mercoledì 29 ottobre 2014

Il discorso di Putin

Così le Nazioni dell'Europa stanno perdendo la loro sovranità. "Servono nuove  regole internazionali o rischiamo l'anarchia globale. Le ingerenze di Washington riportano il mondo alla Guerra Fredda" di Vladimir Putin

Un discorso programmatico, da vero capo di Stato. Quello tenuto dal presidente russo Vladimir Putin il 24 ottobre scorso, alla sessione plenaria del Forum internazionale del «Club Valdai» (la fondazione no-profit che da anni si occupa del ruolo geopolitico della Russia nel mondo), non è una dichiarazione di guerra, ma un duro messaggio all'Occidente e in particolare agli Stati Uniti. Dagli errori in Medio Oriente alla lotta al terrorismo, dalle sanzioni dopo la crisi ucraina alle ingerenze economiche e politiche, Putin spiega perché la Russia non cambia posizione. E anzi, rilancia il suo ruolo di superpotenza.

Egregi colleghi! Signore e signori! Cari amici! (...)

Non intendo deludervi e parlerò in modo diretto, franco. Qualche dichiarazione potrà, probabilmente, apparire esageratamente aspra. Ma se non parliamo in modo chiaro e diretto esprimendo i nostri pensieri reali e veri, allora non avrebbe alcun senso fare incontri di questo tipo. Si potrebbe, in quel caso, convocare dei raduni diplomatici dove nessuno parla in modo essenziale, in quanto, ricorrendo alle parole di un noto diplomatico, la lingua è stata data ai diplomatici solo per non dire la verità. Noi ci riuniamo invece per altri scopi. Ci riuniamo per parlare senza mezzi termini. La rettitudine e la durezza nel formulare delle valutazioni servono oggi non per punzecchiarci reciprocamente, ma per cercare di comprendere che cosa veramente sta accadendo nel mondo, perché esso diventa sempre meno sicuro e meno prevedibile, perché ovunque aumentano dei rischi.

Il tema dell'incontro di oggi è ben definito ormai: «Nuove regole del gioco oppure gioco senza regole?». Formulato così, il concetto descrive puntualmente quel bivio storico in cui ci troviamo, la scelta che dovrà essere compiuta da tutti noi. L'idea che il mondo contemporaneo cambi precipitosamente non è nuova. Infatti, rimane difficile non notare le trasformazioni nella politica globale, nell'economia, nella vita sociale, nell'ambito delle tecnologie industriali, informatiche e sociali (...). Ma nell'analizzare la situazione attuale non dobbiamo dimenticare le lezioni della storia. In primo luogo, il cambio dell'ordine mondiale (e i fenomeni che osserviamo oggi appartengono proprio a questa scala), veniva accompagnato, di solito, se non da una guerra globale, da intensi conflitti locali. In secondo luogo, parlare di politica mondiale significa affrontare i temi della leadership economica, della pace e della sfera umanitaria, compresi i diritti dell'uomo.

Nel mondo si è accumulata una moltitudine di contrasti. E bisogna chiedersi in tutta franchezza se abbiamo una rete di protezione sicura. Purtroppo, la certezza che il sistema di sicurezza globale e regionale sia capace di proteggerci dai cataclismi non c'è. Questo sistema risulta seriamente indebolito, frantumato e deformato. Vivono tempi difficili le istituzioni, internazionali e regionali, di interazione politica, economica e culturale. Molti meccanismi atti ad assicurare l'ordine mondiale si sono formati in tempi lontani, influenzati soprattutto dall'esito della Seconda guerra mondiale. La solidità di questo sistema non si basava esclusivamente sul bilanciamento delle forze e sul diritto dei vincitori, ma anche sul fatto che «i padri fondatori» di questo sistema di sicurezza si trattavano con rispetto, non cercavano di «spremere fino all'ultimo» ma cercavano di mettersi d'accordo. Il sistema continuava ad evolversi e, nonostante tutti i suoi difetti, era efficace per - se non una soluzione - almeno per un contenimento dei problemi mondiali, per una regolazione dell'asprezza della concorrenza naturale tra gli Stati.
 
L'ARROGANZA DEI VINCITORI

Sono convinto che questo meccanismo di controbilanciamenti non potesse essere distrutto senza creare qualcosa in cambio, altrimenti non ci sarebbero davvero rimasti altri strumenti se non la rozza forza (...). Tuttavia gli Stati Uniti, dichiarandosi i vincitori della «Guerra fredda», hanno pensato - e credo che l'abbiano fatto con presunzione - che di tutto questo non v'è alcun bisogno. Dunque, invece di raggiungere un nuovo bilanciamento delle forze, che rappresenta una condizione indispensabile per l'ordine e la stabilità, hanno intrapreso, al contrario, i passi che hanno portato a un peggioramento repentino dello squilibrio.

La «Guerra fredda» è finita. Però non si è conclusa con un raggiungimento di «pace», con degli accordi comprensibili e trasparenti sul rispetto delle regole e degli standard oppure sulle loro elaborazione. Par di capire che i cosiddetti vincitori della «Guerra fredda» abbiano deciso di «sfruttare» fino in fondo la situazione per ritagliare il mondo intero a misura dei propri interessi. E se il sistema assestato delle relazioni e del diritto internazionali, il sistema del contenimento e dei controbilanciamenti impediva il raggiungimento di questo scopo, veniva da loro immediatamente dichiarato inutile, obsoleto e soggetto ad abbattimento istantaneo (...).

Il concetto stesso della «sovranità nazionale» per la maggioranza degli Stati è diventato un valore relativo. In sostanza, è stata proposta la formula seguente: più forte è la lealtà a un unico centro di influenza nel mondo, più alta è la legittimità del regime governante. (...). Le misure per esercitare pressione sui disubbidienti sono ben note e collaudate: azioni di forza, pressioni di natura economica, propaganda, intromissione negli affari interni, rimandi a una certa legittimità di «infra-diritto» (...). Recentemente siamo venuti a conoscenza di testimonianze di ricatti non velati nei confronti di una serie di leader. Non è un caso che il cosiddetto «grande fratello» spenda miliardi di dollari per lo spionaggio in tutto il mondo, compresi i suoi stretti alleati.

Allora facciamoci la domanda se tutti noi troviamo la nostra vita confortevole e sicura in questo mondo, chiediamoci quanto sia giusto e razionale il mondo (...). Forse il modo in cui gli Usa detengono la leadership è davvero un bene per tutti? Le loro onnipresenti interferenze negli affari altrui implicano pace, benessere, progresso, prosperità, democrazia? Bisogna semplicemente rilassarsi e godersela? Mi permetto di dire che non è così. Non è assolutamente così.
 
LOTTA COMUNE AL TERRORISMO

Il diktat unilaterale e l'imposizione dei propri stereotipi producono un risultato opposto: al posto di una soluzione dei conflitti, l'escalation; al posto degli Stati sovrani, stabili, l'espansione del caos; al posto della democrazia, il sostegno a gruppi ambigui, dai neonazisti dichiarati agli islamisti radicali (...). Continuo a stupirmi di fronte agli errori ripetuti, una volta dopo l'altra, dei nostri partner che si danno da soli la zappa sui piedi. A suo tempo, nella lotta contro l'Unione Sovietica, avevano sponsorizzato i movimenti estremisti islamici che si erano rinvigoriti in Afghanistan, fino a generare sia i talebani sia Al Qaida. L'Occidente, pur senza ammettere il suo sostegno, chiudeva un occhio. Anzi, in realtà sosteneva l'irruzione dei terroristi internazionali in Russia e nei Paesi dell'Asia Centrale attraverso le informazioni, la politica e la finanza. Non l'abbiamo dimenticato. Solo dopo i terribili atti terroristici compiuti nel territorio degli stessi Usa siamo arrivati alla comprensione della minaccia comune del terrorismo. Vorrei ricordare che allora siamo stati i primi a esprimere il nostro sostegno al popolo degli Stati Uniti d'America e abbiamo agito come amici e partner dopo la spaventosa tragedia dell'11 settembre.

Nel corso dei miei incontri con i leader statunitensi ed europei ho costantemente ribadito la necessità di lottare congiuntamente contro il terrorismo, che rappresenta una minaccia su scala mondiale. Non possiamo rassegnarci di fronte a questa sfida (...). Una volta la nostra visione era condivisa, ma è passato poco tempo e tutto è tornato come prima. Si sono verificati in seguito gli interventi sia in Irak sia in Libia. Quest'ultimo Paese, tra l'altro, (...) ora è diventato un poligono per i terroristi. E soltanto la volontà e la saggezza delle autorità attuali dell'Egitto hanno permesso di evitare il caos e lo scatenarsi violento degli estremisti anche in questo Paese-chiave del mondo arabo. In Siria, come in passato, gli Usa e i loro alleati hanno cominciato a finanziare apertamente e a fornire le armi ai ribelli, favorendo il loro rinforzo con gli arrivi dei mercenari di vari Paesi. Permettetemi di chiedere dove i ribelli trovano denaro, armi, esperti militari? Com'è potuto accadere che il famigerato Isis si sia trasformato praticamente in un esercito? Si tratta non solo dei proventi dal traffico di droga, (...) ma la sovvenzione finanziaria proviene anche dalle vendite del petrolio, la cui estrazione è stata organizzata nei territori sotto il controllo dei terroristi. Lo vendono a prezzi stracciati, lo estraggono, lo trasportano. Qualcuno lo compra, lo rivende e ci guadagna, senza pensare al fatto che così sta finanziando i terroristi, gli stessi che prima o poi colpiranno anche nella sua terra.

Da dove provengono le nuove reclute? Sempre in Irak, dopo il rovesciamento di Saddam Hussein sono state distrutte le istituzioni dello Stato, compreso l'esercito. Già allora abbiamo detto: siate prudenti e cauti (...). Con quale risultato? Decine di migliaia di soldati e ufficiali, ex militanti del partito Baath, buttati sulla strada, oggi si sono uniti ai guerriglieri. A proposito, non sarà nascosta qui la capacità di azione dell'Isis? Le loro azioni sono molto efficaci dal punto di vista militare, sono oggettivamente dei professionisti. La Russia aveva avvertito più volte del pericolo che comportano le azioni di forza unilaterali, delle interferenze negli affari degli Stati sovrani, delle avance agli estremisti e ai radicali, insistendo sull'inclusione dei raggruppamenti che lottavano contro il governo centrale siriano, in primo luogo dell'Isis, nelle liste dei terroristi. Tutto inutile.
 
IL BIPOLARISMO «COMODO»

L'accrescimento del dominio di un unico centro di forza non conduce alla crescita del controllo dei processi globali. Al contrario, (...) è efficace contro le vere minacce costituite dai conflitti regionali, terrorismo, traffico di droga, fanatismo religioso, sciovinismo e neonazismo. Allo stesso tempo ha largamente spianato la strada ai nazionalismi (...) e alla rude soppressione dei più deboli. Il mondo unipolare è la celebrazione apologetica della dittatura sia sulle persone sia sui Paesi. Ed è un mondo insostenibile e difficile da gestire anche per il cosiddetto leader autoproclamatosi.

