lunedì 31 ottobre 2011

Primavera araba


La battuta sarebbe “si stava meglio quando si stava peggio”, ma c’è poco da ridere. La deriva fondamentalista della cosiddetta “primavera araba” era una certezza. Solo l’ignoranza del Presidente Usa Obama e la spocchiosa presunzione del Presidente francese Sarkozy, unita alla disarmante rassegnazione del Presidente italiano Berlusconi, potevano sottovalutare l’essenza ineluttabile delle rivolte arabe. La prevedibilità di quanto è accaduto e, in maniera sempre più drammatica ed impetuosa, succederà, deriva dalla constatazione dell’assenza di qualsiasi alternativa culturale, politica e ideologica alla matrice islamista, unica realtà partorita dalla Umma negli ultimi secoli, a livello culturale, politico ed ideologico, per definizione, quindi, integralista di ogni profilo della vita umana. La penosa ed immediata sopraffazione della minoritaria fazione laica e marxista, che tanto si era spesa agli albori di queste rivolte, ripercorre sostanzialmente la storia della rivoluzione khomeinista dove i soliti utili idioti della sinistra furono annientati dai rivoluzionari religiosi subito dopo la vittoria sullo Scià Pahlavi.

Esattamente si ripropone la stessa dinamica in Tunisia con la schiacciante vittoria del partito di ispirazione fondamentalista sunnita Enhadda. Costoro, non accontentandosi dello straordinario successo elettorale, sono riusciti ad ottenere l’annullamento dell’elezione di esponenti del partito laico di Petition Populaire per dichiararlo, nei prossimi giorni, fuorilegge. Nulla deve ostacolare l’imposizione della sharia nella nuova costituzione della Repubblica teocratica tunisina. In Egitto accade anche peggio. Qui anche i movimenti apparentemente più laici sembrano gareggiare con i fondamentalisti per dichiarazioni e proclami all’insegna del più estremo fondamentalismo. In politica estera si prepara il campo propagandistico e militare per nuove guerre al fianco di Hamas. Intanto è già iniziata la pulizia etnica contro i cristiani copti che se non sono linciati o bruciati nelle loro chiese, come accadeva agli ebrei dentro le sinagoghe durante il nazismo, sono costretti a fuggire dal dar Al-Islam. Il Libia, la stupidità dei capi di stato occidentali capeggiati da Obama, ha permesso la resurrezione e l’ascesa di un movimento di massa estremista che sembrava essere morto e sepolto da Gheddafi. In Turchia, dove l’ondata islamista deriva dal regolare insediamento dello stesso Premier Erdogan, oltre alla fine del laicismo di stato, assistiamo agli albori di un nuovo sterminio, quello del popolo curdo, che si appresta a fare compagnia ai milioni di morti armeni, cristiani uccisi dal popolo ottomano. L’unica rivolta su cui è lecito avere qualche aspettativa è quella del popolo siriano che, comunque sia, promana dalla legittima aspirazione dei sunniti a ribellarsi contro il regime di una marionetta in mano agli sciiti iraniani. In questo caso, però, la codardia dell’Occidente ed il miope cinismo di Russia e Cina, sembra condannare il popolo siriano ad un atroce massacro senza fine.

Come concludere.

La lezione è già stata scritta tanti anni fa dagli stessi Fratelli Musulmani di cui è fondamentale rammentare due proverbi sconosciuti agli occidentali (la cultura araba è imbevuta di detti e proverbi di cui gli intellettuali snobbano, spesso, l’importanza). Un uomo, un voto, una volta. (ovvero si vota democraticamente ma una volta conseguita la vittoria non si vota più). Dopo sabato viene domenica (ovvero prima massacriamo gli ebrei, nel loro giorno più sacro, l’indomani sarà il turno dei cristiani).

Luca Cornero di Monteprezzemolo


"Il presidente del Consiglio deve rendersi conto che l’unica strada per salvare il paese passa oggi attraverso un governo di salute pubblica". All'estenuante coro dell'opposizione che ogni giorno non fa che chiedere le dimissioni di Silvio Berlusconi si aggiunge anche Luca Cordero di Montezemolo che lancia un avvertimento al Cavaliere: "Se continuerà ad anteporre le proprie ambizioni al bene dell’Italia, e se la sua maggioranza lo asseconderà in questa pericolosa scelta, si concluderà nel peggiore dei modi un percorso politico che ha ombre e luci, ma che non merita di affondare nello spirito del 'dopo di me il diluvip'". Prende carta e penna e sceglie le pagine della Repubblica, l’ex presidente di Confindustria, per chiedere un passo indietro del premier e la formazione di un "esecutivo di salute pubblica" per un Paese "ormai al punto di non ritorno". Il numero uno della Ferrari torna a intralciare la politica senza esporsi in prima persona: attacca il governo, poi fa un passo indietro. Secondo Montezemolo, "non c’è più un minuto da perdere", eppure continua a tentennare, si limita ad attaccare (a ripetizione) le politiche intraprese dal governo senza mai proporre una soluzione: "Sono in gioco i risparmi degli italiani, la tenuta sociale e la permanenza dell’Italia nel sistema Euro". Per Montezemolo sia dalla maggioranza sia dall'opposizione non "arrivano risposte adeguate". "Il governo è paralizzato dai conflitti interni - tuona l'ad della Ferrari - l'opposizione ha una linea di politica economica confusa e non è in grado di garantire quanto richiesto dall’Europa". E quindi? "Le elezioni non rappresenterebbero dunque una soluzione e paralizzerebbero il paese". Tutti incapaci, insomma. Ed elezioni inutili. Da qui la necessità di un governo di salute pubblica. Guidato da chi? Questo non viene esplicitato.

Nella missiva al quotidiano di Carlo De Benedetti, Montezemolo illustra, tuttavia, cinque punti con le "misure prioritarie da adottare". Dal taglio ai costi della politica (meno parlamentari e radicale "sforbiciata" alle Province) alla maggiore protezione per i lavoratori (attenzione al precariato e istituzione di ammortizzatori sociali per poter affrontare il nodo dei licenziamenti e introdurre più flessibilità in uscita), dalla tassa sulle grandi fortune per poter abbattere le aliquote su lavoratori e imprese all'abolizione delle pensioni di anzianità. E, infine, l'apertura dei mercati grazie alle liberalizzazioni in modo da aumentare gli investimenti e l'occupazione. Questa, a grandi linee, la ricetta dettata da Montezemolo: "Questi cinque provvedimenti, se attuati simultaneamente e accompagnati da un grande piano di rilancio dell’immagine internazionale dell’Italia rappresenterebbero un valido argine alla speculazione, ridarebbero una prospettiva di crescita al paese e opererebbero nella direzione di una maggiore equità sociale". Quella di Montezemolo sembra una critica tout court alla classe politica. "Al contrario di quanto avviene nelle democrazie avanzate, dove l’obiettivo è la conquista dell’elettorato moderato - scrive ancora Montezemolo - in Italia la preoccupazione dei partiti e è quella di compattare la parte più populista dell’elettorato, appellandosi ad un 'serrate i ranghi' permanente". Secondo Montezemolo, "dentro la destra e la sinistra stanno emergendo forze che spingono per un rinnovamento vero del proprio schieramento". Da qui l'ennesima richiesta di un passo indietro del premier: "Il presidente del Consiglio deve rendersi conto che l’unica strada per salvare il paese passa oggi attraverso un governo di salute pubblica".

Sebastien Chabal

Senza nulla togliere agli All blacks, agli Irlandesi, ai nostri grandissimi eroi italiani... ma il cavernicolo resta sempre il cavernicolo. Qui un carinissimo tributo al giocatore in divisa blu scuro. Ho avuto l'onore e il piacere di vederlo dal vivo ed è... come dire, davvero imponente.

Tra circa 3 mesi comincia la miticissima 6 nazioni e non vedo l'ora di tornare a roma per assistere alle due partite in calendario.

domenica 30 ottobre 2011

Il partigiano Ingroia


Lo abbiamo visto partecipare ai convegni di partito, stringere la mano al presidente della Camera Gianfranco Fini, intervenire alla manifestazione dell'Idv di Di Pietro e Travaglio contro il bunga bunga per sbeffeggiare Berlusconi, sedersi sullo scranno di Annozero insieme con Ciancimino, parlare dal palco delle festa bolognese della Fiom. E il dubbio che il sostituto procuratore di Palermo Antonio Ingroia fosse, diciamo così, "di parte" era balenato nella mente. Ma poi questo dubbio si scontrava con le rassicurazioni e le dichiarazioni dello stesso pm che ha più volte sottolineato come “agli occhi del cittadino il magistrato non soltanto deve essere imparziale ma deve anche apparirlo”. Ma quando poi sempre lo stesso pm ammette la sua vera inclinazione politica, ecco che ogni dubbio viene spazzato. Il palco dal quale arriva la confessione è quello di Rimini, precisamente quello del VI Congresso nazionale del comunisti italiani. Ingroia fa il suo comizio. Dichiara che "siamo in una fase critica. Le parti migliori della società devono impegnarsi dentro e fuori le istituzioni per realizzare un’Italia migliore. La magistratura deve essere autonoma e indipendente. La politica deve essere ambiziosa: deve fare la sua parte. C’è tanta stanchezza fra gli italiani. La politica con la ’p’ minuscola chiede alla magistratura di fare un passo indietro. C’è bisogno invece di una politica con la ’p’ maiuscola. Senza verità non c’è democrazia. Fino a quando avremo verità negate avremo una democrazia incompiuta. Legalità senza sconti per nessuno, in armonia con i principi costituzionali. Abbiamo bisogno di eguaglianza. Un’Italia di eguali contro un’Italia di diseguali".

E poi ancora parole in difesa della Costituzione: "La Costituzione è sotto assedio. Che fare? Resistere non basta. I magistrati non possono essere trasformati in esecutori materiali di leggi ingiuste". Infine viene fuori il vero Ingroia: "Un magistrato deve essere imparziale quando esercita le sue funzioni -e non sempre certa magistratura che frequenta troppo certi salotti e certe stanze del potere lo è- ma io confesso non mi sento del tutto imparziale, anzi, mi sento partigiano. Partigiano non solo perché sono socio onorario dell’Anpi, ma sopratutto perché sono un partigiano della Costituzione. E fra chi difende la Costituzione e chi quotidianamente cerca di violarla, violentarla, stravolgere, so da che parte stare". Insomma, parole destinate a far scalpore, ma pronunciate comunque, nonostante il pm fosse consapevole di ciò che avrebbero provocato. "Ho accettato l’invito di Oliviero Diliberto pur prevedendo le polemiche che potrebbero investirmi per il solo fatto di essere qui - ha infatti esordito il magistrato di Palermo dal palco dell’assise del Pdci - ma io ho giurato sulla Costituzione democratica, la difendo e sempre la difenderò anche a costo di essere investito dalle polemiche".

