario 2,6 miliardi di euro. Una vera a propria stangata. L'importo copre abbondantemente lo slittamento fino a fine anno dell'aumento Iva, che secondo le fonti di governo dovrebbe costare 2 miliardi di euro. Di fatto, Letta anticipa le tasse e ci fa anche una cresta di 600 milioni di euro. Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia, commenta tranchant: "E' una vera e propria beffa. E' vero che si tratta solo di un aumento degli acconti di fine anno che sarà sottratto dai saldi che gli imprenditori pagheranno nel 2014; tuttavia, incrementare dal 99 al 100% l’acconto dell’Irpef, dal 100 al 101% quello dell’Ires e dal 100 al 110% quello dell’Irap contribuirà a peggiorare la situazione finanziaria di artigiani, commercianti, liberi professionisti e piccoli imprenditori che da tempo denunciano a gran voce di non disporre della liquidità necessaria per mantenere in piedi l’attività".

lunedì 24 giugno 2013

D&G, Idem & Guerrini

Meglio Dolce & Gabbana di Davide Giacalone

Mi sta più a cuore la coppia Dolce & Gabbana che non quella Guerrini & Idem. Sto parlando di fisco, a scanso d’equivoci. La prima dimostra come il satanismo fiscale distrugga il tessuto produttivo. La seconda riassume il decadimento morale indotto dall’ipocrisia fiscale. Due vicende istruttive, a patto di capire in cosa consiste la lezione.

I due protagonisti della moda si sono beccati una condanna a 1 anno e 8 mesi di carcere (in primo grado, appelleranno, e, comunque, essendo incensurati beneficiano della condizionale), riconosciuti colpevoli di avere evaso il fisco per circa 1 miliardo di euro. Più 500 milioni, quale provvisionale all’Agenzia delle entrate. La cosa non riguarda solo loro, ma l’intero sistema produttivo. Riassumo velocemente: crearono il marchio possedendone ciascuno il 50%, quali persone fisiche; evidentemente non avevano immaginato lo strepitoso successo cui andavano incontro (buon per loro, ma anche buon per l’Italia); nel 2004 vendono lo sfruttamento del marchio a una società lussemburghese appositamente costituita, incassando 360 milioni, sui quali pagano le tasse. Il fisco eccepisce: non lo avete, come avevate sostenuto, per concentrare in modo razionale la vostra operatività, lo avete fatto per approfittare del fatto che in Lussemburgo si pagano meno tasse. Già questo non lo trovo disdicevole. Quanto meno? Occhio alla parte succosa della sentenza: il vantaggio, secondo il tribunale, è dato dalla differenza fra l’aliquota italiana del 37% e quella lussemburghese del 4%. A voler credere nella fondatezza della sentenza, il vero crimine consiste nel tollerare inerti che, all’interno dell’Unione europea, possono esistere differenze di 33 punti percentuali nella tassazione della medesima cosa. Mi dite come si fa a essere competitivi, dati questi abissi di differenziali fiscali? Non so quale sarà l’esito futuro della causa, so, però, due cose: a. i signori Dolce e Gabbana hanno commesso un errore, consistente nel non trasferire la propria residenza fisica assieme a quella del loro marchio, ciò perché l’inferno fiscale nostrano sollecita alla fuga; b. se la giustizia continuerà a dare loro torto sarà la dimostrazione che l’Italia ha scelto la via del suicidio fiscale, propiziante la desertificazione produttiva.

Questa sentenza dovrebbe trovarsi sul tavolo del presidente del Consiglio, suggerendogli un ottimo motivo per cambiare nettamente direzione di marcia. Io resto europeista, sicché m’indigna in fatto che, in queste condizioni, si moltiplicano le buone ragioni per far saltare tutto. Un’ultima osservazione: mettiamo che i marchi fossero restati in Italia e che qualcuno avesse avviato attività a loro danno (ipotesi concretissima, perché la merce falsificata con il marchio D&G la trovate sia fuori dal tribunale che fuori dal Parlamento, sul marciapiede), e mettiamo che i due rei si fossero rivolti alla giustizia per essere protetti, sapete cosa a cosa sarebbero andati incontro? Alla derisione e a dieci anni d’inutile processo. Per condannarli, invece, si fece prima.