Da qui nascono i tentativi odierni di ricreare un simulacro del mondo bipolare, più «comodo» per la leadership americana. Poco importa chi occuperà, nella loro propaganda, il posto del «centro del male» che spettava una volta all'Urss: l'Iran, la Cina oppure ancora la Russia. Adesso assistiamo di nuovo a un tentativo di frantumare il mondo, fabbricare delle coalizioni non secondo il principio «a sostegno di», ma «contro»; serve l'immagine di un nemico, come ai tempi della «Guerra fredda», per legittimare la leadership e ottenere un diritto di diktat (...). Durante la «Guerra fredda», agli alleati si diceva continuamente: «Abbiamo un nemico comune, è spaventoso, è lui il centro del male; noi vi difendiamo, dunque abbiamo il diritto di comandarvi, di costringervi a sacrificare i propri interessi politici e economici, a sostenere le spese per la difesa collettiva, ma a gestire questa difesa saremo, naturalmente, noi». Oggi traspare evidente l'aspirazione a trarre dividendi politici ed economici tramite la riproposizione dei consueti schemi di gestione globale (...). Tuttavia il mondo è cambiato (...).
 
SANZIONI CON IL BOOMERANG

Le sanzioni hanno già cominciato a intaccare le fondamenta del commercio internazionale e le normative del WTO, i principi della proprietà privata, il modello liberale della globalizzazione, basato sul mercato, sulla libertà e sulla concorrenza. Un modello i cui beneficiari, lo voglio rilevare, sono soprattutto i paesi occidentali (...). A mio parere, i nostri amici americani stanno tagliando il ramo su cui sono seduti. Non si può mescolare politica ed economia, ma è proprio questo che sta accadendo. Ho sempre ritenuto e ritengo ancora che le sanzioni politicamente motivate siano state un errore che danneggia tutti quanti. Comprendiamo bene in che modo e sotto quale pressione siano state adottate. Ma ciò nonostante la Russia non intende, e lo voglio mettere ben in chiaro, impuntarsi, portare rancore contro qualcuno o chiedere qualcosa a qualcuno. La Russia è un Paese autosufficiente. Lavoreremo nelle condizioni di economia esterna che si sono create, sviluppando la nostra industria tecnologica (...). La pressione esterna non fa altro che consolidare la nostra società, ci obbliga a concentrarci sulle tendenze principali di sviluppo. Beninteso, le sanzioni ci ostacolano: stanno cercando di danneggiarci, di arrestare il nostro sviluppo, di ridurci all'auto-isolamento e all'arretratezza. Ma il mondo è cambiato radicalmente. Non abbiamo alcuna intenzione di chiuderci nell'autarchia; siamo sempre aperti al dialogo, compreso quello sulla normalizzazione delle relazioni economiche, nonché quelle politiche. In questo contiamo sulla visione pragmatica e sullo schieramento delle comunità imprenditoriali dei Paesi leader.

Affermano che la Russia avrebbe voltato le spalle all'Europa, cercando partner economici in Asia. Non è così. La nostra politica in Asia e nel Pacifico risale ad anni fa e non è affatto legata alle sanzioni (...). L'Oriente occupa un posto sempre più importante nel mondo e nell'economia e non possiamo trascurarlo. Lo stanno facendo tutti e noi continueremo a farlo, anche perché una parte notevole del nostro territorio si trova in Asia. (...).

Se non sapremo creare un sistema di obblighi e accordi reciproci e non elaboriamo i meccanismi per gestire le situazioni di crisi, rischiamo l'anarchia mondiale. Già oggi è aumentata repentinamente la probabilità di una serie di conflitti violenti con il coinvolgimento, se non diretto, ma indiretto, delle grandi potenze. Il fattore di rischio viene amplificato dall'instabilità interna dei singoli Stati, in particolar modo quando si parla dei Paesi cardine degli interessi geopolitici e si trovano ai confini dei «continenti» storici, economici e culturali. L'Ucraina è un esempio - ma non l'unico - di questo genere di conflitti che dividono le forze mondiali.

Da qui scaturisce la prospettiva reale della demolizione del sistema attuale degli accordi sulle restrizioni e il controllo degli armamenti. Il via a questo pericoloso processo è stato dato proprio dagli Usa quando, nel 2002, sono usciti unilateralmente dal Trattato sulla limitazione dei sistemi di difesa antimissilistica per avviare la creazione di un proprio sistema globale di difesa. Non siamo stati noi a iniziare tutto questo. Stiamo di nuovo scivolando verso tempi in cui i Paesi si trattengono dagli scontri diretti non in virtù di interessi, equilibri e garanzie, ma solo per il timore dell'annientamento reciproco (...). È estremamente pericoloso. Noi insistiamo sui negoziati per la riduzione degli arsenali e siamo aperti alla discussione sul disarmo nucleare, ma deve essere seria, senza «doppi standard». Che cosa intendo dire? Oggi le armi di precisione si sono avvicinate alle armi di distruzione di massa. Nel caso di rinuncia assoluta o diminuzione del potenziale nucleare, i Paesi che si sono guadagnati la leadership nella produzione dei sistemi di alta precisione otterranno un netto dominio militare. Sarà spezzata la parità strategica, comportando così il rischi di una destabilizzazione: affiora così la tentazione di ricorrere al cosiddetto «primo colpo disarmante globale». In breve, i rischi non diminuiscono ma aumentano.

Un'altra minaccia evidente è l'ulteriore proliferazione dei conflitti di origine etnica, religiosa e sociale, che creano zone di vuoto di potere, illegalità e caos, in cui trovano conforto terroristi, delinquenti comuni, pirati, scafisti e narcotrafficanti. I nostri «colleghi» hanno continuato i tentativi, nel loro esclusivo interesse, di sfruttare i conflitti regionali: hanno progettato le «rivoluzioni colorate», ma la situazione è sfuggita a loro di mano, alla faccia del «caos controllato» (...). E il caos globale aumenta.

Nelle condizioni attuali sarebbe ora di cominciare ad accordarsi sulle questioni di principio. È decisamente meglio che non rifugiarsi nei propri angoli, soprattutto perché ci scontriamo con i problemi comuni, siamo sulla stessa barca. La via logica è quella della cooperazione tra i Paesi e la gestione congiunta dei rischi, sebbene alcuni dei nostri partner si ricordino di questo solo quando risponde al loro interesse. Certo, le risposte congiunte alle sfide non sono una panacea e nella maggioranza dei casi sono difficilmente realizzabili: non è per niente semplice superare le diversità degli interessi nazionali, la parzialità delle visioni, soprattutto se si parla dei paesi di diverse tradizioni storico-culturali. Eppure ci sono stati casi in cui, guidati dagli obiettivi comuni, abbiamo raggiunto successi reali. Vorrei ricordare la soluzione del problema delle armi chimiche siriane, il dialogo sul programma nucleare iraniano e il nostro soddisfacente lavoro svolto in Corea del Nord. Perché allora non attingere a questa esperienza anche in futuro, per la soluzioni dei problemi sia locali sia globali? (...) Non ci sono ricette già pronte. Sarà necessario un lavoro lungo, con la partecipazione di una larga cerchia di Stati, del business mondiale e della società civile (...). Bisogna definire in modo nitido dove si trovano i limiti delle azioni unilaterali e dove nasce l'esigenza di meccanismi multilaterali. Bisogna trovare la soluzione, nel contesto del perfezionamento del diritto internazionale, al dilemma tra le azioni della comunità mondiale volte a garantire la sicurezza e i diritti dell'uomo e il principio della sovranità nazionale e non intromissione negli affari interni degli Stati (...). Non c'è bisogno di ripartire da zero, le istituzioni create subito dopo la Seconda guerra mondiale sono abbastanza universali e possono essere riempite di contenuti più moderni (...). Sullo sfondo dei cambiamenti fondamentali nell'ambito internazionale, della crescente ingovernabilità e dell'aumento delle più svariate minacce abbiamo bisogno di un nuovo consenso delle forze responsabili per dare stabilità e della sicurezza alla politica e all'economia (...).
 
IL CASO UCRAINA

Vorrei ricordarvi gli eventi dell'anno passato. Allora dicevamo ai nostri partner, sia americani che europei, che le decisioni frettolose, come ad esempio quella sull'adesione dell'Ucraina all'Unione Europea erano pregni di seri rischi. Simili passi clandestini ledevano gli interessi di molti terzi Paesi, tra cui la Russia, in quanto partner commerciale principale dell'Ucraina. Abbiamo ribadito la necessità di avviare una larga discussione. Una volta realizzato il progetto dell'associazione dell'Ucraina, si presentano da noi attraverso le porte di servizio i nostri partner con le loro merci e i loro servizi, ma noi non lo abbiamo concordato, nessuno ha chiesto il nostro parere a riguardo. Abbiamo dibattuto su tutte le problematiche inerenti all'Ucraina in Europa in modo assolutamente civile, ma nessuno ci ha dato ascolto. Ci hanno semplicemente detto che non era affar nostro, finito il dibattito e la faccenda è deteriorata fino al colpo di Stato e alla guerra civile. Tutti allargano le braccia: è andata così. Ma non era inevitabile. Io lo dicevo: l'ex presidente ucraino Yanukovich aveva sottoscritto tutto quanto, aveva approvato tutto. Perché allora bisognava insistere? Sarebbe questo il modo civile per risolvere le questioni? Evidentemente coloro che «producono a macchia» una rivoluzione colorata dopo l'altra si ritengono degli artisti geniali e non ce la fanno proprio a fermarsi.

Voglio aggiungere che avremmo gradito l'inizio di un dialogo concreto tra L'Unione Eurasiatica e l'Unione Europea. A proposito, fino a oggi ci è stato praticamente sempre negato: e di nuovo è poco chiaro per quale motivo, cosa c'è di spaventoso? Ne ho parlato spesso in precedenza trovando l'appoggio dei molti nostri partner occidentali, almeno quelli europei: è necessario formare uno spazio comune di cooperazione economica e umanitaria, lo spazio che si stenda dall'Atlantico al Pacifico. La Russia ha fatto la sua scelta. Le nostre priorità sono costituite dall'ulteriore perfezionamento degli istituti di democrazia e di economia aperta, l'accelerazione dello sviluppo interno tenendo conto di tutte le tendenze positive nel mondo, il consolidamento della società sulla base dei valori tradizionale e del patriottismo. La nostra agenda è orientata all'integrazione, è positiva, pacifica (...). La Russia non vuole ricostituire un impero, compromettendo la sovranità dei vicini, e non esige un posto esclusivo nel mondo. Rispettando gli interessi altrui vogliamo che si tenga contro anche dei nostri interessi, che anche la nostra posizione sia rispettata (...). Abbiamo bisogno di un grado particolare di prudenza, di evitare passi sconsiderati. Dopo la «Guerra fredda» i protagonisti della politica mondiale hanno perduto in certo senso queste qualità. È giunto il momento di ricordarli. Nel caso contrario le speranze per uno sviluppo pacifico, sostenibile si riveleranno una nociva illusione, mentre i cataclismi di oggi significheranno la vigilia del collasso dell'ordine mondiale (...). Siamo riusciti a elaborare le regole di interazione dopo la Seconda guerra mondiale, siamo riusciti a trovare un accordo negli anni 1970 a Helsinki. Il nostro obbligo comune è trovare un soluzione per questo obiettivo fondamentale anche nel contesto di una nuova tappa di sviluppo.