La previsione sulle critiche è stata azzeccata. Infatti, dal Pdl sono giunte affermazioni di biasimo nei confronti del reo confesso. Il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchito, ha ringraziato ironicamento il "dottor Ingroia per la sua chiarezza. Sappiamo che le vicende più delicate riguardanti i rapporti tra mafia e politica stanno a Palermo nelle mani di pm contrassegnati dalla massima imparzialità". Più dure le parole del presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri. "Sono gravi e inquietanti le parole di Ingroia che confermano l’animo militante di alcuni settori della magistratura. Da persone così invece che comizi politici ci saremmo attesi le scuse per aver fatto di Ciancimino jr una icona antimafia quando invece organizzava traffici illeciti e nascondeva tritolo in casa. Ingroia conferma i nostri dubbi.E sul caso Ciancimino dovrebbe spiegare molte cose. Porteremo questo scandalo e il suo comizio odierno all’attenzione del Parlamento dove sarà anche il caso di discutere dlla nostra mozione sul 41 bis che fu cancellato per centinaia di boss al tempo di Ciampi e Scalfaro e che anche ora il partito di Vendola vorrebbe abolire".

"Non era mai accaduto che un magistrato in servizio, già esposto mediaticamente su più di un fronte, prendesse la parola a un congresso di partito per attaccare maggioranza parlamentare e governo. Oggi il dottor Ingroia lo ha fatto con il suo intevento al congresso dell’ultimo partito comunista rimasto,congresso che naturalmente lo ha applaudito in sfregio a qualsiasi principio di separazione dei poteri", sottolinea Giorgio Stracquadanio, deputato del Pdl. Insomma, Ingroia se lo aspettava: le sue parole avrebbe suscitato un vespaio. E così è stato.

Ancora sull'eurotruffa, parla Monti...


Signor presidente del Consiglio,
mi permetto di richiamare la Sua attenzione su alcuni aspetti delle Sue dichiarazioni di venerdì sull'euro. Lei ha affermato: «L'euro non ha convinto nessuno. È una moneta strana, attaccabile dalla speculazione internazionale, perché non è di un solo Paese ma di tanti che però non hanno un governo unitario né una banca di riferimento e delle garanzie. L'euro è un fenomeno mai visto, ecco perché c'è un attacco della speculazione ed inoltre risulta anche problematico collocare i titoli del debito pubblico». Di fronte alle vivaci reazioni suscitate, Lei ha in seguito precisato: «L'euro è la nostra moneta, la nostra bandiera. È proprio per difendere l'euro dall'attacco speculativo che l'Italia sta facendo pesanti sacrifici. Il problema è che l'euro è l'unica moneta al mondo senza un governo comune, senza uno Stato, senza una banca di ultima istanza. Per queste ragioni è una moneta che può essere oggetto di attacchi speculativi». Sono dichiarazioni che meritano un'analisi a freddo, al di fuori di ogni visione di parte. A mio parere, esse contengono alcune affermazioni fondate e altre infondate. Nell'insieme, fanno sorgere, accanto ad una remota speranza, serie preoccupazioni. Mi auguro che, con le parole e ancor più con i fatti, Lei riesca a rafforzare quella speranza e a sgombrare il campo dalle preoccupazioni, così vive in Italia e in Europa. Non solo - La prego di credermi - presso i suoi «nemici».

È certamente vero che l'euro è «una moneta strana», «un fenomeno mai visto». È anche fondata, e condivisa dagli osservatori più seri, la Sua diagnosi: il principale problema dell'euro consiste nell'essere una moneta «senza un governo, senza uno Stato, senza una banca di ultima istanza». C'è sì la Banca Centrale Europea ma, come credo Lei voglia dire giustamente, essa non dà garanzia di intervento illimitato in caso di difficoltà. Qui mi permetto di suggerirLe una considerazione. Se la condivide, potrebbe forse riprenderla in uno dei Suoi interventi. L'euro può soffrire della mancanza di un vero Stato alle sue spalle. Ma avere un vero Stato alle proprie spalle non porta necessariamente una moneta ad essere solida. La lira non era una moneta «strana». Ma era, il più delle volte, una moneta debole, proprio perché rifletteva le caratteristiche dello Stato italiano, dei governi e della Banca d'Italia (sempre autorevole ma, per lunghi periodi, arrendevole) che l'avevano generata. A parte un certo rialzo dei prezzi al momento della sua introduzione, la strana moneta euro, rispetto alla nostrana lira, ci ha portato negli ultimi 12 anni un'inflazione ben più bassa.

Se la Sua diagnosi coglie bene una gracilità di fondo dell'adolescente euro, mi sembra però che Lei la applichi a malanni che, in questo momento, il nostro adolescente non ha. Lei rappresenta un euro in crisi, a seguito di attacchi speculativi e aggiunge: «È proprio per difendere l'euro dall'attacco speculativo che l'Italia sta facendo pesanti sacrifici». Questo no, signor presidente. L'euro non è in crisi. In questi 12 anni, e ancora attualmente, l'euro non manifesta nessuno dei due sintomi di debolezza di una moneta. È stabile in termini di beni e servizi (bassa inflazione) ed è stabile (qualcuno direbbe, anzi, troppo forte) in termini di cambio con il dollaro. Gli attacchi speculativi ci sono, spesso violenti. Ma non sono attacchi contro l'euro. E non è vero che «risulta problematico collocare i titoli del debito pubblico». Gli attacchi si dirigono contro i titoli di Stato di quei Paesi appartenenti alla zona euro che sono gravati da alto debito pubblico e che hanno seri problemi per quanto riguarda il controllo del disavanzo pubblico o l'incapacità di crescere (e di rendere così sostenibile la loro finanza pubblica) perché non hanno fatto le necessarie riforme strutturali. È questo il caso dell'Italia, dopo che in prima linea si erano trovati la Grecia e altri Paesi. Per questo, da qualche tempo, è diventato problematico collocare i titoli del debito pubblico italiano. E di una cosa, signor presidente, può essere certo: se l'Italia non fosse nella zona euro, emettere titoli italiani in lire sarebbe un'impresa ancora più ardua.

Che l'Italia stia facendo pesanti sacrifici, è vero. Essi sono più pesanti di come sarebbero stati se si fosse ammesso per tempo il problema di una crescita inadeguata. Ma non posso credere che Lei pensi davvero che l'Italia faccia questi sacrifici non per rimettersi in carreggiata e ridare un minimo di speranza ai nostri giovani, ma «per difendere l'euro dall'attacco speculativo». Mentre è vero se mai che la Bce, con risorse comuni, interviene a sostegno dei titoli italiani. In Europa e nei mercati, affermazioni di questo tipo accrescono i dubbi sulla convinzione e la determinazione del governo italiano. Già due giorni dopo le decisioni di Bruxelles, i titoli italiani hanno fatto fatica a trovare collocamento. Ad ogni rialzo dei tassi, dovuto a scarsa fiducia nell'Italia, Lei finisce per imporre sacrifici ancora maggiori agli italiani. Anche le parole non sorvegliate hanno un costo. Ma ho una preoccupazione ancora maggiore. Dopo le Sue dichiarazioni sull'euro, Fedele Confalonieri, Suo storico collaboratore, personalità rispettata nel mondo economico, se ne rallegra. Affermando che «l'euro è una moneta strana, che non ha convinto nessuno, Berlusconi ha detto una cosa che pensano tutti; solo che lui lo dice, perché non è ipocrita. E non c'è dubbio che il premier con questa battuta abbia toccato le corde di chi, dai tempi del cambio della lira, ha sempre storto il naso». Questo, secondo vari osservatori, fa ritenere che nella prossima stagione pre-elettorale, ormai non lontana, il tema in questione potrebbe diventare un Suo cavallo di battaglia.

Se questa fosse la prospettiva, e non voglio crederlo, ci avvieremmo ad una fase nella quale i severi provvedimenti che Lei si è impegnato a introdurre non potrebbero essere presentati in modo convincente ai cittadini, né potrebbero essere accettati con maturità, perché sarebbero accompagnati da scetticismo, se non recriminazioni, verso l'Europa. L'Italia non farebbe i passi avanti che le sono indispensabili e potrebbe rivelarsi il ventre molle dell'eurozona, con gravi fratture per l'Europa. Parlavo, però, di una remota speranza. La Sua diagnosi - la moneta è incompiuta e «strana» senza un governo dell'economia e passi verso l'unione politica - è in linea con la migliore tradizione dell'europeismo italiano. Come Lei, forse con qualche turbamento, ha visto a Bruxelles alcuni giorni fa, il governo economico si sta creando. Ma sarebbe più ordinato, più equilibrato e più orientato alla crescita economica se potesse formarsi con un'Italia che con gli altri, Germania e Francia in primo luogo, concorresse attivamente a plasmarlo. Anziché, come sta avvenendo, con un'Italia costretta ad accettare passivamente forme di governo dell'economia che vengono improvvisate soprattutto allo scopo di «disciplinare» il nostro Paese. Confido, signor presidente, che prevalga in Lei l'ambizione di riportare l'Italia nel ruolo che le appartiene in Europa, accelerando in silenzio il risanamento, rispetto a quella di un successo elettorale a tutti i costi per la Sua parte politica, ma in un Paese sempre più populista, distaccato dall'Europa e magari visto come responsabile di un fallimento dell'integrazione europea.

Mario Monti

Eurotruffa


La nave non deve limitarsi a uscire dal porto con la banda e navigare bene per un po’, ma deve arrivare sana e salva a destinazione, se ciò non accade e fa naufragio, è doveroso indagarne le cause e se è il caso cercare i responsabili. Può anche essere che la responsabilità sia dei progettisti che hanno sbagliato la costruzione. Nel caso dell’euro ci vuole davvero poco a capire che il problema risiedeva proprio nell’architettura di base, in quello stesso progetto disegnato dall’Europa dei tecnocrati di sinistra che ha visto Ciampi e Prodi come nostri rappresentanti nazionali, e per il quale essi hanno goduto di ampi onori ed applausi finché la nave andava. Eh sì, perché Berlusconi, costretto a smentire intenzioni antieuropee quando venerdì ha citato i difetti dell’euro, in realtà ha detto molte cose assai vere che abbiamo ripetuto su queste pagine sin da tempi non sospetti. Il premier ha solo sbagliato una cosa: ha eccessivamente sintetizzato un concetto giusto citando semplicemente il nome della moneta invece di citare il problema a monte e che a quella moneta dà valore, vale a dire il debito sovrano denominato in euro. La moneta in sé e per sé non ha colpe è solo uno strumento.

