martedì 31 maggio 2011

Good morning, Milan!


Questo è il clima in cui è cresciuto Piccardo junior che ha da subito sottoposto a Pisapia un fittissimo programma per cambiare Milano. "Milano - diceva in una intervista rilasciata ad aprile - deve riconoscere la sua multiculturalitá e avviarsi verso la costruzione di una società interculturale come sviluppo naturale e positivo del processo di arricchimento che la città deve vivere ma che si è praticamente fermato da anni per il provincialismo delle giunte di destra e della ultima giunta Moratti in particolar modo". Tra le richieste spiccano la necessità di spazi comuni, agevolazione per tutti coloro che percipiscono un reddito basso e politiche per favorire l'agevolazione. Nel suo programma Pisapia ha pienamente accolto le richieste di Piccardo assicurando la costruzione di "un grande centro di cultura islamica", favorendo l'ingresso ai concorsi pubblici anche agli immigrati provvisti del solo permesso di soggiorno e introducendo il voto agli immigrati almeno nei consigli di zona. Il forte esame tra Pisapia e la comunità islamica milanese è stato confermato anche dall'immediata revoca della marcia di oggi pomeriggio. Una manifestazione fortemente voluta da Piccardo ma osteggiata dal comitato di Pisapia perché rischiava di essere controproducente ai fini del ballottaggio. Il messaggio è chiaro: ora state buoni, se poi veniamo eletti facciamo quello che ci pare...

Qui, il programma di Vendola su Milano. Buongiorno, Milano!

lunedì 30 maggio 2011

Quando...

... dicevo, e non lo dicevo soltanto io, ovviamente, che alla fine gli sbagli si pagano cari... ecco qui. Non c'è molto da aggiungere. Forse gli elettori di centrodestra sono un pò meno coglioni e creduloni di quelli di centrosinistra. Campagne elettorali completamente sbagliate, promesse mancate, caos nelle coalizioni... le sparate della lega e quelle dello stesso pdl. La gente vuole cose concrete e non solo chiacchiere che vengono poi ritrattate. Certo, mettersi nelle mani dell'estrema sinistra, della sinistra stessa e dell'idv... non è nemmeno di buonsenso ma tant'è. E tra poco ci sarà il botto finale della fine di questa legislatura.

Tra nucleare, Libia e un pizzico di Urss: ora auguri di buon comunismo a tutti. Vendola grida alla "fine della dittatura" e il popolo esulta. Il Cavaliere lo ripete spesso: "Esistono. E sono pure tanti"

Era il 1986, pochi mesi prima che A. venisse al mondo: esplose la centrale di Chernoby. Un anno dopo un referendum stabiliva: in Italia niente atomo. Cresceva la paura di un disastro nucleare, e con lei la diffidenza del Belpaese nei confronti di quegli impianti che ci servirebbero come ossigeno. Intanto quelle centrali, oggi, continuiamo a combatterle. Ma questo è un altro discorso. Nel luglio dello stesso anno l'Italia dichiarò l'embargo di forniture militari alla Libia (di Gheddafi). Certo, non si trattava di una guerra, ma è facile scorgere qualche analogia con il presente. Spostiamoci indietro di qualche mese, torniamo nel 1985, quando quel simpatico ometto con una macchia in fronte divenne segretario generale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica. E' Michail Gorbacëv, l'uomo della perestrojka e di glasnost, l'uomo che - volente o nolente - ha fatto calare il sipario sull'Unione Sovietica e sul comunismo in Europa. E quindi nel mondo.

Soffiava un vento nuovo, quando A. muoveva i primi passi e non capiva nulla di quel che gli accadeva intorno. Uno dei suoi primi ricordi - ha un padre che quando sente il rombo del motore Ferrari trasale per l'emozione - è quello del terribile incidente di Ayrton Senna. Questo per dire che tutta quella gente arrampicata su un muro, tutta quella gente che lo distruggeva con martelli, martelletti e tanta rabbia liberatoria, per lui non significava nulla. Come nulla significavano Chernobyl, Gorbacëv, la Libia e l'Urss. Poi, anche a lui, è toccato leggere le pagine dei libri di storia. A scuola, con sommo dispiacere, non gli propinavano soltanto gli almanacchi dei Gran Premi. Così ha scoperto qualcosa su Chernobyl, sulla Libia e su Gorbacëv (su Senna aveva già dato). Così ha scoperto che quel 9 novembre del 1989 era successo qualcosa di importante. Sarà stato il vento radioattivo della centrale Ucraina, sarà stato che il buon Michail non sapeva più che pesci pigliare, oppure sarà stato che, insomma, quel premio Nobel per la pace lo voleva. E come lo voleva. E meno male che lo voleva. Sarà stato tutto questo, ma intanto quel muro crollava, pezzettino per pezzettino. Berlino tornava unita e il comunismo viveva il suo giorno simbolicamente più drammatico. Era finita un'era. Come ci ha insegnato quel capolavoro che è Goodbye Lenin, gli abitanti dell'est avrebbero potuto mangiare cetrioli non soltanto di marca Spreewald. In quel film, per dirla tutta, la signora voleva solo cetriolini Spreewald. Ma si sa, ai registi piacciono le bizzarrie. A tutti gli altri teutonici marchiati da lunghi anni rossi, invece, cominciò a piacere l'aria meno viziata del sogno capitalista. Piacevano i grandi magazzini. Impazzirono per la Coca Cola.

Cetriolini a parte, gli erano poi rimasti impressi i vaghi ricordi di quel Tg1 che aveva rapito l'attenzione di mamma e papà, nel 1991. Nel consueto lavoro retroattivo, ha rimesso insieme i cocci delle sue reminiscenze: quei carri armati che marciavano su Mosca volevano dire che l'Unione Sovietica non c'era più. Addio pure a Gorbacëv, che rispetto a quanto ci aveva regalato in precedenza il Pcus sembrava una manna dal cielo. Addio al comunismo. Ogni tanto si faceva sentire solo quel simpatico matto di Fidel, che a migliaia e migliaia di chilometri di distanza, e a poche manciate di metri dal 'mostro imperialista', gli Stati Uniti, gli faceva quasi simpatia (torture e sistematiche violazioni dei diritti umani a parte). Un comunista al largo di Miami era (e resta) incredibile. Sono passati venticinque anni dal 1986 da cui hanno preso spunto queste riflessioni. A. è nato e vissuto a Milano, dove di centrali nucleari non se ne sono mai viste, in quella Milano dove alcuni ministri sognano di avere l'atomo nel loro giardino. Ma questo - un'altra volta - è un altro discorso. Eppure i corsi e ricorsi storici fanno quasi sorridere. Siamo ancora qui a discutere del nucleare, gli attivisti di Greenpeace si calano dal tetto dell'Olimpico durante la finale di Coppa Italia e, probabilmente, un (altro) referendum seppellirà gli impianti ancor prima del primo mattone. Ma non è tutto. La Libia è prepotentemente tornata agli onori delle cronache, e anche in questo caso l'abbiamo scaricata: a questo giro non si tratta di embargo delle armi, ma di bombe belle e buone.

Corsi e ricorsi finiti? No, ce n'è un altro. Del comunismo ci eravamo dimenticati. Sì, c'è un presidente del Consiglio che spesso ricorda: "Attenti. Esistono ancora, e ce ne sono tanti". A. aveva i suoi dubbi, ma si sà che Berlusconi non rinuncerà mai a cavalcare le sue convinzioni. Eppure... Eppure scopre che nella sua città, dove un ballottaggio non si vedeva dal 1993 - da quando vinse Formentini, candidato 'scomodo', il primo Sindaco della neonata e urlante Lega Nord che fece breccia nel puritanesimo meneghino – nella sua città vince Giuliano Pisapia. Una vita in Rifondazione Comunista prima e con Sinistra e Libertà (e Vendola) poi. Pisapia espugna la roccaforte del centrodestra. L'avvocato di Carlo Giuliani, una persona di grande spessore ma dalle idee difficilmente digeribili per la città, è il sindaco di Milano. Non sarà il candidato dei centri sociali, ma i centri sociali sono contenti, garantito. In piazza del Duomo, l'abile retore Nichi Vendola chiede elezioni anticipate ed esulta: "E' la fine di un ciclo politico e culturale durato 15 anni, è la fine della dittatura della pornografia", spiega. Pure a Napoli vince Luigi De Magistris, che comunista non è ma sembra più comunista dei comunisti per quella 'vaga' tendenza all'autoritarismo. Bene. Probabilmente nessuno sarà costretto a trangugiare cetriolini Spreewald. Per liberarci della sinistra Umberto Bossi non marcerà su Milano né con i tank né con una Grand Cherooke. Muri per dividere la Lombardia in due non verranno eretti. Semmai una moschea. Non ci saranno leggi speciali né premi Nobel, piuttosto solo tempeste fiscali. Però, alla fin della fiera, un sospetto gli è venuto: vuoi vedere che Silvio aveva ragione? Godeteveli, i comunisti.

domenica 29 maggio 2011

Maroni vs Malta


Dopo una settimana sono ripresi gli sbarchi di clandestini a Lampedusa. In meno di due giorni sono arrivati più di 1500 profughi sull'isola siciliana e alucne imbarcazioni sono state soccorse in mare a causa di avarie. L’Italia ha segnalato all’Unione europea il mancato soccorso da parte di Malta a uno di questi barconi in avaria carichi d’immigrati. "Unità della guardia costiera italiana sono intervenute la scorsa notte all’interno della zona SAR (Search and Rescue) di competenza maltese in soccorso di un imbarcazione in avaria con a bordo 209 persone che sono state condotte a Lampedusa".

L’Italia "ancora una volta nel primario interesse della salvaguardia della vita umana in mare - rileva il Viminale - a fronte del mancato intervento da parte di Malta, ha evitato una nuova possibile tragedia". Così, "tramite il rappresentante diplomatico permanente d’Italia presso l’Ue, il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, ha segnalato il caso alla Commissaria europea, Cecilia Malmstrom, chiedendo ancora una volta di adoperarsi affinchè vengano rispettati la competenza e il dovere di intervento nelle rispettive zone SAR da parte di tutti i Paesi membri, assicurando il corretto svolgimento delle operazioni di ricerca e salvataggio in mare".

