giovedì 30 giugno 2011

La fantomatica...

... P4. Qui.

Milano e rom


MILANO - Le comunità rom e sinti dei campi nomadi regolari e irregolari di Milano si sono riunite per dare vita alla «Consulta rom», che sarà presentata alla città sabato 2 luglio a Palazzo Marino. Da decenni non si sedevano a un unico tavolo. La decisione di organizzarsi in un'associazione, spiega Dijana Pavlovic, attrice serba di etnia rom, a Milano dal '99, vicepresidente della Federazione «Rom e Sinti Insieme» e promotrice dell'iniziativa, è un «segnale straordinario» e deriva dalla «certezza che con la nuova amministrazione e l'uscita di scena dell'ex vicesindaco Riccardo De Corato, che aveva fatto dei suoi 540 sgomberi un trofeo personale, si è conclusa una politica che non aveva sortito nessun risultato se non costi sociali altissimi e un grande dispendio di denaro pubblico». Una delegazione dei 12 membri della Consulta - formalmente nata il 17 giugno scorso - ha già incontrato martedì scorso il sindaco Giuliano Pisapia e l'assessore alla Sicurezza Marco Granelli, mentre è prevista per lunedì una riunione con l'assessore alle Politiche sociali Pierfrancesco Majorino. I nomadi milanesi, secondo il nuovo organismo di rappresentanza che cita un «censimento del prefetto», sono circa 2000, di cui 800 irregolari. Costituiscono cioè «una popolazione numericamente irrilevante» e «pacifica».

LE RICHIESTE - «Queste disponibilità - spiega l'invito - aprono la strada alla soluzione dei problemi che in questi ultimi 5 anni non si sono voluti affrontare, preferendo fomentare la caccia allo "zingaro" per raccogliere i voti della paura nei confronti di una popolazione pacifica e numericamente irrilevante facendo crescere pregiudizi, discriminazione e sentimenti razzisti». Sono tre le richieste della Consulta: stop a sgomberi «senza soluzioni e senza assistenza», ridiscussione del piano Maroni e dell'uso dei fondi stanziati dall'Unione Europea e «la valorizzazione delle risorse umane rom e sinte».

TUTELA E INCLUSIONE - La Consulta, in particolare, segnala la necessità di evitare spostamenti di intere famiglie da un posto all'altro, in condizioni di sempre maggiore degrado. Quanto al piano Maroni, la richiesta è di rivedere l'utilizzo dei 13 milioni di euro - parte del Fondo sociale europeo per politiche di tutela e inclusione delle comunità rom - che sono da finalizzare a reali politiche di convivenza, in armonia con le direttive comunitarie. C'è infine l'obiettivo di coinvolgere rom e sinti nella gestione organizzativa ed economica delle realtà presenti sul territorio comunale e nell'attività di scambio sociale e culturale con le istituzioni e la cittadinanza.

mercoledì 29 giugno 2011

Altri intoccabili


Roma - «Politici intoccabili», denuncia il procuratore di Napoli Giovandomenico Lepore in televisione. E mette da parte ogni prudenza, visto che proprio il suo ufficio ha in corso delicate indagini sulla P4 che coinvolgono politici, generali e faccendieri. E i magistrati, si chiedono in molti, non sono «intoccabili» pure loro? Soprattutto, quando rincorrono proprio i politici, i loro privilegi e le loro prerogative. Soprattutto, quando si fanno spesso politici, demolendo le leggi, giudicandole, bloccandole mentre il parlamento le discute. O, addirittura, usando l’arma giudiziaria per decidere le sorti politiche di un Paese. Una Casta, quella dei magistrati, che dà della Casta all’altra, quella dei politici? Sotto la bandiera dell’indipendenza e dell’autonomia, ci sono troppo spesso insindacabilità e inamovibilità grazie anche alla «giustizia domestica» di un Csm a stragrande maggioranza togata. Ecco le solide basi dell’intoccabilità delle toghe. Che quando sbagliano non pagano per gli errori. Quasi mai. Disciplinarmente, penalmente, moralmente.

Oggi è aria di rivolta contro la nuova legge sulla responsabilità civile dei magistrati, che Pdl e Lega vorrebbero approvare in estate. Il Csm ha bocciato senza appello l’emendamento Pini alla legge Comunitaria. Un parere votato a tambur battente: 19 sì e 4 no, dei laici Pdl. La frase magica è sempre la stessa: «Mina i principi di autonomia e indipendenza della magistratura». Come la separazione delle carriere. Come tutta la riforma della giustizia del Guardasigilli Alfano.

Le resistenze corporative hanno sempre stritolato, nella morsa congiunta di Anm e Csm, le ultime riforme. Quelle che sono state approvate hanno dovuto subire annacquamenti e stravolgimenti sotto le pressioni di scioperi, proteste e prese di posizione pubbliche dei leader delle toghe, trasformati in capipolo. Facile ricordare il «resistere, resistere, resistere» di Francesco Saverio Borrelli, che nel 2002 era procuratore generale di Milano mica politico, ma parlava così avvolto nella sua toga, contro la riforma Castelli. Non ci toccate, diceva in sostanza al governo Berlusconi, noi siamo «intoccabili». E il primo ad abbracciarlo quella volta fu Antonio Di Pietro, che da pm di Mani Pulite è diventato leader dell’Idv grazie alle sue inchieste e ai tanti discorsi urlati.

Non meraviglia, visto che i travasi dalla magistratura alla politica grazie alla militanza di parte, alle inchieste contro imputati che diventeranno il giorno dopo avversari alle elezioni, è cosa di tutti i giorni. Lo dimostra, per ultimo, il caso del neo sindaco di Napoli Luigi De Magistris e del suo assessore ex-pm Giuseppe Narducci. Lo dimostrano i tanti comizi, nelle piazze vere o televisive di altri pm, come il palermitano Antonio Ingroia. Non si preoccupano, i magistrati-star, dell’immagine di imparzialità della magistratura, che va a farsi benedire danneggiando i tanti colleghi che, per serietà, lavorano lontano dai riflettori, senza che se ne conoscano i nomi.

Per gli altri, ogni filippica in aula, soprattutto quando si tratta dei processi contro Silvio Berlusconi e la sua corte, diventa una stella da appuntarsi sul petto. E, invece di sfoggiare pacatezza per dare maggior peso alle accuse e non tradire pregiudizi, allora i toni salgono alle stelle. Parla di «bordello» il pm Pietro Forno nell’udienza preliminare contro Mora, Fede e Minetti. Parla di «attacco militare alla questura» il pm Ilda Boccassini al processo del Rubygate. I mass media amplificano e gli eroi in toga diventano sempre più intoccabili, perché ogni azione contro di loro apparirà una ritorsione. Chi li attacca, li critica o solo li contraddice, sa che cosa aspettarsi. Perché inchieste, processi, querele milionarie, perquisizioni o solo sospetti diffusi a mezzo intercettazioni, possono essere armi pesanti.

Chi è insorto dopo lo show di Lepore? Ieri al plenum del Csm ha osato farlo il laico Pdl Bartolomeo Romano, criticando la «fluviale» intervista a La7 del procuratore che ha «cantato in solitudine», senza contraddittorio, su fatti tutti ancora da accertare. Gli ha risposto, nell’assemblea di Palazzo de’ Marescialli, l’assoluto silenzio.

Emergenza immigrati... e noi paghiamo


Roma, 28 giu - Da oggi le accise su benzina e gasolio sono aumentate di 4 centesimi al litro per ''fronteggiare lo stato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale determinato dall'eccezionale afflusso di cittadini appartenenti a Paesi del Nord Africa''. Lo ha stabilito l'Agenzia delle Dogane, secondo quanto rileva la Staffetta Quotidiana. Le nuove accise aumentano per la benzina a 611,30 euro per mille litri (da 571,30 euro per mille litri) e per il gasolio a 470,30 euro per mille litri (da 430,30 euro per mille litri). Il tutto da oggi fino al 30 giugno, perche' dal 1 luglio entreranno in vigore anche i nuovi aumenti previsti dal decreto sul fondo unico dello spettacolo. Dal 1 luglio al 31 dicembre 2011 le accise saliranno ancora a 613,20 euro per mille litri per la benzina e 472,20 euro per mille litri per il gasolio.

C'è forse da commentare? Diciamo anche che qualcuno di questo governo (forse Tremonti o qualche altro ministro), poco tempo fa disse che le accise sulla benzina NON sarebbero aumentate.

Ecco le vecchie accise:

1,90 lire per il finanziamento della guerra di Etiopia del 1935

14 lire per il finanziamento della crisi di Suez del 1956

10 lire per il finanziamento del disastro del Vajont del 1963

10 lire per il finanziamento dell’alluvione di Firenze del 1966

10 lire per il finanziamento del terremoto del Belice del 1968

99 lire per il finanziamento del terremoto del Friuli del 1976

75 lire per il finanziamento del terremoto dell’Irpinia del 1980

205 lire per il finanziamento della guerra del Libano del 1983

22 lire per il finanziamento della missione in Bosnia del 1996

39 lire per il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004.

martedì 28 giugno 2011

Un pò di notizie...

Negli ultimi giorni sono successe un pò di cose ma fa troppo caldo per farne dei posts interi... anche se copiati e incollati. Dunque, alcuni magistrati dicono che Arcore è un bordello... può darsi che lo sia o può darsi anche no o può darsi che il bordello lo hanno fatto loro visto che, se tanto sbagliano, da culo* che poi pagano i danni. I magistrati che indagano sulla "fantomatica" P4, ci fanno sapere che quella è una cosa seria e che se si tocca la casta dei politici... questi si incazzano. Come dire, il bue che dice cornuto all'asino. I "no tav" invece che andare a lavorare come fanno tutti gli esseri umani pensanti, ricominciano a fare presidi, caos e danni. E intanto il tempo stringe e l'italia potrebbe restare fuori da tutto. Ovviamente, Vendola e Di Pietro cavalcano il tigrotto. A Napoli, il neosindaco DeMagistris, ieri l'altro era in piazza a ballare durante il gaypride... ma le strade continuano ad essere soffocate dall'immondizia. Interviene la Ue e addirittura la Cei, tanto per cambiare. Chiaramente, la colpa è di Caldoro... e di nessun'altro. A chi tocca continuare a ripulire Napoli? Poi, il tribunale dell'aja spicca un mandato d'arresto ai danni di Gheddafi, motivazione? Crimini contro l'umanità e il suo popolo... immagino che si siano basati sui servizi-bufale dei media... nascondendo le porcate della nato.

*tipica espressione delle mie zone che letteralmente significa "col piffero"... o "col cazzo" se si vuole essere più volgari.