Il nuovo aiutino dei contribuenti a Mps...

Ok del governo all'aiutino per Mps. Il Tesoro apre alla proroga dei Monti Bond. Mediobanca si candida alla regia del dopo stress test di Massimo Restelli

Le banche riprendono fiato in Piazza Affari, mentre il mercato si riposiziona su Mps (+1,4%) dopo la debacle di lunedì (-21%) causata dagli stress test. "Il governo Renzi - dice il responsabile banche del ministero dell'Economia Alessandro Rivera - non è contrario a concedere a Rocca Salimbeni più tempo per rimborsare il miliardo di Monti bond che ha ancora in pancia, e in particolare a rinviare i 750 milioni in scadenza nel 2015-2016. Lo stratagemma serve per tagliare della stessa cifra il fabbisogno rispetto ai 2,1 miliardi emersi domenica". Possibile anche una conversione in azioni, ma il Tesoro è freddo davanti a una operazione che sarebbe una statalizzazione. Per Carige (+0,6% in Borsa) si torna invece a parlare di un interesse di Andrea Bonomi, che si era già affacciato sulla ricapitalizzazione della scorsa estate. A Genova il finanziere reincontrerebbe Piero Montani, il banchiere cui aveva affidato il rilancio di Bpm sotto la regia di Bankitalia. Così come, in alternativa, si vocifera di possibili nozze tra Carige e Piazza Meda.

Ieri Genova ha intanto definito la travagliata vendita delle sue controllate assicurative al fondo americano Apollo: 350 milioni l'incasso, con un beneficio di 100 milioni in termini di patrimonio valido per il registratore di cassa della Bce (il «Cet 1») rispetto agli 800 circa da recuperare per la Bce. Il resto sarà rimediato tra l'aumento di capitale da almeno 500 milioni (già garantito fino a 650 da Mediobanca), la vendita di alcune quote di minoranza (50 milioni l'impatto stimato sempre in termine di Cet 1), del credito al consumo e, se necessario, di Cesare Ponti (100 milioni). La vendita ad Apollo prevede anche un accordo distributivo di bancassurance, il confronto con il valore di carico storico delle polizze, tradisce tuttavia una minus di 170 milioni.

In pratica, lo spazio di manovra per chi vende è risicato e lo sarà ancora di più per Monte Paschi, perché il mercato è conscio che si tratta di operazoni forzate. In particolare, Siena potrebbe liberarsi, oltre che di Consum.it (in gara lo stesso Apollo e il tandem Deutsche Bank-High Bridge), del factoring, dei crediti problematici (sarebbe interessato Davide Serra), e di pacchetti di filiali nel nord ovest ex Antonveneta. Mediobanca è comunque pronta a correre al capezzale di Rocca Salimbeni: «Non ho dubbi che Mps riuscirà a superare le sue difficoltà», ha detto l'amministratore delegato Alberto Nagel, ribandendo che Piazzetta Cuccia «è molto vicina» e «collabora molto volentieri» con il Monte (esiste già un accordo distributivo con Compass), pertanto offre «molto volentieri» il proprio aiuto di banca d'affari per trovare una soluzione allo shortfall da 2,1 miliardi: Mps si è affidata a Ubs e Citi.

Nagel ha poi candidato Mediobanca a fare da pivot all'intero riassetto del sistema, seguendone sia le ricapitalizzazioni sia il risiko. «Numerosi attori si sono già rotti i denti nel credito al consumo, non sarà facile cedere con soddisfazione attività in un'economia stagnante», avverte però un analista. Simile la situazione per le filiali, ormai considerate da banche votate alla multicanalità un mezzo da ripensare.

Sul tavolo di Viola e del presidente Alessandro Profumo anche il lancio di strumenti computabili a patrimonio ( additional Tier One ) ma nelle Sim si calcola che Siena per «sistemarli» potrebbe trovarsi a pagare una cedola del 9-10%, e quindi a erodere i suoi margini. In ogni caso il piano dovrà essere accettato non solo dalla Bce ma anche dall'Unione Europea, da cui dipende il vecchio piano di salvataggio di Rocca Salimbeni. Superata l'immediatezza, Siena valuterebbe poi la fattibilità di un'aggregazione con un gruppo europeo: si parla di Bnp Paribas, che controlla Bnl.

martedì 28 ottobre 2014

La city ci fa ciao ciao con la manina...

Immigrazione, Gb: "Non sosterremo le operazioni di salvataggio nel Mediterraneo". Il ministro degli Esteri britannico: "Queste operazioni incoraggiano più migranti a tentare la traversata del mare" di Raffaello Binelli

La Gran Bretagna dice no. Non sosterrà le operazioni di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo delle persone che cercano di raggiungere le coste dell’Europa. Lo fa, come ha annunciato il ministro degli Esteri, Joyce Anelay, per non incoraggiare i cosiddetti viaggi della speranza. "Non non sosteniamo le operazioni di ricerca e salvataggio previste nel Mediterraneo", ha spiegato Anelay, dal momento che riteniamo che queste operazioni "creino un fattore d’attrazione involontario, incoraggiando più migranti a tentare la traversata pericolosa del mare e conducano quindi a più morti tragiche e inutili". Londra dice di volersi concentrare "sui Paesi d’origine e di transito", lottando contro gli scafisti. A precisare nero su bianco la posizione britannica è stata una nota dal Foreign Office dopo un’interrogazione alla Camera dei Lord sul contributo aereo o navale di Londra ai salvataggi in mare dei migranti.

Il ministro ha dichiarato al Guardian che il governo di Londra per ora non prenderà parte a "Triton", l’operazione che Frontex avvierà a partire dall’1 novembre nel Canale di Sicilia e nel mare Jonio, e si limiterà a mettere a disposizione un funzionario addetto all’immigrazione. Dal 1° novembre "Triton" aiuterà a pattugliare e controllare le fontiere. "La nostra operazione è esclusivamente quella del controllo delle frontiera. Mare Nostrum mirava alla ricerca e al soccorso. Sono due operazioni molto diverse - ha spiegato alla Bbc la portavoce di Frontex, Isabella Cooper -. La nostra operazione riguarda una specifica area operativa e abbiamo solo un paio di navi e qualche aereo a disposizione. Il Mediterraneo è lungo oltre 2,5 milioni di chilometri quadrati. È praticamente impossibile avere una panoramica completa di ciò che accade in mare".

Il no di Londra si è attirata le critiche di alcuni attivisti. L'amministratore delegato del Consiglio per i rifugiati (ong britannica), Maurice Wren, ha avvertito che la posizione del Regno Unito contribuirà che più persone "inutilmente e vergognosamente moriranno alle porte dell'Europa". E ha aggiunto: "Il governo britannico sembra ignaro del fatto che il mondo è in preda alla più grande crisi di rifugiati dalla fine della seconda Guerra mondiale". Secondo Wren, "la gente in fuga dalle atrocità non smetterà di arrivare".

Michael Diedring, segretario generale del Consiglio europeo per i rifugiati, ha detto che l'Unione europea dovrebbe cambiare radicalmente il suo approccio al problema, permettendo a più persone di entrare legalmente. "Una delle ragioni - ha spiegato - per cui queste persone stanno intraprendendo il viaggio è perché la politica dell'Unione europea non offre un mezzo sicuro e legale per accedere al suolo europeo, di presentare una domanda di asilo. Ad esempio c'è il solo reinsediamento, e i numeri di reinsediamento sono abbastanza bassi, ma è anche l'unico modo legale". "Così - sostiene Diedring - per le persone che sono bloccate in Nord Africa, in fuga per la loro vita, che sono perseguitate, che fuggono dalla guerra, che non hanno scelta perché le loro case sono state bombardate e distrutte, i loro familiari sono stati uccisi, sono state violentate e torturate e sono passati attraverso i viaggi orrendi, per queste persone l'unico modo per tentare di arrivare in Europa è attraverso la criminalità organizzata".

Il criminale George Soros

George Soros: la russia è una minaccia per l'esistenza dell'europa di Julian Borger

Il Magnate dice che l'aggressivo nazionalismo di Vladimir Putin è una sfida per i valori e per i principi su cui si basa la Unione Europea. George Soros ha lanciato un suo avvertimento contro l'espansionismo della Russia, minaccia esistenziale per l'Unione Europea, e ha chiesto un maggiore sostegno materiale per l'Ucraina. Il magnate e filantropo sostiene che il mix usato da Vladimir Putin - autoritarismo e aggressivo nazionalismo - rappresenta un modello alternativo alle democrazie liberali occidentali, riferendosi alla ammirazione per il Presidente russo espressa dal leader dell'UKIP Nigel Farage, il Presidente del francese Front National, Marine Le Pen, e il Primo Ministro ungherese, Viktor Orbán.

"L'Europa sta affrontando una sfida che la Russia sta portando alla sua stessa esistenza. Né i leader europei né i loro cittadini sono pienamente consapevoli di questa sfida e non conoscono il modo migliore per contrastarla " – scrive Soros in un articolo pubblicato sul New York Review of Books.

"Ora la Russia sta presentando un'alternativa che rappresenta una sfida fondamentale per i valori e per i principi su cui l'Unione Europea è stata originariamente fondata. Si basa sull'uso della forza manifestata con repressione in patria e aggressività all'estero, in contrasto con lo stato di diritto."

Soros ha detto al Guardian: "C'è una insoddisfazione generale verso l'Unione Europea per via della crisi dell'euro, che ha stravolto l'impulso iniziale per la formazione di una Unione di Stati orientati ad un sistema democratico. La crisi dell'euro è stata utilizzata in maniera impropria e la sua lunga durata ha fatto sì che la trasformasse da una unione volontaria di uguali in qualcosa di molto diverso."

Soros ha detto che l'Unione Europea si è trasformata in un rapporto disfunzionale tra paesi creditori e debitori, con un conseguente risentimento diffuso. "Putin ha stabilito buoni rapporti con tutti quelli che si muovono contro l'Europa," ha detto. "Il fallimento dell'esperimento europea come governo sovranazionale farebbe della Russia una potente minaccia ... Il crollo dell’ Ucraina sarebbe una perdita enorme per la Nato, l'Unione Europea e gli Stati Uniti. Una vittoria della Russia la renderebbe molto più influente all'interno dell'UE e rappresenterebbe una grave minaccia per gli Stati baltici, dove vivono grandi popolazioni di etnia russa." George Soros dice che Putin ha stabilito dei buoni rapporti con chi rema contro l'Europa.