L’altra coppia, Guerrini & Idem, è l’incarnazione di un prodotto italiano: i coniugi con residenza in posti diversi. Siamo un fenomeno, nel mondo. Capita, eccome, che si abbiano attività che portano a lavorare in città diverse, ma capita solo qui che avendole nella stessa città si risieda in due case diverse. Incompatibilità notturna? Ma va là: sollecitazione fiscale. E’ il fisco ad avere creato questo fenomeno, con la demente modalità di tassazione degli immobili. A nessuno capita a sua insaputa, o per distrazione, ma per razionale scelta. Sopra questa ipocrisia (che non è né reato né evasione) il ministro Idem ne ha sommata un’altra, risiedendo in palestra. E questa è evasione brutta, perché comporta concorrenza sleale nei confronti di altre palestre, ove non sia venuto in mente di farci risiedere qualcuno. Ma il bello arriva quando si scopre che il ministro non solo faceva da testimonial per le campagne contro l’evasione, non solo cianciava come tanti contro gli evasori, ma ora dice “mi assumo le responsabilità”, supponendo che consista nel pagare il dovuto (quello è un obbligo che prescinde dall’assunzione). Invece dovrebbe dire: ho capito che tutti consideriamo evasori gli altri mentre non solo perdoniamo le nostre evasioni, ma le consideriamo un diritto, appositamente propiziato da professionisti che paghiamo apposta perché ci aiutino in tal senso. Invece no, ha preferito coniugare ipocrisia e viltà. Ci manca solo che nell’armadio abbia anche qualche falso Dolce&Gabbana. Che confermo essere, fra le due, la mia coppia preferita.

Dimissioni della Idem


Il presidente del consiglio Enrico Letta ha accolto le dimissioni del ministro alle Pari opportunità, sport e politiche giovanili Josefa Idem dopo un lungo colloquio avvenuto lunedì pomeriggio. Il ministro nei giorni scorsi è stata investito dallo scandalo sui presunti abusi edilizia nella sua abitazione- palestra, nella quale, sempre lunedì sono iniziati i controlli della polizia Commerciale. Ma la sedia lasciata vuota non sarà occupata da un singolo successore. Infatti, Enrico Letta, ha dichiarato di volere distribuire le deleghe tra gli altri ministri.

«CI PENSAVO DA TEMPO» - Da quanto si è alzato il polverone sui mancati pagamenti dell'Ici e sui presunti abusi edilizia sulla sua palestra alle porte di Ravenna trasformata in prima casa, il ministro confida di «avere pensato più volte alle dimissioni». «Come Ministra - ha affermato Josefa Idem - ho tenuto duro in questi giorni perchè in tanti mi avevano detto che questi momenti fanno parte del "gioco"». Ma se la figura pubblica ha retto il colpo della messa a nudo della propria vita da parte dei media e degli schieramenti politici «La "persona" Josefa Idem - ha precisato - , già da giorni invece, si sarebbe dimessa a causa delle dimensioni mediatiche sproporzionate della vicenda e delle accuse aggressive e violente, nonchè degli insulti espressi nei suoi confronti».

DISTRIBUZIONE DELEGHE - «Ho preso atto della volontà irrevocabile del ministro Idem di rassegnare le dimissioni - ha detto il presidente Letta -. Sono convinto che emergeranno rapidamente, e in tutta la loro limpidezza, la correttezza e il rigore morale che conosco essere fra i tratti distintivi di Idem e per i quali l'ho scelta e le ho chiesto di entrare far parte del governo». E dopo il ringraziamento per i «50 giorni di lavoro insieme», il presidente del consiglio precisa che dell'accaduto «è stato avvisato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano» e che comunicherà «al prossimo consiglio dei Ministri la redistribuzione delle sue deleghe all'interno dello stesso Consiglio».