Le nostre banconote, per brutte che siano, decorate solo da ponti e finestre (due luoghi dai quali in tempi grami ci si butta di sotto), una volta scelte diventano la bandiera di un popolo, e dietro alle bandiere si deve stare uniti, però sono anche semplici pezzi di carta. Quello che dà loro valore (anche se molti lo dimenticano) è il debito che essi possono legalmente ripagare, primo fra tutti quello fiscale. Il fatto di aver del tutto staccato la capacità di emissione di moneta dalle autorità nazionali, che a quella moneta danno valore tramite l’imposizione delle tasse, è il peccato originale dell’eurosinistra. Si tratta di una struttura molto coerente con un’impostazione ideologica che vede il governo ideale nelle mani di un’aristocrazia di tecnici e sottratto alla volontà popolare che, nella sua insipienza, potrebbe persino (orrore!) eleggere qualcuno diverso da loro.

Peccato, però, che alla prova dei fatti questo sistema non abbia retto. I mercati si reggono su certezze assolute e il pensiero che un debito possa non esser ripagato e che il fatto di poter essere onorato dipenda da estenuanti trattative fra i capi di Stato e i padroni della moneta è, per un creditore, intollerabile. Tutti i debitori rispondono con i loro beni delle proprie obbligazioni altrimenti nessuno presterebbe nulla, per gli Stati così non è perché la Banca centrale li tutela. Obama potrebbe fare tutte le sciocchezze di questo mondo, ma il suo debito è garantito dalla Federal Reserve. L’economia inglese è un disastro, ma nessuno specula contro quel debito perché la Banca centrale lo potrebbe acquistare senza limiti. Noi no. Abbiamo disegnato un sistema dove le garanzie sul debito non esistono. In questo progetto fallato, poi, abbiamo inserito degli ingredienti pessimi quali ad esempio economie chiaramente non allineate come la Grecia (trattato del giugno 2000, presidente Ue Prodi, presidente del Consiglio Amato, presidente della Repubblica Ciampi, tutti all’epoca entusiasti), oppure debiti già fuori limite sin dall’inizio come il nostro e quello del Belgio in eccezione a regole appena scritte.

Ma, si dirà, forse la colpa non è degli architetti dell’euro, ma di quei paesi indisciplinati come l’Italia che non hanno approfittato dei vantaggi (innegabili) dei tassi bassi per ridurre il proprio debito. L’obiezione però cade se si guarda ai paesi caduti prima, vale a dire Irlanda e Spagna, che avevano virtuosamente un indebitamento fra i più bassi d’Europa, ma anch’essi subito caduti davanti alla sfiducia. La Cina ci disse quest’estate: «Ma se la vostra Banca centrale non compra il vostro debito perché dovremmo farlo noi?». Verissimo, e il fatto che ora lo stia acquistando quasi con schifo, mettendo ben in chiaro che lo farà solo per breve tempo, ha messo una pezza ma di certo non restituisce la fiducia. Prodi ha dichiarato che «i giudizi di Berlusconi sono una follia» ma prima o poi bisognerà fare il punto sulle cause profonde e lontane dell’attuale crisi. Troppo comodo prendersi solo gli applausi e chiamarsi fuori davanti al disastro.

sabato 29 ottobre 2011

Non lo avevamo capito...


Se c'era bisogno dell'ufficialità dell'avvio della campagna elettorale da parte del presidente della Camera Gianfranco Fini eccola arrivata. "Fli è in campo, il Terzo Polo cresce e Fini è in campagna elettorale, come lo è Berlusconi". L'annuncio non giunge dalle parole del diretto interessato: sarebbe fin troppo spudorato, anche se ormai Fini ha dimostrato di aver abbandonato lo scranno di presidente superpartes più volte. Ma giunge da uno dei suoi fedelissimi, il pasdaran Carmelo Briguglio, che in un intervento a Montecitorio mette nero su bianco i piani del leader del suo partito. Il tutto condito dal solito attacco nei confronti dell'esecutivo, di cui faceva parte fino a poco tempo fa, e del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. "Scajoliani, ex responsabili, scontenti, fuggitivi da Fli, sottosegretari di fine stagione, onorevoli usa e getta: Berlusconi si prepara a gettarli in mare ripulendo le liste del partito che è sua proprietà personale. Macché primarie, macché Formigoni o Alfano: il candidato premier è e sarà ancora lui. Lo ha detto chiaro: deve difendere le sue aziende, le sue antenne, gli interessi dei suoi figli", tuona il vicecapogruppo vicario di Fli a MonteCitorio. Che poi aggiunge: "Solo gli ex dc il cui modello politico è Don Abbondio hanno paura di prendere atto della realtà. Noi lo abbiamo capito da tempo. Per fortuna. Delle lettere non firmate in puro stile democristiano non ci interessa nulla. Le lettere anonime, apocrife, clandestine che girano dentro il Pdl testimoniano che il dissenso verso Berlusconi e il suo governo che non governa c’è ed è in crescita. Perché il dissenso diventi un fatto politico manca un leader che lo impersoni".

Peccato per Briguglio che le ultime notizie in circolazione smentiscano la veridicità della missiva dei frondisti del Pdl. Ma per Briguglio i malcontenti ci sono ed è tutto un problema di coraggio. "Non lo è Scajola al quale manca il coraggio e nemmeno Pisanu al quale fanno difetto la voglia e i bioritmi. Così i dissenzienti non trovano la forza di reagire concretamente e si limitano ad elaborare quelle che hanno il sapore di lettere di condannati a morte dal campo berlusconiano". Il falco futurista poi rigetta ogni ipotesi di governo tecnico, perché "toglierebbe le castagne dal fuoco a Berlusconi. In questo caso le opposizioni sarebbero costrette a prendersi sulle spalle misure e sacrifici contenuti nella lettera all’Ue che il presidente del Consiglio ha confezionato senza consultarci. A noi di Fli e del Terzo Polo chi ce lo fa fare?". E dunque ecco la strategia di Futuro e libertà: "Lasciamo che il premier assuma fino in fondo la responsabilità e le conseguenze politiche ed elettorali del disastro che ha provocato. Insomma il governo governi e l’opposizione faccia l’opposizione. In fondo sono i due modi di servire il Paese. Unicuique suum, a ciascuno il suo".

venerdì 28 ottobre 2011

E loro poco costruttivamente, scioperano...


Datele tempo. E porterà tutti i sindacati in piazza. Lei che si vanta di dire sempre no, la segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso, promette fuoco e fiamme, barricate, manifestazioni oceaniche. Si sente aria di anni Settanta. Si sente aria di ideologia. In un momento storico in cui l'economia non ha proprio bisogno né di manifestazioni di stampo sessantottino né di ideologia. Ma tutto questo le parti sociali fanno davvero fatica a capirlo. Accusata più volte dalle tute blu della Fiom, di essere molle con i potenti e di non ribellarsi ai soprusi dei padroni, adesso la Camusso tira fuori i denti e si rimbocca le maniche: scendiamo in piazza e spacchiamo tutto. "Dateci il tempo di discutere", avverte in piazza del Popolo mentre è in corso la manifestazione nazionale dei pensionati dello Spi. "Ci stiamo parlando per capire cosa vuole fare il governo - spiega la Camusso ai giornalisti - valuteremo tutte le scelte e le possibilità che ci sono". Intanto, una prima data c'è già: la Cgil sarà in piazza San Giovanni per la manifestazione sul lavoro. L'appuntamento è per il 3 dicembre. "Il governo sappia che un sindacato contrasterà sempre i licenziamenti - continua la leader della Cgil - su questo punto non incontrerà mai il giudizio positivo delle organizzazioni sindacali. Un sindacato lavora per l’occupazione, non per l’opposto". E avverte: "La prospettiva di questo Paese si riapre quando riusciamo a fare l’unico licenziamento ammissibile, cioè quello di questo governo".

"Non ho mai trovato un Paese che per crescere deve licenziare. Si gioca sulla pura propaganda". La Camusso è convinta che "se si fanno proposte diverse che rispondono agli stessi risultati si può dire di 'no' all’Europa. Gli altri Paesi hanno fatto scelte diverse: per dire no all’Europa bisogna avere un’altra proposta". Poi denuncia: "Negli ultimi tre anni il Paese è stato portato alla stagnazione e quasi alla recessione". Dal governo il segretario generale della Cgil vuole sapere se intende ridurre gli ammortizzatori sociali. Insomma, dopo aver rinfacciato per settimane al governo di non adottare le misure proposte dall'Unione europea, adesso la Camusso attacca duramente il governo.

L'islam e il pericolo non visto


Storico della penetrazione islamica in Occidente, ed in Europa in particolare, Bruce Bawer è autore di due saggi che hanno riscosso l’apprezzamento internazionale, tra cui quello di Bernard Lewis, “While Europe splept”, e “Surrender appeasing islam, sacrificing freedom”, non tradotti in italiano. Vive in Norvegia. Questo suo primo articolo riguarda solo apparentemente Stati Uniti e Canada, in realtà è una anticipazione di un mutamento che entro breve tempo coinvolgerà anche l’Europa.

La politica-che-non-vede-il-pericolo: ecco come i media, le università, a altre istituzioni si relazionano con i leader musulmani occidentali.

In un recente articolo sul canadese National Post, la valorosa Barbara Kay scrive su Ingrid Mattson, una cattolica cresciuta a Kitchener, Ontario, convertita all’islam, e divenuta una figura di primo piano nelle istituzioni islamiche del Nord America. Fino a poco tempo fa ha insegnato Studi Islamici all’ Hartford Seminary, dove, come scrive Kay, citando uno scritto dello studente Andrew Bieszad nel quale ha raccontato la propria esperienza, “L’islam veniva insegnato in classe con criteri molto diversi dalle altre religioni”. Citando un corso di “dialogo inter-religioso” nella sua classe, Bieszad ha dichiarato “sono cattolico e non credo nell’islam”. In seguito a questa sua affermazione, una studentessa disse di essere musulmana e, rivolgendosi direttamente a lui, disse a bassa voce, con un accento arabo “tu sei un infedele perché non accetti l’islam, quindi non sei degno di vivere”, mentre un altro studente musulmano accanto a lei si dichiarava d’accordo. Quando Bieszad riferì l’accaduto alla direzione della scuola, gli fu detto che era “intollerante verso i musulmani”, e che la giusta soluzione era una “migliore comprensione dell’islam”. “Nessun compagno di classe, musulmano o no, mi venne in aiuto, nemmeno in nome del principio che le diverse opinioni vanno rispettate”, disse poi Bieszad.