Soros, fondatore e Presidente di Open Society, una rete di fondazioni pro-democrazia, prevede che dopo le elezioni in Ucraina di domenica, il Presidente russo offrirà al suo omologo ucraino, Petro Poroshenko, un accordo per la fornitura di gas, a condizione che venga nominato un Primo Ministro di gradimento di Putin. Se questa offerta venisse rifiutata, allora Putin "potrebbe ripiegare su una vittoria minore ma ancora alla sua portata: potrebbe aprire con la forza una via di terra dalla Russia fino alla Crimea e alla Transnistria [uno staterello filo-Mosca, inventato in Moldova] prima del prossimo inverno".

Soros chiede un potenziamento radicale dell'appoggio occidentale all'Ucraina con una "iniezione immediata di liquidità di almeno 20 miliardi di dollari con la promessa che, se necessario, potranno aumentare" per aiutare a controllare il debito pubblico e per contribuire alla riforma del settore energetico del paese rendendolo meno dipendente dalla Russia . Se daremo una mano ai riformatori ucraini, sostiene Poros la UE potrebbe riscoprire i suoi principi fondatori. "L'Unione Europea si potrebbe salvare, salvando l'Ucraina", ha detto Soros.

sabato 25 ottobre 2014

Alla leopolda solo l'italia che lavora e crea lavoro...

Leopolda, i nuovi renziani sono ai tavoli. Ma la star è il finanziere Serra. Alla convention del renzismo non solo i fedelissimi del premier, ma anche insospettabili ex nemici e soprattutto le personalità dell'alta finanza di Giuseppe Alberto Falci

“Non è possibile che lui investe in tutto il mondo e poi lo prende in quel posto in Italia”. Alle undici e quaranta il tavolo 50, quello in cui si parla delle pmi, pullula di sostenitori. Tutti ad apprezzare e a elogiare Davide Serra, amministratore delegato del fondo Algebris. Lui, amico di Renzi e super sponsor della Leopolda, presiede il tavolo con autorevolezza. Ed entra nel cuore dell’attualità politica. Gli scioperi? “Dipende dall’obiettivo, se vogliono creare posti di lavoro o disoccupati: se vogliono aumentare i disoccupati facciano lo sciopero generale“. E su chi sciopera ha un’idea precisa: “Se avessero voluto aiutare i propri figli a creare un’azienda o trovare un posto di lavoro probabilmente avrebbero fatto meglio a dare una mano, fare qualcosa, venire qui a trovare un po’ di idee, piuttosto che andare sempre a recriminare”. Una frase che desta scalpore non a Firenze, bensì a 300 chilometri di distanza. A Roma, in Piazza San Giovanni, Susanna Camusso sul palco fa nome e cognome del finanziere, contestandone la sparata sulla limitazione del diritto allo sciopero.

A Firenze, però, l’eco di Roma non arriva. E Serra rimane la star. “E’ lui l’alter ego di Matteo” confida al fattoquotidiano.it un renziano della seconda ora. La fascinazione è evidente, tutti lo stimano e tutti lo ascoltano. Ma c’è chi addirittura si spinge  e lo immagina a capo dell’esecutivo. E’ lui il dopo Renzi? E’ solo una suggestione? Non è dato sapere. Il dibattito entra nel vivo, e di conseguenza i commensali si scaldano, quando il finanziere si lascia scappare un duro attacco contro il governo del condannato Silvio Berlusconi: 

“La depenalizzazione del falso in bilancio, fatta da Berlusconi, è stata criminale”. Cala il silenzio. E qualcuno con un filo di sarcasmo si domanda sottovoce: “Ma Matteo non governa con Berlusconi?”.
Serra: “Depenalizzazione falso in bilancio fatta da Berlusconi è criminale”. La gente: “Ma Renzi non governa con lui?”

 
Così, dalle nove e trenta di stamane alla ex stazione Leopolda, location storica del renzismo di rottamazione e di governo, dopo la sbornia di ieri sera in cui l’ex sindaco di Firenze ha esaltato le passate edizioni,  c’è il tutto esaurito, i sostenitori si accalcano fuori; c’è perfino chi attende quattro ore. Cinquantadue tavoli per cinquantadue temi, centinaia e centinaia di sostenitori del presidente del Consiglio, nonché potenziali elettori vogliosi di argomentare i temi più disparati: dal fisco alla pubblica amministrazione, passando per le pari opportunità, l’istruzione, la giustizia, e molto altro. Perché “noi oggi – apre le danze il segretario-premier in camicia bianca di ordinanza e jeans – vogliamo essere in grado di dare obiettivi concreti per il Paese”.
E c’è tutto l’esercito del renzismo. Parlamentari della prima e della seconda ora affollano la vecchia stazione. “Saranno circa duecento”, fa sapere l’organizzazione dei 500 volontari. E fra le sagome, oltre ai renzianissimi (Dario Nardella, Simona Bonafé, Maria Elena Boschi in tubino di nero, Luca Lotti, Davide Faraone e David Ermini), c’è anche chi fino a qualche mese si trovava dall’altra parte della barricata. Come, ad esempio, Marco Minniti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega al Copasir, un tempo dalemiano, poi convertito al veltronismo, e oggi manco a dirlo fedelissimo del premier. Per non parlare dell’ex comunista Gennaro Migliore, che sembra più renziano dei renziani. Migliore si coccola il tesoriere Francesco Bonifazi, si siede al tavolo con Dario Nardella, e nel pomeriggio addirittura ne presiede uno sulla “carta dei diritti civili”. “Io c’ero anche l’anno scorso”, spiega a ilfattoquotidiano.it quasi volendosi giustificare. E fra gli ex vendoliani ormai convertiti al renzismo si annoverano anche Ferdinando Aiello e Sergio Boccadutri, entrambi parlamentari che hanno rimpinguato il gruppo democrat. Ma la lista continua fino ad arrivare alla lettiana Anna Ascani, che tirerà le fila del tavolo sulla “digitalizzazione delle scuole”. Corsa al carro del vincitore? Chissà. Isolato appare Matteo Richetti, che recentemente in una intervista a “In mezz’ora” aveva “strigliato” Matteo Renzi, e appunto per questo conteso dalla televisioni. Presenti anche esponenti di Scelta Civica come Andrea Romano, visto a colloquio con Brunello Cucinelli.
 
"Ci sono anche ex dalemiani, montiani e chi fino a pochi mesi fa era con Vendola"
 
Ma alla Leopolda ci sono anche i non addetti ai lavori. Pezzi di establishment come Fabrizio Landi, attualmente nel cda di Finmeccanica e che ha fatto sapere di aver versato 10mila alla fondazione Open. Imprenditori come Patrizio Bertelli, ad di Prada, che davanti alla platea racconta la storia del prestigioso marchio della moda: “Questa Italia che vuole cambiare deve rimuovere i cavilli burocratici. Noi dobbiamo diventare determinati nel cambiare l’Italia. Io Matteo lo conosco da anni, farà anche qualche errore, ma io inviterei tutti i presenti e i non presenti a convincersi che è arrivato il momento di cambiare l’Italia”. O altri imprenditore come Vito Pertosa, presidente e amministratore della MerMec, società che nel corso degli anni si è distinta per la realizzazione dei migliori sensori per il trasporto ferroviario. C’è anche Andrea Guerra, ex ad di Luxottica: “La scorsa volta che sono venuto alla Leopolda avevo un lavoro, oggi non ce l’ho e spero di trovarlo”. Per molti una vera e propria candidatura per un ministero al punto che nel backstage ritorna prepotentemente ad aleggiare lo spettro del rimpasto, passaggio che potrebbe consumarsi nel giro di poche settimane in virtù anche di una serie di caselle vacanti, come quella della Farnesina, essendo Federica Mogherini nominata Mrs Pesc.
 
"Gli imprenditori presenze fisse: da Bertelli a Cucinelli, passando per Andrea Guerra (futuro ministro?)"
 
Ma alla Leopolda le carte si mescolano. E accanto a figure come Guerra e Serra,  si annovera anche Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità Anticorruzione che si domanda: “Cosa c’entra Raffaele Cantone alla Leopolda? La corruzione è uno dei problemi principali del Paese. Questa volta, forse, forse, si potrà fare qualcosa”. Tra i tavoli si aggirano anche il siciliano Pif, e lo scrittore Fabio Volo, anche lui in camicia bianca di ordinanza, e che questa sera sarà l’inviato di Fabio Fazio a Che tempo che fa. Ma c’è anche la Sicilia. Il faccione è quello del governatore siciliano Rosario Crocetta che alle primarie dello scorso dicembre era sostenitore di Gianni Cuperlo, e oggi è super tifoso del segretario-premier. Alla fine, però, le facce di parecchi commensali non sembrano soddisfatte. Poco tempo  a disposizione, è l’accusa principale, al punto che nel tavolo dedicato al mezzogiorno due partecipanti arrivano allo scontro: “La paura è che il dibattito odierno resti circoscritto alla tre giorni”.  A ciò si aggiunge un altro elemento. L’impressione è che la sfilata leopoldina serva anche a colmare la distanza fra parlamentari ed elettori. Alla delegazione di Montecitorio e Palazzo Madama arrivano le richieste più disparate dai territori. I partecipanti chiedono di tutto: dall’attività di governo di questi mesi fino al partito. E la prova si ha quando il tesoriere Francesco Bonifazi, uomo macchina della fu “ditta”, si rivolge così con uno dei commensali: “Se mi chiami, ci penso io per te. Vienimi a trovare in via Sant’Andrea delle Fratte”.

venerdì 24 ottobre 2014

La legge di stabilità di fonzarelli

Legge di Stabilità, dal bonus bebè al Tfr e le nuove tasse, l’Abc della manovra Barroso e Renzi. Con una mano estrae dal cilindro ben 1 milione di nuovi assunti, con l'altra il tandem Renzi-Padoan mette una pietra sopra il rinnovo dei contratti del pubblico impiego e non sblocca la situazione delle forze dell'ordine. E' solo uno dei paradossi della legge di Stabilità, uno dei più travagliati testi della storia della Repubblica. Eccola in dettaglio di F. Q.

Mentre una mano estrae dal cilindro ben 1 milione di nuovi assunti, con l’altra il tandem Renzi-Padoan mette una pietra sopra il rinnovo dei contratti del pubblico impiego e non sblocca la situazione delle forze dell’ordine. E’ solo uno dei paradossi della legge di Stabilità che ha finalmente visto la luce giovedì 23 ottobre, esattamente una settimana dopo l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri. Otto giorni nel corso dei quali il testo, uno dei più travagliati della storia della Repubblica, ha subito più di una modifica nel retrobottega. A saldi invariati, dato che solo l’ultima riga dei conti è stata inviata a Bruxelles per l’esame di rito il cui esito è stato reso pubblico ancora prima della manovra stessa. Eccola in dettaglio.