Sono 220 i migranti soccorsi quest'oggi e già arrivati al porto di Lampedusa. Segnalata dalle autorità maltesi, un'imbarcazione è stata infatti soccorsa in acque italiane dai mezzi della Guardia di Finanza e dalla Capitaneria di porto visto che imbarcava acqua. 62 persone sono state trasbordate su un mezzo della Gdf, altre 158 su quello della Guardia Costiera. Sono tutti uomini, e stanno tutti bene. Al momento non c'è stato nessun altro avvistamento. Un barcone con circa 150 migranti a bordo proveniente dalla Tunisia che si trova ad una cinquantina di miglia da Lampedusa, ha lanciato poco fa un allarme per un’avaria al motore. Il barcone è stato avvistato da un peschereccio, che ha dato l’allarme alle autorità di Malta poichè il barcone si trova in acque Sar di sua competenza. I maltesi hanno però chiesto l’intervento delle autorità italiane sostenendo di non avere motovedette disponibili. Da Lampedusa sono così partite due motovedette per soccorrere il barcone. E un altro intervento di ricerca e soccorso è in corso a Pantelleria: un gommone con 8 persone a bordo ha lanciato l’allarme con un telefono satellitare per un’avaria al motore. Alla ricerche del gommone partecipano tre motovedette, due elicotteri e una nave della marina.

The lebanon


Primavera araba? Fateci il piacere, chiedetelo ai nostri militari in missione senza un chiaro progetto in Afghanistan, a quelli per fortuna solo feriti ieri in Libano. La verità è che la politica estera europea e americana non sono mai state così prive di senso, che l’Afghanistan ristagna, la Libia scambiata per rivolta di popolo contro Gheddafi resiste, ci prepariamo a riempire di quattrini l’Egitto senza nessuna garanzia di non ritrovarci un secondo Iran, la stessa cosa vale per la confusa situazione in Tunisia, anche se meno segnata dal controllo nefasto dei Fratelli Musulmani; stiamo zitti, inermi, di fronte alla strage di popolo in Siria. Le missioni italiane, dunque, vanno riviste e correte profondamente, senza aspettare il prossimo attentato e il morto vero, non è questione di quante missioni abbiamo e di quanto costano, anche se vite umane e costi in tempo di crisi qualcosa dovrebbero contare, ma di sapere a che cosa servono.

“Proporrò, al prossimo Consiglio dei Ministri, il ritiro delle nostre truppe dal Libano, per reperire mezzi e risorse”, dichiarava alcune settimane fa il Ministro leghista Roberto Calderoli. Il Ministro della Difesa Ignazio La Russa ha allora dichiarato che “è prevista una progressiva diminuzione delle nostre truppe in Kosovo e in Libano”, aggiungendo che “è corretto immaginare di portare i nostri uomini intorno alle 1.000 unità”. Dal punto di vista politico, però la politica estera italiana si fa con le Forze Armate. L’esempio eclatante è proprio il Libano. UNIFIL (United Nations Interim Force in Lebanon), Forza di Interposizione in Libano delle Nazioni Unite, creata il 19 marzo del 1978 con le risoluzioni 425 e 426 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, fu ampliata e rafforzata nel 2006 con la risoluzione 1701.

La missione italiana in Libano è stata infatti cinque anni fa il fiore all’occhiello della politica estera di Massimo D’Alema e del governo Prodi. Con il pretesto della reazione "sproporzionata" di Gerusalemme agli attacchi di Hezbollah, si era presentata finalmente l’occasione di dare un segno di "discontinuità con Berlusconi" e il ministro ne aveva approfittato D’accordo col Presidente del Consiglio, Romano Prodi, si era fatto promotore del potenziamento della forza d’interposizione Unifil in Libano, offrendo il contingente più numeroso (3 mila soldati) e richiedendone il comando. In questo modo, ha preso il via l’operazione Leonte, la più costosa della storia italiana: 600 milioni di euro all’anno, 100 in più di Antica Babilonia in Iraq e oltre il doppio dello stanziamento destinato all’Afghanistan. Scopo dichiarato dell’iniziativa il rilancio del ruolo dell’Europa e delle Nazioni Unite quali garanti della sicurezza in Medio Oriente. Nell’ottica dalemiana, grazie al "cessate il fuoco tra le parti internazionalmente garantito, è stato possibile separare le dinamiche interne libanesi dal fronte esterno di una guerra con Israele". Peccato che gli amici di Hezbollah, amici di D’Alema, se ne siano infischiati delle garanzie internazionali e abbiano usato il cessate il fuoco come una tregua di cui approfittare per riorganizzarsi, con la protezione dalle possibili incursioni israeliane, non prendendo in considerazione nemmeno per un momento l’idea del disarmo, anzi ponendola come condizione ufficiosa.

E oggi? UNIFIL ha il compito di sostenere l’Esercito libanese nel disarmo di tutte le milizie illegali presenti in Libano, comprese quelle di Hezbollah. Ci riesce nella nuova situazione tanto radicalizzata? No, anzi è l’esempio di un fallimento più generale, tra troppi pochi soldi stanziati e regole di ingaggio grottesche, tra politica ondivaga europea verso Israele e il mondo arabo. Se il fine politico non è chiaro, se i mezzi sono inadeguati, allora contano le cifre dell perdite, e sono brutte. In vent’anni di inconcludenti missioni all’estero abbiamo accumulato 116 caduti militari, Pochi, a paragone dei 5.888 americani caduti in dieci anni solo in Iraq e Afghanistan, dei 542 inglesi e dei 154 canadesi: ma i nostri 70 solo in queste missioni sono al quarto posto, prima dei 53 francesi, 52 tedeschi, 48 polacchi, 47 danesi e 42 spagnoli. Senza contare i giornalisti e i cooperanti, i 181 militari e civili reduci dalle aree in cui sono state usate armi con uranio impoverito e deceduti negli anni seguenti per tumori.

di Maria Giovanna Maglie

Stessa domanda: "Che ci stiamo a fare il Libia?"

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MILANO - Un barcone con circa 150 migranti a bordo proveniente dalla Tunisia che si trova ad una cinquantina di miglia da Lampedusa, ha lanciato sabato sera un allarme per un'avaria al motore. Il barcone è stato avvistato da un peschereccio, che ha dato l'allarme alle autorità di Malta poiché il barcone si trova in acque Sar di sua competenza. I maltesi hanno però chiesto l'intervento delle autorità italiane sostenendo di non avere motovedette disponibili. Da Lampedusa sono così partite due motovedette per soccorrere il barcone. E un altro intervento di ricerca e soccorso è in corso a Pantelleria: un gommone con 8 persone a bordo ha lanciato l'allarme con un telefono satellitare per un'avaria al motore. Alla ricerche del gommone partecipano tre motovedette, due elicotteri e una nave della marina.

MARONI - Un «decreto» da presentare «al prossimo Consiglio dei ministri» - «se il governo rimarrà in piedi» - «per correggere la direttiva europea che di fatto impedisce le espulsioni forzate» dei clandestini. Lo annuncia il ministro dell'Interno Roberto Maroni in un'intervista a Libero, precisando: «abbiamo ribaltato il principio: la regola è l'espulsione coattiva e l'eccezione è il semplice foglio di via». «Del resto - prosegue - abbiamo cominciato a farlo già nei primi cinque mesi di quest'anno. I numeri dimostrano che abbiamo non solo evitato l'interpretazione restrittiva data dall'Ue con la direttiva del dicembre scorso, ma anche intensificato l'attività di espulsione. Dal primo gennaio al 29 maggio 2011, gli extracomunitari effettivamente rimpatriati sono 9.318, praticamente il doppio di tutti quelli del 2010, grazie soprattutto agli accordi con la Tunisia». Maroni invita a leggere «alla luce delle differenze» le statistiche dell'Eurostat sulle espulsioni operate dai Paesi Ue, che assegnano all'Italia una percentuale più bassa rispetto agli altri Stati membri: «per la Germania o la Francia - spiega - espellere vuole dire accompagnare gli immigrati irregolari alla frontiera interna più vicina, ad esempio l'Italia», mentre per noi «significa rimpatriarli nei Paesi d'origine», operazione «molto più complicata» che nel 2011 si prevede costi «250 milioni di euro tra salvataggi in mare, prima assistenza a Lampedusa, catering, attività delle commissioni territoriali per le domande di asilo». Maroni individua un «secondo handicap» italiano, dato «da un'attività molto intensa, in particolare della magistratura, che cerca di vanificare» le iniziative del governo «volte al rimpatrio dei clandestini». Terzo «ostacolo» quello delle regole comunitarie, «che sembrano fatte apposta per rendere più difficili i rimpatri tipici dell'Italia, quelli nei Paesi extra-Ue», come la direttiva di fine dicembre secondo cui non si possono fare rimpatri forzosi: «il paradosso è la richiesta europea di maggior attività nei rimpatri effettivi, salvo poi stabilire che quelli coatti devono essere l'eccezione solo se rappresenta un rischio per la sicurezza nazionale. La regola è il foglio di via, che deve contenere un termine non inferiore a sette giorni. Ciò rende impossibili i rimpatri effettivi». Sull'arrivo di nuovi migranti Maroni afferma che per quanto riguarda l'azione di contrasto in Tunisia «le prospettive sono buone», decisamente meno lo sono invece in Libia, «pessime e collegate alla guerra»: le persone «vengono spedite in Italia dal regime» di Gheddafi.

sabato 28 maggio 2011

Solaris


Immagine presa in prestito dal web

Allora, io vivo più o meno tra quelle dolci colline, si, qualche tempo fa lo erano. Vi chiederete che diavolo è quella cosa "specchiata" al centro dell'immagine, vero? Sono ecologicissimi pannelli solari e ogni giorno ne crescono come funghi dappertutto in quasi tutta la campagna del circondario. C'è una forte domanda e c'è una altrettanto forte risposta... da circa tre anni a questa parte. Perchè dico da circa 3 anni? Da quando c'è la nuova provincia guidata dal pd e da una forte componente di estrema sinistra (ecologgica, ovviamente) e i "debiti" si devono pagare. E invece che, intelligentemente sistemare quegli orridi cosi sui tetti di condomini, aziende o centri commerciali, loro, gli ecologgisti della provincia rossa, li fanno mettere sui campi coltivabili deturpando barbaramente l'ambiente circostante e togliendo spazio alle coltivazioni senza farci troppo caso. E io, questo schifo devo vedermelo tutti i giorni facendo il tragitto di strada per andare al lavoro e per tornare a casa la sera. Ripeto, orrore e vergogna. E la provincia dovrebbe fare i conti con altri disagi peggiori (lavoro, sanità, giovani, immigrazione e delinquenza) ma che preferisce ignorare perchè non ha nè buone soluzioni e nè tantomeno immediate, o meglio, non sa proprio dove mettere le mani... O forse lo sa. Nel frattempo ci guadagnano coloro che commercializzano tali impianti che ovviamente affiancano i nostri politici... poi, per il resto si vedrà e la mia provincia affonda.