Continuano le provocazioni congolesi

Augurandoci che la signora li accolga a casa sua e quelle dei suoi più cari amici demokrat... e che non vengano loro toccati gli averi, altrimenti si incazzano come iene. e, tra l'altro, ha anche rotto i coglioni con la storiella del "chi insulta lei insulta l'italia"... perchè lei NON rappresenta nè l'italia e nè tantomeno gli italiani.


"La maggiore richiesta che mi è venuta dai rom è quella di uscire dai campi". Il ministro Cecile Kyenge aggiunge un'altra casella alla sua tabella programmatica. Dopo l'abolizione del reato di clandestinità e la rivendicazione dello ius soli, la Kyenge ora punta all'apertura dei campi rom. La Kyenge è stata ospite a Torino a Palazzo Civico dell'amico sindaco Piero Fassino. Una delegazione di rom ha incontrato il ministrio per raccontare i loro problemi, il disagio di vivere nei campi alla periferia di Torino. Le richieste sono state chiare: cittadinanza, casa, lavoro, scuola.

Uscire dai campi - La Kyenge non si è tirata indietro e ha promesso di assecondare tutto: "Sono venuta ad ascoltare - ha detto il ministro -. La buona convivenza è il nostro obiettivo. E ascoltare le buone pratiche, capire i problemi e i bisogni dei cittadini serve per trovare le soluzioni. La voce unanime che mi è arrivata da queste persone è di uscire dai campi". "Ascolteremo il grido di Torino, non vi lasceremo soli", ha concluso Kyenge. Insomma in cantiere per il ministro entra anche una norma pro-rom. Ad appoggiare il ministro su questa linea anche Fassino, che da tempo vuole "liberare" i rom dai campi: "La città è fortemente impegnata nel cercare una soluzione al problema dei rom - ha detto Fassino - anche se sappiamo che non è semplice. La città ha bisogno del sostegno delle istituzioni, e anche di un impegno maggiore da parte della Regione rispetto a quanto avvenuto sinora".

Io sono come i rom - Il ministro Kyenge infine, rivolgendosi ai rom ha precisato che sta al loro fianco, quasi come fosse un loro "protettore". La Kyenge si dientifica con la minoranza e afferma: "Gli attacchi che ho ricevuto non erano alla ministra, erano al diverso. Gli insulti riguardavano tutti noi. Per questo - secondo il ministro - ci deve essere una risposta di tutta la comunita'". La Kyenge ha trovato un altro cavallo di battaglia: i rom. Vengono prima le loro esigenze che quelle degli italiani. Alla frutta e senza casa.

L'amicopoli di Ignazio Marino


Non deve essere facile per il sindaco Ignazio Marino mettere a punto la squadra di assessori per governare Roma. Oltre ai forfait di chi non se la sente, di questi tempi, di sedersi su una poltrona in Campidoglio deve far fronte ai "consigli" amichevoli delle diverse anime del Partito Democratico che lo tirano per la giacchetta, chi da una parte e chi dall'altra, per piazzare qualcuno di famiglia. Ecco allora che nel totonomine della nuova giunta capitolina spunta il nome della fidanzata di Dario Franceschini, Michela Di Biase, e la sorella di Fabrizio Barca, Flavia.

I piani di Barca - La nomina di quest'ultima alla Cultura, secondo il retroscena raccontato da Vittorio Macioce sul Giornale, sarebbe una compensazione per aver lasciato a Guglielmo Epifani la segreteria a tempo del partito. Per l'ex ministro sarebbe inoltre una prima mossa per fortificarsi a Roma: l'intenzione di Barca è quella di succedere a Matteo Renzi alla segreteria del partito non appena il sindaco riuscirà a salire a Palazzo Chigi. E' per questo che non si candida al congresso di ottobre. Renzi ha già vinto. Barca pure.