Mattson non era soltanto una insegnante del Hartford Seminary. Sino allo scorso anno era anche a capo della ISNA (Islamic Society of North America), una organizzazione a diffusione nazionale, che a Dallas, durante il processo nel 2007 alla “Holy Land Foundation”, una società di beneficenza islamica ora chiusa, fu accusata di cospirazione per avere raccolto fondi destinati a Hamas. Il progresso rivelò verità esplosive, scoprendo le relazioni che intercorrevano fra le organizzazioni musulmane negli Stati Uniti considerate invece non pericolose. Quel processo fu in gran parte ignorato dai grandi giornali americani, altri, se non ignorato, ne hanno dato brevi e insufficienti resoconti. In un mondo normale, uno si aspetterebbe che le rivelazioni dei legami con dei gruppi terroristi dovrebbero avere delle conseguenza negative sulla reputazione di un individuo. Ma oggi le cose non funzionano più in questo modo se si tratta di islam. Neil MacFarquhar, scrivendo su ISNA sul New York Times subito dopo il processo Holy Land,– come ho riportato nel mio libro “Surrender: appeasing islam, sacrificing freedom” (2009), “ignorò completamente le pesanti informazioni rivelate su ISNA durante il processo, come quelle che riguardavano i Fratelli Musulmani e i loro ingenti finanziamenti ad Hamas tramite una loro associata, la NAIT ( North American Islamic Trust)”. Come scrissi, MacFarquhar non solo cercò di riabilitare l’ISNA, ma attaccò due membri del Congresso che l’avevano criticata, Pete Hoekstra e Sue Myrick. Su Newsweek, Gretel C.Kovach, scrisse che l’intero processo andava classificato come un esercizio di islamofobia.

Solo dopo che il processo Holy Land ebbe termine, USA Today pubblicò un profilo di Mattson, scritto da Cathy Lynn Grossman, che non era altro se non un pezzo di colore. Sorprendente o no, Grossman non citava nemmeno il processo. Entusiasta nei confronti di Mattson, quale “volto dell’islam americano”, Grossman adoperava quel tipo di prosa che troviamo oggi nei giornali americani solo quando si tratta di islam. Mattson, vi si leggeva, era una cattolica convertita che “ha trovato la sua casa spirituale nell’islam”, una “fede scelta a 23 anni, attratta dalla bellezza dell’islam, come ebbe a dichiarare, dalla moralità dei suoi contenuti, una sintesi di vita e fede in ogni azione rivolta a Dio”. Quand’è stata l’ultima volta che abbiamo letto qualcosa di simile in un importante giornale americano su cristianesimo, ebraismo, buddismo, induismo o qualunque altra religione?

Quel pezzo era il classico articolo elogiativo, e nient’altro, con tutti i particolari positivi bene in vista. Grossman aveva sottolineato la determinazione di Mattson nel costruire “una forte religione e istituzioni civili a favore dei musulmani americani”, facendo attenzione a non includere nessun dettaglio della sua teologia che avrebbe potuto danneggiarne il ritratto, magari scrivendo (con una formula che è diventata de rigueur in questo tipo di articoli) che Mattson era “troppo progressista per alcuni, troppo conservatrice per altri”.  Questo succedeva quattro anni fa. Lo scorso anno Mattson ha lasciato il suo incarico alla ISNA. Ora, scrive Kay, le è stata assegnata una cattedra in un nuovo programma di studi islamici allo Huron College, una facoltà di teologia affiliata all’Università di Western Ontario. La cattedra che occuperà, secondo quanto scrive Kay, è sovvenzionata soprattutto da “due organizzazioni, la MAC ( Muslim Association of Canada) e la IIIT (International Institute of Islamic Thought), con sede in Virginia, entrambe ritenute legate all’Ideologia islamista”.

Kay chiarisce che Mattson ha un atteggiamento profondamente equivoco sul Wahabismo, l’islam sunnita, repressivo e arretrato che domina nell’Arabia Saudita, descrivendolo come “un movimento riformista”, e paragonandolo – incredibile - alla “riforma protestante in Europa”. Sempre secondo Kay, Mattson ha anche detto che il miglior commento del Corano in lingua inglese è quello di Maulana Abul A’la Maududi, un autore islamista che scrisse che “l’islam vuole distruggere tutti gli stati e i governi ovunque sulla faccia della terra che si oppongono all’ideologia e al programma dell’islam”. Lo Huron College è preoccupato per queste dichiarazioni? Non più del New York Times o USA Today. “In una dichiarazione stampa sull’incarico a Mattson”, scrive Kay, “il Preside dello Huron College, Stephen McClatchie, si complimentò per il suo curriculum accademico e le sue ‘credenziali impeccabili’ per quell’incarico”. Kay ricorda che quando intervistò il predecessore di McClatchie qualche mese fa, chiedendo che cosa pensasse del denaro arrivato da oscure organizzazioni, si senti dire “Non indaghiamo su cosa pensano i nostri donatori”. Come Huron non indaga, osserva Kay, quali siano le opinioni dei nuovi docenti della facoltà.

Ci sentiamo spesso ripetere che l’Occidente è impregnato di islamofobia, che i musulmani sopportano pregiudizi e critiche ingiustificate. Invece, quel che avviene in Occidente, è l’opposto: le istituzioni fondamentali della nostra società, dai media che sono ritenuti rispettabili, così come sono ritenuti tali università e scuole in generale, hanno stabilito che, quando si tratta di islam, e solo di islam, le regole cambiano. Persino le opinioni più inaccettabili, detestabili, anti-democratiche vengono trascurate, in quanto vengono giudicate facenti parte del dogma islamico. Lo stesso succede per quanto riguarda i rapporti con i gruppi terroristi. Ciò che colpisce è vedere come questa politica-che-non-vede-il-pericolo si sia diffusa un po’ ovunque nel mondo occidentale in un modo relativamente indipendente, senza collegamenti o un coordinamento su scala internazionale, senza alcuna cospirazione. Editori e giornalisti, rettori e presidi, governi e forze militari, o chi volete, tutti, chi più chi meno, sembrano decidere che a un certo punto l’islam deve essere trattato con i guanti. Che sia pura codardia o un malguidato senso di tolleranza, o tutti e due, quando il soggetto è l’islam, viene deciso che è semplicemente non appropriato porre domande scabrose o verificare certe difficili situazioni, meglio accontentarsi di verità parziali e palesi menzogne. Il risultato di questa terribile politica malamente prodotta, è che sempre più persone come Ingrid Mattson assumono senza dare nell’occhio posizioni di autorità e potere da un capo all’altro del continente. Dove porterà tutto questo? Conoscete, come me, la risposta.

Bruce Bawer, fra i suoi libri, “ While Europe slept” e “Surrender: appeasing islam, sacrificing freedom”.

giovedì 27 ottobre 2011

Merkel-Sarkò e l'italia


Siamo alla follia. All’inutile vertice Ue di domenica, chi era sul banco degli imputati? La Grecia con i suoi bilanci truccati e il default ormai alle porte (nonostante gli altri 8 miliardi di morfina in arrivo, a meno che il Fmi non li blocchi)? La Francia con le sue banche strapiene di debito ellenico? La Germania che vuole trasformare l’Efsf in un’assicurazione per far felici Allianz e Deutsche Bank e salvare banche e assicurazioni, anch’esse belle cariche di porcheria, ancorché meno dei maestrini di francesi perché hanno tentato di svendere tutto a qualsiasi prezzo nei mesi scorsi? No, l’Italia. Ben inteso, questo Paese ha sì bisogno di un elettroshock liberale e liberista come dell’aria e l’attuale maggioranza, bloccata dal socialismo reale di Tremonti e dal conservatorismo populista della Lega Nord, non può dar vita a questa rivoluzione necessaria, ma mi risulta difficile da digerire il fatto che Cip e Ciop ci “impongano” di presentare il Decreto sviluppo entro il nuovo vertice Ue fissato per domani. Ma chi sono questi due per dare ordini? Riforma pensionistica, privatizzazioni e vendita di beni dello Stato sono misure necessarie e sacrosante per stabilità e crescita, così come improrogabile è ormai lo strappo con lumbard e superministro dell’Economia, ma i tedeschi che truccano i conti del debito pubblico non conteggiando alcuni costi, i quali altrimenti li porterebbero molto più vicini a noi come ratio debito/Pil, sono così sicuri di poter straparlare, facendosi beffe dell’Italia? Hanno le banche che sono degli hedge funds sottocapitalizzati, quelle semipubbliche legate ai Lander hanno agito come trading desk di banche d’affari e ora vengono a fare la morale a noi che, fino a prova contraria, di banche non ne abbiamo dovuto salvare? Dexia, poi, è forse italiana?

Se ci si sta coprendo di ridicolo davanti al mondo, passando da un rinvio all’altro, da un vertice all’altro, da un Eurogruppo a un G20 come se fossero riunioni di condominio dove si litiga in punta di millesimi, è principalmente per il nodo dei tagli obbligazionari sul debito greco che riguardano quasi esclusivamente istituti di credito e compagnie assicurative francesi e tedesche, eppure rompono l’anima a noi, che abbiamo sì un debito pubblico alto ma stabile da ormai anni a livello di gestibilità, nonché un avanzo primario che lor signori si sognano e un debito privato tra i più bassi in assoluto: ma stessero zitti! Quale credibilità possa avere uno come Sarkozy, poi, è degno della risata che Giuliano Ferrara e Antonio Martino hanno annunciato per oggi pomeriggio alle 17 a Piazza Farnese, di fronte all’ambasciata di Francia. La scorsa settimana, con tono tra l’ultimativo e il millenaristico, aveva dichiarato che se non ci fosse stato accordo al vertice di domenica, «sarebbe stata la catastrofe». E ora? Ora si può spostare avanti l’orologio della catastrofe fino a domani, la fine del mondo economico-finanziario è su prenotazione, quasi fossero i nostri conti e non le loro banche o il debito greco a far tremare l’Europa?

... meglio tacere e...


Adesso che la guerra intestina che per mesi ha dilaniato e diviso la Libia è finita, bisogna rimboccarsi le maniche e ricostruire. Dall'addestramento delle forze di sicurezza al controllo delle armi chimiche, fino allo sminamento. Il ministro della Difesa Ignazio La Russa assicura che l’Italia "è pronta a fare la sua parte" per accompagnare il popolo libico nella ricostruzione del proprio Paese. Nel corso di un’informativa a Palazzo Madama, il titolare della Difesa ha, tuttavia, fatto sapere che "per saperne di più sul futuro dell’impegno Nato in Libia occorrerà però aspettare le decisioni della riunione del Consiglio Atlantico di domani".

"Il contributo italiano per il monitoraggio della situazione in Libia potrebbe riguardare la formazione e l’addestramento delle forze di sicurezza libiche, il controllo delle armi chimiche, delle armi antiaeree spalleggiabili e lo sminamento umanitario". La Russa elenca al Senato il contributo che il nostro Paese intende dare al popolo libico per aiutarlo in questo momento di transizione che fa seguito alla morte del raìs. Morte che, sottolinea il ministro, "non rientrava negli obiettivi militari della Nato" e che per questo sarà al centro di un'indagine per vagliarne "le modalità". Per quanto riguarda la collaborazione con il popolo libico, La Russa fa sapere che l'Italia contribuirà in "settori complessi e altamente sensibili" per i quali il nostro Paese è pronto a fornire il proprio contributo, "sia nell’ambito di iniziative internazionali ovvero su specifica richiesta delle autorità libiche anche con accordi bilaterali".