Ah ah ah, ma va?


Milano - Preoccupato dalla fuga di decine di carcerati da Monastir, il ministro dell’Interno Roberto Maroni l’aveva dichiarato già a febbraio. «C’è il pericolo che i detenuti scappati dalle prigioni tunisine attraversino il breve braccio di mare che li separa dall’Italia e che ce li ritroviamo fuori dalle nostre case, sotto le spoglie di rifugiati politici». Si sapeva che chi avrebbe potuto sarebbe scappato. E il ministro, allora, temeva infiltrazioni di tipo terroristico. Invece in Italia dalla Tunisia sono arrivati dei veri e propri malviventi, pluriomicidi e ladroni, molti dei quali erano stati condannati all’ergastolo dal regime di Ben Alì. E che, invece, superato il fotosegnalamento di Lampedusa, tra il 5 e il 18 aprile scorso, come previsto dal decreto governativo, hanno raggiunto varie città della penisola riuscendo a ottenere il permesso di soggiorno temporaneo per motivi umanitari. Non trattandosi di crimini commessi in Italia, i vari uffici immigrazione delle nostre questure non ne erano a conoscenza e, perciò, non hanno potuto fermarli. E, quel che conta di più, hanno concesso loro il permesso.

Se n’è accorta recentemente l’Interpol. Che ha diffuso una lista di nomi di questi tunisini con alle spalle vicende criminali e processuali talvolta inquietanti (alcuni di loro sono classificati come «criminali pericolosissimi»), alle varie questure d’Italia. Affinché, qualora venissero fermati per dei controlli, siano rispediti immediatamente in Tunisia a scontare le pene a cui erano stati condannati. È il caso, ad esempio, di Hicham Ezheni, classe 1977, condannato in Tunisia all’ergastolo per omicidio e che ha ottenuto a Milano il permesso di soggiorno per motivi umanitari. O quello di Sami F., 33 anni, condannato a 8 anni per reati non specificati, ma considerato «estremamente pericoloso». Lui il permesso l’ha ottenuto a Imperia.

La questura di Bologna ha rilasciato il permesso invece ad Anis A., 23 anni, già in carcere in Tunisia per rapina a mano armata e stupro e ad Amin S., 21enne condannato a 5 anni per furto e borseggio. Sempre nella città delle due torri il documento valido sei mesi negli stati dell’area Schengen è stato rilasciato a Mahdi B., 21 anni, un balordo già finito in carcere in Tunisia e fratello del più noto Imad, considerato uno dei «capi dell’organizzazione del traffico di stupefacenti a Roma». La lista, che conta una trentina di nomi, potrebbe allungarsi con il passare del tempo. Quando dalla Tunisia giungeranno gli elenchi completi e certi dei criminali fuggiti dalle carceri del loro paese e il cui arrivo in Italia è stato accertato grazie alla fotosegnalazione di Lampedusa.

Intanto l’Organizzazione internazionale della polizia criminale ha sottoposto all’attenzione delle questure e degli investigatori della nostra polizia anche i nomi di Bolbaba A. e Amin M. Il primo ha 39 anni e in Tunisia è stato condannato a 30 anni per omicidio; l’altro è un 29enne ed è anche lui un assassino che deve scontare l’ergastolo. Entrambi sono considerati molto pericolosi e si sa che sono fuggiti dalla Tunisia e che, tra l’1 gennaio e il 5 aprile sono riusciti a entrare in Italia, passando per Lampedusa. Per precauzione i loro nomi sono stati messi in bell’evidenza all’interno degli uffici immigrazione. Dove, qualora si fossero presentati con la loro vera identità in qualità di profughi, sarebbero stati subito ammanettati e portati in carcere. Ormai di permessi di soggiorno per motivi umanitari non se ne concedono più, il tempo è scaduto. Ma chi ci assicura che questi criminali non siano riusciti a ottenerlo sotto falso nome? Purtroppo nessuno.

venerdì 27 maggio 2011

Sovvenzionare il terrorismo islamico


MILANO - Un pacchetto finanziario globale da 40 miliardi di dollari per sostenere la primavera araba. È questa la proposta fatta dal presidente francese, Nicolas Sarkozy, al tavolo del G8, secondo quanto riferito in conferenza stampa dal ministro delle finanze tunisino, Jalloul Ayed. «Quello che il presidente Sarkozy ha annunciato - ha detto il ministro tunisino - è un pacchetto globale di 40 miliardi di dollari per la regione. Questo pacchetto - ha aggiunto - non è stato suddiviso tra i vari Paesi. Questo sarà deciso nell'ambito di riunioni dei ministri degli affari esteri e delle finanze che si terranno da qui a fine luglio per meglio articolare il programma di aiuti». Le rivolte dei Paesi nordafricani e mediorientali, in particolare quelle di Libia e Siria, sono al centro del documento finale del vertice. Gli aiuti - si legge nella bozza del comunicato finale - saranno erogati dalle istituzioni finanziarie internazionali (vedi l'Fmi) e dalle banche multilaterali di sviluppo (vedi la Bers o la Bei) e saranno legati «al sostegno allo sviluppo e a un adeguato sforzo sul fronte delle riforme».

IL PARTENARIATO DI DEAUVILLE - «Lanciamo oggi il Partenariato di Deauville con il popolo della regione - si legge nel testo - , ispirato ai nostri obiettivi comuni per il futuro, alla presenza dei primi ministri di Egitto e Tunisia - i due paesi che hanno dato origine al movimento - e del segretario generale della Lega araba». Il G8 chiede anche «l'immmediata cessazione dell'uso della forza del regime contro i civili in Libia» e «sostiene una soluzione politica nel paese» che risponda «alla volontà della popolazione». Quanto alla Siria, «si fermi l'uso della forza e delle intimidazioni alla popolazione» auspicando un dialogo e una stagione di riforme in risposta alle richieste del popolo».

LE RIVOLTE - I leader proseguono in mattinata i lavori in una prima sessione nel formato «a otto» per poi allargare la riunione ai rappresentanti dei Paesi africani. Per un giro di tavolo che dalle rivolte in Nordafrica agli aiuti, dall'accesso all'energia ai cambiamenti climatici, terminerà con la colazione di lavoro. E l'approvazione della dichiarazione finale con cui il G8 dovrebbe condannare la repressione in Libia e Siria, sottolineando la necessità che il colonnello Muammar Gheddafi - «che ormai non ha più legittimità» - se ne vada. Usa e Francia sono «determinati a terminare il lavoro in Libia» ha detto il presidente americano Barack Obama nel corso di una conferenza stampa congiunta con il presidente francese Nicolas Sarkozy. E una portavoce dell'Alleanza ha spiegato a Bruxelles che a due mesi dalla campagna militare in Libia, il regime di Gheddafi è «più debole, ma rappresenta ancora una minaccia per il suo popolo» e che pertanto la Nato continuerà le azioni fino al compimento del suo mandato. Nel documento finale del vertice francese dovrebbe essere inserita inoltre la richiesta a Damasco di fermare la repressione violenta delle manifestazioni, pena una possibile azione al Consiglio di sicurezza dell'Onu. Dura la condanna, inoltre, delle violenze nello Yemen.

LA CRISI E IL GIAPPONE - Atteso passaggio anche sulla crisi economica - la ripresa c'è ma restano rischi legati al costo delle materie prime - con un invito a proseguire sulla strada del risanamento dei bilanci e delle riforme. Senza accenni alla Grecia, che non dovrebbe comparire nel documento anche se il rischio default ellenico ha aleggiato nell'aria. E, ancora, un segnale di solidarietà al Giappone colpito dal Sisma. Oltre al nucleare del dopo-Fukushima. Il G8 di Deauville - dove non è mancato anche il gossip con gli occhi puntati sul pancione di Carla Bruni Sarkozy - terminerà nel primo pomeriggio con la conferenza stampa finale del presidente Sarzoky cui seguiranno quelle nazionali.

I COMPLIMENTI A SARKOZY - In mattinata la conferenza stampa congiunta con Barack Obama si è conclusa con un Sarkozy visibilmente emozionato. Il presidente Usa ha ringraziato il collega per la «meravigliosa ospitalità», ma soprattutto «per la leadership» che il presidente francese ha saputo esercitare nel corso di questo vertice e, ha lasciato intendere, anche più in generale in questi ultimi mesi nel contesto internazionale. «La Francia - ha aggiunto - è uno dei nostri alleati più vicini, condividiamo la visione sul modo di affrontare le sfide del mondo». Al termine della conferenza stampa, dopo una vigorosa stretta di mano, Sarkozy è sceso dal piccolo palco con l'aria molto soddisfatta.

giovedì 26 maggio 2011

Milano...


Milano - Momenti concitati che rischiano di bruciare i sei punti percentuali di differenza su Letizia Moratti. I musulmani decidono di marciare nel centro di Milano per sostenere il candidato della sinistra ai ballottaggi, Giuliano Pisapia. Scoppia subito il caos. Pisapia va nel panico, spaventato soprattutto dai sondaggi: teme che replicare una piazza del Duomo invasa da islamici (questa volta vestiti di arancione) possa essere un colpo tanto fatale da fargli perdere le elezioni - che lui considera già vinte. "Si è creato un caso sul nulla - spiegano gli organizzatori al Fatto Quotidiano - di certo non intendiamo fare un favore a Letizia Moratti ma dimostrare che siamo cittadini normali, in questo clima di odio forse sarebbe utile rassicurare i milanesi piuttosto che lasciare che questa destra becera ci dipinga come una sorta di criminali e terroristi". Così, su pressante richiesta del Comitato di Pisapia, Piccardo annulla - con rammarico - il corteo. La sola e unica agenzia a battere la notizia ieri pomeriggio è stata l'Adnkronos (leggi l'articolo). E' un vero e prorpio appello. Il comitato "Musulmani per Pisapia", guidato il 29enne vendoliano Davide Piccardo, chiama a raccolta tutti i musulmani di Milano e li invita a scendere in piazza per sostenere le politiche che Pisapia vorrà attuare a Milano. "Invito tutti a venire vestiti con qualcosa di arancione - chiede l’esponente del Sel - che può essere una maglietta, ma anche un hijab (velo islamico, ndr). Cammineremo fino al Castello Sforzesco volantinando e convincendo le persone a dare fiducia al cambiamento". "L’idea di portare i musulmani in piazza per sostenere Pisapia - spiega Piccardo - è venuta in questo contesto in cui lo scontro politico si fa aspro e il centrodestra, con il premier Silvio Berlusconi in primis, utilizza i musulmani come spauracchio. Partecipare attivamente alla campagna elettorale ci sembra la migliore risposta a chi alimenta la paura e le discriminazioni".