LE USCITE TRA SLALOM SULL’IRAP, BEBE’ E TFR – Sul fronte delle uscite pesano soprattutto la stabilizzazione del bonus di 80 euro in busta paga (vale 9,5 miliardi) e l’introduzione della deducibilità del costo del lavoro dall’Irap, che viene però in parte finanziata tornando ad aumentate l’imposta tagliata solo pochi mesi fa. Gli altri capitoli importanti sono gli sgravi per le assunzioni a tempo indeterminato, i fondi per rinnovare il sistema degli ammortizzatori sociali, il nuovo regime fiscale per le partite Iva e il discusso bonus bebè. Passando per la proroga delle detrazioni per i lavori di ristrutturazione e il miliardo destinato alla stabilizzazione degli insegnanti precari. Il Tfr in busta paga sta anch’esso sotto la voce uscite, ma potrebbe trasformarsi in un vero affare per il governo, visto che chi lo chiederà se lo vedrà tassare in base alla propria aliquota marginale invece che quella agevolata. "Sulle uscite pesano soprattutto la stabilizzazione del bonus di 80 euro in busta paga (9,5 miliardi) e il doppio slalom sull’Irap".

I nuovi posti di lavoro promessi lievitano a quota 1 milione, ma solo per tre anni - Non più 800mila. Ora i posti di lavoro sono diventati addirittura un milione. La relazione tecnica allegata alla legge di Stabilità è più ottimista del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, che in tv aveva promesso, appunto, che l’azzeramento per tre anni dei contributi sui nuovi contratti stabili avrebbe determinato a regime almeno 800mila assunzioni. E si spinge a valutare in “1 milione” il numero di assunzioni incentivate. Il costo? Lo stanziamento previsto è di 4 miliardi di euro per il quadriennio: 1 per il 2015, 1 per il 2016, 1 per il 2017 e 1 per il 2018. Che non basteranno però per neutralizzare gli effetti negativi sulle casse pubbliche, in cui (stando alla relazione) si creerà un buco di 5,99 miliardi di euro: 730 milioni l’anno prossimo, 2,3 miliardi nel 2016, 2,2 miliardi nel 2017 e 760 milioni nel 2018. Ed ecco come funziona l’incentivo: in pratica le aziende che tra gennaio e dicembre del prossimo anno assumeranno lavoratori in pianta stabile non dovranno pagare i relativi contributi previdenziali fino al 2018. Se ne farà carico lo Stato, fino a un tetto massimo di 8.060 euro all’anno per dipendente.

Il Tesoro prevede che 790mila lavoratori godranno dello sgravio totale (si tratterà cioè di dipendenti con un reddito inferiore a 26mila euro, quello a cui corrispondono contributi per circa 8mila euro annui) e 210mila ne usufruiranno fino all’importo massimo, mentre i datori di lavoro pagheranno i contributi dovuti oltre quella franchigia. L’esonero dal versamento riguarda unicamente la quota di contributi dovuta dal datore di lavoro, in media poco superiore al 30%, e non quella (9,19%) a carico del lavoratore. Inoltre lo sgravio vale solo per i dipendenti che non abbiano lavorato a tempo indeterminato nei sei mesi precedenti e ne sono esclusi i contratti di lavoro domestico (colf, badanti), quelli di apprendistato e quelli del settore agricolo. Contestualmente però vengono eliminati i contributi ridotti finora previsti per chi assume lavoratori disoccupati da almeno 24 mesi. Nella norma, però, non è stato inserito alcun vincolo che disincentivi l’azienda dal licenziare il dipendente al quarto anno, quando l’agevolazione si esaurisce. Un altro punto di domanda sull’efficacia della mossa del governo deriva dai risultati ottenuti, a regime, da un bonus analogo: quello per l’assunzione di under 30 disoccupati introdotto dall’esecutivo Letta nel 2013. L’obiettivo era creare 100mila nuovi posti tra 2013 e 2015, ma lo scorso giugno i dati Inps evidenziavano come le richieste si fossero fermate poco sopra quota 22mila. "La relazione tecnica si spinge a valutare in “1 milione” il numero di assunzioni incentivate con 4 miliardi. Senza vincoli per disincentivare i licenziamenti quando l’agevolazione finisce".

Verso il muro contro muro con polizia e statali - Il ministro dell’Interno Angelino Alfano aveva annunciato che sulla questione degli stipendi delle forze di polizia era “tutto risolto”. Nel disegno di legge, tuttavia, non compare alcuno sblocco di risorse in questo senso. Gli stipendi dei tutori dell’ordine sembrano destinati al congelamento, come quelli degli altri dipendenti pubblici, per l’intero anno 2015. Bloccata per tutto il periodo 2015-2018 anche l’indennità di vacanza contrattuale degli statali, cioè quella quota retributiva riservata a quanti attendono il rinnovo del contratto. Per le forze dell’ordine è soltanto previsto, entro trenta giorni dall’entrata in vigore della norma, l’avvio delle procedure per la revisione dell’accordo nazionale quadro. Ma questa operazione serve per rispondere alle “esigenze di razionalizzazione delle risorse disponibili e di quelle connesse all’espletamento dei compiti istituzionali della Forze di polizia, in relazione alla specificità ad esse riconosciuta, nelle more della definizione delle procedure contrattuali e negoziali”. Non solo. Allo stesso tempo, il disegno di legge dimezza le spese per gli organismi di rappresentanza di forze armate e guardia di finanza, riduce le risorse per il riordino delle carriere nel comparto difesa-sicurezza (119 milioni) e stabilisce il differimento delle assunzioni nel personale delle forze di polizia al 1 dicembre 2015, per un risparmio di 27 milioni.

La beffa dell’Irap: il lavoro è deducibile ma l’aliquota sale con effetto retroattivo – Doppio slalom sull’Irap, l’imposta regionale sulle attività produttive, su cui il governo ha rimescolato le carte giocando con incassi retroattivi e deduzioni a venire. E così dalla base imponibile sarà interamente deducibile il costo del lavoro, che ne costituisce almeno il 50 per cento. Un bel risparmio per le imprese, dunque, ma con effetto a partire dal 2015. Prima, invece, dovranno passare alla cassa dato che per tutto il 2014 sono state ripristinate retroattivamente le aliquote Irap che il decreto Irpef dello scorso aprile aveva ridotto del 10 per cento. Così le imprese industriali e commerciali la vedranno tornare dal 3,5 al 3,9%, le banche dal 4,2 al 4,65%, le assicurazioni dal 5,3 al 5,9 per cento, le società concessionarie dal 3,8 al 4,2%. L’ennesima violazione dello Statuto del contribuente che non ammette norme fiscali valide “per il passato”. E senza contare le eventuali addizionali stabilite dalla singole Regioni. Il taglio della componente lavoro andrà dunque calcolato sull’ammontare che risulta applicando le vecchie e più alte percentuali. Visto che vale solo per le uscite per il personale a tempo indeterminato, sarà avvantaggiato chi ha molti dipendenti stabili, mentre chi si avvale solo o soprattutto di personale a tempo determinato e collaboratori ci rimetterà. IlSole24Ore ha calcolato che il risparmio per le casse di un’azienda industriale sarà di circa 800 euro per ogni lavoratore a tempo indeterminato con una retribuzione annua lorda di 30mila euro. L’agevolazione varrà di più, inevitabilmente, per gli istituti di credito e le altre imprese che con il regime attuale pagano in media un’Irap più pesante. Quanto agli effetti per le casse dello Stato, la relazione tecnica non conferma i 6,5 miliardi l’anno di riduzione del carico fiscale citati dal premier Renzi il 13 ottobre durante l’assemblea di Confindustria a Bergamo: la cifra riportata è di 2,7 miliardi per il 2015 e 5,6 miliardi l’anno per ognuno degli anni 2016, 2017 e 2018. Con una compensazione iniziale proveniente proprio con gli incassi dell’Irap retroattivi stimati in 2 miliardi nel solo 2014. Poi si vedrà.

Tfr in busta paga, ma tassato con aliquota Irpef ordinaria. Più barriere per l’Isee e 80 euro - Tfr in busta sì, ma potranno richiederlo solo i lavoratori del settore privato con almeno sei mesi di anzianità, ad eccezione di quelli del comparto agricolo e dei collaboratori domestici. Le somme anticipate, che scatteranno dal primo marzo 2015 fino al 30 giugno 2018, non concorreranno al raggiungimento dei limiti di reddito previsti per il bonus degli 80 euro, che viene confermato e reso strutturale con un costo annuo stimato in 9,5 miliardi di euro, senza però allargare la platea dei beneficiari a pensionati, partite Iva e incapienti. L’anticipo del Tfr saranno però computato nell’imponibile e nei calcoli dell’indicatore Isee, in cui confluiranno anche conti correnti e depositi bancari, modificando di fatto la platea di beneficiari di servizi aggiuntivi gratuiti come nidi e università. Il lavoratore che opta per il Tfr in busta paga non potrà cambiare idea fino a giugno 2018, perderà i rendimenti sul capitale del fondo e il contributo obbligatorio per la previdenza integrativa da parte del datore di lavoro. Stando alle stime della Fondazione consulenti del lavoro, tenendo conto delle sole aliquote, intascare il Tfr è una scelta neutra per i lavoratori con un reddito fino a 15mila euro perché l’aliquota Irpef e Tfr coincidono al 23 per cento. Oltre questa soglia, l’opzione è progressivamente meno conveniente per effetto dell’incremento della tassazione Irpef suddivisa per scaglioni. Secondo una simulazione, effettuata dall’ufficio studi della Cgil, su un reddito da 20mila euro lordi, l’anticipo del Tfr in busta paga comporterà come effetto netto la perdita di una quota mese Tfr (circa 40 euro) che se ne andrà in tasse. Oltre i 28.650 euro, l’anticipo si traduce in 300 euro di tasse in più all’anno per effetto della tassazione al 38 per cento. Con il passaggio dall’ aliquota agevolata a quella marginale lo Stato, invece, stima si possa registrare un effetto positivo nel 2015 sulla finanza pubblica fino a 2,246 miliardi. Gli introiti, naturalmente, dipenderanno dall’adesione all’iniziativa che, per il lavoratore, è utile solo nel caso di una esigenza urgente di liquidità.

Bonus bebè “dimezzato” Risorse insufficienti e nuovi paletti, poi, per il bonus bebè “pubblicizzato” da Renzi nel salotto di Barbara D’Urso. L’assegno di 80 euro al mese per i nuovi nati varrà, come precisato giovedì 23 ottobre dal ministero dell’Economia via Twitter, per “ogni figlio nato o adottato dall’1 gennaio 2015 al 31 dicembre 2017″ e sarà versato “fino al compimento del terzo anno d’età ovvero del terzo anno di ingresso nel nucleo”. Ne hanno diritto le famiglie con un reddito complessivo non superiore a 90mila euro, che non lo riceveranno però automaticamente ma dovranno fare richiesta all’Inps. A sorpresa, poi, i fondi stanziati per finanziarlo sono molto inferiori ai 500 milioni previsti, per il 2015, nelle prime bozze della manovra: scendono a 202 milioni. Che diventeranno 607 nel 2016, 1,012 miliardi nel 2017 e 2018, 607 milioni nel 2019 e 202 nel 2020. Dai primi calcoli, e pur tenendo conto del paletto del reddito, la cifra appare troppo bassa, visto che ogni anno in Italia nascono oltre 500mila bambini. La relazione tecnica, partendo dal presupposto che la maggior parte prenderà il bonus per meno di 12 mesi, prevede comunque che abbiano accesso al beneficio “circa 415mila nuclei”. E in ogni caso presso il ministero dell’Economia verrà istituito un fondo da 298 milioni per il 2015 “da destinare ad interventi a favore della famiglia”, da cui pescare in caso di necessità.