Italia, paradiso per criminali stranieri


Le chiamano così: le bosniache (per la nazionalità). Scendono in metrò ogni giorno. «Lavorano» per ore, nelle fasce più affollate dai passeggeri. Non si allontanano quasi mai dal centro, rimangono di solito in uno spazio delimitato dalle fermate Centrale e Cadorna. Chi frequenta per abitudine quelle stazioni del metrò le ha viste spesso. E le riconosce. Scippano e borseggiano. Ogni giorno. Più volte al giorno. Le conoscono gli agenti della Polizia locale. Ricordano le loro facce molti operatori dell'Atm (per seguirle e fermarle, sono sempre più fondamentali i sistemi di sicurezza e la modernissima e capillare rete di telecamere dell'azienda dei trasporti). Ogni tanto le arrestano. E qualche giorno dopo le rivedono. Perché le bosniache sono un gruppo di madri e future madri. Tutte incinte. La procedura di solito è questa: arresto, convalida, rimessa in libertà. Soltanto nell'ultimo mese è successo due volte. Quindici giugno scorso, metà mattinata, fermata Cadorna, i vigili dell'Unità prevenzione reati predatori individuano le ragazze e le seguono attraverso le telecamere dell'Atm che inquadrano gli angoli delle stazioni. Appena «agganciate», le bosniache fanno però subito il primo borseggio. Con la tecnica che usano sempre, un copione a suo modo «perfetto»: circondano una donna nel momento in cui sta salendo sul treno, creano un po' di calca, una infila la mano nella borsa. Mentre il treno parte, riescono tutte a saltar fuori, mentre la vittima rimane dentro. È per questo che da tempo anche il Comune ripete di fare attenzione in metropolitana, in particolare nei momenti di salita sui treni. Comunque, poco prima delle 11 del 15 giugno, le ragazze entrano in un treno e si allontanano.

Gli investigatori della Polizia locale, in borghese, scendono allora in banchina. E aspettano. Le bosniache sono seriali, ripetitive, un «gruppo d'assalto» che non si ferma mai. E infatti poco dopo ricompaiono in banchina a Cadorna. Stesso metodo: stavolta seguono una donna con un trolley. La circondano, scappano dal treno nel momento in cui si stanno per chiudere le porte. È in quel momento che gli agenti della Polizia locale le bloccano. La stessa cosa era già accaduta esattamente due settimane prima, il primo giugno. E in tutti e due i casi l'esito è stato lo stesso: la Procura ha convalidato l'arresto, ma le ragazze sono state rilasciate, perché sono tutte incinte. E qui si pone un problema più generale e complesso per le autorità: se da una parte la gravidanza (rispetto a reati non gravissimi come il borseggio) è motivo per non entrare in carcere, dall'altra queste ragazze tornano in metropolitana a commettere sempre gli stessi reati. Anche perché fanno parte di gruppi criminali che le sfruttano, come accade per l'accattonaggio con i minorenni. Le bosniache sono ben vestite, come giovani ragazze qualsiasi. Si muovono in gruppo o si dividono, per poi riunirsi. Continueranno a passare sotto le telecamere di controllo dell'Atm. Chi indaga, sa che la questione non è se, ma quando verranno riarrestate.

Gianni Santucci

domenica 23 giugno 2013

Su Josefa Idem


Intanto, il metodo: attaccata dalla ’stampa avversaria’ (quella di destra) Idem decide di rilasciare un’intervista a quella che presume essere una testata a lei più vicina (’Repubblica’). Crede che ‘giocare in casa’ le offra qualche vantaggio. Invece l’immagine che ne esce è quella di una persona che ha paura di confrontarsi davvero (in qualsiasi altro modo, dall’incontro stampa aperto alle domande dei giornalisti di ogni testata alla conferenza on line aperta a tutti) e quindi sceglie un ‘terreno amico’, dunque appare come paurosa. Ma transeat. Quello che è veramente sbagliato è il merito della reazione e il suo apparato argomentativo.