Nell'indifferenza generale degli altri media noi del Giornale riprendiamo la notizia. Ed è subito il caos. Il comitato elettorale di Pisiapia va nel pallone: teme una Caporetto ai ballottaggi. C'è il rischio, infatti, che la marcia sul Duomo bruci in un solo pomeriggio il distacco incassato al primo turno sul sindaco uscente. "Un'iniziativa che non ci risulta - afferma Maurizio Baruffi, portavoce di Pisapia - abbiamo anche chiesto alla questura, ci hanno confermato che non è stata chiesta alcuna autorizzazione". Così, sentito il Comitato di Pisapia, Piccardo decide di fare retro marcia: manifestazione annullata. Niente da fare. Al Fatto rivela che "era soltanto un volantinaggio, una passeggiata da San Babila fino a piazza Castello" (leggi l'articolo). Poi ammette: "Con il comitato di Pisapia abbiamo deciso di annullarla, troppo alto il rischio di strumentalizzazione".

"Fino a pochi giorni fa era tutto normale. Poi hanno cominciato ad attaccare Pisapia su questa storia assurda delle moschee, a diffondere il panico. Ma non possiamo mica vivere nella paura e nasconderci". Davide Piccardo è un esponente di Sinistra e Libertà: primogenito dei cinque figli di Hamza Piccardo, dirigente dell'Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia (Ucoii), si sta laureando in Scienze politiche con una tesi una tesi sui luoghi di culto a Milano. "Il nostro comitato è nato mesi fa, abbiamo già organizzato numerose iniziative e quella prevista per domani (oggi, ndr) era soltanto un volantinaggio - spiega Piccardo al Fatto - una passeggiata da San Babila fino a piazza Castello con l’intento di mostrarci per quel che siamo: ragazzi, nati in Italia, laureati, professionisti, cittadini normali insomma. E in questo periodo di caccia all’islamico ci sembrava il modo giusto per far capire, vedendoci, che di noi non c’è nulla di cui aver paura".

Piccardo ammette di non aver deciso autonomamente la revoca della manifestazione. "Ho parlato con il comitato - spiega - abbiamo deciso insieme". Una decisione che al figlio del fondatore dell'Ucoii brucia. Gli fa male soprattutto non aver ricevuto solidarietà dalla sinistra che tanto si fa portatrice dei valori di integrazione. "Non era una manifestazione rivendicativa ma una iniziativa per dire che siamo persone normali che partecipano in modo normale - spiega Piccardo - mi sarei aspettato più solidarietà". Solo la Cei, ieri mattina, si è schierata a favore della costruzione della nuova moschea a Milano. Dal canto suo l'Ucoii, invece, ha colto l'occasione per forzare la mano e attaccare duramente il governo accusando Berlusconi di essere "stonato e offensivo". "Il rispetto di ogni credenza ed etnia è patrimonio irrinunciabile di ogni Stato, che nel riconoscimento dei diritti radica i suoi valori e doveri", spiega l'associazione ricordando che "le azioni criminali non superano i limiti fisiologici derivanti dalle condizioni sociali e anche in questo parametro la comunità islamica è sensibilmente poco deviante". In realtà, la maggior parte dei musulmani non si identificano per nulla con l'Ucoii. "Il terrorismo in Italia esiste - commenta l'onorevole Souad Sbai - la maggioranza musulmana moderata si riconosce solo nella Consulta islamica del Viminale, alla regolarità e alla trasparenza". Secondo la Sbai, infatti, "non saranno certo i blandi tentativi di mistificazione di una piccola associazione non rappresentativa a intralciare un processo normativo già in corso".

In realtà, anche la revoca dimostra il forte legame tra Pisapia e la comunità islamica. Un legame che il candidato della sinistra tradurrà nella costruzione della più grande moschea del Nord Italia. Nel suo programma c'è, infatti, scritto: "Riteniamo che la realizzazione di un grande centro di cultura islamica che comprenda, oltre alla moschea, spazi di incontro e di aggregazione, possa essere non solo l'esercizio di un diritto, ma anche una grande opportunità culturale per Milano". La proposta del vendoliano ha subito scatenato vivaci polemiche legate soprattutto ai forti problemi di sicurezza connessi alla predicazione nelle moschee. Il timore di attentati terroristici è stato sollevato da molti politici, e non solo delcentrodestra. Tuttavia, dopo aver incassato un parziale "sì" dalla Cei, Pisapia è sempre più determinato ad andare avanti su questa strada e, in caso di vittoria, a costruire un grande polo sul modello "positivo" di viale Padova.

Ma, giustamente, come scrive Samuela in questo commento, il problema non è solo la moschea o le moschee, i problemi a Milano ne sono tanti... da dovunque si guardi la cosa, non esiste il bicchiere mezzo pieno. Bluff o liberazione dalla vergogna? Qui.

mercoledì 25 maggio 2011

Obama, il terrorismo e la primavera araba...


Il terrorismo, la Libia e le rivolte arabe, il dialogo per la pace in Medioriente, i rapporti Usa-Gb. Barack Obama e David Cameron ne hanno parlato nel corso di un incontro durato più di novanta minuti a Londra. Fra Londra e Washington «c'e una relazione più forte che mai, condividiamo valori e ideali» ha detto il presidente americano al termine del bilaterale. Cameron ha anche annunciato che Gran Bretagna e Stati Uniti promuoveranno al G8 un programma di appoggio alla «primavera araba». «È enormemente nei nostri interessi appoggiare la democrazia per rendere il mondo un luogo più sicuro», ha chiarito il premier britannico. «Possiamo sconfiggere Al Qaeda» ha detto il premier britannico aprendo la conferenza stampa congiunta e congratulandosi con Obama per l'azione in cui è morto Bin Laden: «È stata una vittoria per la giustizia». Cameron ha evocato l'11 settembre e ricordato la vicinanza che tutto il mondo ha provato per New York colpita dai terroristi. Ha detto che sua moglie Samantha era a New York quel giorno e evocato la sua pena nel cercare senza successo di raggiungerla per alcune ore.

LA LIBIA - Il premier britannico e l'inquilino della Casa Bianca hanno affrontato poi, più in particolare, la questione dell'impegno delle forze alleate nel Paese di Muammar Gheddafi, sottolineando come sia «impossibile immaginare un futuro della Libia con il Raìs al potere». «Se ne deve andare, questo deve essere chiaro. Bisogna condividere obiettivi e speranze di chi è sceso in piazza» in Libia, di chi spera in «un mondo più sicuro e pacifico per tutti noi», ha spiegato Cameron. «Noi saremo accanto a coloro che saranno dalla parte della pace e della libertà, daremo sostegno politico ai paesi che perseguiranno questi obiettivi», ha aggiunto. Per Obama il leader libico «deve capire che non può rimanere al potere per il bene del suo popolo». Gran Bretagna e Usa, ha voluto sottolineare il presidente a stelle e strisce, hanno agito «insieme per evitare un massacro», unendosi «sulla base degli stessi valori e obiettivi per fare pressione sul regime di Gheddafi e per aiutare il popolo libico a trovare una via di pace, una via di uscita».

I NEGOZIATI DI PACE - Quanto ai negoziati di pace in Medioriente, Obama ha spiegato che Israele è giustamente «preoccupato» per il ruolo di Hamas, dopo il suo accordo di riconciliazione con Fatah. «È difficile per Israele sedere per negoziare allo stesso tavolo con una parte che nega il suo diritto all'esistenza» e manda missili contro il suo territorio, ha aggiunto Obama, senza risparmiare critiche ad Hamas, un'organizzazione, secondo il presidente americano, che «rifiuta qualsiasi tipo di confronto». «È molto difficile negoziare con loro, confrontarsi con la loro politica e le loro idee. Rigettano qualsiasi tipo di confronto e di partecipazione», ha spiegato l'inquilino della Casa Bianca. «Credo che Hamas non ha ancora rinunciato alla violenza e non ha ancora ammesso la situazione in cui si trova. Finché non la riconosceranno, sarà difficile arrivare a una soluzione di pace. Ma questo è ciò che stiamo tentando di fare», ha aggiunto il presidente Usa, mostrando perplessità in merito all'intenzione dei palestinesi di ottenere alle Nazioni Unite a settembre il riconoscimento dello Stato palestinese indipendentemente dai negoziati con Israele. «Un voto all'Onu non può portare a uno Stato palestinese» ha detto Obama.

martedì 24 maggio 2011

Milano da bere...


Milano - I milanesi ce l'hanno ancora fissa nella testa. L'immagine di centinaia di musulmani che, nel gennaio del 2009, si erano messi a pregare sul sagrato del Duomo. Domani ci sarà una nuova marcia. Da piazza San Babila al Castello Sforzesco, passando proprio sotto la Madonnina dorata: i musulmani impegnati nella campagna elettorale per il ballottaggio delle ammnistrative di domenica scenderanno in piazza per sostenere il candidato della sinistra, Giuliano Pisapia. "Riteniamo che la realizzazione di un grande centro di cultura islamica che comprenda, oltre alla moschea, spazi di incontro e di aggregazione, possa essere non solo l'esercizio di un diritto, ma anche una grande opportunità culturale per Milano". Nel programma di Pisapia gli intenti sono chiari. Il polo islamico, che sarà costruito sul "modello di via Padova", sarà pronto per l'Expo del 2015 e, con buone probabilità, sorgerà in uno dei quartieri periferici del capoluogo lombardo. Questa proposta - così come l'accesso ai concorsi pubblici anche agli stranieri in possesso del solo permesso di soggiorno - ha spinto la comunità islamica a tifare per Pisapia. Ne è nato addirittura un Comitato a sostegno del candidato della sinistra.