Prorogati l’ecobonus e gli sgravi per ristrutturazioni edilizie. Niente incentivi per rottamare l’auto – Gli sgravi fiscali per interventi di riqualificazione energetica (i cosiddetti ecobonus) e per ristrutturazioni edilizie vengono prolungati. E c’è una novità: arrivano incentivi per l’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici per l’arredo della casa che viene ristrutturata. Nel dettaglio, le agevolazioni sulla riqualificazione energetica degli edifici restano al 65%, anziché scendere al 50% come previsto nella legislazione vigente. Poi, a partire dal 2016, si tornerà al 36 per cento. Per quanto riguarda gli interventi nelle parti comuni dei condomini, prima le detrazioni dovevano valere il 50% fino a giugno 2016, ora saliranno al 65%, ma solo fino a dicembre 2015. Prolungato, infine, anche il termine per la detrazione relativa alle ristrutturazioni edilizie, che passa dal 40% al 50% e durerà fino alla fine del 2015. Anche in questo caso, dal 1 gennaio 2016, si torna all’aliquota del 36 per cento. Per l’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici, infine, l’agevolazione sarà pari al 50 per cento. Tutte queste detrazioni saranno ripartite in dieci quote annuali e saranno relative a interventi non superiori ai 96mila euro. I tecnici del Tesoro hanno calcolato che questa norma porterà un immediato beneficio per le casse dello Stato, stimato in 19 milioni di euro per il 2015, ma poi causerà un saldo negativo di 318 milioni nel 2016 e 589 milioni nel 2017. Porterà invece un risparmio di 40 milioni la cancellazione dello stanziamento per il bonus rottamazione auto del 2015.

Partite Iva, dal 2015 si cambia ancora per il regime dei minimi – A soli due anni dalla grande rivoluzione che ha stravolto le regole relative al regime dei minimi, la legge di Stabilità prevede una nuova e completa revisione del regime forfetario delle 900mila partite Iva (tante sono secondo il governo, ma la platea è più ampia) composte da mini-imprese e piccoli professionisti che esercitano un’attività in forma individuale utilizzando la partita Iva. Prima di tutto cambia l’aliquota dell’imposta sostitutiva che sale dall’attuale 5% al 15% ed è valida per per tutti i minimi. Il governo ha infatti deciso di spazzare via tutto il sottobosco dei diversi regimi in vigore (regime fiscale di vantaggio, disciplina delle nuove iniziative produttive e regime contabile agevolato). I cosiddetti forfettini, forfettoni, minimi e under 35 sono stati considerati come fuorvianti e complicati per il calcolo e la gestione della fiscalità di artigiani e micro-imprese. Il nuovo forfait unico è, quindi, pari al 15% del reddito e racchiude Irpef, addizionali regionali e comunali e Irap. Ma, nel caso di nuove attività, l’aliquota sarà applicata su una base imponibile ridotta di 1/3.

Altra novità riguarda i limiti di tempo e di età che non ci sono più. Così, se fino ad oggi potevano entrare nei regime dei minimi solo gli under 35 con ricavi fino a 30mila e per massimo 5 anni, d’ora in avanti tutti potranno richiedere il forfait al 15 per cento. L’importante è che i ricavi non superino 40mila euro. Ma questa fascia di reddito più elevata ha degli importanti distinguo: l’importo massimo dei ricavi cambia in base all’attività svolta nei diversi settori. Si va, quindi, dai 15mila ai 40mila euro.
La legge di Stabilità ha anche calcolato la convenienza del regime dei minimi. Partendo dalle stime effettuate nel 2007 (il primo anno in cui fu approvato), ha stimato uno sconto fino a 1.000 euro, ipotizzando che questo bonus venga compensato da un risparmio dei costi di adempimento degli obblighi contabili e fiscali. Tant’è che la manovra ipotizza una permanenza media nel regime agevolato solo per 5 anni con una graduale fuoriuscita dopo questo tetto di tempo. Calcolare la convenienza del nuovo regime non è quindi così scontato. Inoltre, in alcuni casi, chi è oggi un minimo non potrà aderire al nuovo regime. E, in altri casi, chi oggi è escluso potrà entrare nella tassazione agevolata dal 2015.

I fondi per i nuovi ammortizzatori salgono a 2 miliardi ma non basteranno – Approvata dal senato la legge delega sul Jobs Act, ecco che la legge di stabilità provvede a stanziare i fondi necessari alla riforma degli ammortizzatori sociali. Nessuna traccia, tuttavia, del nuovo assetto di questi strumenti che sarà definito nella riforma del lavoro. Il documento istituisce, presso il ministero del Lavoro, un fondo apposito con una dotazione di 2 miliardi a partire dal 2015. Nella cifra, rientra anche il finanziamento degli ammortizzatori in deroga, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive. Nel dettaglio, la relazione tecnica allegata al testo di legge stima che si spenderanno 1,5 miliardi per finanziare la maggiore spesa derivante dalla riforma degli ammortizzatori sociali. Gli altri 500 milioni, invece, saranno destinati alla contribuzione figurativa: si tratta di quei contributi “fittizi”, non versati né dall’azienda né dal lavoratore, bensì dallo Stato, in caso di sospensione del lavoro. Giusto per avere un’idea delle cifre su cui la legge interviene, nel 2013, l’Inps aveva versato 23 miliardi di euro per gli ammortizzatori sociali, tra cassa integrazione, mobilità, assegni di disoccupazione Aspi: di questi, 9 miliardi erano contributivi figurativi.

Nebulosi incentivi alle fusioni delle società pubbliche di servizi – Sono uscite ridimensionate rispetto alle attese le misure per favorire le fusioni tra aziende di servizi pubblici locali, come luce, acqua e gas. Previste in un primo momento nello Sblocca Italia, tali misure erano state rinviate alla legge di Stabilità. Ma anche qui c’è meno rispetto alle aspettative di manager e amministratori locali. La relazione tecnica allegata alla manovra parla di “disposizioni finalizzate ad incentivare le aggregazioni tra soggetti operanti nei servizi pubblici locali di rilevanza economica, al fine di rilanciare gli investimenti, ridurre i costi attraverso economie di scala e di scopo e migliorare i livelli prestazionali e di qualità dei servizi”. Ma la legge non prevede alcun incentivo economico diretto per raggiungere tale obiettivo. Viene invece stabilito l’obbligo per gli enti locali di organizzarsi in ambiti territoriali ottimali (Ato), di dimensioni quantomeno analoghe a quelle delle province, in modo da gestire i servizi pubblici su scala maggiore. Tale indicazione era già contenuta nella manovra bis del 2011, ma è rimasta spesso confinata sulla carta. Per questo la legge di Stabilità impone ora agli enti locali di aderire ai nuovi Ato, pena l’intervento dei presidenti della regioni.

La legge contiene però una norma per favorire le dismissioni totali o parziali, anche a seguito di quotazioni, delle partecipazioni degli enti locali nelle aziende di servizi pubblici: gli incassi conseguenti potranno essere spesi per investimenti in deroga al Patto di stabilità. Nessun fondo supplementare fuori dalle regole del patto viene invece garantito a seguito di fusioni e aggregazioni senza che una delle parti ceda un po’ della sua quota. Una differenziazione che avvantaggerà la politica di acquisizioni nel settore tanto cara alla Cassa Depositi e Prestiti e alle sue controllate. Il testo definitivo è risultato ridimensionato anche rispetto alle bozze circolate dopo il consiglio dei ministri di settimana scorsa, che prevedevano l’obbligo per le amministrazioni pubbliche di approvare nel 2015 piani per aggregare le società di servizi pubblici locali e contenere i costi di funzionamento di cda e di altre strutture aziendali, oltre che l’obbligo di approvare piani per ridurre il numero di partecipate attraverso l’eliminazione di società non indispensabili al perseguimento delle finalità istituzionali e il taglio di doppioni di aziende attive nello stesso settore. Il riferimento a questi piani è scomparso, così come il riferimento alla necessità di razionalizzare le partecipazioni di Camere di commercio, università e autorità portuali. "Ridimensionate rispetto alle attese le misure per favorire le fusioni tra aziende di servizi pubblici locali, come luce, acqua e gas".

LE ENTRATE: TAGLI, DISMISSIONI, LOTTA ALL’EVASIONE E NUOVE TASSE RETROATTIVE - Passando alla coperta, le somme previste sono prevalentemente in arrivo da formule note: nuove tasse e lotta all’evasione fiscale, tagli, dismissioni e attivazione di fondi Ue ancora inutilizzati. Il Tesoro calcola che il totale ammonterà per il 2015 a 20,5 miliardi, di cui oltre 6 da riduzioni delle spese dello Stato, 4 dalle Regioni, 1,2 dai Comuni, 1 dalle Province, 3,8 dal recupero di denaro nascosto al Fisco, 1 miliardo da riprogrammazione di risorse europee, 900 milioni dal gioco, 700 dalla vendita delle frequenze della banda larga, 450 dall’aumento delle aliquote sui fondi pensione. A questo vanno aggiunti i circa 11 miliardi di nuovo deficit che, a meno di definitiva bocciatura da parte della Commissione Ue, il governo conta di fare nel 2015 sfruttando la differenza tra il livello tendenziale (2,2%) e quello programmatico (2,9%). Dalle sforbiciate semilineari ai ministeri (molto distanti dalla filosofia dei tagli mirati alla Cottarelli) arriveranno in tutto, nel triennio 2015-2017, 3,9 miliardi, di cui 1 solo l’anno prossimo. Con tanto di riduzione degli incentivi alle imprese e al made in Italy. La presidenza del Consiglio si auto-riduce le risorse per 10 milioni. Meno corposi in termini di cifre, ma comunque pesanti, i tagli agli organi costituzionali, dal Csm alla Corte dei Conti e a enti e authority come Istat, Consob e Anticorruzione. Oltre a quelli agli organismi internazionali.