Sharia


Padova - Le immagini di Sakineh avevano bucato i teleschermi del Vecchio Continente. L'orrore per la decisione di condannare alla lapidazione la donna, accusata di adulterio e omicidio, aveva portato in piazza migliaia di persone per sensibilizzare il tribunale iraniano. Oggi, la violenza del diktat coranico torna a dividere l'Italia. A scatenare la polemica è stato Maher Selmi, mediatore culturale nonché portavoce dell’associazione Rahma che a Padova gestisce la moschea di via Anelli. "La lapidazione in quanto pena o punizione c’è nel Corano - spiega Selmi all'Adnkronos - un musulmano non la può negare. Però bisogna stare attenti all’interpretazione: ci sono dei criteri per infliggerla".

La lapidazione usata per punire le donne che tradiscono i mariti. E' una pratica comune nei Paesi islamici. Negli ultimi anni, però, anche l'Italia è vittima di episodi di violenza: uomini che vogliono "educare" le mogli o le figlie che si stanno occidentalizzando. Ieri, a Padova, Zrhaida Hammadi, 38enne carpentiere di origini marocchine, quando si è visto mancare di rispetto non ha saputo trattenersi e all’ennesima lite con la moglie l’ha aggredita con un coltello colpendola al collo recidendole la giugulare. Secondo gli inquirenti, la donna, Fatima Chabani (33 anni), aveva aderito a "uno stile di vita piu occidentale" ma avrebbe minato l’onore del marito sopratutto perché avrebbe frequentato un altro uomo. Selmi dice di non voler commentare l'omicidio, ma mette le mani avanti: "Occorre la certezza sui motivi che hanno portato al gesto e poi c’è una persona scomparsa alla quale dobbiamo rispetto".

Le parole del mediatore culturale fanno scoppiare un vero caso. Per la parlamentare del Pdl Souad Sbai ricorda che prima della fine del processo per Sanaa toccò a Begm Shnez essere lapidata in casa. E attacca duramente la poszione di Selmi che "si permette di elogiare la lapidazione e di riconoscere solo la legge islamica". Per la Sbai, "questa è apologia di reato". Per questo, a breve il numero uno della moschea di via Anelli ne risponderà davanti ad un giudice. "Oggi partirà infatti una lettera di denuncia al Procuratore di Padova - spiega la Sbai - per far sì che questo mediatore fai da te ed estremista venga allontanato al più presto dal ruolo".

Ancora una volta emerge con prepotenza la necessità di maggiori controlli sulle moschee e su chi vi lavora dento. "Occorre - puntualizza la Sbai - un controllo preventivo sui mediatori culturali nonchè la previsione dell’espulsione diretta con rimpatrio immediato per chi fomenta l’odio". Ma il mediatore non ci sta e rincara la dose: "I musulmani che vivono in Europa devono cominciare a leggere e rileggere il loro testo sacro e reinterpretarlo in modo che vada bene per la società in cui vivono". Sebbene ammetta che gli islamici non possono vivere in Italia nel modo in cui vivo in Marocco o in Egitto, Selmi non condanna la pratica della lapidazione per le adultere. Anzi. "Ci sono delle condizioni che devono coesistere per l’esecuzione ossia quattro testimonianze coincidenti dell’adulterio - spiega - è chiaro che questa non è una legge fatta per punire ma per allontanare. E poi non penso che nessuna adultera andrà mai in un luogo pubblico a fare certe cose - conclude - ribadisco che non posso negare che la lapidazione c’è ma bisogna capire".

NESSUNO può impedire a qualcun'altro di avere delle scappatelle. E NESSUNO è padrone di qualcun'altro. Ripetiamo come un mantra, se vogliono praticare la loro luridissima e barbara religione, nessuno li obbliga a spostarsi dai loro paesi d'origine. E se sono ospiti di altri paesi, se ne tornino nelle loro terre. Già per il solo fatto che una bestia come l'imam non condanni l'assassino, è tutto un dire. Ripeto, non servono nè controlli nè tantomeno sprechi per pagare i mediatori culturali (maddechè poi?). Non devono entrare nei paesi civilizzati. Perchè di violenza "originaria" ce n'è anche troppa.

domenica 26 giugno 2011

Nord e sud

L'articolo è di luglio del 2010 ma vale la pena comunque di leggerlo.


Il dibattito stimolato sia dal recente libro di Luca Ricolfi Il Sacco del Nord che dalle lotte sui tagli della spesa delle regioni, ha imposto all'attenzione il fatto oggettivo e brutale che Roma toglie al Nord annualmente circa 110 miliardi di euro per sostenere un Sud il quale, invece di svilupparsi grazie a questi donativi, sprofonda sempre più nell'inefficienza, nell'improduttività e nell'illegalità, e ha quindi sempre più bisogno di ricevere soldi dal Nord. Questo salasso toglie però al Nord i soldi per gli investimenti, le infrastrutture, l'innovazione, condannandolo a perdere competitività sul mercato internazionale, quindi, in prospettiva, anche la capacità di mantenere il Sud. In cambio di questo massiccio salasso di risorse, il Nord riceve dal Sud un'altrettanto massiccio apporto di metodi di potere e gestione meridionali. Metodi estremamente inefficienti in termini di performance per la popolazione, ma estremamente efficienti in quanto alla loro presa su risorse e istituzioni. Il Nord, cioè, in cambio del frutto del suo lavoro, riceve dal Sud proprio ciò che rende il Sud arretrato e inefficiente.

Questa penetrazione è avvenuta e avviene attraverso una parte dei numerosissimi burocrati, funzionari e impiegati di origine e matrice meridionali, ma anche attraverso mafia, 'ndrangheta e camorra, che si infiltrano nella politica, nell'economia, nella pubblica amministrazione, nel territorio e nel tessuto sociale, nei poteri pubblici, come evidenziato dalla vicenda dell'arresto di 300 'ndranghetosi eseguito il 12-13 Luglio. Avviene inoltre attraverso l'azione di un parlamento romano in cui gli eletti dei collegi a controllo mafioso sono quantitativamente determinanti per qualsiasi possibile maggioranza. Il potere delle organizzazioni mafiose è moltiplicato dal fatto che esse intercettano buona parte dei trasferimenti di denaro dal Nord. A buon diritto si può pertanto dire che sta avanzando la meridionalizzazione del Nord, l'assimilazione socio-politica e criminale del Nord al tipo di società del Meridione. Come scrivevo in altro articolo, è fallita la perequazione del Sud al Nord, ma sta riuscendo la riduzione del Nord al livello del Sud.

Questa situazione è oggettivamente una situazione di contrapposizione di interessi tra le regioni spogliate del Nord (soprattutto Lombardia e Veneto) e quelle assistite del Sud (soprattutto Sicilia, Calabria, Campania e Sardegna). Quelle assistite non saprebbero mantenersi senza il fiume di soldi tolti al Nord. Se il Sud spende 6 volte più del Nord per il personale amministrativo (fornendo un servizio peggiore), e se spende 6 volte più del Nord per una protesi ortopedica, è evidente che buona parte del Sud vive di spesa clientelare pagata dai contribuenti del Nord. La riforma del federalismo fiscale, basato sull'adozione dei costi standard, può essere sì votata come legge, ma poi non può essere attuata nella pratica, perché toglierebbe un reddito vitale (sia pur ingiusto e illecito) a troppa gente e a troppe forze, il cui consenso è per giunta indispensabile tanto al PDL, quanto, alternativamente, alle sinistre. E con tanto arriviamo al dunque di questo articolo:

Il Nord, se resta legato al Sud e alla politica romana, verrà inevitabilmente immiserito, privato dei mezzi per restare competitivo, e finirà assimilato al Sud anche dal punto di vista sociologico e criminologico. Per salvarsi, il Nord ha oggettiva necessità di interrompere sia i flussi in uscita di denaro verso Roma e il Sud, che la penetrazione del sistema socio-economico-criminale del Sud nel proprio territorio, nella propria politica, nella propria amministrazione. E di liberarsi, per quanto possibile, della penetrazione già avvenuta, ricercandone le "metastasi", isolandole, espellendole. Per realizzare ciò, occorrerà che il Nord si doti non solo di strumenti autonomi di allontanamento, ma innanzitutto di efficaci barriere e filtri giuridici contro questa penetrazione, come strumenti di indagine e oneri di certificazione antimafia per concedere o mantenere la residenza, l'elettorato passivo, cariche pubbliche, iscrizione alla Camera di Commercio. Gli organi competenti a queste funzioni di indagine, certificazione, allontanamento dovranno, per ovvie ragioni, essere eletti dalla popolazione regionale e rispondere ad essa, indipendenti da Roma e dalle istituzioni nazionali.

La contrapposizione oggettiva di interessi tra Nord e Sud è il vero fattore dell'attuale crisi di un partito – il PDL – e di un governo – il Berlusconi Quater – che racchiudono in sé e vorrebbero rappresentare due interessi vitali oggettivamente e diametralmente contrapposti: quelli del Nord spoliato, e quelli di un Sud mantenuto grazie a questa spoliazione. Una contraddizione che si presenta anche entro il PD, tra le posizioni di un Cacciari e di altri esponenti settentrionali, che vorrebbero una branca settentrionale del partito autonoma dalla segreteria nazionale; e le posizioni del grosso del partito, legate ai molti iscritti meridionali o che comunque vivono di reddito tolto ad altri. Analogamente, nel PDL Fini e soci difendono gli interessi della parte meno produttiva del paese in sfida alla leadership di Berlusconi.

Non "destra" e "sinistra", ma semplicemente Nord e Sud: questi sono i due blocchi di interesse effettivi e contrapposti del paese, i due blocchi che si contendono il reddito prodotto (nel senso che uno è abituato a vivere del reddito prodotto dall'altro, e considera ciò un suo diritto). Due blocchi geografici ed economici, anziché due classi sociali o due ideologie filosofiche. Il Nord a stare col Sud ha ormai tutto da perdere e niente da guadagnare. Punto. E' allora naturale, che nessun sistema elettorale funzioni bene, che fallisca sia il bipolarismo centrodestra-centrosinistra che il bipartitismo PD-PDL, sia il proporzionale che il maggioritario: sono tutti in contrasto con la realtà di fondo del paese. E' naturale che Fini faccia la fronda a Berlusconi e Cacciari a Bersani. E' naturale che l'attuale schieramento politico sia trascinato, gradualmente o bruscamente, a scomporsi, per riaggregarsi intorno a questi due poli, anzi a questi due popoli. Che tenda a dividersi in una coalizione nordista e in una sudista. A un bipolarismo geografico. I grandi partiti nazionali, il PDL e il PD, stanno ormai esaurendo le loro risorse di mediazione tra settentrione e meridione, perché questa mediazione, giustificata dal progetto di perequazione del Sud al Nord, è palesemente fallita e ha prodotto esiti disastrosi, quindi non è più in grado di sostenere un progetto e un partito nazionali unitari. I vincoli di bilancio, l'avanzare della crisi, la recessione, la disoccupazione, i tagli, la perdita di quote di mercato estero, stanno facendo saltare tutti i tradizionali meccanismi di mediazione e compromesso tra quei due poli d'interesse. Meccanismi basati sulle fedeltà ideologiche, su spesa pubblica facile in funzione di collante sociale e nazionale tra le generazioni presenti ma scaricata a debito su quelle venture, su tolleranza all'evasione fiscale e compartecipazione alla spartizione della spesa pubblica.