Domani, a quanto apprende l'Adnkronos, il Comitato musulmani per Pisapia scenderà in piazza. Mentre in Italia infiamma il dibattito sulla costruzione di nuove moschee, l’appuntamento di domani promette già di far discutere. Il vendoliano Davide Piccardo fa sapere che l'appuntamento è previsto per il pomeriggio in piazza San Babila: il corteo degli islamici sfilerà verso il Castello Sforzesco passando davanti al Duomo. "Invito tutti a venire vestiti con qualcosa di arancione - chiede l’esponente del Sel - che può essere una maglietta, ma anche un hijab (velo islamico, ndr). Cammineremo fino al Castello Sforzesco volantinando e convincendo le persone a dare fiducia al cambiamento". "L’idea di portare i musulmani in piazza per sostenere Pisapia - spiega Piccardo - è venuta in questo contesto in cui lo scontro politico si fa aspro e il centrodestra, con il premier Silvio Berlusconi in primis, utilizza i musulmani come spauracchio. Partecipare attivamente alla campagna elettorale ci sembra la migliore risposta a chi alimenta la paura e le discriminazioni". E' una settimana che Pisapia è finito sotto il pressing dei media per il suo progetto di costruire una moschea a Milano e, al tempo stesso, di depotenziare le mansioni dei vigili. A questo pressing, però, il candidato della sinistra continua a sfuggire evitando il confronto con il sindaco uscente Letizia Moratti. Pisapia non ha ancora annunciato dove sarà edificata la moschea che rischia di essere la più grande del Nord Italia. A questo progetto la Lega Nord si è opposta strenuamente: "Se vinceremo noi la moschea non si farà mai. Se vincerà Pisapia, Milano avrà una grande moschea, come scrive nel suo programma a pagina 27, e diventerà pioniere di decine di moschee". "E' questa la visione che Pisapia ha della città - tuona il leghista Igor Iezzi - Milano con Pisapia non sarà più dei milanesi".

Unione europea e clandestinità


MILANO - La Commissaria europea per gli Affari interni, Cecilia Malmström, ha presentato un pacchetto di misure contro l'immigrazione clandestina in Europa. Questi i punti essenziali: una clausola di salvaguardia per reintrodurre rapidamente in Europa l'uso dei visti «in caso di improvvisi aumenti dei flussi migratori» dai Paesi, come quelli dei Balcani occidentali, dove essi sono stati liberalizzati; una nuova politica comune per l'asilo; l'avvio di accordi «su misura» con i Paesi del Nord Africa; facilitazioni per l'ingresso nella Ue di studenti, ricercatori e uomini d'affari.

Della serie "ci prendono per il culo" credendo di riuscirci. Peccato che noi cittadini coglioni e comuni abbiamo le mani legate e non possiamo uscire da quello schifo che è la ue.

[...] "L’Europa - ha rilevato la Malmstrom - sarà sempre più dipendente dai lavoratori immigrati. Il potenziale offerto dal Nord Africa dovrebbe essere sfruttato con benefici per entrambe le parti. Quello di cui abbiamo bisogno è di aprire vie legali verso l’Europa" [...]

Giustamente e noi cittadini europei dobbiamo essere buttati a mare...

Cei, islam e acqua, deliri kattokomunisti


MILANO - «È un diritto fondamentale permettere ai credenti delle varie religioni, musulmani compresi, di pregare nei loro luoghi di culto». Così il segretario generale della Cei, monsignor Mariano Crociata illustrando ai giornalisti i lavori della 63esima Assemblea generale in corso in Vaticano. Crociata non ha citato direttamente la polemica che agita la sfida Pisapia-Moratti, ma ha ricordato che la moschea «non è un semplice luogo di culto, ma un luogo sociale, culturale e di incontro ed è quindi giusto tenere conto di questa caratteristiche e delle esigenze che questo luogo risponda nell'utilizzo pratico alle esigenze di vita sociale della nostra nazione e comunità civile secondo la Costituzione e le leggi del Paese».

IL SOSTEGNO A TETTAMANZI - Le parole di monsgnor Crociata sono suonate anche come la presa di posizione della Cei a sostegno dell'Arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi, attaccato da Il Giornale: lunedì, in un editoriale, il quotidiano di Paolo Berlusconi ha accusato Tettamanzi e una parte del mondo cattolico di «darsi da fare per Pisapia», a sua volta criticato per la posizione sui luoghi di culto. «I credenti - spiega Crociata - esprimono le loro convinzioni dentro una visione della fede cristiana che guarda al bene comune e non come interesse di parte e dunque esprimono il voto nelle elezioni politiche o amministrative secondo la loro coscienza senza coinvolgere la comunità cristiana, cercando di rappresentare il bene comune dell'uomo nell'uno o nell'altro schieramento». «Non ci si può sostituire - conclude il segretario della Cei - alla coscienza di nessuno», «i fedeli si esprimono responsabilmente scegliendo in base alla propria coscienza cosa meglio risponde al bene comune nella visione cristiana della realtà».

L'ACQUA UN BENE DI TUTTI - «L'acqua è questione di responsabilità sociale e bene comune, è necessario che vi sia responsabilità verso i beni comuni. E che rimangano e siano custoditi per il bene di tutti», ha detto ancora Crociata, parlando dei referendum ambientali, che esprimono «una delle forme della volontà popolare e sono da apprezzare».

domenica 22 maggio 2011

Milano

E no, non credo che alla fin fine la Moratti sia meglio di Pisapia. Giustamente, come dice la mia amica milanese, sono due uno peggio dell'altra. Comunque, vale la pena dare una guardata al programma di Pisapia. Bhe, diciamo che il programma è vero, il resto è in chiave goliardica. QUI. E qui invece, le riflessioni di Giovanni.

sabato 21 maggio 2011

L'etica di napolitano


In altri paesi i parlamentari investiti da uno scandalo si dimettono, mentre in Italia "abbiamo uno scala di giudizio un po' diversa". Parole chiare quelle del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, pronunciate durante un convegno a Firenze. "Qualche tempo fa ha fatto molto clamore in Gran Bretagna, mentre da noi quel clamore sembrò eccessivo, perché abbiamo una scala di giudizio un pò diversa. Era accaduto che alcuni parlamentari - ha detto - avevano abusato dei loro privilegi e quando furono scoperti seguirono le dimissioni di alcuni di loro e dello speaker del parlamento. Tra le spiegazioni che furono date ne ricordo una: quei poveri parlamentari inglesi erano demotivati perché i poteri della Camera dei comuni si erano ridotti in seguito a quel processo che ho descritto".

"Stiamo attenti prima di parlare di sgretolamento" dell’Unità d’Italia: è il monito che ha lanciato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano parlando a un convegno a Firenze. Il capo dello Stato, pur riconoscendo la necessità di un decentramento, ha sottolineato che "va salvaguardata la struttura portante dello Stato nazionale". Napolitano ha sottolineato che "non ci può essere Stato unitario e Paese degno di questo nome se non c’è unità" e Stato centrale su alcune funzioni come la sicurezza, la politica estera e altro. "Nessuno può mettere in discussione il ruolo del ministero degli Esteri né quello del ministero degli Interni" né quello di altri. Bene dunque la realizzazione del decentramento senza mettere in discussione quella che deve restare la struttura unitaria dello Stato. "Per andare verso un sistema delle autonomie che comprenda anche aspetti di federalismo non ci si può limitare al campo fiscale. Occorre anche una Camera delle Regioni e delle Autonomie per corresponsabilizzare i rappresentanti locali e regionali sui problemi del bilancio pubblico", ha continuato Napolitano.

"In Italia il Parlamento non è condannato né destinato a sparire né a un esercizio povero e meschino delle sue facoltà", ha detto il Capo dello Stato che poi ha aggiunto: "C’è un problema di riqualificazione e rimotivazione dei parlamenti nazionali, ma, detto questo, va rispettata la pienezza del ruolo delle Camere senza destinarle a un esercizio "povero e meschino" delle loro prerogative".  Infine Napolitano ha parlato anche del ruolo delle donne: "A vedere le piccole percentuali di donne elette in Parlamento in Italia cadono le braccia. Sono sempre di più le donne a vincere i concorsi pubblici, qualcosa vorrà ben dire. C’è un problema generale di sottorappresentanza femminile in tutte le istituzioni e nelle aziende "ma il punto più nero è la rappresentanza nel Parlamento". Per i consigli di amministrazione delle aziende, ha detto, si è fatto ricorso alle quote rosa. "È un metodo sbrigativo ma efficace. Sarebbe meglio dare prove collettive di impegno". Dare più spazio alle donne significa anche riconoscere, ha concluso, i loro meriti, "vorrà pur dire qualcosa il fatto che siano sempre di più le donne a vincere in maggioranza nei concorsi pubblici, anche nell’ultimo concorso in magistratura".

Sottolineo il blabla di napolitano: "Qualche tempo fa ha fatto molto clamore in Gran Bretagna, mentre da noi quel clamore sembrò eccessivo, perché abbiamo una scala di giudizio un pò diversa. Era accaduto che alcuni parlamentari - ha detto - avevano abusato dei loro privilegi e quando furono scoperti seguirono le dimissioni di alcuni di loro e dello speaker del parlamento. Tra le spiegazioni che furono date ne ricordo una: quei poveri parlamentari inglesi erano demotivati perché i poteri della Camera dei comuni si erano ridotti in seguito a quel processo che ho descritto".

Solo che lui, il signor napolitano ORA presidente della repubblica, a suo tempo non si dimise nonostante venne scoperto il suo di abuso. E' proprio vero che quelli di sinistra fanno le cose e poi se ne dimenticano e si ricordano solo di bacchettare certi altri straparlando a vanvera.

W la Danimarca!


Sarà stata la notizia che in Libia ci sono 750.000 profughi dell’Africa subsahariana pronti ad imbarcarsi per l’Europa, sarà stata la volontà di condizionare l’odierna riunione dei ministri degli Interni della Ue, che dovrebbe esaminare la proposta italo-francese sulla possibilità di reintrodurre temporaneamente i controlli alle frontiere, sarà stato il ricordo delle minacce e delle ritorsioni subite dai musulmani a causa della famosa vicenda delle vignette di Maometto. Fatto sta che la piccola Danimarca, un tempo considerata uno dei Paesi più tolleranti nei confronti dell’immigrazione extracomuniutaria, ha preso tutti in contropiede e sospeso per prima il trattato di Schengen senza neppure attendere le decisioni di Bruxelles. Su sollecitazione dello xenofobo Partito del popolo danese della pasionaria Pia Kjaersgaard, componente essenziale della maggioranza parlamentare, il governo di centro destra ha deciso di reintrodurre, entro tre settimane e avvalendosi di nuovi strumenti elettronici, i controlli ai confini sia con la Germania, sia con la Svezia. La motivazione è che è necessario porre un argine alla immigrazione illegale e alla conseguente infiltrazione della criminalità organizzata che seguiranno alla ondata di arrivi dal Nordafrica che sta investendo l’Europa meridionale. Vista la sua conformazione geografica, e la conseguente possibilità di entrarvi dal mare, è dubbio che le misure adottate basteranno a isolare la Danimarca dalla paventata invasione. Ma la decisione di Copenaghen è una vera e propria bomba scagliata contro un edificio europeo che sta già vacillando, e che proprio ieri il commissario Barnier, andando in controtendenza, ha esortato a rinforzare prima che sia troppo tardi, aprendosi di più a una immigrazione necessaria per disporre di una sufficiente forza lavoro.