Le Regioni dovranno vedersela da sé, scure sulle Province e prelievo ai Comuni - Resta la previsione di 4 miliardi di contributo complessivo dalle Regioni, che dopo le proteste dei giorni scorsi stanno però discutendo con il governo “proposte alternative” che evitino di dover ridurre i servizi ai cittadini o aumentare le tasse. Le regioni a statuto ordinario dovranno dare un contributo aggiuntivo, tra 2015 e 2018, di 3,45 miliardi, mentre a carico delle “autonomie speciali” ci sono 548 milioni. Fa eccezione il Molise, che sta lavorando a un piano di rientro dal deficit sanitario e per farlo potrà contare su una cifra fino a 40 milioni. Finalizzata anche a “ricondurre i tempi di pagamento al rispetto della normativa comunitaria”. Cala invece la scure sulle Province, teoricamente soppresse: 1 miliardo nel 2015, 2 nel 2016, 3 nel 2017. Ai Comuni è chiesto infine uno sforzo da 1,2 miliardi l’anno in termini di saldo netto da finanziare. In compenso dovranno contribuire meno del previsto agli obiettivi di controllo dell’indebitamento previsti dal Patto di stabilità interno: nel triennio gli obiettivi si ridurranno di 3,35 miliardi l’anno. Tuttavia nei saldi rientrerà anche il nuovo Fondo crediti di dubbia esigibilità, strumento previsto dalla riforma della contabilità degli enti locali che impone di congelare risorse in misura proporzionale al tasso di mancata riscossione degli ultimi 5 anni e ammonterà a 2,3 miliardi. Chi riscuote in modo efficiente avrà diritto a tutto lo “spazio” concesso dal governo, chi invece è meno virtuoso sarà chiamato a risparmiare di più.

Tagli a Corte dei conti, Consiglio di Stato, Tar, Csm, Rai e Poste - Rinunce sul fronte delle spese di funzionamento anche a 43 tra enti e organismi pubblici, compresi gli organi costituzionali. La Corte dei conti dovrà dire addio a 5,9 milioni (su stanziamenti di circa 40 milioni l’anno), il Consiglio di Stato e il Tar a 3,2 milioni l’anno su poco più di 20, il Consiglio superiore della magistratura a 824mila euro nel 2015, 760mila nel 2016 e 740mila nel 2017 su stanziamenti rispettivamente di 5,3 e 5,1 milioni. Il Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia (l’equivalente del Tar) perde 35mila euro. L’Istat si vedrà ridurre i trasferimenti, a decorrere dal 2015, per 2 milioni (su 36). Mentre per l’Agea la riduzione di risorse sarà di 3 milioni. Stesso taglio per l’Istituto di tecnologia. Perfino l’Autorità anticorruzione di Raffaele Cantone si vede tagliare 100mila euro dalla dotazione prevista per i prossimi tre anni. Non una cifra enorme, rispetto a 5,2 milioni che ancora si aspettano, ma certo un taglio emblematico per un governo che ha annunciato in pompa magna di voler concedere “superpoteri” al magistrato anticamorra chiamato a vigilare sugli appalti. La Consob perde 200mila euro su uno stanziamento di 366mila. E anche l’Agenzia per l’Italia digitale deve togliere dal piatto 200mila euro. La Rai, dopo la sforbiciata da 150 milioni arrivata con il dl Irpef, si vedrà ridurre di un ulteriore 5% l’ammontare del canone di sua competenza, con risparmi per 86,8 milioni nel 2015, 87,5 nel 2016 e 88,4 nel 2017. L’Istituto nazionale di economia agraria (Inea) sarà incorporato nel Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (Cra) facendo nascere la nuova Agenzia unica per ricerca, la sperimentazione in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, che sarà guidata da un commissario con il compito di ridurre le articolazioni territoriali “almeno del 50 per cento” e gli oneri amministrativi e le spese per il personale di “almeno il 10 per cento”. Il ddl mette poi una pietra sopra la querelle sul costo del servizio universale garantito da Poste italiane: il gruppo pubblico, che oggi riceve 340 milioni l’anno e ne rivendicava oltre 700 per il 2011 e il 2012, dovrà accontentarsi di 262 milioni. Questo proprio mentre l’amministratore delegato Francesco Caio lima un piano industriale che stando a indiscrezioni prevede fino a 15mila esuberi in due anni. La spending non risparmia nemmeno i contributi agli organismi internazionali: venti milioni in meno per l’Onu e 3 in meno per l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse).

Dismissioni: gli immobili della difesa e le frequenze della banda larga mobile - Il ministero della Difesa dovrà mettere in vendita i propri immobili (caserme, ma anche alloggi) con l’obiettivo di ricavare non meno di 220 milioni di euro nel 2015 e 100 milioni l’anno nel 2016 e 2017. Vanno rubricate al capitolo entrate, anche se la relazione tecnica non si spinge a stimare i possibili introiti, anche le norme che incentivano, più in generale, la valorizzazione dell’intero patrimonio immobiliare dello Stato. Per spingere l’arrugginita macchina delle dismissioni arriva la possibilità di vendere non attraverso la usuale trattativa privata ma con una “procedura di tipo ristretto” riservata a investitori istituzionali selezionati volta per volta dal ministero dell’Economia. La finalità dichiarata è “creare forme di concorrenza (non attivabili nel caso della trattativa privata) idonee a comportare un aumento degli introiti ricavabili e un ampliamento delle effettive potenzialità di alienazione dei beni immobili statali”. Per “razionalizzare” (leggi ridurre) gli spazi a disposizione della pubblica amministrazione il governo ritiene poi necessario istituire un apposito fondo, con dotazione iniziale di 20 milioni, con cui coprire le spese per “opere necessarie alla riallocazione”.

Un incasso intorno ai 700 milioni è quanto invece il governo si aspetta dall’asta sulle frequenze della cosiddetta “banda L”, comprese tra i 1452 e i 1492 MHz, finora destinate alla radio digitale ma poco utilizzate. L’esecutivo ha deciso, in linea con l’orientamento europeo, di destinare tali frequenze agli operatori di telefonia che le impiegheranno per lo sviluppo della banda larga mobile. Le compagnie utilizzeranno tali frequenze per le applicazioni Supplemental Down Link (Sdl), in grado di consentire agli utenti di scaricare dalla rete dati e contenuti multimediali in modo più veloce ed efficiente. I proventi derivanti dall’asta andranno a copertura di parte delle uscite previste dalla legge di Stabilità fino appunto a un massimo di 700 milioni, mentre sulla destinazione di eventuali eccedenze deciderà il ministero dell’Economia. Le procedure per l’assegnazione delle frequenze saranno avviate dall’Agcom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni), mentre la selezione dei vincitori dovrà essere conclusa dal ministero dello Sviluppo economico entro fine ottobre 2015. Le frequenze oggi occupate dovranno essere liberate entro il 30 giugno 2015.

La stangata alle Fondazioni, prelievo dalle polizze vita  e gioco delle tre carte sulle pensioni – Passando alle entrate nella classica forma delle nuove tasse, per gli enti non commerciali, con il caratteristico effetto retroattivo che tanto piace a Renzi e Padoan e che rischia molto sotto il profilo dei ricorsi, a partire dal primo gennaio 2014 l’imponibile non sarà più calcolato sul 5% dei dividendi percepiti, bensì sul 77,74 per cento. L’aliquota resterà invece fissa al 27,5 per cento. L’effetto della misura si preannuncia durissimo sui conti delle Fondazioni bancarie che nel 2013 hanno incassato 1,48 miliardi di proventi di cui la metà erano cedole. In pratica, se lo scorso anno il prelievo fiscale è stato di 9,48 milioni, quest’anno, a parità di dividendi, sarà di 148 milioni. Per il presidente dell’Acri e di Fondazione Cariplo, Giuseppe Guzzetti, la revisione dell’imponibile al rialzo avrà un effetto diretto sul territorio attraverso un ridimensionamento delle erogazioni che nel 2013 sono tate pari a 840 milioni, cifra simile al 2012 (880 milioni), ma in forte calo rispetto agli anni prima della crisi del 2008. Per il governo che ad aprile aveva già deciso di tassare retroattivamente le banche riducendone la disponibilità da erogare agli azionisti, la misura porterà nel 2015 un gettito aggiuntivo di 447,2 milioni. "Nuove tasse per le Fondazioni bancarie, con il caratteristico effetto retroattivo che tanto piace a Renzi e Padoan e rischia molto sotto il profilo dei ricorsi".

Cambiano, poi, le regole per le polizze vita. Dove si è scelto di incidere su chi percepirà capitali dal contratto di assicurazione sulla vita, mantenendo però l’esenzione per le temporanee in caso di morte e introducendo una differenziazione all’interno delle polizze miste, in cui è previsto l’indennizzo in caso di decesso o il pagamento di una somma, a data concordata, in caso di sopravvivenza. In pratica per le polizze che coprono il rischio vita resta l’esenzione. Per quelle miste, che prevedono sia il caso di decesso che quello di sopravvivenza, viene tassata solo la seconda parte in funzione del sottostante al contratto. In pratica se si tratta di titoli pubblici, l’aliquota sarà del 12,5%, mentre per gli altri investimenti sarà al 26 per cento. Il governo stima di poter incassare dalla modifica normativa un gettito aggiuntivo 2015 di 137,5 milioni.

Sciolto definitivamente, poi, il rebus della data di pagamento delle pensioni. Lo slittamento al giorno 10 del mese riguarda i titolari di due trattamenti, Inps e Inpdap. Il cambiamento toccherà quindi solo 800mila titolari su una platea di 16 milioni di beneficiari. Il provvedimento scatterà dal primo gennaio 2015 con l’obiettivo di “razionalizzare ed uniformare le procedure e i tempi di pagamento delle prestazioni previdenziali corrisposte dall’Inps” e procedere ad “un unico pagamento ove non esistano cause ostative nei confronti dei beneficiari di più trattamenti”. Sventato quindi il rischio di uno slittamento nei pagamenti di tutte le pensioni, come inizialmente proposto dal governo, con una misura contro cui si sono schierate le associazioni dei consumatori, Adusbef e Federconsumatori, temendo penalizzazioni per le fasce più deboli che a stento riescono a far quadrare i conti a fine mese senza finire in rosso.
 
Assalto alle Casse di previdenza - Le Casse previdenziali private sono già pronte a dare battaglia in Europa davanti alla previsione per i fondi pensione di un innalzamento dell’aliquota di tassazione dall’11% al 20 per cento da gennaio. La percentuale, però, salirà realmente al 26% per effetto della cessazione da dicembre di un’agevolazione del 6% concessa finora alle casse private. Non solo. Aumenterà anche la tassazione della rivalutazione del Tfr dall’11 al 17 per cento. Secondo l’Adepp, Associazione delle casse previdenziali private e privatizzate, la scelta del governo, che interessa due milioni di professionisti, penalizzerà le nuove generazioni la cui prospettiva pensionistica si assottiglierà ulteriormente a vantaggio nell’immediato delle casse dello Stato. Senza contare che la misura rischia di mettere a dura prova il precario equilibrio degli enti previdenziali privati. Di sicuro la manovra, che porterà nelle casse dello Stato 450 milioni nel 2015 per arrivare a 480 l’anno successivo, spingerà le Casse a riconsiderare le scelte di investimento il funzione del rapporto rischio-rendimento. A Bruxelles è già pronta un’interrogazione del vicepresidente del parlamento europeo, Antonio Tajani, per chiedere conto della compatibilità delle norme del nostro Paese con quelle comunitarie. La notizia è emersa giovedì 23 ottobre nel corso dell’assemblea dei presidenti Adepp, guidata da Andrea Camporese. Tajani chiederà alla Ue se un aumento della tassazione degli enti previdenziali in Italia non sia in contrasto con il libro verde Long Term Financing of the European Economy, documento comunitario che punta a stabilire standard qualitativi per gli investimenti a lungo termine dell’economia reale e apre ad una maggiore partecipazione degli investitori istituzionali, come fondi pensione e Casse di previdenza, che in Italia dispongono di un patrimonio superiore a 50 miliardi di euro.