La Russa ci tiene, tuttavia, a ricordare che la copertura finanziaria della missione è scaduta il 30 settembre. Non è, comunque, stato necessario un nuovo rifinanziamento: "Le operazioni successive a quella data non lo hanno richiesto". "Mentre la necessaria copertura giuridico-amministrativa del personale impiegato - ha continuato La Russa nell'audizione a Palazzo Madama - verrà contemplata in un’apposita previsione da collocarsi nel primo strumento normativo utile". Va comunque detto che ieri, durante la riunione dei capi di Stato Maggiore dei Paesi intervenuti in Libia, l'Italia ha già avuto le richieste di una partecipazione a una nuova missione nel Paese del Nord Africa. "Si sono ipotizzate soluzioni che meriteranno un’attenta valutazione da parte italiana - ha spiegato il ministro della Difesa - non si può vanificare lo sforzo ora fatto e disattendere le legittime speranze di un popolo".

mercoledì 26 ottobre 2011

Tunisia fa rima con sharia...


In Tunisia vincono, con un risultato record che potrebbe superare il 40% dei voti, gli islamici, ma saranno costretti ad allearsi con i partiti laici. E chi non ama i barbuti del Corano è già sceso in piazza al grido «vergogna» per supposti brogli. Le prime elezioni libere dopo l'inizio della primavera araba hanno portato al potere Ennahda, il movimento di Rachid Ghannouchi costretto all'esilio in Gran Bretagna per 22 anni. Ieri sera su 67 seggi assegnati compresi quelli di Sfax e Susa, seconda e terza città del Paese, gli islamici erano in testa con 29 parlamentari. La sorpresa è la lista indipendente Aridha Chaabi, che ha conquistato 8 seggi e si batte per il terzo posto. La lista è guidata dall'outsider Hachmi Haamdi, un ricco uomo d'affari con base a Londra. L'assemblea costituente sarà composta da 217 parlamentari. «Questo è un momento storico. Il risultato dimostra che il popolo tunisino è legato alla sua identità islamica» ha sentenziato Zeinab Omri, una giovane con il velo che ha festeggiato la vittoria a Tunisi. I primi risultati del voto dei residenti all'estero avevano già fatto capire dove soffiava il vento. Ennahda ha conquistato la metà dei seggi (9 su 18) previsti per il milione di tunisini che vivono in Europa e Stati Uniti. Da notare che la comunità più forte con circa 600mila persone risiede in Francia, ma al secondo posto ci sono i 152mila tunisini presenti in Italia. «Sono molto preoccupato da questi risultati. I diritti delle donne verranno erosi. Si rischia un ritorno alla dittatura se Ennahda conquisterà la maggioranza dell'assemblea» spiega Meriam Othmani, giornalista di 28 anni.

A Tunisi centinaia di manifestanti hanno innalzato dei cartelli con scritte eloquenti: «Mai smettere di lottare» ed «Ennahda = 30 TND». Il riferimento è alle accuse che il partito islamico abbia comprato i voti per 30 dinari. I vincitori gettano acqua sul fuoco e annunciano l'offerta di un governo di coalizione ai due partiti laici più forti. Il Congresso per la Repubblica era al secondo posto, con 11 seggi, quando ne dovevano venir assegnati ancora 150. Il suo leader, Moncef Marzouki, ha già detto sì al governo con gli islamici. Fermo difensore della libertà di parola, di associazione e dell'eguaglianza fra i sessi, il secondo partito tunisino, nato nel 2001, è stato legalizzato solo dopo la rivolta in Tunisia. Marzouki ha vissuto in esilio a Parigi ed il simbolo elettorale del movimento sono gli occhiali rossi che lo contraddistinguono. Il Congresso si colloca al centrosinistra, appoggia la causa palestinese e vuole «rinegoziare» gli impegni con l'Ue, che riguardano anche i clandestini.

L'altro partito laico, che si contende il terzo posto con la lista indipendente del miliardario di Londra, è il Forum democratico per il lavoro e le libertà. Meglio noto come Ettakatol, è stato fondato nel 1994 da Mustafà Ben Jaafar. Durante il regime di Ben Alì il partito, pur sopportato, era marginalizzato. Nel 2009 Jafaar, medico che si è formato in Francia, ha partecipato alle elezioni presidenziali. Ettakatol è un classico partito socialdemocratico, che al primo punto del programma ha voluto la separazione fra Stato e religione. Durante la campagna elettorale ha promesso la creazione di centomila posti di lavoro. La formazione laica uscita sconfitta dalla tornata elettorale, che non vuole saperne di accordi con gli islamici, è il Partito Democratico progressista. Nato negli anni Ottanta, ha avuto vita dura ai tempi di Ben Ali. I due leader, Ahmed Nejib Chebbi e Maya Jribi, sono diventati famosi per gli scioperi della fame, ma dopo la rivoluzione il partito ha cominciato a perdere pezzi. Nel programma economico i progressisti puntano ad attirare turisti da India e Cina, oltre a sviluppare l'energia solare per esportarla in Europa.

Nel frattempo, dicono che ad Hammamet non festeggiano affatto.

Democraticamente ribelli...


La nuova Libia vuole tornare alla normalità, ma la strada da compiere è ancora molto lunga. Sia per gli strascichi di polemiche per la fine di Gheddafi, giustiziato dopo la cattura (ieri la sepoltura in un luogo segreto nel deserto), sia per la lunga striscia di sangue e di violenze che prosegue, sull'onda della vendetta. Negli ultimi giorni sono state trovate decine e decine di corpi di lealisti fucilati alla schiena, con le mani legate: vere e proprie esecuzioni sommarie. Intanto alcuni siti internet vicini al vecchio regime del colonnello hanno pubblicato una nuova lettera attribuita al figlio dell'ex raìs, Saif al-Islam, in cui il "delfino del colonnello" promette vendetta per l'uccisione del padre. Saif, che è dato in fuga verso il Niger, si rivolge alla sua famiglia e ai libici: "Voglio rassicurare mia madre e mia sorella sul fatto che vado avanti, voi mi conoscete, non potevo tradire il testamento di mio padre da vivo, figuratevi se posso farlo da morto. Per quanto riguarda i fedeli libici, io dico loro: se avessimo potuto tornare indietro l'avremmo fatto in passato, ma abbiamo superato la linea del non ritorno da tempo". Ma secondo il Cnt - come riferito da al Arabiya - Saif sarebbe disposto a consegnarsi al Tribunale penale internazionale, che ha spiccato nei suoi confronti un mandato d’arresto per crimini contro l’umanità. Saif sarebbe stato avvistato questa mattina in territorio nigerino, nella località di Arlit, 400 km circa a nord di Agadez.

Il sito dell'emittente francese Europe 1 scrive che la famiglia di Gheddafi intende presentare una denuncia per crimini di guerra alla Corte penale internazionale dell'Aja: "Presenteranno una denuncia all'Aja - ha detto l'avvocato francese di Gheddafi, Marcel Ceccaldi - perché si conoscano le circostanze della sua morte. Ci sono degli elicotteri della Nato che hanno colpito il convoglio sul quale viaggiava. Questo convoglio non presentava alcun rischio per la popolazione. È dunque un omicidio programmato della Nato". Accuse molto gravi su cui è auspicabile che venga fatta chiarezza. E' bene ricordare che lo stesso Gheddafi era accusato di crimini di guerra per aver fatto sparare sulla folla che protestava, in piazza, contro il regime. Quella durissima repressione della rivolta aveva spinto l'Onu ad approvare una risoluzione volta a proteggere i civili. Poi la guerra, durata sette mesi, con il determinante apporto delle forze Nato. Va da sé che l'uccisione del Colonnello, avvenuta non in combattimento ma con una vera e propria esecuzione dopo la cattura, non può rientrare sotto alcun "ombrello giuridico" internazionale.

Sulla sorte di Muammar Gheddafi si litiga anche al al Palazzo di Vetro. "Non è stato giustiziato, ma è morto in seguito alle ferite riportate", ha ribadito il rappresentante libico alle Nazioni Unite, Ibrahim Dabbashi, durante la riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Ma secondo l’inviato dell'Onu a Tripoli, Ian Martin, l’ex raìs sono stati "maltrattati e uccisi in circostanze che richiedono un’inchiesta".

Dittatura delle minoranze

Un commento all'articolo: "Continuiamo a sbagliare. Sono loro a dover essere tolleranti e rispettuosi nei confronti delle nostre usanze. Questo é il significato di integrazione. E' un problema loro se non sopportano cristiani, ebrei, buddisti, taoisti, cioé tutti quelli che non sono come loro. Oltre a cio' non dobbiamo concedere un centimetro a chi non rispetta la nostra civilta' e ci uccide nei propri paesi per quello che rappresentiamo. E' ora di dire basta, nessuna concessione speciale per i musulmani. Hanno la possibilita' di vivere liberi e in democrazia nei nostri paesi e di professare liberamente la loro fede. Se questo non gli basta vanno espulsi. Noi non cambieremo la nostra civilta' per la loro!A tutte le anime buone e comprensive: guardate le loro societa' e cosa é successo nei paesi dove l'islam si é stabilito, se non facciamo qualcosa diventeremo cosi' anche noi. Volete questo per i vostri figli?"


Niente preghiere in aula. Niente festività religiose. Niente quadri della madonna in aula. La stretta laica arriva anche all'istituto Andrea Sole di Borgo Molara, nel palermitano. A causare l'eliminazione di ogni simbolo religioso dalla scuola materna ed elementare di Palermo le rimostranze di una famiglia musulmana, preoccupata che la figlia potesse essere discriminata religiosamente dalla presenza dei simboli cristiani nell'istituto. Una decisione che per accontentare una singola famiglia, scontenta di fatto tutti gli altri genitori della scuola, che oppongono alla decisione sostanzialmente la stessa motivazione. Non è giusto discriminare nessuna posizione religiosa. Sia essa islamica o cristiana. Passi forse l'abolizione delle preghiere all'inizio delle lezioni, ma la rimozione del quadro della vergine dai muri dell'istituto, decisa dalla dirigente del plesso scolastico, si scontra con le idee dei genitori che commentano il fatto e fanno presente che i loro figli hanno diritto a mantenere l'identità religiosa e culturale con la quale sono cresciuti. Dal canto suo la preside, a capo di di una direzione didattica che comprende 5 plessi, e quindi un migliaio di alunni, spiega che "la mamma della bambina musulmana ha soltanto rivendicato il diritto di non aver impartiti insegnamenti cattolici. Sono garante di un’istituzione che deve vedere tutti egualmente rappresentati. Avevo persino pensato di realizzare un angolo interreligioso". Nessun problema, almeno in questo caso, è stato avanzato invece per la presenza in aula del crocifisso, anche perché, spiega sempre la dirigente scolastica, "ci sono sentenze europee che lo consentono" e dell’albero di Natale.