Primo: «Ho fatto otto olimpiadi e intanto due figli». Non c’entra niente. Sembra Berlusconi quando per difendersi dai processi dice di aver costruito un impero e vinto cinque coppe dei campioni. Si sta parlando di un’altra vicenda, decisamente.

Secondo: «Non mi sono mai occupata personalmente della gestione di queste cose, non le saprei nemmeno dire di che cifre stiamo parlando». Qui il messaggio è del tipo ‘io sono sempre stata parte della casta fortunata di chi non deve sporcarsi le mani con la realtà, le bollette da pagare, le dichiarazioni dei redditi da presentare, cose così: c’è sempre stato qualcun altro che l’ha fatto per me’. Gran brutto segnale, mediaticamente: noi umani, invece, siamo costretti a star dietro alle scadenze anche se sono delle rotture di coglioni e magari perdiamo un giorno per pagare un divieto di sosta. Senza dire, ovviamente, che “non occuparsene” non solleva di un grammo dalla responsabilità, anzi fa ricadere nel gorgo grottesco dell’«a mia insaputa».

Terzo: «Se il gioco al massacro abituale intorno a noi prevede che questo sia il mio turno per essere fatta a pezzi io dico: la poltrona non mi interessa, mi interessa il progetto per cui sono stata chiamata». Ecco, ministro Idem, questo si chiama prendere a pretesto i toni degli attacchi per non comportarsi in modo limpido. Il ‘gioco al massacro’, se c’è, è responsabilità di altri e qui il problema politico consiste invece nelle eventuali responsabilità sue: nel caso, una scorrettezza compiuta nei confronti della comunità (aver aggirato una tassa, questo mi pare assodato) emersa la quale si lascia l’incarico, con tranquillità, proprio per impedire l’eventuale gioco al massacro che danneggia la sua immagine e la sua parte politica.

Quarto: «La denuncia di irregolarità a Ravenna è emersa solo dopo che sono diventata ministro». Signora, questo in una democrazia aperta è normale, anzi sano. Nessuno aveva messo il naso sulle scappatelle di Gary Hart prima che si presentasse alle primarie. E se Scajola fosse stato un casellante anziché un ministro non sarebbe sorto uno scandalo sulla casa al Colosseo. Fa parte del gioco. Lamentarsene è, quanto meno, un po’ naif. In altre parole: quello che ha fatto Idem non è cosa “da massacro” e non si tratta di un comportamento paragonabile a quello dei farabutti di ogni partito che vediamo ogni giorno all’opera. E’ stata però una scorrettezza che – proprio per non essere né sembrare tutti uguali e proprio per non mostrare attaccamento alla poltrona – andava fatta seguire subito da una serena, dignitosa e nobile letterina di dimissioni. Sottolineando così la propria dirittura morale e la propria superiorità nei confronti degli evasori e dei delinquenti che stanno in politica. E giovando quindi anche alla propria reputazione, sul medio-lungo termine, in modo molto più robusto rispetto a quella che pare una disperata arrampicata sugli specchi.

Alessandro Giglioli

Ancora deliri e provocazioni congolesi


CASERTA - Circondata da bambini, mischiata alle senegalesi e nigeriane. E chiamata per nome da chi ha dieci anni e il suo stesso desiderio di battersi. "Per favore, Cécile. Per favore, ministro, impegnati. Te lo chiedo a nome di tutti i bimbi stranieri che sono nati in Italia. Conto su di te, per questa cittadinanza", le chiede Fatu. "Non prometto miracoli. Ma sono qui per testimoniare che farò la mia parte", sorride il ministro per l'Integrazione, Cécile Kyenge. Poco prima, a chi le mostrava solidarietà dopo le recenti offese, risponde: "Quegli insulti non sono rivolti solo a me, ma colpiscono la grande maggioranza degli italiani accoglienti, e chiunque rifiuti il razzismo: che è una questione culturale. Da parte mia, devo dare esempi di non violenza e, come istituzione, anche risposte".