Lo Stato italiano si ritrova a festeggiare il suo centocinquantenario mentre versa in una condizione di vistoso marasma morale e funzionale, e mentre appare incontrovertibile il fallimento di sessant'anni di politiche di recupero del Sud mediante trasferimenti dal Nord. L'autunno 2010 si prospetta gravido di chiusure di aziende, insolvenze e licenziamenti. In questo scenario, la posizione più drammatica e critica è quella di Silvio Berlusconi, perché non riesce a fare le tanto promesse riforme, essendo costretto sulla difensiva; e ancor più perché da un lato riesce sempre meno a mediare tra Nord e Sud; e dall'altro lato non può schierarsi col Nord, a causa dei suoi troppo profondi legami e impegni con un certo Sud. Né può schierarsi con gli interessi di quel Sud, senza perdere ogni credibilità, carisma e dignità.

Eppure scegliere deve: restare a mezza via a far da bersaglio a magistrati, mass media e finiani, fino al logoramento e allo screditamento totale, e all'abbandono da parte di una Lega Nord tradita sul federalismo, sarebbe irragionevole e indecoroso. Ha un'opzione che lo potrebbe consegnare degnamente alla storia, e al contempo rimpicciolirebbe drasticamente le figure dei suoi antagonisti, Fini e Napolitano in primis: ammettere pubblicamente il fallimento dello Stato unitario italiano, il suo ormai ventennale incessante declino, l'impossibilità di riformarlo, la possibilità per il Nord di avere, nell'indipendenza, un decente futuro europeo, e la sua condanna, diversamente, a un inabissamento verso l'Africa. Mentre il Sud potrà risanarsi solo se sarà costretto a fare i conti con se stesso e le proprie storture, senza che altri paghi per esse, incoraggiandole e perpetuandole. Magari adotti una moneta propria, svalutabile rispetto all'Euro e al Dollaro, così da recuperare concorrenzialità e da rilanciare la sua economia. Berlusconi può rovesciare il tavolo; poi si tiri in disparte e lasci ad altri, a qualcuno che sia veramente competente in macroeconomia, di costituire un nuovo partito del Nord, che confluisca eventualmente con la Lega e si lanci in una campagna a tutto campo, non solo elettorale, per l'indipendenza della Padania.

Questo non è, ovviamente, razzismo. E' il diritto a non essere spogliati sistematicamente del frutto del proprio lavoro e a non vedersi imposto un modello sociale assolutamente disfunzionale e indesiderabile – quello che The Economist definisce "Bordello", Saviano "Gomorra" e Bocca "Inferno". A non essere assimilati a quella cultura e al potere dei suoi uomini. A non essere sottoposti a un parlamento quantitativamente condizionato da politici che sono espressione di quel modello sociale. A respingere la mitologia, ormai ridicola, di un'unità nazionale che non esiste nella realtà, perché è evidente che nel territorio dello Stato italiano si trovano a vivere popoli sociologicamente diversissimi. L'unità nazionale non può essere presupposta e invocata come valore, senza prima aver dimostrato che essa esista nei fatti, nella realtà della popolazione. E i fatti ci dicono che non esiste una nazione italiana, ma popoli e sistemi socio-culturali molto diversi tra loro proprio nelle cose che contano per il funzionamento di un sistema-paese e della stessa legge. E in quanto al giudizio di valore sullo Stato unitario italiano, esso va dato in base ai fatti, ai risultati. E siccome questi sono negativi e involutivi, il giudizio è negativo.

Alcuni mi rimproverano di prendermela col Sud e con Roma, mentre la causa primaria dei mali economici e sociali è nel fatto che il mondo è sottoposto a un cartello bancario privato, monopolista del denaro e del credito, che detiene ed esercita la sovranità economica, produce, a sua convenienza, recessioni, bolle, guerre, disoccupazione, carestie, senza riguardo per la gente. A questa obiezione, replico semplicemente che non vi è prospettiva che tale sistema sia sostituto o sostituibile, e che dall'alto lato esso opera da molti decenni, e in tutti questi anni alcuni sistemi-paese, ben amministrati, hanno prosperato; mentre altri, male amministrati, sono rimasti o divenuti poveri. A uno Stato sottoposto al sistema della moneta-debito e del monopolio bancario privato della moneta (come l'Italia e come quasi tutti gli Stati industrializzati), non è possibile impedire le ricorrenti crisi, recessioni, bolle, deflazioni. Può però ridurne i danni ed evitare di essere sopraffatto e colonizzato economicamente dai paesi competitori. Ma per riuscire in ciò, bisogna che sia un sistema-paese efficiente, disciplinato, che confidi nelle regole e le rispetti, che minimizzi gli sprechi, che abbia un sistema giudiziario efficiente e credibile, che non abbia un parlamento condizionato dalla mafia, che abbia invece una classe dirigente, politica e tecnica, capace di lavorare produttivamente e non solo di saccheggiare la spesa pubblica. La Padania può rispondere a tali requisiti. Lo Stato unitario italiano, no.

Marco Della Luna

venerdì 24 giugno 2011

Ma scherziamo, si?


Se n'erano accorti quasi tutti: da tempo Antonio Di Pietro aveva corretto e aggiornato la sua linea politica. Del resto l'ex magistrato è piuttosto rapido di riflessi. Ha dimostrato di esserlo anche in questa occasione, quando ha colto i due fenomeni in atto: da un lato il lento, ma inevitabile declino di Berlusconi; dall'altro l'ascesa dei movimenti iper-giustizialisti legati a Beppe Grillo, cui si accompagna la crescita impetuosa della sinistra di Vendola. Di Pietro ha compreso che non ha senso restare immobili in un mondo che cambia. Anche perché l'Italia dei Valori non ha motivo d'essere soddisfatta dei risultati delle amministrative. De Magistris, è vero, ha vinto a Napoli: ma non è un amico del leader. Altrove il treno dipietresco arranca, segno che soffre i nuovi concorrenti. Eppure l'uomo di Tangentopoli si è preso una rivincita straordinaria con i risultati del referendum, perché senza dubbio è lui l'autentico ideatore e paladino dei quesiti. Preparati e messi in campo quando nessuno credeva al successo finale. Poi, certo, è arrivato il disastro in Giappone...

 Sta di fatto che ieri Di Pietro è riuscito a prendersi i riflettori di Montecitorio con una mossa di notevole astuzia. Nelle ore in cui i capi del centrosinistra snocciolavano la consueta geremiade sulle colpe di Berlusconi, lui ha attaccato l'assenza di una proposta alternativa da parte del centrosinistra. Da notare che da due giorni il premier batte, pour cause, sullo stesso tasto: l'opposizione non riesce a essere coerente, è divisa in fazioni, non è forza di governo, eccetera. Di Pietro non si è spaventato per la coincidenza e ha affondato il colpo. Ha fatto di più, come è noto: qualche minuto di colloquio a tu per tu con il diavolo in persona, ossia il presidente del Consiglio. Abbastanza per lasciare allibiti via internet i militanti dell'Idv e per irritare non poco Pier Luigi Bersani. L'attacco infatti era rivolto tutto contro di lui, il segretario del Pd, accusato di inerzia circa il programma e le alleanze, tutte da definire, del centrosinistra. Qui Di Pietro coglie senza dubbio un punto di debolezza. Ma cosa vuole ottenere, in realtà? È possibile azzardare un'ipotesi. L'ex magistrato intende sciogliere due nodi politici a breve termine e un traguardo strategico a scadenza più lunga.

Vuole in primo luogo contare di più perché ritiene - non a torto - di aver interpretato il paese referendario meglio di altri. Osserva perciò con sospetto la tendenza di Bersani a discutere e magari litigare quasi in esclusiva con Vendola, considerando l'Idv già acquisita all'alleanza (e in forme marginali). Poi è molto diffidente verso i segnali che s'incrociano fra Lega e centrosinistra a proposito della legge elettorale. Dunque, obiettivo numero uno: obbligare Bersani a negoziare con lui. Obiettivo numero due, sottinteso: negare allo stesso Bersani il lasciapassare per emergere fra qualche tempo come il candidato premier del centrosinistra. È evidente che in questo giro tattico Berlusconi resta un avversario, ma non è più un nemico con cui è impossibile prendere il caffé. Tanto è vero che i due hanno picchiato su Bersani con toni non così dissonanti. Quanto alla strategia a lungo termine, Di Pietro guarda all'oceano dei voti di centrodestra ibernati da Berlusconi. Il giorno che il premier uscirà di scena si aprirà una partita con molti giocatori. Il capo dell'Idv si prepara a essere uno di loro. E non in una posizione secondaria.

Altri quaqquaraqquà


ROMA - «Sì certamente. Affronteremo il problema che è già sul tavolo da diversi giorni cercando le soluzioni più appropriate». Lo afferma il premier Silvio Berlusconi, nel corso di una conferenza stampa al termine del Consiglio Ue, rispondendo a chi gli chiede se al prossimo Consiglio dei ministri sarà discusso anche un decreto per l'emergenza rifiuti a Napoli. Il decreto sui rifiuti approderà in Cdm probabilmente martedì.

CALDEROLI - Ma la Lega non è d'accordo. «Su una cosa vogliamo essere chiari, sulla questione rifiuti non accetteremo decreti truffa, sennò volano le sedie, lo abbiamo detto a Berlusconi e a Letta» ha detto il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli, interpellato dall'Ansa. «Nessuno pensi di usare trucchi o truffe - ha aggiunto il ministro - altrimenti la risposta che daremo sarà la stessa che abbiamo già dato. Al momento non abbiamo visto alcun testo, ci hanno solo detto che c'è l'emergenza rifiuti ma di cose scritte, di testi, non ne abbiamo visti».