Il ridicolo partigiano


Altro che super partes: a Ballarò show del presidente della Camera che dà il via alla sua campagna elettorale insultando premier e governo. Persino Vendola si accanisce meno anche se sarebbe più credibile di Fini e del suo Fli fermo al 4%... Quando sorride, lo fa con il sorrisetto di chi gongola. Se si fa serio, ha l’aria grave dello statista. E anche di chi lo aveva detto, lui sì e con coraggio. Non è vero, perché Gianfranco Fini il Pdl e la maggioranza e il governo li ha lasciati, erano i giorni che poi portarono all’ormai fatidico 14 dicembre scorso della rinnovata fiducia in Parlamento, per ben altre motivazioni. Chiedeva più confronto nel Partito e nel governo, che tradotto significa una fetta maggiore di potere, mica metteva in discussione la leadership e la premiership di Berlusconi. E però adesso che tira aria da avvoltoi sul cadavere, adesso vale tutto. Anche, soprattutto, mettersi sulla faccia il compiacimento per l’Ue che dà gli ultimatum, i ministri riuniti in mille vertici per trovare un’intesa impossibile da trovare, Sarkozy e la Merkel che se la ridono sull’affidabilità dell’Italia.E vale mettersi sulla faccia, oltre al compiacimento, anche l’aria di complicità persino con uno come Nichi Vendola, che il Fini di non troppo tempo fa avrebbe disdegnato non fosse altro che per l’orecchino sul lobo.

Fini poi che dopo l’addio al centrodestra e dopo la batosta della fiducia, con il suo Fli non è scomparso solo perché ancora non si è votato, fiuta la possibilità di risorgere, e non si trattiene. Un’occasione vale l’altra,ma i dibattiti e i convegni li seguono in pochi. La platea televisiva di Ballarò invece è da sfruttare al massimo, e allora eccolo, seduto accanto al governatore della Puglia, affondare la lama. «Da parte di Silvio Berlusconi c’è un deficit di autorevolezza all’interno del Consiglio dei ministri», dice dal pulpito della presidenza della Camera e dalla poltrona negli studi di Floris. Si riferisce alla gestione dei conti, appaltata in esclusiva a suo giudizio al ministro dell’Economia Giulio Tremonti.

«In tanti casi-spiega-il presidente del consiglio ha detto sconsolato “Tremonti non me lo fa fare...”:Tremonti è di fatto il dominus assoluto della politica del governo». Così non è ben chiaro se le colpe siano del premier o del ministro, né è questa la sede per discettare sul fatto che se il Cavaliere con Fini era un despota non si capisce perché poi sia un agnellino impaurito con Tremonti. Fini qui deve solo insistere e magari, già che c’è,dire due paroline buone anche sul Terzo polo, e due cattive sulla Lega, lo sapete voi che la moglie di Bossi è una baby pensionata?: «Magari la gente non lo sa», ecco, adesso grazie al presidente della Camera un altro po’ di veleno è stato versato.

Insistere, comunque, e ha voglia Maria Stella Gelmini a contestare «la terza carica dello Stato che fa politica», è la campagna elettorale, bellezza, «troppo nervosa» ironizza Gianfranco. Poi affonda ancora: «C’è un deficit di credibilità del nostro governo enorme anche a livello europeo. Ho molti dubbi che generici impegni siano sufficienti. Gli altri paesi difendono i loro interessi difendendo i nostri interessi. Il contagio minaccia tutti». E se non vara la patrimoniale, il governo, è perché «il più ricco contribuente italiano si chiama Berlusconi». Persino Vendola si accanisce meno. Solo che Vendola sarebbe stato più credibile. Fini invece ha stampato in faccia anche quel sondaggio, che dà il suo Fli al 4 per cento. Un brutto baratro.

"Fini, và a quel paese" di Andrea Indini

Bastava guardarlo ieri sera, negli studi di Ballarò. Altro che presidente della Camera. Il partigiano Gianfranco Fini contro il ministro dell'Istruzione Maria Stella Gelmini. Per il leader del Fli è iniziata la campagna elettorale: sia nei salotti buoni della Rai, sia a Montecitorio. Una mancanza di "terzietà" che non è passata nell'indifferenza della Camera, dove adesso la maggioranza è tornata a chiedere la testa dell'ex leader di Alleanza nazionale. "Il suo comportamento di questo giorni è inopportuno: chi presiede la Camera non può sedere in uno studio televisivo al livello di altri leader politici", ha tuonato il leghista Marco Reguzzoni mentre i deputati del Carroccio e del Pdl urlavano: "Dimissioni, Dimissioni!".

Una situazione senza precedenti. Mai avvenuto nemmeno nella Prima Repubblica. Un capo-popolo, un leader di partito, un fervente esponente dell'anti berlusconismo: questo è diventato Fini. Da confondatore del Pdl a presidente della Camera (grazie ai voti della maggioranza) per poi uscire dal quel ruolo istituzionale che richiede innanzitutto di essere super partes. Oggi l'ennesimo, durissimo, scontro alla Camera. Con Reguzzoni che accusa: "La Lega è una forza pacifica e responsabile, ma non tollera soprusi né ingiustizie". Per l'esponente del Carroccio è inopportuno che Fini si faccia partecipe di dibattiti con valutazioni politiche: "Uno che fa politica non può sedere sul seggio più alto della Camera". Poi la denuncia. Reguzzoni attacca il leader del Fli per la "caduta di stile" nell'aver coinvolto Manuela Marrone, moglie del ministro delle Riforme Umberto Bossi, nel dibattito di ieri sera a Ballarò sulle pensioni. "Ha offeso tutti quelli che hanno pensioni in regola con le leggi, giuste o ingiuste che siano, in vigore quando sono andati in pensione", ha attaccato Reguzzoni ricordando che, quando era in vigore la legge sui baby pensionati, la Lega non era ancora in parlamento, mentre Fini sì e "non ha fatto nulla per eliminarla". Più concisa la reazione del Senatùr che si è limitato a "mandare a quel paese" Fini.

Subito dopo si sono scaldati gli animi. E il presidente di turno dell’assemblea, Rosy Bindi, si è vista costretta a sospendere la seduta mentre parlava il vicepresidente del Fli Italo Bocchino e dai banchi dei lumbard si levava il coro "Dimissioni, dimissioni!" nonostante Fini fosse assente. Le urla sono diventate l'occasione per scatenare la rissa. Claudio Barbaro, deputato futurista, si è scagliato contro i banchi della Lega capitolando contro Fabio Rainieri. Al di là della baruffa (divenuta un classico), il problema Fini è tutt'altro che risolto. Anzi. Proprio per questo il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto ha fatto sapere che la maggioranza ha intenzione di "investire" il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano della "situazione di difficoltà istituzionale determinata dal comportamento" di Fini. Una presa di posizione, quella della maggioranza, che non è affatto piaciuta all'opposizione che, da Antonio Di Pietro a Dario Franceschini, si è schierata tutta a difesa del partigiano Fini che, per il momento, non vuole replicare. "Non è questa la sede in cui il presidente della Camera può dare risposte politiche - ha detto il leader del Fli - se lo facessi avallerei l’accusa di partigianeria nei miei confronti che ritengo insussistente. Saranno altre le sedi in cui, se lo riterrò eserciterò il diritto di replica". Adesso il diktat delle opposizioni sarà: salvare il partigiano Fini.

martedì 25 ottobre 2011

Considerazioni


Il coro mediatico di oscena gioia dopo la morte di Gheddafi (ucciso come un topo nascosto in una fogna, eccetera) deve essere per noi motivo di insegnamento. Fra pochi giorni il circo mediatico se ne dimenticherà, come è sua consolidata abitudine, ma è bene fissare subito sulla carta alcuni elementi di riflessione.

1. Prima di tutto, onore ad un leader politico che, al di là delle sue stranezze poco rilevanti, è caduto combattendo con onore contro l'aggressione colonialista ed imperialista e contro i suoi fantocci locali. Il bilancio storico complessivo di Gheddafi è positivo, perché si iscrive nel ciclo di lotte nazionaliste panarabe, a fianco di personaggi altrettanto positivi come Nasser, ed aggiungerei anche Saddam, se non avesse intrapreso l'ingiustificato attacco all'Iran. Comunque, anche Saddam si è riscattato con la sua resistenza contro l'aggressione americana del 2003.

2. Deve essere chiaro che sono stati i criminali della NATO, e solo la NATO, ad uccidere Gheddafi, e non i miserabili straccioni tribali in festa, che hanno dato solo il colpo di grazia. E’ stata la NATO a bombardare la colonna militare di Gheddafi in uscita da Sirte, bloccarla e distruggerla. In caso contrario, gli straccioni miserabili non sarebbero riusciti a fare quello che hanno fatto, e cioè il vergognoso linciaggio. Questo è stato un salto di qualità storico ed epocale. La NATO è sempre stata una strumento dell'egemonia USA e dell'asservimento dell'Europa (non a caso il solo grande patriota europeo del dopoguerra, Charles De Gaulle, ne era uscito appena ha potuto), ma ora c'è stato un salto strategico. La NATO è direttamente uno strumento dell'egemonia mondiale USA contro la Russia in Europa Orientale e nel Caucaso, e contro la Cina in Asia Centrale ed in Africa.

3. Lo sporco lavoro non è finito. Non a caso il giornalista embedded dei servizi segreti americani Maurizio Molinari (cfr. “La Stampa”, 21 ottobre 2011) scrive “Prossima Tappa Damasco” in un editoriale del giornale a mezzadria fra sionismo, FIAT e nuova classe dirigente torinese (Novelli, Castellani, Chiamparino, Fassino). E veramente nel piano strategico americano i prossimi obbiettivi sono Damasco e Teheran (si veda l'incredibile provocazione del narcotrafficante iraniano in Texas). Questo dovrebbe far riflettere gli “anti-imperialisti” che hanno appoggiato i ribelli anti-Gheddafi ed appoggiano ora i ribelli anti-Assad, ed hanno sempre visto con favore i giovani “anti-Ahmadinejad” (che Allah lo protegga!) in Iran. Ma è impossibile far riflettere chi si muove in base a schemi astratti invecchiati o addirittura sulla base degli input del circo mediatico corrotto.

4. Coloro che fanno l'apologia della “democrazia” dovrebbero ricordare che per mesi il governo libico di Gheddafi ha proposto elezioni libere in tutta la Libia sotto supervisione ONU o Unione Africana, con la proposte di mediazione dello stesso Sudafrica. Queste proposte sono sempre state respinte da USA e NATO, che ovviamente miravano ad una vittoria geopolitica globale, e non certo ad un “ristabilimento” delle procedure democratiche. Sono sicuro che questo sarà nel prossimo futuro uno degli elementi su cui si stenderà un velo di oblio.