Anzitutto, essa significa che, qualunque decisione adotteranno i ministri degli Interni dei 27 in materia di revisione di Schengen, questa potrebbe essere ignorata o scavalcata da singoli governi che si sentissero in qualche modo minacciati. Ma, soprattutto, è la prova finora più eclatante che i Paesi del Nordeuropa non sono affatto disposti a condividere con noi e con gli altri Paesi mediterranei investiti dalle masse africane il peso della potenziale «migrazione biblica» di cui ha parlato spesso il ministro Maroni. Si tratta della conseguenza naturale di una evoluzione cui nessuno sembra sfuggire. Dalla Danimarca stessa alla Svezia, dalla Finlandia all’Olanda, dal Belgio alla Francia, partiti populisti e più o meno esplicitamente antieuropei e xenofobi stanno conquistando fette sempre maggiori di elettorato e sempre più spesso condizionano la formazione e la linea politica dei governi. È già successo all’Aia e a Copenaghen, sta succedendo a Helsinki e potrebbe succedere perfino in Francia se continuasse l’avanzata del Fronte nazionale di Marine Le Pen. Per adesso la tendenza sembra risparmiare la Germania, ma solo perché i tedeschi devono sentirsi abbastanza tutelati dal governo Merkel: appena ieri, per esempio, il ministro degli Interni ha dichiarato che l’Italia era un grande Paese che poteva benissimo gestire l’arrivo di qualche decina di migliaia di profughi senza pretendere di disperderli nel resto dell’Unione.

Paradossalmente, la marea nazional-populista sta già investendo anche l’Europa dell’Est, che fino adesso era terra di emigrazione piuttosto che di immigrazione (ricordate il mitico idraulico polacco, che fu protagonista del referendum francese sul nuovo trattato europeo?), ma dove si sta comunque molto meglio che in Africa e in Asia e che perciò potrebbe diventare la prossima meta per i disperati che vogliono varcare il Mediterraneo. Il Trattato di Schengen non è il Trattato di Lisbona, tant’è vero che numerosi membri della Ue, a cominciare dalla Gran Bretagna, hanno rifiutato di aderirvi (i più poveri, come Romania e Bulgaria, spingono invece per farlo). Tuttavia, esso è considerato tuttora con favore dalla maggioranza dei cittadini europei, lieti di potere viaggiare per tre quarti del continente senza più controlli. Ma se la «migrazione biblica» si materializzasse, è destinato a diventare, almeno nella sua forma attuale, la prima vittima dell’antieuropeismo che si sta diffondendo. Già oggi potremmo averne un primo assaggio. Purtroppo, per la nostra posizione geografica, rischiamo di essere quelli più danneggiati da un suo ridimensionamento.

Celtic

Sinead O' Connor & The Chieftains - The foggy dew

Famiglia cristiana


Milano - Famiglia cristiana scende di nuovo in campo e va all’attacco del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. In un’editoriale, il settimanale di Don Sciortino, definisce "arroganza a reti unificate" l'invasione di ieri nei tg del Cavaliere. "Sono state scritte - si legge - due brutte pagine: una da un primo ministro e proprietario di televisioni che si arroga prerogative inaccessibili agli avversari politici; l'altra da un giornalismo tv che non tiene dritta la schiena ma si genuflette". Nell’articolo si ricorda che "esiste una Agcom che dovrebbe fissare le regole della comunicazione e, in caso di irregolarità, punire gli inadempienti". "Ora non è da dubitare che i membri dell'Agcom siano carichi di incombenze private, tanto da dover rinviare una riunione di interesse pubblico. Ma se ritengono di poter attendere mercoledi, tanto vale - si insiste nell’editoriale - posporre a giugno o luglio; tanto i buoi sono già scappati". Analizzando più nello specifico il comportamento del premier, nell’articolo si sottolinea che viene "da chiedersi piuttosto quale effetto avranno queste esternazioni a reti unificate, non tanto per il loro contenuto quanto per la linea padronale che esprimono. Di nuovo o inatteso, Berlusconi non ha detto nulla. Al più si è maggiormente avvicinato a Bossi per la faccenda della Grande Moschea, degli zingari incombenti e della sinistra inaffidabile. Copione conosciuto".

Il problema qui è che più che genuflettersi il giornalismo, ultimamente pare che si genuflettano dei ragazzini minorenni davanti alle tonache nere. Il tizio di cui sopra, dovrebbe soprattutto interessarsi alla pedofilia tra i preti piuttosto che interessarsi delle campagne elettorali.

L'indipendente Pisapia


A sinistra, in particolare negli ambienti più inclini a vedere trame oscure e complotti dappertutto, da decenni si fa sempre un gran parlare di «poteri forti». Per la sinistra, tra i suoi avversari, c’è sempre l’uomo dei poteri forti o «il candidato dei poteri forti» e, quando proprio non riescono a fare dei nomi, tirano in ballo quanto meno «l’influenza dei poteri forti». Dove, se abbiamo capito bene, con quell’espressione si intende l’insieme di gruppi di pressione economici, finanziari e mediatici interessati solo ai loro affari e perciò in grado di influenzare e condizionare la politica e le sue scelte. Bene. E allora cerchiamo di capire da che parte stanno questi fantomatici «poteri forti» nella travagliata vicenda elettorale milanese che stiamo vivendo.

Letizia Moratti è nata ricca - tutti lo sanno - e ha sposato un uomo ricchissimo, il più grande petroliere privato italiano, Gianmarco Moratti. E anche questo tutti lo sanno, niente di nascosto, tutto alla luce del sole. Giuliano Pisapia, invece, è semmai, benestante ma certo non ricchissimo: figlio di un grande avvocato e giurista, egli stesso avvocato ed ex parlamentare di Rifondazione comunista, la sua condizione patrimoniale non può certamente essere paragonata a quella della signora Moratti. Ma, conti in banca a parte, quanto a rapporti con i «poteri forti», come siamo messi? Siamo messi così: tra i primi ad appoggiarlo apertamente, dichiarando che «Pisapia sarebbe un ottimo sindaco di Milano», troviamo Paolo Mieli. Due volte direttore del Corriere della Sera, attuale presidente della Rcs Libri, uomo forte e braccio politico della Rcs MediaGroup (nel 2006, da direttore del Corriere, durante campagna per le elezioni politiche schierò apertamente il giornale con Prodi), uomo di fiducia e spesso amico personale - come lo fu di Gianni Agnelli - della maggior parte dei ricchi e potenti signori riuniti in quel salotto finanziario-mediatico che è la Rcs, nessuno rappresenta meglio di Mieli il legame, il raccordo fra potere mediatico, potere finanziario e potere politico.

E a proposito di Rcs, impossibile trascurare la presenza della docente di storia contemporanea all’università Statale di Milano Ada Gigli Marchetti, moglie di Piergaetano Marchetti, presidente del gruppo di via Solferino, nella lista civica più radical-chic che si possa immaginare, tutta docenti, intellettuali, architetti e galleristi, messa insieme «per Pisapia» da Emilia Bossi Moratti, detta Milly, moglie di Massimo, fratello di Gianmarco e presidente dell’Inter, e quindi cognata-avversaria - Milly contro Letizia - ma «petroliera» anche lei. E a proposito di Marchetti e Mieli, secondo voi con chi sta il Corriere?

E proprio l’altra sera il finanziere melomane Francesco Micheli ha riunito a cena a casa sua un bel giro di immobiliaristi democratici e architetti (quelli sono implicitamente democratici): ospite d’onore, Giuliano Pisapia. Ma è arrivato anche il sostegno entusiasta e pesantissimo di Guido Rossi: Manovratore Supremo della finanzia italiana e dei grandi affari; se si parla di «poteri forti», dopo la morte di Enrico Cuccia nessuno meglio di lui può dare loro un volto. Avvocato d’affari, giurista illustre, primo presidente della Consob, la Commissione per il controllo della Borsa, senatore del Pci dall’87 al ’92 dietro la solita foglia di fico degli indipendenti di sinistra, da una quarantina d’anni tira le fila di tutte le più importanti operazioni finanziarie e societarie italiane. Note o segrete. Anche lui - «Bisogna votarlo!» - si è apertamente schierato con Pisapia.

Per il quale, naturalmente era pure scontato l’appoggio del superbanchiere Alessandro Profumo, ex amministratore delegato di Unicredit, forte di una liquidazione fantastilionaria, uno che faceva file di ore per andare a votare Prodi alle primarie. Ma a questo elenco, infine, non poteva mancare Carlo De Benedetti, il miliardario nemico numero uno di Silvio Berlusconi. L’appoggio a Pisapia dell’Ingegnere è forte, esplicito e quasi sfacciato, a cominciare dallo schieramento spregiudicato dei suoi giornali, la Repubblica, l’Espresso e decine di quotidiani locali. Con l’aggiunta (l’aggravante?) di un dettaglio tutt’altro che trascurabile: Pisapia è uno degli avvocati di De Benedetti. L’elenco potrebbe continuare ma ci fermiamo qui, perché alla domanda «chi è il candidato sindaco di Milano appoggiato dai poteri forti interessati soprattutto ai loro affari?», siamo già in grado di rispondere: i poteri forti stanno con Giuliano Pisapia.

Così tanto per...