NAPOLITANO - In precedenza anche il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è tornato sull'argomento a margine degli incontri istituzionali a Lubiana per celebrare il ventennale dell'indipendenza slovena. Liberare Napoli dai rifiuti «è un impegno molto duro e non di breve periodo» ha detto ai cronisti che gli chiedevano se si aspettasse qualche sorpresa da Napoli. Napolitano ha poi aggiunto: «Sì, liberare la città dalla "monnezza"».

PRESTIGIACOMO - E dopo l'appello del presidente della Repubblica, il ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo annuncia un intervento straordinario. In particolare, il governo punta ad agevolare il trasferimento dei rifiuti napoletani in altre regioni. L'annuncio di Prestigiacomo si associa alla nota congiunta del sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, venerdì a Roma nella sede del dicastero di Largo Goldoni.

IL PIANO DI GOVERNO E COMUNE - Prima dell'annuncio di Berlusconi, il sindaco di Napoli, De Magistris, ha convenuto con la Prestigiacomo sull'opportunità che la questione rifiuti venga risolta dagli enti locali, attraverso il ritorno alle procedure ordinarie senza far ricorso a nuove procedure emergenziali. Il governo offrirà comunque un sopporto nelle fasi di transizione, e soprattutto per uscire dalla lunga emergenza degli anni scorsi. «La Campania può e deve farcela da sola», ha commentato il sindaco appena eletto al posto di Rosa Iervolino.

LA DIFFERENZIATA - Nel corso dell'incontro si è parlato anche dei fondi per promuovere la raccolta differenziata, elemento essenziale e decisivo per innescare un corretto ciclo dei rifiuti, per ridurre le quantità da smaltire. Il ministro ha assicurato che si adopererà affinchè al più presto da parte della Regione vengano ripartiti i 150 milioni di euro che sono stati assegnati alla Campania e quindi in quota parte anche a Napoli per gli impianti intermedi e, appunto, per la raccolta differenziata.

Aerostaticità...

... palloni gonfiati e palloni sgonfiati (in 5 giorni). Al mondo esistono tre tipologie di bipedi; uomini, ominicchi e quaqquaraqquà. I due in questione appartengono entrambi alle ultime due tipologie di bipedi.


Napoli - Al sesto giorno dal proclama su Napoli ripulita se n'è accorta anche Luigi de Magistris. "La situazione ambientale e sanitaria è grave, c’è un rischio concreto per la salute dei cittadini" dice il sindaco di Napoli, nel corso di una conferenza stampa sui rifiuti. "La situazione è resa ancora più difficile dai roghi che vengono appiccati in concomitanza con la raccolta e che rendono quei rifiuti speciali. Abbiamo incontrato l’Ordine dei medici e l’Asl di Napoli, nei prossimi giorni metteremo su una commissione di sorveglianza sanitaria".

L'attacco a Berlusconi. "Berlusconi dimostra con i fatti che se ne frega di Napoli" continua de Magistris ribadendo che il governo "si è lavato le mani, facendo come Ponzio Pilato. Il governo non si è assunto le sue responsabilità e altri sono lenti ad adottare provvedimenti che potrebbero liberare la città dai rifiuti - afferma - ognuno deve fare la sua parte, Regione Campania, Provincia di Napoli e per quello che le compete, anche la Prefettura". Gli incontri dei giorni scorsi in Prefettura, fa sapere de Magistris, sono stati "proficui" e il precedente accordo con il quale erano state individuate delle aree nella provincia di Napoli per sversare i rifiuti (Caivano e Acerra), avrebbero consentito alla città di respirare. "Gli ostacoli che abbiamo incontrato - ha aggiunto - non ci impediscono i continuare a lavorare e di guardare oltre il nostro naso e i nostri occhi. Questo - conclude - in attesa che governo, Regione e Provincia facciano la loro parte".

La scorta ai mezzi. "Chiederemo alle forze dell’ordine la scorta armata per gli autocompattatori dell’Asia e della Lavajet affinchè facciano il percorso di andata e ritorno per scaricare i rifiuti e ripulire la città" prosegue il sindaco di Napoli nel corso della conferenza stampa in cui annuncia di aver firmato un’ordinanza nella quale si ribadisce il rafforzamento della raccolta differenziata, l’avvio delle isole ecologiche mobili e i turni di 24 ore dell’Asia. "L’ordinanza non comporta una rottura dei rapporti istituzionali con la Regione Campania e la Provincia di Napoli - ha sottolineato - il punto è che noi non siamo, però, più disposti ad attendere. Abbiamo la necessità di reperire subito i denari per gli straordinari dell’Asia così da garantire la raccolta 24 ore al giorno". Il sindaco ribadisce che il secondo termovalorizzatore non serve. "Non è che ci siamo impuntati, è che siamo convinti che non serva. Serve troppo tempo per realizzarlo e non possiamo aspettare".

Napolitano sprona il governo. "Ho seguito con crescente preoccupazione (anche cogliendo l’occasione della mia visita del 13 giugno a Napoli) l’aggravarsi della questione rifiuti divenuta nuovamente emergenza acuta e allarmante nella città e nella provincia" scrive il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in un intervento sull’emergenza rifiuti che sarà pubblicato nell’edizione di domani del Il Mattino. "A quanti mi hanno in questi giorni rivolto appello in proposito - ha proseguito Napolitano - confermo di avere espresso allo stesso presidente del Consiglio la mia inquietudine per la mancata approvazione da parte del Consiglio dei ministri, in due successive riunioni, del decreto legge che era stato predisposto. Pur senza entrare nel merito del provvedimento più opportuno che possa ancora essere considerato e definito in quella sede, rinnovo l’espressione del mio convincimento che comunque un intervento del governo nazionale sia assolutamente indispensabile e urgente - sottolinea il presidente della Repubblica - al fine anche di favorire l’impegno solidale delle Regioni italiane. È quanto auspicano anche la Regione e gli enti locali di Napoli e della Campania, nello spirito dell’intesa che con apprezzabile sforzo unitario è stata da essi sottoscritta".

giovedì 23 giugno 2011

Sul tetto che scotta...

... se sui tetti cominciassero a salirci tutti gli italiani in difficoltà... cosa succederebbe? Solo che gli italiani sui tetti a protestare non ci salgono.


BRESCIA – La tregua dei «senza carta» bresciani è terminata intorno alle 22.45 di mercoledì 22 giugno. Dopo una settimana di presidio, in cui non si sono registrati né scontri né problemi con le forze dell’ordine, Issah, marocchino di 56 anni, che già aveva occupato a novembre la gru del cantiere Metrobus della città, si è arrampicato fino al tetto di Palazzo Loggia, sede del Comune, rivendicando il suo diritto al permesso di soggiorno. Sostenuto da cori e dagli slogan che hanno accompagnato la protesta di novembre, il marocchino era già da giorni che, secondo i suoi compagni di protesta, aveva in mente di scalare la Loggia.

DISATTENZIONE - Ha approfittato di un attimo di disattenzione dei numerosi agenti di polizia municipale che controllavano un corteo spontaneo nella piazza per prendere il giubbotto lasciato sotto il gazebo e arrampicarsi sulle impalcature montate all’esterno del municipio per alcuni lavori di manutenzione. «È da giorni che la tensione stava salendo – ha spieagto a caldo Umberto Gobbi, portavoce dell’associazione Diritti per tutti -. Vogliamo risposte, le chiediamo da settimane, ma nessuno, fino ad oggi, è riuscito a dare certezze a questi cittadini stranieri. Certo, il gesto di un singolo non può essere giudicato negativamente, lui come tutti gli altri del presidio sono stanchi di essere presi in giro. Maroni dovrà sciogliere le sue riserve entro poche ore. Altrimenti si rischiano nuovi gesti eclatanti…».

VIGILI DEL FUOCO - Intanto verso la mezzanotte, in piazzale Rovetta, sotto i 30 metri della cupola della Loggia, sono arrivati le squadre dei Vigili del fuoco, i volontari della Croce rosa e soprattutto decine di agenti di polizia e carabinieri. Tutti con gli sguardi verso l’alto, per trovare Issah, il marocchino che ha deciso di sfidare Maroni.

mercoledì 22 giugno 2011

Infinitamente imbecilli e in ordine sparso


MILANO - In Libia è necessaria una «sospensione umanitaria immediata delle ostilità» per consentire la creazione di corridoi umanitari in grado di aiutare la popolazione. Lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini, nella sua audizione in commissione alla camera sul Consiglio europeo che si aprirà giovedì a Bruxelles.

CESSATE IL FUOCO - La «priorità», ha precisato Frattini resta il cessate il fuoco che rimane «in primo piano nella strategia politica dei negoziati», ma attualmente, per il ministro, è «fondamentale la cessazione umanitaria delle azioni armate per consentire aiuti immediati». Un immediato blocco delle ostilità, ha sottolineato il titolare della Farnesina «che consentirebbe di evitare quello che il Consiglio nazionale transitorio teme: la consolidazione della spartizione in due della Libia. Ma permetterebbe anche e soprattutto l'accesso a località della Libia isolate nelle quali la situazione umanitaria è drammatica, come la periferia di Misurata e la stessa Tripoli». «Se, come l'Italia auspica, ha spiegato il ministro in vista del consiglio europeo di giovedì, questa sarà indicata come una soluzione praticabile, si tratterà di un primo passo per consentire di venire incontro a esigenze umanitarie gravissime».

LA REPLICA DI FRANCIA E GRAN BRETAGNA - Ma la proposta italiana non piace agli Alleati. «La Francia è infatti contraria ad una pausa nelle operazioni militari in Libia» fa sapere il ministero francese degli Esteri. Anche Downing Street per bocca del portavoce del primo ministro britannico David Cameron ha ribadito che la coalizione internazionale non deve fermare, seppur temporaneamente, le operazioni militari ma che continuerà a «intensificare le azioni sulla Libia» nonostante l'appello del ministro degli Esteri italiano.

IL MESSAGGIO DI RASMUSSEN - «La Nato continuerà» le operazioni militari in Libia ha confermato nel frattempo il segretario generale dell'Alleanza Anders Fogh Rasmussen nel suo messaggio video settimanale, ma la dichiarazione - fa sapere la Nato - non è una risposta alle parole del ministro Frattini. «Sono commenti contenuti nel blog regolare che il segretario generale tiene per aggiornare i cittadini sui progressi della missione in Libia» ha chiarito la portavoce della Nato, Oana Lungescu. Nel suo blog, in un video messaggio, Rasmussen afferma che le operazioni militari in Libia continueranno perchè «se le interrompessimo un numero infinito di civili perderebbero la loro vita». A proposito delle notizie sulle vittime civili provocate in questi ultimi giorni, Rasmussen ha aggiunto: «Mi rammarico profondamente della perdita di tutte le vite umane in questo conflitto. Ma non dovete dimenticare che è il regime di Gheddafi che ha cominciato il conflitto attaccando il suo popolo, non la Nato». Con il titolare della Farnesina, la Nato «condivide la grande preoccupazione per ridurre al minimo il rischio di perdita di vite umane tra i civili», ha ribadito Oana Lungescu. «Altro punto che ci trova completamente d'accordo, è l'urgenza di costruire una soluzione politica in Libia, il più presto possibile».