5. La guerra civile in Libia è durata otto mesi, e l'intervento NATO sette mesi. Non si è mai trattato di una “sollevazione unanime” dell'intero popolo contro un dittatore. Si è trattato di un conflitto civile che Gheddafi avrebbe vinto in due mesi senza 1'intervento NATO. E' passato il principio dell'intervento della Santa Alleanza del 1815 (Spagna 1820, Italia 1821, eccetera). Il circolo mediatico si è distinto per servilismo e corruzione. Elezioni sotto controllo internazionale, come quelle proposte dall'Unione Africana, avrebbero probabilmente portato ad una vittoria di Gheddafi, ed in ogni caso erano inservibili per una occupazione geopolitica USA-NATO della Libia.

6. L'Italia si è distinta per opportunismo, viltà e servilismo, in tutti i suoi schieramenti (destra, centro, sinistra). Il commissariamento geopolitico è passato soprattutto attraverso la persona di Giorgio Napolitano, che il popolo-babbione PD considera “garante della costituzione”. L'abolizione della categoria di imperialismo, sostituita da succedanei impotenti come il pacifismo generico e l'altermondialismo moralistico, e favorita dal mainstream culturale egemone a sinistra (“Manifesto”, Bertinotti, Vendola, Casarini, chiacchere sulle “moltitudini” negriane, eccetera) ha dato l'ultimo colpo di grazia ad una identità culturale già debolissima ed in via di accelerata corruzione.

7. Il mito di Obama si è rivelato essere appunto soltanto un mito per dominati politici, militari e culturali. La sua politica estera è persino riuscita a superare “da destra” quella di Bush. Il compromesso politico che ha portato alla sua elezione all’interno del partito democratico USA ha appaltato la politica estera al gruppo sionista-imperialista Clinton-Brzezinski , verificando così ampiamente le ipotesi di chi non ha mai avuto illusioni su di una “evoluzione” pacifica della politica americana. Gli USA sono un impero mondiale, e si muovono in base a pure considerazioni geopolitiche. Se ci fosse ancora un briciolo di onestà, si dovrebbe ammettere a proposito di Libia e Siria la vittoria tennistica di “Eurasia” e del blog di La Grassa-Petrosillo sulla cultura del “Manifesto”, dei trotzkisti, dei gruppi alla Pasquinelli e di tutta la banda colorata rosa, viola, a pois, eccetera.

8. La prima pagina della “Stampa" 21/10/2011 ci dà preziose indicazioni sul profilo culturale del nuovo colonialismo imperialistico. Un titolo dice: "Le tane dei dittatori", e sotto scrive: “Rintanato come Saddam ed irriducibile come Hitler”. Come si vede, l' immaginario antifascista del 1945 si è riciclato al di fuori del contesto storico che lo aveva prodotto. Ormai, persino la menzogna dei “diritti umani” è sempre meno impiegata. Se si fosse prestato attenzione ai “diritti umani”, si sarebbe favorita una soluzione pacifica di compromesso con elezioni garantite dall'Unione Africana. Ma non la si è voluta, perché si è voluta la vittoria geopolitica completa.

9. Gheddafi, con tutti i suoi errori precedenti, è morto eroicamente come un grande combattente anti-imperialista. Egli deve essere onorato come onoriamo il Che Guevara, anche se non avrà la sua fortuna come icona pop nelle magliette. In questo modo andiamo contro-corrente nel senso comune di “sinistra”. Viviamo in tempi di paradossi surreali. Il 21/10/2011 i soli giornali che hanno condannato apertamente l'osceno spettacolo del massacro di Gheddafi sono stati il “Giornale” e “Libero”, cioè berlusconiani puri. Naturalmente, lo hanno fatto perché, del tutto interni al mondo dei cannibali imperialisti, sanno bene che si tratta di una vittoria delle ditte americane e francesi contro quelle italiane. E' ovvio che il nostro punto di vista non può essere questo. Il problema è allora quello di maturare un vero punto di vista alternativo.

Idioti e criminali umanitari


La Francia di Sarkozy è in evidente imbarazzo a fronte delle dichiarazioni del presidente del Cnt libico Mustafà Jalil che ha affermato non solo che “la sharia sarà alla base della nostra Costituzione”, ma ha anche spiegato che, quindi, verrà abolita la pur blanda legge di Gheddafi che imponeva al marito il consenso ai nuovi matrimoni della prima moglie e che concedeva anche alla donna il diritto di divorzio. Una dichiarazione salutata con entusiasmo da tutti i siti del network di al Qaida. La ragione dell’imbarazzo francese è presto detta, un mese fa, il primo ministro del Cnt Ahmed Jibril aveva affermato all’Eliseo davanti ad un Nicolas Sarkozy estatico che la nuova Costituzione libica si sarebbe basata sui principi di “liberté, egalité e fraternité”. Una presa per i fondelli galattica, a cui francesi, inglesi, americani e Nato hanno fatto finta di credere per continuare la loro ipocrita “guerra umanitaria” a fianco delle feroci milizie del Cnt, capaci dell’immondo linciaggio di Gheddafi e di suo figlio Mutassim di cui tutto il mondo è stato testimone, continuato poi con la orrenda esposizione dei corpi in una cella frigorifera per polli del bazar di Misurata. Il ministro degli Esteri francese Alain Juppé ha ammesso ieri che le norme shariatiche evocate da Jalil “costituiscono un problema per la Francia per quanto concerne i diritti delle donne” e ha assicurato che “la Francia sarà vigilante sul rispetto dei diritti dell’uomo e in particolare delle donne”. Anche il ministro degli esteri italiano Franco Frattini si è detto preoccupato per “possibili infiltrazioni di un Islam non moderato in Libia” e ha lanciato un appello “affinché non si consentano deroghe ai diritti fondamentali”. Ma ormai è troppo tardi, queste garanzie dovevano essere chieste prima, dovevano essere poste al Cnt come chiara e irrinunciabile precondizione all’intervento militare Nato. Oramai la guerra è finita, il Cnt è padrone del paese, fatta salva la possibilità che il figlio superstite di Gheddafi, Saif al Islam, riesca a creare un Gheddafistan nel sud, con l’appoggio dei lealisti e dei tuareg da cui menare forti azioni di disturbo. Oggi stringono i tempi per la formazione di un nuovo governo libico in cui è evidente che le forze islamiste più oltranziste, cui la Francia e la Nato hanno regalato la vittoria militare che non riuscivano a meritarsi sul terreno, faranno la parte del leone, a partire dall’islamista e ex detenuto di Guantamo Hakim Belhadj, che controlla militarmente Tripoli. Il tutto, mentre Human Rights Watch denuncia massacri da parte delle truppe del Cnt, con 53 miliziani di Gheddafi trovati a Sirte con le mani legate e uccisi con un colpo alla nuca e molti altri casi di crimini contro l’umanità riscontrati sul terreno e nelle carceri del Cnt da Amnesty International. Si sgretola dunque l’ipocrisia della “guerra umanitaria” e si impone la realtà di una “guerra per il petrolio” combattuta dalla Nato senza alcuna remora a fianco di un Cnt in cui gli oppositori veri del raìs sono una minoranza, mentre gli ex ministri di Gheddafi (come Jalil) ed è egemonizzato da islamisti oltranzisti. Emerge così la differenza abissale tra la vicenda tunisina e quella libica. A Tunisi ha sì vinto le elezioni un partito dell’Islam politico, Ennhada, ma è una forza che fa riferimento all’Islam democratico della Akp turca di quel Tayyp Erdogan che propugna “nuove Costituzioni arabe assolutamente laiche e non confessionali”. Soprattutto, a Tunisi hanno avuto una buona affermazione le forze laiche che possono obbligare gli islamisti a non imporre la scelta della “sharia quale la fonte di ispirazione delle leggi”.

Tocca all'Italia


Dopo la piccola Grecia e la ormai semidistrutta Libia è arrivato il turno dell’Italia. Una volta tanto, chi scrive, pur con molte perplessità e non pochi disgusti, è costretto a stare oggettivamente dalla parte di Berlusconi e Bossi, nemici insidiosi ma secondari, contro il Nemico Principale globalista. La replica di Berlusconi al ghignante duo Merkel e Sarkozy : “Nessuno nell’Unione può autonominarsi commissario e parlare a nome di governi eletti e di popoli europei. Nessuno è in grado di dare lezioni ai partner.”, è un gesto di risentimento e di stizza e nello stesso tempo uno scatto d’orgoglio inaspettato, ma di certo non chiarisce che anche la Merkel e Sarkozy non sono affatto “sovrani”, essendo ridotti al ruolo di comparse e marionette della classe globale che controlla l’Europa, quanto i vari burocrati come Herman Van Rompuy o i Barroso. Questo è il destino dei moderni valvassini, nobili di basso rango subordinati ai livelli superiori e loro espressione, e nel caso di Merkel e Sarkozy – a riprova che non esiste una vera Europa, in qualche modo unita, con sentimenti di fratellanza fra i popoli che la compongono, i due stanno soltanto cercando di mettere al sicuro i loro piccoli feudi (tali ormai si possono considerare nell’economia globale), buttando a mare e cannibalizzando l’Italia, nell’illusione che questo sacrificio offerto per placare la fame di Mercati e Investitori possa bastare.

Merkel e Sarkozy, per quanto sprezzanti nei confronti di Berlusconi (ma soprattutto nei confronti dell’Italia), non sono in grado ribellarsi alla classe globale dominante, alla BCE e all’euro, né avrebbero il coraggio di farlo (trattandosi di piccole tacche) e allora cercano di trasformare in vittime sacrificali per il nuovo Moloch capitalistico i paesi più deboli dell’Europa dell’Unione (l’Europa monetaria e posticcia), sperando da bravi valvassini che i loro circoscritti territori, Germania e Francia, non subiscano la stessa sorte, inghiottiti con tutta la popolazione nella fornace della Creazione del Valore finanziaria, azionaria e borsistica. Molto meglio buttare a mare l’Italia, con la piccola Grecia.

Tuttavia Berlusconi, nonostante il piccolo scatto d’orgoglio, assicura che il suo governo farà quanto richiesto (leggasi quanto ordinato dalla Voce del Padrone), e sta cercando disperatamente di convincere Bossi a mettere mano alle pensioni, ben sapendo che la riforma delle pensioni da sola non basterà (non basta mai agli stragisti globali ed europoidi) e che l’Europa, o meglio, il suo doppio maligno interamente nelle mani dei nuovi dominanti, chiede “un pacchetto completo” di controriforme impoverenti ed altra macelleria sociale (vendita del patrimonio pubblico, liberalizzazioni e privatizzazioni, tagli draconiani al welfare), in dosi sovrabbondanti. A nulla serviranno questa volta altri condoni fiscali, da iscrivere a bilancio ottimisticamente, pur di evitare di toccare l'età pensionabile e di "mettere le mani nelle tasche degli italiani", scontentando così milioni di lavoratori, di contribuenti, e soprattutto di potenziali votanti. Si “richiedono” all’Italia, con decisione e in fretta e furia, dando 48 ore di tempo come nei classici ultimatum militari, misure adeguate per la crescita (leggasi la folle corsa all’incremento del valore finanziario che tutto travolge), per l’occupazione (è soltanto fumo negl’occhi, perché esclusione e sotto-occupazione caratterizzano questo capitalismo), e la tanto attesa riforma della giustizia (ma non come vorrebbe il Berlusconi pluri-inquisito).