Il ministro sceglie Caserta per una giornata di testimonianza e riflessione. Come quella promossa, su questi temi, dalla quindicesima conferenza europea della Fondazione Rodolfo Debenedetti. Il convegno su "Carriere legali e illegali" è aperto in mattinata dall'ingegner Carlo De Benedetti e dal professor Tito Boeri nella reggia vanvitelliana. Due report al centro del dibattito. Ma un dato si impone, nella ricerca su "Politica migratoria e criminalità": nel paese in cui dopo le sanatorie calano i crimini, e l'80 per cento degli stranieri che commette reati è sempre "irregolare", va superata l'equazione "più immigrati uguale meno sicurezza". Sottolinea De Benedetti, presidente della Fondazione: "Che la Bossi-Fini abbia fallito lo ammette anche Fini. Ma in troppi continuano a pensare che più immigrazione significhi più criminalità: e non è così. Solo con le restrizioni, con lo status di clandestini, crescono i crimini, spesso compiuti da chi dovendo sopravvivere diventa manovalanza".

Una fotografia condivisa dal ministro. Che incontra prima il sindaco di Caserta, Pio del Gaudio e il consiglio, poi si ferma alla sartoria "new hope" con donne di varie nazionalità che lavorano al fianco di Mirella e di suor Rita Giarretta, poi all'ex canapificio da Mimma D'Amico e Mamadou Sy, infine con docenti e studiosi impegnati nelle analisi della Fondazione RDB. E dalla Caserta dell'immigrazione "a rischio", dove le esperienze pilota devono vedersela con una delle più alte concentrazioni di irregolari - e la bomba Castel Volturno è a due passi - la Kyenge lancia "la sfida culturale che riguarda il rapporto tra crimine e stranieri". Punta il dito su alcuni comportamenti. "Spesso i media danno molta enfasi ai crimini commessi dagli immigrati mentre il crimine non va etnicizzato", dice il ministro. Una critica limpida alla consuetudine, molto italiana, di indicare la nazionalità di chi delinque. "Davanti alla legge si è tutti uguali, va giudicato il crimine per quello che è, a prescindere da chi lo commette". Alla fine, immersa tra le stoffe africane in sartoria, qualcuno le porge, e la Kyenge lo indossa, un grembiule coloratissimo. "Lo abbiamo offerto spesso ai politici che però non l'hanno infilato - le dice Mirella - Il grembiule è: servizio. Le auguro che possa vantarsi di averlo indossato".

sabato 22 giugno 2013

Josefa Idem, i rom assassini e l'esposto contro il giornale


Ricordate? Un giovane rom senza patente alla guida di un suv inve­stì volontariamente e uccise un vi­gile urbano di Milano. Era il 12 gennaio del 2012. Poche settimane fa il ragazzo è stato condannato a 15 anni di reclusio­ne, una pene lieve se paragonata ai 26 chiesti dall’accusa. Lo sconto è stato mo­tivato dai giudici così: «È cresciuto in un contesto di vita familiare caratterizzato dalla commissione di illeciti da parte degli adulti di riferimento e in una so­stanziale assenza di scolarizza­zione». Noi titolammo, sintetiz­zando la questione: «Se il killer è rom, l'omicidio è meno gra­ve», perché ci era parso che tra le righe si dicesse chiaramente che era stata riconosciuta un’attenuante specifica carat­teristica di quella etnia. Bene, la ministra alle Pari op­portunità, Josefa Idem, ha fat­to fare dal suo dirigente un esposto all’Or­dine dei giornalisti considerando la no­stra sintesi offensiva dei rom. Punite quei razzisti, chiede la signora, politicamente corretta con noi del Giornale quando si tratta di rom assassini, ma molto scorret­ta in quanto a etica personale. Già, per­ché è lei quella che ha fatto la furba per non pagare l'Imu, inventandosi finte resi­denze in palestra e non solo. Visto che an­che io, alla pari dei rom, voglio godere di pari opportunità, le chiedo, signora: a chi mi rivolgo per non avere al governo un ministro evasore visto che io l'Imu l'ho pagata?