FARNESINA - Successivamente alle critiche degli Alleati il ministero degli Esteri ha ridimensionato la portata delle dichiarazioni di Frattini. «Non c'è nessuna proposta specifica italiana, ma solo un'ipotesi di lavoro» ha dichiarato il portavoce della Farnesina Maurizio Massari.

Una ola a lui

... che c'avrà pure i suoi difetti e i suoi scheletri negli armadi... ma almeno ci racconta un pò di verità. Sempre che uno non ne sia al corrente.


Il primo colpo, quasi di karatè, arriva mentre i giornalisti stanno ancora sbranando pizzette e salatimi gentilmente offerti dalla maison Armani a chi è invitato al tradizionale incontro post sfilata con il più famoso dei nostri stilisti. «La moda è delle banche che ovviamente hanno un'influenza molto importante sul business - dice re Giorgio - poi però le banche influiscono sui giornali e così il cerchio si chiude. Secondo me il nostro lavoro serve a far vedere capi che possano essere indossati dalla gente, cose che abbiano un senso». Nella sala cala un silenzio irreale, la quiete prima della tempesta. Armani sembra l'attaccante dei sogni di qualsiasi allenatore, uno che in campo non molla la palla neanche a morire: un cocktail di Eto’o, Ibrahimovic e Messi con una buona dose del genio sregolato di Maradona. «Non è un mistero per nessuno che in molti casi le banche dettino legge nel business delle griffe più degli stessi proprietari - continua - io invece dipendo solo dalla mia creatività e da quella dei miei collaboratori, facciamo un lavoro serio, da cui dipende il lavoro di tanta gente. Certo se poi sui giornali si dice bene di una sfilata per motivi diversi dalla bellezza degli abiti, il nostro lavoro è in gran parte annullato. Per me le sfilate sono una grande verità che tutti dovrebbero rispettare». Inevitabile a questo punto una vera e propria esplosione di domande e discussioni: con chi ce l'ha mister Armani e perché buttarla in polemica così?

Niente da fare. Lui è impetuoso e inarrestabile: «Miuccia Prada - dichiara - ha scelto la strada dell'ironia e del cattivo gusto che piace. Nel suo genere è geniale come lo sono i due Dolce&Gabbana. Io ho scelto di vestire la gente. Mi rifiuto di fare baracconate soprattutto sull'uomo, penso sia una mancanza di rispetto verso i consumatori. M'infastidisce che certe cose vengano osannate dalla stampa anche quando le collezioni sono brutte. In mezzo a tutto scommetto che certi prodotti si vendono relativamente, ditemi dunque voi perché si fanno certi giochetti». Per quanto scossa da queste parole a dir poco forti, la platea reagisce: c'è chi tenta di riportare il discorso sulla moda appena vista beccandosi insulti dai colleghi e chi invece spara la domanda più scomoda: scusi, signor Armani, non è che l'imminente quotazione di Prada alla borsa di Hong Kong le picchi sui nervi oltre ogni dire? Lui serafico risponde: «Hong Kong è una borsa più facile delle altre, non facciamoci troppe illusioni. Le quotazioni in borsa servono per fare entrare dei soldi nelle casse di un'azienda. Io non ho debiti. Non ho il problema di restituire alle banche i soldi prestati per rendere forte il nome». E poi, quando la domanda cade ancora su Prada che ha rilanciato le espadrillas in versione metropolitana, Armani dribbla per un secondo ma poi si lascia scappare una battutaccia: «Lo sfigato piace solo sui giornali». A questo punto noi giornalisti ci precipitiamo a telefonare al quartier generale di Prada ricevendo un garbato no comment ricordando tra l'altro che stavolta tacere è un atto dovuto visto che la quotazione è fissata per il 24 di questo mese. Da Dolce&Gabbana rispondono con metodo statistico e solo alla stampa amica.

Insomma: è guerra. Non solo in passerella, ma anche nella stanza dei bottoni, dove Armani e Prada sono due rette parallele destinate a non incontrarsi mai. Il gruppo guidato da Patrizio Bertelli e Miuccia Prada insegue da dieci anni il progetto di quotazione e ora si prepara finalmente allo sbarco ad Hong Kong, da cui la famiglia incasserà circa 900 milioni di euro, grazie a una valorizzazione della maison decisamente superiore rispetto alla media dei concorrenti: 9 miliardi, pari a circa 24 volte l’utile stimato per il 2011. Una scelta impegnativa, comunque: per qualsiasi azienda andare in Borsa significa infatti assoluta trasparenza dei bilanci e un flusso continuo di informazioni al mercato.

Dall’altra parte, Re Giorgio, seduto su 600 milioni cash: un tesoretto da fare invidia a molte aziende, e non solo del settore. «Il mio fieno in cascina», come si compiace di definirlo, con l’accento sulla parola «mio»: se il gruppo fosse quotato in Borsa quella liquidità andrebbe investita, mentre restando azienda familiare può essere usata per «rimediare a situazioni impreviste o cogliere opportunità importanti, senza chiedere niente a nessuno», come ha detto lui stesso commentando l’ultimo bilancio. È una sfida fra giganti, comunque, e lo si vede dai numeri: 2,04 miliardi di euro il fatturato 2010 di Prada (+31,1% rispetto all’anno precedente), 1,58 miliardi quello di Armani, con una crescita inferiore (+4,3%), ma un utile netto record: 161 milioni, in crescita dell’80 per cento. Poco più sotto, ci sono Dolce & Gabbana, con 1,13 miliardi di fatturato, in crescita del 9,9% rispetto all’anno precedente. Per loro, nessun progetto di quotazione, anche perchè negli ultimi tempi hanno avuto altri problemi: erano stati infatti accusati di avere evaso il fisco per circa un milione di euro tra il 2004 e il 2005. Ma ne sono usciti a testa alta: assolti perché il fatto non sussiste.

lunedì 20 giugno 2011

Pisapia e le richieste...


Milano - A pochi passi da Palazzo Marino è apparso uno striscione con la scritta "Che il vento spazzi via gli sgomberi". Un riferimento allo slogan elettorale "Il vento cambia davvero". Mentre Giuliano Pisapia giurava davanti al Consiglio comunale riunito per la prima volta, in piazza San Fedele l'associazione "Immigrati autorganizzati" e il centro sociale Cantiere hanno manifestato per chiedere conto al neo sindaco. "Sanatoria subito. Non siamo clandestini, siamo i nuovi cittadini". Questa la richiesta del corteo che ha consegnato a Pisapia una lettera per "spiegare come la legge Bossi Fini ci incateni al lavoro".

Il giuramento di Pisapia. Era il terzo punto all’ordine del giorno ed è arrivato puntuale: Pisapia ha giurato di fronte ai componenti del consiglio comunale. "Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservare la carta costituzionale e le leggi dello Stato, e di adempiere al mio ufficio per il pubblico bene": questa la formula letta dal sindaco e arrivata dopo l’esame della condizione di eleggibilità degli eletti e la surrogazione dei consiglieri dimissionari che l’Aula è stata costretta a votare per alzata di mano. Il sistema di voto elettronico, infatti, ha deciso di dare forfait alla seduta inaugurale del parlamentino milanese. L’imprevisto ha provocato qualche momento di ilarità raccolto da Carlo Masseroli, che presiede il consiglio fino all’elezione del presidente da parte dell’Aula, che si è auto interrogato ad alta voce, domandandosi se avesse autorizzato il voto per alzata di mano e rispondendosi positivamente.

Basilio Rizzo presidente del Consiglio. Basilio Rizzo è stato eletto presidente del consiglio comunale. Al termine della terza votazione un applauso dai consiglieri del centrosinistraha annunciato la sua elezione ancora prima dell’annuncio formale da parte del presidente dell’aula Carlo Masseroli. All’annuncio ufficiale tutta l’aula si è alzata in piedi applaudendo. Rizzo è stato eletto con 28 voti, mentre Riccardo De Corato ha ottenuto 15 voti e Marco Cappato 3.

Anche don Colmegna in piazza. Il "popolo arancione" che ha portato Pisapia alla vittoria è tornato in piazza per il primo Consiglio comunale davanti al maxi schermo allestito per l’occasione in piazza San Fedele. Anche la Sala Alessi, dove è stato posizionato l’altro schermo, si è riempita. Tra i presenti a seguire da fuori il Comune i lavori d’aula ci sono anche il presidente della Casa della Carità don Virginio Colmegna e il coordinatore milanese di Sel Daniele Farina. Nel frattempo il ristorante Papà Francesco, in via Marino, ha iniziato a servire gratuitamente l’annunciato risotto arancione alla zucca, ideato appositamente da uno chef.

domenica 19 giugno 2011

Rivoluzioni islamiche fiorate

... e quelli più intelligenti ci hanno creduto... dando spazio all'islam fondamentalista. Così in tunisia e così in tutti gli altri paesi del maghreb dove ha soffiato un (finto) vento di libertà e rivoluzione.