Il Nuovo Capitalismo si sta affermando nel mondo come modo di produzione sociale prevalente, in sostituzione del capitalismo del secondo millennio, e la Global class, con il suo sistema di potere, è sempre più forte ed oggi sembra che possa permettersi di agire incontrastata a varie latitudini, nonché di imporre alla luce del sole, attraverso i suoi proconsoli e valvassini locali, misure economico-finanziarie e politiche da seguire ai governi e agli stati. Altrimenti si finisce come la Grecia, o peggio, come la Libia. Le nuove contraddizioni capitalistiche, che quando si manifesteranno saranno più laceranti e sanguinose di quelle del capitalismo del secondo millennio (lotta di classe fra borghesia e proletariato, falsa libertà, sfruttamento degli operai), sembra che siano ancora ben lontane dall’esplodere in tutta la loro virulenza. Perciò si difende con successo e si propaga il peggior liberismo distruttore, profittando dell’assenza di contrasto e dell’inerzia delle popolazioni, quando persino il Vaticano, attraverso l’autorevole Pontificio consiglio per la giustizia e la pace, è giunto alla conclusione (scontata) che l’attuale crisi è il prodotto della diffusione delle ideologie liberiste.

Dopo aver ricattato e piegato la Grecia, messa sotto ferrea “tutela” e governata direttamente da collaborazionisti locali (Gorge Papandreou e il suo Pasok “socialista”), dopo aver contribuito a semidistruggere la Libia per poter controllare i suoi bacini di materie prime energetiche, usando lo strumento militare Nato e spingendo in prima linea la Francia e l’Inghilterra interventiste, i globalisti dominanti ora se la prendono con l’Italia, boccone grosso in Europa e paese debole, con un grande debito pubblico e una bassa crescita (principali pretesti per l’attacco) ed un presidente del consiglio screditato e un po’ “indisciplinato” (che è un altro pretesto). I sub-dominati politici tedeschi e francesi, valvassini di un capitalismo che rivela sempre di più inquietanti tratti neofeudali, collaborano nel mettere alle strette l’Italia e continuano a sperare che i loro paesi (piccoli feudi) non finiscano nella fornace di un possibile collasso dell’euro e dei continui downgrade orchestrati dalle agenzie di rating.

Qui non si afferma che si devono difendere a spada tratta Berlusconi e il suo esecutivo come “minore dei mali”, ben sapendo che ciò che verrà dopo sarà totalmente subordinato ai globalisti e ai loro proconsoli continentali europoidi, ma soltanto che Berlusconi non è più il primo problema per l’Italia, e la sua rimozione, consensuale o forzata che sia, non avrà certo il potere – come ci fa credere una parte significativa dell’apparato massmediatico, di rasserenare l’orizzonte. Del resto, Berlusconi non ha proprio tutto quel potere che fino a poco tempo fa gli si attribuiva (quasi che fosse il neoduce), poiché, come ha scritto in modo molto chiaro Costanzo Preve, “L’Italia è completamente commissionata dal duopolio Draghi-Napolitano. Un banchiere ed un ex-comunista riciclato in rappresentanza degli interessi militari dell’impero americano (glissiamo sull’impero americano, n.d.s.) e (soprattutto, n.d.s.) dei parametri oligarchici dei poteri finanziari.”, ma il Cavaliere continua a starsene incollato su quella poltrona di presidente del consiglio dalla quale i dominanti globali lo vogliono sloggiare. Il pacchetto completo di riforme ordinato al governo italiano dalla classe globale attraverso i proconsoli europoidi sicuramente, una volta varato e applicato (e probabilmente ciò si verificherà abbastanza presto), seminerà miseria e disperazione nella penisola. Ci sarà a quel punto una forte reazione della parte sana del paese, con connotati finalmente anti-europei ed anti-euro, rivolta contro il Nemico Principale (la Global class) e i suoi valvassini in Europa?

Questa sarebbe la speranza, ma finora le manifestazioni e le proteste (tranne forse che in Grecia), per quanto nella maggioranza dei casi blande e pacifiche, si sono rivolte sempre contro i governi locali e non contro chi li comanda, li manovra e li tiene in pugno. A che servirà, se sopravvivrà politicamente ancora per un po’, prendersela sempre e soltanto con il valvassino mancato Berlusconi, in calo di consensi e sgradito ai globalisti dominanti, visto ciò che sta per arrivarci addosso?

di Eugenio Orso

Fonte: qui e anche qui

Un attacco politico sopratutto.. Un ricatto inaccettabile da parte dei due burattini francotedeschi che eseguono gli ordini e che si preoccupano solo del salvataggio delle loro banche tossiche. Molto peggio va la Spagna,che non ha preso in sostanza nessuna determinante misura anticrisi e di crescita, se non annunciare nuove elezioni. Lì ... il fine é stato raggiunto, far saltare il governo. Operazione più complicata in Italia, ma il fine é identico, sostituire un governo riottoso a certe decisioni e sostituirlo con uno compiacente alla liquidazione italia, stile 1992.. C'è da scommettere che nessuna misura o pacchetto soddisferà gli usurai globalisti che puntano alla liquidazione degli assets più appetibili dell'Italia, appoggiati dalle sciagurate quinte colonne nostrane. Non si parla più di Irlanda e Portogallo sull'orlo del fallimento... quasi avessero risolto ogni problema... chissà mai perché... bocconi già ingoiati , ma troppo piccoli per la fame predatoria mondialista.

lunedì 24 ottobre 2011

Post-Gheddafi con democratica sharia


Tripoli - La Libia del dopo Gheddafi comincia a prendere forma. Bisogna capire cosa succederà nel Paese che dovrà mettersi sui binari democratici dopo quarant'anni di dittatura. Basti pensare che le generazioni più giovani sono nate sotto la dittatura, non hanno mai conosciuto la libertà di pensiero e di espressione. Ma sono gli stessi giovani libici che hanno dato il via alla rivolta contro il regime. Il nodo da sciogliere è come intendano gestire questa delicatissima fase di transizione. Tante voci si rincorrono e tante anime dialogano dentro la nuova Libia. Islam moderato contro chi rivuole la sharia, la legge islamica. Prima di tutto bisogna capire i tempi. Cioè entro quanto tempo considerare chiusa la fase di transizione. A fare chiarezza ci prova il primo ministro del Cnt Mahmoud Jibril che ha spiegato che questo processo può durare da una settimana a un mese. Il presidente del Cnt si porta già avanti e annuncia senza mezzi termini che la Libia "come nazione musulmana la sharia è alla base della legislazione: tutte le leggi che contraddicono i principi dell’Islam sono annullate".

Queste dunque le prime promesse sul fronte interno davanti ad una piazza che raccoglie la Libia in festa. Ma davanti all'Onu i leader del Cnt Mustapha Abdul Jalil e Mahmoud Jibril sposano una posizione comune, promettendo un Paese democratico, moderno, aperto e rispettoso della dichiarazione universali dei diritti umani. Ma mettere davvero insieme tutte le anime del Paese non è facile. Al primo posto c'è il problema delle anime islamiche più integraliste. All'interno del Cnt, Abdulhakim Beladhj, capo del Consiglio militare di Tripoli, autoproclamatosi governatore della capitale, con un passato da leader del Gruppo islamico dei combattenti libici, ritenuto vicino alla rete guidata da al Zawahiri, membro di Al Qaeda. Ed è il mondo di Al Qaeda ad esultare già sul web per la deriva islamista che avrebbe intrapreso la nuova Libia. I post sui forum jihadisti, che veicolano la propaganda di al-Qaeda recitano parole di ammirazione per il nuovo governo: "La sharia islamica sarà alla base del nostro ordinamento giuridico", "Abdel Jalil è ora il principe dei credenti", "Tutti i musulmani libici devono unirsi dietro questo leader e consegnare le loro armi. Ormai non abbiamo più nulla da temere perchè a Bengasi ha pubblicamente annunciato di aver creato uno stato islamico dove vige la sharia". Parole che fanno pensare ad un probablile nuovo avamposto del mondo isalmico integralista proprio sul medietrraneo e con base a Tripoli.

Poi c'è da mediare con la componente tribale. Alcune tribù sono molto potenti, come i Warfalla e i Magariha, e rivendicano un ruolo guida. Come i Senussi, che sono più una confraternita e potrebbero avere una funzione chiave per il coordinamento della nuova Libia. La prima cosa che dovrà fare il Cnt è dare al Paese una forza di sicurezza nazionale che risponda alle autorità lettimamente designate. Il primo banco di prova per la nuova Libia riguarda i prigionieri di guerra. Oltre settemila prigionieri sono rinchiusi da settimane all’interno di squallide prigioni di fortuna in Libia, senza che alcuna accusa sia stata mossa a loro carico. Questi detenuti sono stati anche vittime di torture ed abusi, stando alle denunce dei gruppi per il rispetto dei diritti umani e alle testimonianze rese dagli stessi detenuti. Le prigioni sono gestite da milizie locali che fanno parte dei ribelli. Il nuovo governo non ha ancora detto nulla su come intenderà agire contro i fedelissimi di Gheddafi.

"Quello che abbiamo passato è inusuale. Non abbiamo un tribunale che si occupi di questo", spiega Ali Sweti, avvocatoche lavora con le forze rivoluzionarie a Misurata e gestisce un carcere allestito all’interno della sede di un liceo. Intanto oggi l'organizzazione per i diritti umani Human Rights Watch (Hrw) fa sapere che la scorsa settimana in un albergo di Sirte sono stati giustiziate 53 persone appartenenti alle milizie di Gheddafi.  "Abbiamo trovato 53 corpi in decomposizione, apparentemente di sostenitori di Gheddafi, in un albergo abbandonato di Sirte e alcuni di loro avevano le mani legate dietro la schiena quando sono stati uccisi - ha detto Peter Bouckaert, responsabile di Hrw che sta indagando sulla vicenda - questo caso richiede l’immediata attenzione delle autorità libiche perché indaghino su quanto accaduto e ne chiamino a rispondere i responsabili". Questi episodi lanciano un'ombra sulla nuova Libia che sta cominciando a correre verso il futuro. Ma fa anche pensare ai tanti regolamenti di conti che fanno parte, purtroppo, degli effetti collaterali di tutte le guerre civili e non. La speranza è che Tripoli si metta alle spalle il passato torbido e si imbarchi in una nuova avventura che sia semplicemente civile.