Bari - Cilindrata 1500, mai usate, fiammanti, come nuove. Non è il roboante stralcio di un annuncio di vendita condito dalla garanzia di super prestazioni per accaparrarsi clienti, ma la descrizione di dieci moto d’acqua acquistate dalla Regione Puglia governata dal leader di Sel, Nichi Vendola. Il fatto è che i bolidi del mare, in grado di sfrecciare sullo specchio d’acqua di Bari e dintorni anche a 150 chilometri orari, sono approdate da queste parti, ma non sono mai state usate. Nel vero senso della parola. E in effetti sono tuttora, per così dire, parcheggiate nel cantiere della Protezione civile a cui erano state affidate. Per poter contare su mezzi rapidi da impiegare in operazioni di soccorso in una terra adagiata sul mare, la Regione Puglia ha rotto gli indugi e ha deciso di investire in modelli all’avanguardia: sono state acquistate tre idroambulanze con una procedura di gara effettuata con criterio di aggiudicazione al ribasso e con importo a base d’asta di 324mila euro; ma non solo: sono state comprate anche moto d’acqua ultimo modello che sono effettivamente arrivate a Bari a luglio dell’anno scorso, ma l’acqua non l’hanno mai vista. Anzi per la verità un pizzico di salsedine l’hanno assaggiata perché sono state collaudate.

Appunto: giusto il tempo di una prova, poi sono tornate dove riposano tuttora, nel cantiere, ben sistemate e con il sellino impacchettato nel cellophane. Insomma: acquistate, provate e messe da parte. E così quelle che dovevano essere il fiore all’occhiello di una Protezione civile davvero all’avanguardia si sono rivelate un’occasione mancata, e neanche a costo zero. Tanto più che le moto avrebbero di certo garantito un servizio di alto livello viste le grandi potenzialità: velocità di 70 nodi, strumenti di tutto rispetto. E invece nulla di tutto questo. Alla Regione Puglia respingono l’accusa di aver sprecato tempo e denaro. E dalla giunta fanno sapere che le moto non sono state utilizzate per il semplice motivo che sono arrivate fuori tempo. Non male per dei bolidi. Come dire: era troppo tardi, meglio rimandare. Tuttavia anche agosto e settembre, in particolare da queste parti, non sono mesi particolarmente rigidi e di gente in mare ce n’è ancora parecchia, ma la vocazione turistico-balneare del territorio non è stata sufficiente a far accelerare i tempi, così come evidentemente è valsa a poco la constatazione che si tratta di mezzi di soccorso utili ogni giorno dell’anno. Basti pensare che il litorale salentino continua a essere nel mirino, sia pure in modo non sistematico come in passato, dei traghettatori di clandestini, e recentemente s’è sfiorata la tragedia al largo di Otranto. In attesa della nuova stagione estiva, comunque, le moto rimangono dove sono. In cantiere. Il varo può attendere.

venerdì 20 maggio 2011

Pur di vincere, l'ammucchiata


Roma - Democratici, dipietristi e vendoliani tutti insieme per battere il centrodestra ai ballottaggi. E' partita l'offensiva della sinistra: oggi i responsabili nazionali hanno siglato un accordo per tirare l'ultima volata ai candidati di Milano e Napoli. Nonostante le promesse del leader Pier Luigi Bersani, il Pd è costretto a scendere a patti con le frange più estreme della coalizione per provare a non rimanere del tutto fuori dalla partita dei ballottaggi. Ma a Nichi Vendola le amministrative non bastano e punta tutto sulle primarie per strappare la leadership della sinistra dalle mani di Bersani. Considerati i risultati ottenuti al primo turno delle amministrative dai candidati della sinistra estrema, il Pd scalda i muscoli rafforzando la grande ammucchiata con Antonio Di Pietro e Nichi Vendola. E l'unico modo per non soccombere definitivamente. Sebbene abbia subito esultato per il risultato ottenuto al primo turno delle amministrative, Bersani si è subito accorto che la situazione è tutt'altro che rosea. "Non si è verificato un avanzamento della sinistra, che infatti ha preso 3mila voti in meno di cinque anni fa, ma un calo del centrodestra - spiega Antonio Intiglietta al Sussidiario - dieci punti percentuali in meno si spiegano però con le fratture che questo schieramento ha subito in questi anni e con la perdita di consensi subita dalla sua leadership". Al di là dell'ottimo risultato incassato a Torino da Piero Fassino, le urne non hanno certo premiato i democratici. A Bologna Virginio Merola ha superato la maggioranza di un soffio, mentre a Milano e Torino il Pd è rimasto al palo. Dopo le primarie fallimentari, il capoluogo lombardo ha premiato, al primo turno, il vendoliano Giuliano Pisapia: indispensabili i voti ottenuto dalla sinistra estrema mentre il Pd rimaneva pressoché immobile rispetto alle passate Regionali. Peggio ancora a Napoli, dove il piddì Mario Morcone rimaneva a bocca aperta davanti alla volata dell'Idv Luigi De Magistris che non permetteva al candidato del centrodestra Gianni Lettieri di passare al primo turno.

Bersani deve aver fatto di conto e si è visto costretto a spostare l'asse della propria coalizione più a sinistra allargando al partito del governatore vdella Puglia. Oggi pomeriggio, è stata raggiunta infatti un’intesa con il Sel e l'Idv volta a "ricomporre le diversità nelle poche realtà locali in cui non era ancora stato trovato un accordo, per contribuire così al rafforzamento della proposta su tutto il territorio". I vertici dei tre partiti parlano di "una proposta capace di comprendere il disagio sociale diffuso e di interpretare la speranza di chi crede che sia possibile costruire un'Italia diversa, partendo dai territori". In realtà, manco a dirlo, l'accordo è finalizzato unicamente a battere il centrodestra nel tentativo di dare una spallata a Silvio Berlusconi. Quel famoso "nuovo vento che soffia" auspicato da Pisapia. Un accordo che, però, non si fonda su un sentire comune né sul bene pubblico. Di programmi, infatti, si è parlato poco. A Napoli, come a Milano.

Nel capoluogo partenopeo, gli elettori di sinistra che hanno premiato De Magistris con un voto di protesta rischiano infatti di trovarsi in Comune gli stessi uomini che dal 1993 governano la città. Un cambiamento inesistente, insomma. Rimane lo spettro del "bassolinismo". A Milano, invece, il discorso è ancora più complicato. Pisapia è riuscito a mettere in naftalina i vertici del piddì lombardo prima alle primarie battendo l'architetto Stefano Boeri, poi al primo turno incassando i voti (determinanti) della sinistra radicale. A Milano Bersani non ha ancora fatto i conti con il programma. Pisapia punterà, infatti, sui temi cari alla sinistra estrema: dall'introduzione di nuove tasse all'apertura dei concorsi pubblici agli stranieri in possesso del solo permesso di soggiorno, dalla costruzione della moschea all'istituzione dell'albo del testamento biologico. Basilio Rizzo, storico consigliere comunale che a Milano ha incassato oltre 2mila preferenze nella lista di Rifondazione comunista, assicura: "La nostra non sarà una giunta moderata".

Su tutto questo il Pd non ha ancora fatto mente locale: prima il voto, poi le liti (come al solito). Si profila uno scontro colossale tra le diverse linee. Con i vendoliani e i comunisti che cercheranno di spingere la politica sempre più a sinistra. "Con il Pd siamo destinati a trovare un’intesa forte e nuova", assicura Vendola fregandosi le mani e parlando di possibili future alleanze a livello nazionale - ovviamente con lui come leader. "Ci siamo detti le cose essenziali - puntualizza il leader del Sel - e, tranne alcune voci stonate, anche nei modi giusti. Ci sono stati gli interventi dei vertici del Pd, di D’Alema, di Veltroni e anche di Di Pietro, ma è soprattutto la parola del popolo che è decisiva". Insomma, indire le primarie per strappare la leadership di Bersani in vista delle prossime politiche: il sogno di Vendola è correre per Palazzo Chigi. E i democratici? Per ora, provano a contenere. Non è, infatti, un mistero che tra i moderati del Pd i mugugni e i malumori si fanno sempre più sentire.

mercoledì 18 maggio 2011

Ah, ah, ah...


LAMPEDUSA - Momenti di tensione al centro d'accoglienza di Lampedusa dove un gruppo di immigrati tunisini ha inscenato una protesta con slogan e atti di autolesionismo. Alcuni si sono feriti tagliandosi al torace alle braccia con forbici e lamette e sono stati accompagnati al Poliambulatorio di Lampedusa dove sono stati curati. Le loro condizioni non sono gravi, anche se uno di loro ha rischiato un'emorragia per un taglio vicino alla vena femorale. Sarebbe saltata proprio per questa protesta la visita del cardinal Angelo Bagnasco, presidente della Cei prevista per le 14.30 di mercoledì. Le proteste sarebbero state inscenate contro i rimpatri previsti per i prossimi giorni in Tunisia ma anche per manifestare contro la visita del cardinale.

LA PREGHIERA - Il presidente della Conferenza episcopale italiana alle 15 è salito a bordo della motovedetta della Guardia costiera CP290, con la quale ha raggiunto lo specchio di mare antistante l'Isola dei Conigli dove ha deposto in mare una corona di fiori a memoria di tutti i caduti nel Canale di Sicilia. La corona è stata sistemata da due sommozzatori nel fondale ai piedi della Madonna del mare. Subito dopo la deposizione della corona è stato osservato un minuto di silenzio.

«LAMPEDUSA ESEMPIO PER TUTTI NOI» - In precedenza Bagnasco parlando con i giornalisti al termine della Santa Messa ha voluto sottolineare come Lampedusa sia «un esempio per tutti noi». «Ho provato una grande commozione incontrando la comunità cristiana di Lampedusa - ha aggiunto - perché ho visto nei volti degli abitanti di quest'isola, sia anziani che giovani, una serenità di fondo e una bontà interna. Sono disponibili verso questo peso che stanno affrontando e noi siamo commossi e grati».

martedì 17 maggio 2011

Jimmie Åkesson


All'interno della nostra inchiesta sulle "nuove destre" in Europa, e sulla scia della Lettura annuale 2011 della fondazione Magna Carta tenuta da Geert Wilders, abbiamo intervistato il giovane leader dei "Democratici Svedesi", Jimmie Åkesson. A capo di un partito in crescita e dalla forte impronta nazionalista (i critici lo bollano come "estrema destra"), Åkesson ci spiega come stanno cambiando le destre nel nordeuropa, puntando essenzialmente su due parole d'ordine: la fine del multiculturalismo e una difesa incondizionata dello stato sociale dalla 'minaccia' degli immigrati.