DAL NOSTRO INVIATO TUNISI— Nei rapporti dei diplomatici occidentali sulla Tunisia sono definiti una «criticità». Sulla rete virtuale del Paese (Facebook) e su quella materiale (bar e mercati), corrono giudizi molto più pesanti: «maschilisti», «talebani», «ex terroristi». In mezzo la «katiba karsa», (la maggioranza silenziosa) appare un po’ spiazzata e un po’ incuriosita dal fenomeno politico del momento. Il partito di ispirazione islamica, Ennahda (la Rinascita), è in testa nei sondaggi a quattro mesi dalle elezioni per l’assemblea costituente (ufficiosamente fissate per il 23 ottobre) e proprio mentre si apre (domani la prima udienza) il processo al presidente-dittatore Ben Ali, rifugiatosi in Arabia Saudita e inseguito da una richiesta di estradizione che sta per essere formalizzata. Agli inizi di giugno alla formazione guidata da Rachid Ghannouchi veniva attribuito il 16,9% delle preferenze di voto, ben al di là del 9,5% accreditato allo storico partito socialdemocratico Pdp di Nejb Chebbi. Islamisti e socialdemocratici sono gli unici giganti in una folla di 93 partiti nani o mezze promesse (come i liberali, i nazionalisti e i comunisti). Le associazioni delle donne sono in allarme. Dal 1956 in poi la Tunisia ha costruito un sistema di pari opportunità tranquillamente paragonabile agli standard occidentali. I laici del Paese sono diffidenti, come spiega Raouf Kalsi, editorialista del quotidiano Le Temps: «Ennahda è una nebulosa con posizioni ambigue sullo Stato di diritto. E poi non si capisce chi li finanzia. Temo ci siano dietro l’Arabia Saudita e il suo modello di integralismo wahhabita. Con il placet degli americani». A questo punto urge verifica. La sede di Ennahda è un bel palazzotto di cinque piani nel quartiere amministrativo della capitale. Tutto nuovo. Ha aperto da due mesi, ma negli uffici non ci sono cassette di frutta al posto dei tavoli, bensì poltrone in pelle nera, computer, uscieri in completo blu fresco lana. E dopo pochi minuti di attesa arriva Nabil Labassi, un avvocato di 46 anni, membro del «gabinetto politico». Labassi spiega subito che lì sono tutti «volontari e porge una lunga lista di ingegneri, legali, professori, ricercatori, contabili, medici e persino animatori. E'il gruppo dirigente del partito. Molti di loro hanno scontato 12-15 anni di carcere duro, altri sono rientrati dall’esilio. Labassi si aspetta la sequenza delle domande e risponde senza esitazione, come fosse un test per la «patente di democratico». Dunque: la parità uomo donna? «Non si tocca. Anzi noi siamo l’unico partito che ha proposto di inserire l’obbligo di riservare alle donne metà dei posti nelle liste per le elezioni». Il velo? «Permesso, ma non obbligatorio». Il divorzio? «Nessun problema, resta». La poligamia? «Che cosa? Non scherziamo, non se ne parla neanche». L’aborto? «Forse si può inserire qualche limite a tutela della salute della partoriente, ma ne vogliamo discutere con tutti gli altri partiti». Il divieto di bere alcolici? «Il massimo che possiamo è vietarne la vendita ai minori». E’ vero che volete cacciare gli investitori stranieri? «Al contrario, sono i benvenuti e vogliamo collaborare con loro». E così via. Sarebbero questi i talebani? I cripto-sauditi? A proposito chi finanzia Ennahda? «Da sempre girano voci su presunti finanziatori occulti, l'Arabia Saudita, gli Stati Uniti, l'Iran. Ma il nostro modello, se mai, è la Turchia di Erdogan. Le nostre risorse vengono dai militanti, ci sono almeno 50 mila tunisini che versano ogni mese il 3-5%del proprio salario, in più riceviamo donazioni dai nostri connazionali all’estero». Se davvero è così sarebbero, calcolando a spanne, almeno 6-7 milioni di euro all’anno: in Tunisia sono soldi. Eppure c’è qualcosa che non torna. C’è troppo scarto tra la versione del dirigente islamista e le opinioni correnti. Ma andando avanti si entra in una zona d’ombra. Ennahda è forse l’unica formazione che ha aperto una sede nei 24 governatorati e un ufficio in ogni distretto del Paese. Nel palazzotto di Tunisi ammettono di non sapere neanche chi siano tutti questi militanti. E si vede, si sente. Su Facebook sono attivi almeno 600-700 profili di persone che parlano a nome di Ennahda. Ma sono proprio i raduni improvvisati nelle città tunisine, i proclami lanciati sul web e alla tv dai «buoni musulmani» ad alimentare la diffidenza verso il partito islamico. C’è chi invoca l’applicazione stretta della «sharia» (frustate comprese), chi suggerisce di risolvere il problema della disoccupazione, dando agli uomini i posti occupati dalle donne, che vanno invece segregate in casa. Per ora confusione e ambiguità stanno portando quei consensi necessari per negoziare con gli altri partiti da una posizione di forza. Perché Ennahda vuole comandare.

sabato 18 giugno 2011

Perle... di convertiti

Da antiislamista a convertito... ce ne passa. Quando si dice la coerenza e l'integrità mentale. Comunque, diciamo che ho deciso di regalargli un post, l'ho pubblicato e lo rendo felice. Olè. Non mi ha minacciata di morte, no... è generoso in effetti. Ma non merita più di una risposta. E la risposta già gliel'ho data. Tutti con la stessa manfrina, non è l'islam vero, l'islam violento è quello della gente traviata, il corano è paceamoretolleranza, dobbiamo studiare meglio l'islam, leggere dell'islam, cristianesimo ed ebraismo non sono meglio, la religione non è costrizione e blablabla.

Ciao...anch'io ero antiislamista e la consideravo una cultura inferiore e barbara.Terrorizzato dall'ingresso della turchia in UE la vedevo come il cavallo di troia dell'islam.A un certo punto mi sono messo a leggere il corano che mi avevano detto violento contraddittorio e ripetitivo..l'ho letto con lo spirito del tipo...adesso li frego...leggendo leggendo...ho capito che le cose non erano esattamente cosi...certo fra i musulmani i cosiddetti "fondamentalisti" sono in realtà gente traviata..non è quello il vero islam e anzi loro agiscono contro quello che dice il corano e la sunna...informati su cosa c'è scritto sui cristiani ed ebrei nel corano,sarà una sorpresa!per quanto riguarda la violenza....in primis ti invito a leggere i libri di cronache e i libri dei re nell'antico testamento, poi considera che i musulmani hanno subito 3 anni di soprusi di ogni genere prima che Dio ha dato al suo profeta l'ordine di difendere il suo popolo difendere non vuol dire attaccare gli altri...inoltre l'islam non è stato imposto con la spada come si crede (vedi la storia dell'islam in indonesia e malesia)la religione non ha imposizione!inoltre per quanto riguarda la turchia...è uno stato islamico per cosi dire ma in realtà è laico.Anzi ti dico di più il padre dello stato turco "ataturk" ha dato l'ordine di bombardare una moschea la cui "colpa" è stata quella di disturbare una sua festa con la chiamata alla preghiera...beh...se è un cavallo è parecchio zoppo :-p ti pare?ti invito a leggere ed informarti prima di sparare a zero....come vedi non ti minaccio di morte o cose simili!anzi mi riconosco molto in te!ma ti sfido a pubblicare questo sul tuo blog...

Abdul Karim Alessandro
 
Qui e qui ci sono almeno 1000 posts che parlano direttamente o indirettamente di islam... quello vero, quello di amorepacetolleranza. Spero che il convertito non abbia il coraggio di venirmi a dire che la colpa è dei giornalisti che scrivono cose non realistiche per screditare l'islam.

Lamentele...


BENGASI - Il 'ministro' del Petrolio e delle Finanze del Cnt dei ribelli libici ha denunciato che le risorse sono finite, accusando l'Occidente di non mantenere le promesse fatte. ''Non abbiamo contanti - ha detto Ali Tarhouni - Stiamo esaurendo ogni risorsa. E' un fallimento completo. O loro (i paesi occidentali) non capiscono, o a loro semplicemente non interessa''. I ribelli stanno trattando con compagnie petrolifere straniere: nessun problema, ha detto, se prima trattavano con Gheddafi.

Ultramilionari in campo...

Ahahahahah, ma che ridere...


Bologna - Debutta il partito di Michele Santoro. Dopo aver chiuso la partita con viale Mazzini e rimandato a data da destinare la firma con La7 per il restyling di Annozero, il tribuno della sinistra sceglie il palco della Fiom per lanciare la sua nuova sfida. Così, in diretta tv da villa Angeletti tra gli insulti di Vauro e l'appello della Dandini ("Comunisti, tutti in piedi!"), la stoccata dell'esercito degli anti Cav parte con un'intervista a Iris Berardi sulle feste organizzate da Silvio Berlusconi. Ecco il circo messo in piedi da Santoro che al suon dello slogan questa è l'Italia peggiore ha battezzato quel "partito" che andrà a sostituire il centrosinistra nel contrasto al governo. Tanto che viene da chiedersi cosa abbiano a che fare le invettive dei vari Travaglio, Ingroia e Vauro con la festa per i metalmeccanici.

Santoro non sceglie una piazza qualunque. Pure il tempismo è azzeccato. E la squadra? La solita, quella ben consolidata in mesi di lotta antiberlusconiana dietro le telecamere Rai. E' quella intellighenzia progressista che lavora per affondare il Cavaliere. Tutti a puntare il dito contro il governo, senza risparmiare nemmeno critiche a una certa sinistra incapace di fare opposizione. Da Marco Travaglio al pm Antonio Ingroia, dal vignettista Vauro a Serena Dandini. Non poteva poi mancare una lezione di "alto" giornalismo da parte di Elisa Anzaldo, la giornalista che aveva lasciato la conduzione del Tg1 per protestare contro il direttore Augusto Minzolini. Il solito Maurizio Crozza che, dopo diverse stagioni con Giovanni Floris a Ballarò, si è speso per una comparsata allo speciale di Enrico Mentana in occasione del primo turno delle amministrative. C'è spazio anche per Maurizia Russo Spena, la figlia del parlamentare del Prc che giorni fa si è scontrata con il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta: "Io non rappresento il mio fallimento ma il fallimento delle politiche del suo governo. Ora il ministro non dovrà parlare più solo con me ma dovrà venire a visitarci nelle piazze dell’indignazione". E' il partito che Santoro ha schierato in piazza a Bologna in occasione della festa nazionale dei 110 anni del sindacato dei metalmeccanici. Signori, entra il lavoro. Tutti in piedi!, questo lo slogan.

Al termine della proiezione di un video dal titolo "Chi comanda in Italia", in cui Corrado Guzzanti interpreta un mafioso al telefono con Berlusconi, sale sul palco l'immancabile pm Ingroia per l'immancabile comizio sulla giustizia e sulla necessità di concedere rispetto al lavoro svolto dalla magistratura. E giù accuse - più o meno velate - alla politica rea di non condividere la missione contro la mafia e di continuare a offendere e insultare le toghe. "Serve che ci lascino lavorare - tuona Ingroia - e continuerò fuori e sopra i palchi a lottare, da magistrato e da cittadino". Insomma, sempre il solito leit motiv usato dai giudici per non rispondere delle proprie azioni. Di comizio in comizio, subito dopo è la volta di Travaglio per il quale qualsiasi parlamentare ruba. "Lasciamo le redini del nostro Paese - spiega l'editorialista del Fatto Quotidiano - a chi non lasceremmo nemmeno il nostro portafoglio". Insomma, sempre il solito leit motiv usato da Travaglio per buttare in vacca tutta la politica.