Autoblù


Autoblu amore mio. Austerity prima di tutto diceva il Prof in Loden quando era a palazzo Chigi: "tagliamo le auto blu". Il suo allievo e attuale premier Enrico Letta è anadato a prendersi l'incarico con l'auto di servizio della moglie per dare un segnale (debole) di cambiamento. Ora invece si torna alle origini. Un bando da 80 milioni di euro per un totale di 3.775 vetture da noleggiare. Un secondo bando da 133 milioni per un totale di 6.450 vetture da acquistare. Il tutto in soli cinque giorni, come racconta l'Espresso. La Consip (azienda partecipata al 100% dal ministero dell'economia) non bada a spese. Quanto ci costerà pagare in totale per le auto blu della casta? Il conto è presto fatto: oltre 213,5 milioni di euro (base d'asta per la gara) per 10.225 veicoli. Nonostante il parco auto delle PA conti già più di 59 mila macchine.

Spending e basta - Eppure qualcuno aveva parlato di tagli. La spendig review di Monti si è trasformata in una "spending...e basta". Secondo l'ultimo rapporto su "Le auto di servizio della PA" datato 13 febbraio 2013, alla fine del 2012 il parco auto degli enti pubblici ammontava a 59.202: una diminuzione del 3,1% (-1.823 vetture) rispetto allo stock di auto censito al 31 dicembre 2011. Ma nonostante la piccola riduzione, i due nuovi bandi e le spese per benzina, acquisto, noleggio e manutenzione hanno portato via alle tasche degli italiani ben 561 milioni.

Due bandi in 5 giorni - Il bando dello scandalo che ha indetto la Consip risale al 17 maggio scorso. Nel testo si parla di un bando "per la prestazione del servizio di noleggio a lungo termine di autoveicoli senza conducente per le pubbliche amministrazioni". Cinque lotti, un totale di 3.775 autovetture per un periodo di soli dodici mesi (rinnovabili di ulteriori dodici) e un costo di oltre 80 milioni di euro. Entrando nel dettaglio ecco le cifre per ogni singolo lotto: "Primo lotto: 2.550 vetture operative ad alimentazione tradizionale ed elettrica per un valore di 46 milioni di euro. Secondo lotto: 580 vetture intermedie ad alimentazione tradizionale ed elettrica per un valore di 14 milioni circa. Terzo lotto: 520 vetture commerciali ad alimentazione tradizionale ed elettrica (poco più di un 11 milioni). Quarto lotto: 240 vetture a doppia alimentazione benzina/gpl (quasi 5 milioni). Quinto lotto: 185 vetture a doppia alimentazione benzina/metano (poco meno di 4 milioni)".

Anche pick up 4x4 - Dopo solo cinque giorni dal primo bando la Consip ci ripensa e nota di aver speso ancora poco. Così ecco la seconda gara, datata 22 maggio. Questa volta si parla di "acquisto" di auto blu. Undici lotti per un totale di oltre 133 milioni di euro. Non manca nulla: 650 city car compatte, 2.200 city car "semplici", 550 berline piccole, 300 berline medie, 250 city car gpl, 250 city car metano, 450 autovetture 4x4 piccole, 450 autovetture 4x4 medie, 450 autovetture 4x4 grandi, 750 "furgoni medi, autocarri e minibus e veicoli multifunzione trasporto", 150 pick up 4x4. Dall'ufficio stampa della Consip precisano che "oggetto della gara sono vetture di servizio, senza conducente, destinate per gran parte alle forze di polizia e in generale di tutela della pubblica sicurezza, vigili del fuoco, ai servizi della sanità pubblica (trasporto sangue, auto mediche). In particolare la gara prevede nei vari lotti autoveicoli tipicamente di servizio, quali autovetture 4x4 per usi di pubblica sicurezza, furgoni, autocarri e minibus, veicoli per trasporto merci, pick–up oppure autovetture adattabili ad usi essenziali".