Alle elezioni del settembre scorso, i Democratici Svedesi hanno ottenuto 20 seggi in Parlamento. È stato un risultato storico. Il difficile forse comincia adesso. Quali sono i vostri obiettivi a breve termine? Sì, in un certo senso è incominciata la parte più difficile e gli ultimi sette mesi potrebbe essere definiti stimolanti ed educativi. Il nostro obiettivo a breve termine in Parlamento è portare avanti il delicato equilibrio tra il cercare di avere la più grande influenza politica possibile e agire in modo responsabile per evitare di mettere in difficoltà il governo di minoranza attualmente in carica.

Politicamente oggi i Democratici Svedesi rappresentano un’alternativa tra il blocco di sinistra e l’Alleanza per la Svezia. In futuro potreste pensare ad allearvi con le destre o le posizioni divergenti soprattutto in fatto di immigrazione rischiano di impedirvi di trovare un punto d’equilibrio? È molto difficile dire qualcosa su quello che accadrà in futuro poiché dipende quasi esclusivamente dagli altri partiti. I Democratici Svedesi sono sempre stati aperti ad alleanze con tutte le altre formazioni, anche se una collaborazione è più probabile con l’Alleanza per la Svezia piuttosto che con i partiti di sinistra, a causa dell’atteggiamento di chiusura che hanno nei nostri confronti.

La campagna elettorale dei Democratici Svedesi è stata incentrata sulla lotta all’immigrazione e al multiculturalismo. Lei pensa che gli immigrati rappresentino una minaccia per la società svedese? E perché? Gli immigrati sono individui e noi non consideriamo gli individui una minaccia. La nostra critica è rivolta al multiculturalismo e alla politica dell’immigrazione di massa che hanno gli altri partiti. Pensiamo che lo stato sociale costruito durante gran parte del secolo scorso è qualcosa di cui essere fieri e su cui si deve puntare anche per il futuro. Noi crediamo che una società di questo tipo, basata su valori comuni e su un sentimento di solidarietà al suo interno, non possa essere creata, né difesa, senza una certa dose di identità collettiva e culturale tra i cittadini.

Se le cose non cambiano, come crede che sarà la Svezia tra 20 anni? Se non fermiamo l’immigrazione di massa, credo che la Svezia sarà ovviamente molto diversa tra 20 anni. Per fare un esempio non credo che saremo in grado di avere una sanità pubblica o scuole dalla qualità accettabile.

E come vorreste la Svezia tra 20 anni? Se dipendesse da noi, la Svezia in 20 anni sarebbe di nuovo una società di cui essere fieri. Una nazione dove nessuno è lasciato indietro e alla quale ognuno è orgoglioso di contribuire. Una società di individui liberi costruita su una solida base di valori occidentali e svedesi.

Dopo il vostro successo elettorale, molta gente è scesa in piazza per dichiarare che la Svezia non è xenofoba. Cosa risponde a coloro che ritengono il suo un partito xenofobo? Quando la gente si trova a corto di argomenti tende a ricorrere agli insulti, purtroppo. Mi dispiace davvero per coloro che non riescono ad accettare che altre persone possano avere diversi punti di vista.

I democratici svedesi criticano anche la presenza della Svezia nell’Unione europea. Cosa c’è che non va a Bruxelles e che vantaggi avrebbe la Svezia nello sganciarsi dalla comunità? Noi crediamo in stati europei liberi e indipendenti, perciò siamo contrari all’aspetto federalista dell’Unione europea che allontana il potere dai cittadini. Vogliamo che la Svezia si ritiri dall’Unione e stringa rapporti bilaterali sul libero mercato e su altri temi all’interno dell’Europa, proprio come fanno oggi Norvegia e Svizzera.

Democratici svedesi a Stoccolma. Veri Finlandesi a Helsinki. Partito popolare Danese a Copenhagen. Partito del Progresso a Oslo: come interpreta questa crescita dei partiti di destra? Che sta succedendo in Scandinavia e più in generale in Europa? Credo che la tendenza politica a cui assistiamo nel Nord Europa sia il naturale sviluppo del grande fallimento del multiculturalismo. Il resto d’Europa ha già sperimentato questo percorso 5, 10 o 15 anni fa. Le nostre prese di posizione contro l’immigrazione di massa e contro il multiculturalismo possono essere ritenute controverse nel Nord Europa, ma sono molto più accettate nell’Europa centrale e meridionale.

lunedì 16 maggio 2011

Viscidità islamiche


"Vuole sapere qual è la mia previsione per il futuro? In Italia diventeremo la maggioranza: il tasso di natalità tra i musulmani è di 3,8 figli per donna, la media italiana è di 1,2 tenendo conto anche dei nostri bambini. Basta fare un giro all’uscita di una scuola materna o elementare per rendersi conto di quanto il nostro Paese stia diventando multirazziale. Il 65% dell’immigrazione è rappresentata da musulmani". E' il parere di Hamza Roberto Piccardo, uno dei fondatori dell'Ucoii, l'Unione delle comunità ed organizzazioni islamiche in Italia, di cui è attualmente segretario generale. Originario di Imperia, è convertito all'Islam da venti. Sposato con una donna di Marrakesh, ha quattro figli, tutti musulmani. Possiede la casa editrice Al Hikma ("la Saggezza"), che traduce e pubblica testi storici islamici in italiano, tra cui la prima edizione del Corano per i musulmani di lingua italiana.

Signor Piccardo, come e quando si è convertito all'Islam? "Tutto è cominciato con la fine del servizio militare, nel 1974. La naja è stato un periodo di grande tensione per me, che partecipavo ai movimenti studenteschi e avevo un po' il carettere del contestatore. Alla fine di quell'anno avevo voglia di solitudine, così sono partito per l'Africa e ho attraversato il deserto del Sahara. Sono stato molto colpito dal rapporto che la gente aveva con Dio, una relazione stretta, che da noi non avevo mai conosciuto. Non è stato facile accettare la Sharia (la Legge), sono passati 9 anni perchè riuscissi a farlo. Nel 1984 ho cominciato a pregare, circa cinque anni prima avevo iniziato a fare il digiuno. Allora erano pochi i musulmani in Italia".

A che punto sono i lavori per l'intesa con lo Stato italiano che richiedete da tempo? "Come Ucoii abbiamo presentato una bozza d'intesa nel 1990 e nel 1992: siamo in attesa di una risposta ufficiale. L'anno scorso la sezione italiana della Lega islamica mondiale e il Centro culturale islamico presso la Moschea di Roma hanno promosso la creazione di un Consiglio islamico d’Italia che avrebbe dovuto negoziare l’intesa e di cui sono stato nominato segretario generale. Ma la cooperazione non è andata avanti: la Lega e il centro culturale si sono rifiutati di ratificare l’accordo. L’attività del Consiglio non è mai cominciata".

Questo significa che manca una rappresentanza unitaria dei musulmani? "Anche la rappresentanza dei cristiani non è unitaria. Oltre alla Chiesa cattolica, altre confessioni cristiane hanno trattato con lo Stato italiano: evangelisti, luterani, metodisti. Bisogna separare la politica dell'immigrazione da quella che riguarda i diritti dei cittadini e la sfera religiosa. L’intesa è un diritto che noi rivendichiamo come cittadini italiani, in base all’articolo 8 della Costituzione".

Nella bozza di intesa che l'Ucoii ha presentato nel '90 si chiede, tra le altre cose, il riconoscimento dei matrimoni celebrati secondo il rito islamico. Ma come ci si dovrà comportare in casi di poligamia, vietata dalla legge italiana ma presente in vari paesi islamici? "La legge coranica stabilisce che lo sposo non possa avere più di quattro mogli, ma tra i musulmani che conosco non sono tanti quelli che hanno la seconda, e averne una terza è già raro. Oltre a chiedere che siano riconosciuti gli effetti civili ai matrimoni celebrati in Italia secondo il rito islamico, appena ne avremo la forza faremo un’altra richiesta: consentire il ricongiungimento familiare non solo per una moglie, come accade oggi, ma anche per le altre. Un'eventuale seconda moglie ha diritto di essere tutelata quanto la prima. Ci sono marocchini che, per aggirare le leggi italiane, fanno il ricongiungimento con la prima moglie, poi si presentano in questura con un certificato di divorzio e chiedono il ricongiungimento con la seconda, che presentano come la nuova sposa".

L’intesa a cui pensate è paragonalbile al concordato tra lo Stato e la Chiesa cattolica? "Ci sono alcune differenze: la prima è che noi musulmani non ci poniamo come uno Stato. Sarà il Parlamento italiano a fare una legge motu proprio per approvare il testo dell’intesa che noi presentiamo. E poi, secondo la proposta dell’Ucoii, noi non dovremmo ottenere l’8 per mille dei contributi. Questo è un fatto che non mi dispiace, perchè la possibilità di avere quei soldi ha risvegliato tanta gente che ha poco interesse per la religione: se questo deve diventare causa di fitna, contrasto interno e sedizione, è meglio rinunciare. Piuttosto, chiediamo la deducibilità dal reddito imponibile dei contributi che i fedeli versano alle Comunità islamiche. L’Ucoii, come Onlus, ha già questo diritto".

A Milano è in corso un processo contro i membri di un ambulatorio clandestino per le circoncisioni sorto presso la moschea di Segrate. Alla Camera sono state presentate tre proposte di legge per punire chi pratica l’infibulazione femminile, una delle quali prevede pene da sei a dieci anni. Qual è la posizione dell’Ucoii su queste usanze?  "La legge islamica non ammette nessuna forma di infibulazione: ogni modifica della creazione è un peccato per la nostra religione. Questo fenomeno è retaggio di usanze tribali diffuse in tutta l’Africa sahariana e subsahariana, per lo più tra popolazioni nomadi e seminomadi. Ma riguarda anche popolazioni cristiane e animiste delle stesse regioni: ha origine nella volontà di preservare dalla violenza carnale le donne che accudivano il bestiame. C’è solo una particolare scuola giuridica dell’Islam, quella shafaita, che prevede l’accorciamento delle grandi labbra femminili quando queste siano troppo lunghe, per evitare irritazioni in condizioni climatiche particolari. La dottrina islamica prevede invece la circoncisione dei maschi in tenera età, come è prescritta agli ebrei, che la praticano regolarmente senza che nessuno si scandalizzi. In America si fa per motivi igienici nella profilassi post-parto e neonatale, ed è accettata da tutti. Anzi, alcuni studi dimostrano che l’incidenza di tumori al collo dell’utero è inferiore nei Paesi dove i maschi sono circoncisi. Dovremo piuttosto definire un accordo con il ministero della Sanità per far sì che la circoncisione dei bambini sia praticata nelle strutture sanitarie con metodi corretti".