Il grande regista di tutta la kermesse è proprio Santoro che non sale sul palco se non al termine della serata per introdurre l'ospite a sorpresa: Roberto Benigni. Il comico toscano è saltato subito al collo del giornalista, si è buttato a terra e ha esordito: "L’Italia s’è desta!". Così, dopo due ore di insulti e invettive contro il governo, Benigni stupisce tutti e non parla di politica ma invita tutti i presenti ad amare il proprio lavoro: "Il lavoro è un diritto che nessuno ci può togliere, è una cosa sacra, e ogni legge che attenti al lavoro è un sacrilegio". "Amare il proprio lavoro - conclude il premio Oscar - è la vera e concreta felicità che esiste sulla terra". Secondo Dagospia, l'intento di Santoro resta la realizzazione di Telesogno "mettendo insieme la squadra di Michelone (Travaglio compreso), aggiungere la redazione e i contenuti di Current Tv, l'hard core di Sandro Parenzo, cioè TeleLombardia e gli studi di Videa". Perché a rimbalzare sulle antenne tv la serata di Santoro è proprio la televisione di Al Gore che a fine luglio andrà fuori dal pacchetto Sky. "Se Telesogno diventa realtà, per La7 sarebbe una brutta volta - ipotizza il sito di Roberto D'Agostino - il Terzo Polo si spappolerebbe tra Santoro e Mentana". Nella speranza che Berlusconi rimanga sempre al governo, altrimenti il mercato dell'antiberlusconismo rischierebbe di crollare a picco (e con lui i compensi fantamilionari di Santoro).

giovedì 16 giugno 2011

Si, certo...


MILANO - Espulsione immediata per tutti i clandestini, tempo di permanenza nei Cie prolungato a 18 mesi. È quanto previsto dal decreto legge approvato giovedì dal Consiglio dei ministri, che ha anche dato il via libera ad un decreto legge su Lampedusa per la Protezione civile. Ad annunciare i provvedimenti il premier Silvio Berlusconi e il ministro dell'Interno, Roberto Maroni. Un decreto, ha detto il presidente del Consiglio, che prevede «l'espulsione coattiva immediata di tutti i clandestini» e con il quale «prolunghiamo il tempo di trattenimento nei Cie da sei a 18 mesi, attraverso una procedura di garanzia che passa dal giudice di pace». Un tempo necessario, ha spiegato, per rendere possibile «l'identificazione e la procedura di espulsione». Il decreto approvato dal Consiglio dei ministri dà «attuazione a due direttive europee».

ACCORDO CON LA LIBIA - Si trattava di un problema di «interpretazione e noi - nel pieno rispetto della direttiva - abbiamo fornito questa interpretazione», ha aggiunto il ministro. E venerdì, ha detto ancora Berlusconi a proposito della Libia, Frattini firmerà un accordo con il comitato transitorio libico per poter riportare il Libia i migranti venuti in Italia, «è un fatto molto importante e continuiamo in questa direzione, visto che accordo con la Tunisia ha avuto piena realizzazione». Il Cdm ha approvato anche un decreto su Lampedusa, per la quale si varano, ha detto Berlusconi, misure compensative: sospensione dei pagamenti di tributi, contributi, mutui e leasing fino alla fine dell'anno. Oltre al piano di rilancio da 26 milioni di euro, e la richiesta ufficiale all'Europa di poter istituire a Lampedusa una zona franca come quelle di Campione d'Italia e Livigno. «Tutto quanto possibile per sostenere l'economia di Lampedusa sarà fatto», ha affermato Berlusconi.

mercoledì 15 giugno 2011

Piccola bottega degli orrori*


MILANO - Il governo italiano non deve più spendere soldi per i bombardamenti in Libia. A chiederlo è il ministro dell'Interno Roberto Maroni, che è intervenuto al primo congresso della Uil-polizia. «Spero si ponga fine alla guerra e ai bombardamenti in Libia: solo con un governo, qualunque esso sia, si può gestire il fenomeno immigrazione -spiega- altrimenti continueremo ad avere immigrati, immigrati, immigrati». Maroni ricorda che «il Parlamento Usa ha detto al presidente Obama "basta spendere soldi in Libia": il governo italiano e i governi europei dovrebbero fare la stessa cosa». «Tutti i servizi segreti - ha spiegato Maroni - non riescono a trovare Gheddafi mentre lui gioca tranquillamente a scacchi: c'è qualcosa che non funziona e noi siamo gli unici a subire impatti negativi da questo: sono già infatti oltre 20.000 i profughi arrivati dalla Libia».

IL GOVERNO - Sul governo il ministro Roberto Maroni fa spallucce: «Non ho la sfera di cristallo per sapere se il governo cade, tra un mese, tra un anno o due e quindi, intanto continuo a lavorare». E aggiunge: «Io lavoro e se a un certo punto salta tutto vorrà dire che lasceremo quello che abbiamo fatto a quelli che verranno dopo di noi. Se dovessi mettermi nella prospettiva che il governo cade allora farei meglio ad andare in barca e aspettare».

I FONDI - Il ministro Maroni ha anche annunciato di aver chiesto un miliardo per le attività istituzionali: «Nei giorni scorsi ho inviato una lettera al premier Berlusconi e al ministro Tremonti in cui chiedo un miliardo di euro per il 2011: si tratta di risorse sufficienti per garantire le attività istituzionali». Maroni ha ricordato che «i tagli lineari hanno fatto calare del 36% le risorse del ministero per il 2011, che sono complessivamente 29 miliardi. Il momento non è facile ma il governo deve fare scelte e la sicurezza deve essere considerata una delle prime tre priorità. Spero quindi che la richiesta venga accolta».


La Camera dei Rappresentanti Usa ha approvato un emendamento che vieta l'uso di fondi per le operazioni militari in Libia. Il testo fa riferimento a una legge (War Powers Act) del 1973 che limita i poteri del presidente di inviare truppe all'estero senza l'autorizzazione del Congresso. Il voto rispecchia il malcontento del Parlamento Usa, al quale Barack Obama non ha chiesto l'autorizzazione prima di avviare l'intervento militare contro Gheddafi.

Il testo, proposto dal democratico Brad Sherman della California, è passato con 248 voti favorevoli contro 163 contrari. "Nessuno dei fondi disponibili può essere utilizzato in contraddizione con il War Powers Act", si legge nel testo approvato dai deputati Usa. Il voto rispecchia l'ampio malcontento che serpeggia nel Parlamento americano, al quale Barack Obama non ha chiesto l'autorizzazione prima di avviare l'intervento militare contro Muammar Gheddafi. In base al War Powers Act, il capo della Casa Bianca deve rivolgersi al Congresso prima di inviare truppe Usa all'estero ed è costretto a ordinarne il ritiro entro 60 giorni se tale autorizzazione non viene concessa dai parlamentari.

Sempre sul fronte libico, due senatori hanno poi presentato un progetto di legge che mira ad autorizzare l'amministrazione americana a trasformare i fondi congelati di Gheddafi in aiuti umanitari per la popolazione libica. Il presidente della commissione finanziaria del Senato, il democratico Tim Johnson, e il suo collega repubblicano Richard Shelby hanno depositato il testo che mira a trovare una soluzione alla "crisi umanitaria, in un momento in cui mancano prodotti alimentari e attrezzature mediche di base". Il testo, ugualmente sostenuto da senatori influenti come John Kerry, John McCain e Carl Levin, autorizza Obama a confiscare i fondi e gli altri beni del regime congelati dal governo statunitense per utilizzarli con fini umanitari.


ROMA - "Mi pare che ci sia un po' troppa gente che fa il tifo per l'abbandono nelle mani di Gheddafi di quanto rimane della Libia": così il ministro degli Esteri Franco Frattini a margine della presentazione del meeting di Cl. Secondo Frattini, "in Libia dobbiamo continuare a sviluppare un'azione umanitaria per evitare stragi e cercare una soluzione politica. In ogni caso - conclude - quando ci sarà un mandato di arresto per Gheddafi vi sarà un solo obbligo: quello di catturarlo e consegnarlo".

* Per quanti non sapessero cos'è la piccola bottega degli orrori, la spiegazione sta qui. Io intendo Piccola bottega degli orrori la politica, specie quella estera di qualsiasi nazione, soprattutto la politica estera italiana (nonchè quella interna) che s'è resa prona ad un comando americano-inglese-francese e mi chiedo dove diavolo stava infilato Maroni quando è stata presa la decisione di andare a rompere le balle a Gheddafi che minacciava di mandare in italia l'intera africa.

martedì 14 giugno 2011

[Ac]Cattocomunisti


di Andrea Indini

Roma - Che fine ha fatto il voto dei cattolici? Dalle amministrative alla consultazione referendaria sembra tornare quella lontana voglia di catto-comunismo. Termini da Prima Repubblica, connotazioni che si sperava essere state già archiviate da tempo. Eppure il vero vento che cambia sembra spirare tra le parrocchie e l'associazionismo cattolico. Tanto che Avvenire, quotidiano solitamente moderato, celebra la "macchina delle sberle" che sta mandando a casa il governo Berlusconi. Cosa è cambiato in questi anni? Sicuramente si è trattato di un processo silenzioso e continuo. Un "vento" - per dirla col vocabolario della sinistra - che è riuscito ad affascinare l'elettorato cattolico che si è stufato di votare i centristi. Lo dimostra il laboratorio milanese dove il neosindaco Giuliano Pisapia ha vinto grazie anche al sostegno dell'ala radicale della sinistra (da Rifondazione all'Idv, dai vendoliani alle frange extraparlamentari) ma ha preferito formare una Giunta in cui la società civile e i cattolici hanno la meglio. Così, chi si aspettava una squadra pesantemente rossa si è trovato ad avere a che fare con un'accozzaglia di ex centristi. Non è, infatti, sfuggito ai grandi esclusi che il portafoglio di Palazzo Marino è andato nelle mani di un esponente del Terzo Polo, Bruno Tabacci - espressione dei poteri forti che vorrebbero dire la loro sulla vendita di importanti partecipate del Comune - e che come vicesindaco non è stato nominato il piddì "trombato" Stefano Boeri ma Maria Grazia Guida, vicepresidente di quella Casa della Carità guidata da don Virginio Colmegna e che, dopo aver intascato svariati milioni di euro dalla Giunta Moratti, le ha voltato le spalle.

Le amministrative hanno aperto la strada. La consultazione referendaria ha confermato il trend. Non tanto nei numeri (già di per sé molto forti), quanto nei commenti che sono fioccati sui giornali cattolici. In primis Avvenire, appunto. "Il responso dei quattro referendum è chiaro, chiarissimo", spiega il direttore Marco Tarquinio nell'editoriale intitolato La macchina delle sberle. Quella delle sberle, sottolinea il giornale dei vescovi italiani, può sembrare un’immagine forte, ma "forte è soprattutto la realtà che fotografa e segnala. Nelle urne ma - prima ancora - nei circuiti associativi e nei circoli formali e informali, nei passa-parola di piazza e di internet, si è messa in moto una vera e propria 'macchina delle sberle'. Oggi la dose maggiore è toccata indubbiamente a chi governa - la coalizione Pdl-Lega e il suo leader Silvio Berlusconi - ma i destinatari potenziali sono un pò tutti i protagonisti della scena politica nazionale". In sostanza, c’è ormai "una vasta e crescente insofferenza per la qualità della politica attuale". Un contributo al cambiamento "è venuto e potrà ancora venire dai cattolici italiani, che hanno le idee chiare su ciò che negoziabile non è".

Ma da dove arriva e vuole arrivare questo cambiamento? Se Milano è solo l'inizio, il laboratorio ha radici profonde e passa anche dal porporato del cardinale Dionigi Tettamanzi che non è mai stato tanto tenero con il centrodestra. Ora, pare, il Vaticano vuole dare una sterzata alla diocesi meneghina mandando il cardinale Angelo Scola. "Si districherà tra rile­vanti e molto diverse eredità - scriveva domenica scorsa Giuliano Ferarra - ho l’impressione che il fu­turo pastore dei milanesi do­vrà, per i profili laici che sono parte della missione di un ve­scovo, scegliere tra una strate­gia della riconciliazione e una strategia della contraddizio­ne". Perché, da troppi anni, la diocesi e più in generale l'associazionismo meneghino ha abbracciato il buonismo e il relativismo del cattocomunismo.

"Abbiamo liberato Milano", ha tuonato il leader del Sel Nichi Vendola che ora punta a "liberare" i Palazzi romani. Stupisce che a far da sponda al governatore pugliese vi siano i vescovi. Non è infatti un caso che negli ultimi giorni la Cei si sia esposta con forza: "Il quorum superato di slancio va ben al di là del merito dei quesiti: rappresenta un messaggio diretto degli elettori, al di là degli schieramenti, direttamente al governo". Un messaggio chiaro che, in qualche modo, abbraccia e interpreta il comune sentire dei cattolici. Stupisce, però, che questo sentire disattenda gli input ripetuti più e più volte da papa Benedetto XVI sui valori non negoziabili. Valori che, col voto alla sinistra, vengono disattesi. Non è infatti un caso se dalla Giunta di Pisapia sia evaporato nel nulla l'assessorato alla Famiglia. Forse, proprio per combattere questa deriva il Santo Padre sta pensando di investire Scola di un incarico così importante.

lunedì 13 giugno 2011

Riflessioni

Un commento dal blog di Nessie preso a sua volta dal blog di Foa:

Cari tutti, poiché devo lavorare per pagare le tasse e mantenere l’esercito di fancazzisti che sono costretto a mantenere contro la mia volontà, mi limiterò a comunicarvi ciò che penso senza troppo argomentare.

A) Questo referendum è falso e ipocrita: il vero scopo era dare un colpo al Governo e la manovra è riuscita perfettamente anche grazie a a piccole e grandi complicità e bugie.

B) Gli Italiani, pur con tutto il bene che voglio al mio Paese ed ai suoi abitanti, sono un popolo di coglioni galattici che non vedono un dito aldilà dei loro bei nasi e gli Italiani di CDX insoddisfatti hanno regalato alla sinistra gli argomenti per sostenere che il Governo è in minoranza. Cupio dissolvi? Credo di si perché non si sceglie il peggio se c’è un “meno peggio” disponibile!

C) Lo sport di tagliarsi gli attributi fa sempre nuovi adepti. Io ai miei attributi ci tengo e quindi riprenderò le mie riflessioni, pur se abbandonate da oltre quindici anni, sulla possibilità di andarmene da questo Paese di pecoroni stupidi. Se avessi abbastanza soldi penso che farei subito le valigie.

D) Il CDX è allo sbando a causa del pressing dei media di sinistra, della magistratura rossa e dell’inconcepibile leggerezza di Berlusconi: mi pare ovvio che tutti lo spiino -c’erano già dei precedenti- e quindi perché ca..o dà feste nel bel mezzo di una crisi epocale? Non dico che debba vivere di pane e acqua ma un po’ più di morigeratezza avrebbe spuntato molte delle lance dirette a lui per colpire noi di CDX.

E) Il CDX deve liberarsi dei cortigiani lecchini che lo soffocano come l’edera soffoca l’albero che attacca.

F) Il CDX deve radicarsi nel territorio ma non con quelle ie illusioni che sono i “circoli” (sono stato socio fondatore di uno di questi ma non ne valeva la pena) che non servono ad altro se non a contare gli aficionados: i circoli non servono a un emerito c…o …ci vogliono patronati, luoghi dove trovarsi, lobbying con tutto e con tutti, collateralismo, eccetera: basta copiare dai rossi che in queste cose sono maestri…soprattutto di perfidia, ma maestri.

Beh, il CDX si ricostruisca e e si riproponga ma non si illuda perché ci aspetta una traversata del deserto.

Saluti a tutti Alberto

Dal web


MILANO - Per il sì oppure per il no o ancora per l'astensione, fate come volete ma fatelo sapere. Twitter. Le email. Facebook. I blog. Dicono gli esperti che i manifesti elettorali nelle strade sono superati e gli spot televisivi nemmeno più considerati. Da Obama alle rivoluzioni nordafricane fino alla vittoria del sindaco Pisapia a Milano, è Internet che racconta. E spinge, insiste, (s)muove.

Del resto non deriva forse, referendum, dal verbo latino che significa riferire, riportare? Ieri s'è cominciato presto. Maurizio Simonetto informava su Facebook: «Ore 8.35 fatto». E da lì in avanti apriti Rete. Una via l'altro. Sempre e comunque. Alessandra Pizzuto: «Ore 12.30 dopo messa il voto». Leonardo Mastroleo: «Dopo il mare 16.40 missione compiuta». E nel mentre consigli ripetuti («Non sovrapponete le schede, la carta è copiativa»), offerte promozionali (sconti nei negozi, biglietti aerei a prezzi ridotti, e da ultima in Versilia «se ti presenti con il certificato elettorale timbrato ti danno ombrellone sdraio + merenda») e un'infinità, davvero un'infinità di incoraggiamenti. Da corridore all'ultimo tornante. In un senso e nell'altro. «Andate a votare!», «Dai dai dai», «Mandate mail ai vostri conoscenti!», «Citofonate al vicino», e anche naturalmente «se avete dignità votate no», «boicottateli», «state a casa». Come andrà a finire? Antonio Sestomino, classe '91, da Gioia del Colle postava: «Se il quorum viene raggiunto è merito di Facebook». Chiedetegli l'amicizia e magari aggiungerà altro.

Fu molto online la campagna elettorale di Obama. Un'arma vincente. Spiegò Sam Graham-Felsen, «chief blogger» del presidente americano, che il segreto è stato trattare gli utenti d'Internet come parte dello staff. Non censurarli. Piuttosto ascoltare le loro storie. Dar voce, fiato e spazio. Un'operazione rischiosa, per carità. Ha ammesso Roberto Basso, a capo della campagna pro Pisapia, impostata proprio su Internet, che la «Rete non perdona». Nel senso che «ti scruta, esamina. E se necessario ti sbugiarda. Senza pietà». Ha raccontato Carlo Massarini, giornalista e fra i primi a credere in Internet, che è davvero cambiata l'aria. «La maggior parte delle persone sotto i 40 anni non si informa più attraverso la tv. Facebook ha assunto un ruolo chiave. E chi non lo capisce è in posizione di difficoltà».

Su Internet non basta esserci. Bisogna viverci. Per l'occasione sono stati modificati perfino nomi e cognomi. Nei profili sempre su Facebook una si è trasformata in Emanuela referendumquattrosì Giovannini e un altro in Marco antinucleare Galullo. Identificarsi. Per esempio in chi la pensa diversamente. Ecco nascere in Rete un giochino: compilare una lista di persone che probabilmente non voterebbero dopodiché contattarli in tutti i modi e accertarsi che prendano la via del seggio. Non sappiamo se saranno riusciti con Patti Fiorini, che voce forte d'un gruppo pro astensione insisteva: «Non vado a votare per l'uso strumentale e politico dei referendum. Su questioni serie si deve discutere nel modo più condiviso».

Domanda: ma quanti saranno? Nelle ultime settimane centinaia di migliaia di persone hanno usato la Rete per creare una «massa critica». Democrazia 2.0 è una forma di partecipazione diretta del cittadino alla politica. Si realizza grazie a Internet 2.0, piattaforme create per condividere rendendo il navigatore-elettore un protagonista. Sì, dite bene: come con Obama. «Da noi è un trend cominciato con le scorse elezioni amministrative» sostiene Marco Cacciotto, docente di Marketing politico alla Statale di Milano. Video creati dai cittadini, fotomontaggi, elaborazioni grafiche d'ogni sorta. «La creatività diventa un grandissimo strumento di mobilitazione. E sono gli stessi utenti che mandano agli amici link e generano opinione». Ma il vero ingrediente è l'ironia. «Far sorridere è tutto». Perché per la prima volta è cambiata la maniera di far campagna. E il suo pubblico. «Per molti anni», prosegue il professor Cacciotto, «si è pensato che si vince sfruttando gli anziani. Adesso è fondamentale investire su una generazione per anni messa da parte. I giovani». I giovani. I quali, vero, non scendono più in piazza. Quanta poca gente, almeno rispetto alle attese, l'altro giorno a Roma in piazza del Popolo per la chiusura della campagna a favore dei referendum. Drappelli anziché un esercito per un motivo preciso. È stata scelta la piazza virtuale. Dopo Facebook (17,8 milioni di utenti in Italia), Twitter comincia a piacere. E proprio ieri, le parole iohovotato e referendum2011 erano le più inviate. A spedirle politici, attori, cantanti. Un mare di appelli «a prescindere dalla preferenza». Resta fin troppo ovvio che la Rete non fa miracoli, la realtà è un'altra cosa, e quelli siamo. Avviso ai naviganti di Paola Verdat: «Votato alle 11 io e mia madre... 80 anni... si è dovuta fare le scale a piedi, xkè il seggio era al primo piano... ma ascensore guasto...».

Benedetta Argentieri Andrea Galli