Denaro che le Casse italiane, dove pure in un passato recente non sono mancate le anomalie come dimostra il caso Sopaf, hanno intenzione oggi di mettere a servizio dell’economia con la creazione di un fondo dedicato allo sviluppo del Paese. Con o senza il governo che ha deciso di escludere la platea dei professionisti dal bonus degli 80 euro riservato ai soli lavoratori dipendenti. “Se con la spending rieview e l’aumento della tassazione si finanziano anche gli 80 euro destinati ai dipendenti si danneggiano due volte i liberi professionisti in un momento drammatico per il Paese considerandoli degli invisibili nel tessuto produttivo italiano”, ha detto una nota Adepp che ha chiesto un tavolo di confronto urgente con il governo. Obiettivo: ottenere almeno per il 2015 il mantenimento della tassazione dei fondi al 20 per cento. E avere così il tempo di orientare i suoi investimenti all’interno del nuovo quadro di tassazione. Senza per questo far mancare, come però è stato ipotizzato in questi giorni, l’appoggio degli enti ai titoli di Stato.

Adempimento volontario e reverse charge contro l’evasione. Con rischio di salasso sui carburanti - Dalla lotta all’evasione fiscale Matteo Renzi conta di estrarre 3,8 miliardi di coperture. Obiettivo non troppo ambizioso, considerato che le Entrate recuperano in media dai 10 ai 13 miliardi di euro l’anno e la nuova direttrice dell’Agenzia, Rossella Orlandi, ha detto pochi giorni fa di puntare, per il 2015, a 15 miliardi. Un provvedimento per favorire l’incremento del bottino del fisco ha un nome innocuo, “adempimento volontario”, ma un contenuto che potrebbe in effetti spaventare chi non è in regola. Nel quadro dell’auspicato “nuovo modello di cooperazione tra amministrazione finanziaria e contribuenti”, infatti, si prevede di “mettere a disposizione dei contribuenti gli elementi informativi in possesso dell’amministrazione”. Tradotto: ogni cittadino potrà controllare che cosa l’Agenzia sa di lui (sempre di più, tra “spesometro” e Anagrafe dei conti correnti) e regolarsi di conseguenza, ravvedendosi prima che gli ispettori entrino in azione. L’impatto della novità in termini di recupero di gettito viene stimato, “in via estremamente prudenziale” e tenendo conto solo delle informazioni su operazioni rilevanti ai fini Iva, in 700 milioni per il 2015 e 918 per 2016 e 2017.

Altro pilastro è la lotta alle frodi Iva. Il governo ha infatti esteso per quattro anni il meccanismo della reverse charge (inversione contabile) ad alcune operazioni del settore energetico, alle prestazioni di servizi di pulizia e al settore edile, dove era già presente per i contratti di subappalto. Il meccanismo prevede che l’Iva non venga più versata dai fornitori del servizio, ma dai clienti, considerati a minor rischio di evasione. L’obiettivo è quello di contrastare le frodi basate su società schermo, in cui il debitore dell’imposta, dopo averla riscossa dal proprio cliente, omette di versarla al Fisco, per poi scomparire. Il governo prevede di incassare grazie alla reverse charge 900 milioni di euro all’anno per le operazioni tra privati. Altri 998 dovrebbero arrivare dal medesimo meccanismo applicato agli acquisti della pubblica amministrazione (in questo caso si parla di split payment). Gli enti pubblici non verserebbero più l’Iva ai fornitori, ma la verserebbero direttamente all’erario. Perché la reverse charge applicata alla pubblica amministrazione diventi effettiva, occorre però una deroga alle direttive europee. Nella stesura definitiva della legge di Stabilità è così comparsa una clausola di salvaguardia: nel caso non arrivi il via libera dell’Unione europea, le accise sui carburanti aumenteranno per complessivi 998 milioni di euro. Secondo gli esperti i problemi non finiscono qua. I nuovi meccanismi di inversione contabile, infatti, causeranno ai fornitori complicazioni sul piano degli adempimenti, visto che andranno modificati i sistemi informatici. Sul versante finanziario, poi, le imprese che lavorano soprattutto con la pubblica amministrazione si troveranno in una costante situazione di credito Iva e, considerati i tempi necessari per il rimborso dell’imposta, subiranno squilibri nei flussi di cassa.

Il gioco prende e il gioco dà – Lo sa bene anche il governo che in una parte della manovra ha deciso il Servizio Sanitario Nazionale dovrà destinare 50 milioni di euro del suo finanziamento complessivo alla “cura delle patologie connesse alla ludopatia”. Dall’altra si rivolge proprio al settore giochi per trovare parte dei fondi di copertura. Anche rispolverando vecchie battaglie che già in passato sono state però perse nelle aule dei tribunali. Come quella nei confronti dei concessionari stranieri di scommesse che operano in Italia privi di concessione statale. Una questione spinosa che va avanti da almeno un decennio, ma da cui Renzi e Padoan intendono recuperare tasse non versate e oneri di concessione. Come? Dalla rivisitazione dell’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse introdotta nel 2010 è atteso un gettito di circa 600 milioni di euro (stima “prudenziale”) su una base di 7mila punti di offerta non autorizzati. Alla somme andrebbero aggiunte le sanzioni amministrative il cui ammontare previsto non è stato però calcolato. Dalle macchinette non collegate alla rete statale, invece, sulla base degli accertamenti medi annui, sono attesi 164 milioni di euro circa, oltre a 135,78 milioni grazie all’aumento dell’aliquota dal 13 al 17 per cento. Il totale atteso dal comparto, quindi, ammonta a quasi 1 miliardo di euro

Salvo il Pra, ma le auto storiche pagheranno il bollo – Si salva il Pubblico registro automobilistico (Pra), ma non le esenzioni dal bollo per le auto storiche, la cui abolizione viene confermata dalla versione definitiva del ddl. I veicoli con più di venti anni d’ora in poi dovranno pagare la tassa di proprietà, che al momento è sostituita da una tassa di circolazione solo in alcune regioni. Solamente al compimento del trentesimo anno di età potranno beneficiare dell’esenzione. Il governo prevede con questa novità di incassare entrate per 78,5 milioni di euro all’anno, in base alle informazioni ottenute dal ministero dei Trasporti, che stima in 447mila le auto e in 152mila le moto che perderanno l’agevolazione. “Attualmente – si legge nella relazione illustrativa – con l’evoluzione delle 
tecniche costruttive, un autoveicolo al compimento dei venti
 anni non può più essere assimilato ai veicoli di particolare 
interesse storico solo in ragione della sua vetustà. Per tale ragione, è ormai venuta meno la stessa ratio che aveva giustificato il richiamato regime di speciale esenzione”. Il ministero dei Trasporti non beneficerà invece dei risparmi ottenibili dall’abolizione del Pra, che nella bozza circolata dopo il consiglio dei ministri di settimana scorsa era stata prevista a partire dall’1 luglio 2017. Ma poi è scomparsa nel testo firmato dal Quirinale.

IL FUTURO: LA BOMBA A OROLOGERIA DEGLI AUMENTI IVA – La Stabilità renziana non “disinnesca” la minaccia degli aumenti Iva disposti dalla finanziaria 2014. La legge firmata da Enrico Letta e dal suo ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni stabiliva innanzitutto che, nel caso il governo non fosse riuscito a risparmiare altrettanto, nel 2015 le agevolazioni fiscali sarebbero state tagliate per un totale di 3 miliardi di euro. Quella parte viene “sterilizzata”, nel senso che i 3 miliardi rientrano nelle coperture individuate dal ddl. Al contrario resta però operativa la bomba a orologeria sull’Iva: a meno che non vengano adottati altri provvedimenti che assicurino entrate o risparmi di spesa per 4 miliardi nel 2016 e 7 miliardi nel 2017, dal gennaio 2016 l’aliquota Iva del 10% salirà al 12% per passare poi al 13% nel 2017 e l’Iva al 22 sarà ritoccata all’insù di due punti nel 2016, uno nel 2017 e un ulteriore 0,5% nel 2018.

giovedì 23 ottobre 2014

Appiccicosità...

... gratuite, evidente segno che il freddo è arrivato...

mercoledì 22 ottobre 2014

Alcuni links

Sulla legge di stabilità, qui. Sui fondi pensione, qui. Sul prelievo forzoso sulle pensioni, qui... e poi, ci hanno ripensato, per ora. Ancora una fiducia in parlamento.

martedì 21 ottobre 2014

Se sbagliano non vogliono pagare

Responsabilità civile delle toghe, il governo fa un passo indietro. Malan: "Il governo vuole che i magistrati possano fare ciò che vogliono" di Luisa De Montis

La responsabilità civile delle toghe mette in agitazione il governo e Forza Italia. Sono stati proposti tre emendamenti che di fatto rivoluzionano il testo base che era stato adottato in commissione Giustizia del Senato il 23 dicembre scorso. Le proposte del Guardasigilli Andrea Orlando hanno scatenato la protesta di Ncd, FI e di Enrico Buemi (Psi) che minaccia addirittura di dimettersi da relatore. In sostanza, spiega Lucio Malan (FI), "il governo vuole riproporre con i suoi tre emendamenti, per ora annunciati a voce, il suo testo", presentato a settembre. Ma in questo provvedimento, sottolinea Giacomo Caliendo (FI), si prevede la responsabilità civile dei magistrati solo in "rarissimi casi", perlopiù per negligenza grave e travisamento grave del fatto. Un’impostazione ben diversa da quella data da Buemi al testo base con il quale si prevede la responsabilità delle toghe anche nel caso in cui si discostino dalle sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione senza darne adeguata motivazione. "Affermeremo la linea del nostro testo di legge - assicura Orlando - all’interno del quale c’è un equilibrio che migliora l’attuale normativa". Le tre proposte di modifica annunciate in commissione da Orlando, e considerate come una "riformulazione" dal governo, sono state invece ritenute dalla commissione Giustizia, di fatto, come dei nuovi emendamenti. E per questo si è dato tempo fino a giovedì per subemendarli. Forza Italia annuncia battaglia. "Il governo vuole che i magistrati possano fare ciò che vogliono", attacca Malan e "ovviamente noi non siamo d’accordo".

domenica 19 ottobre 2014

800 mila posti di lavoro in più... la sibilla cumana ha parlato...

Padoan: "Manovra in regola con l'Ue". Ma la Uil minaccia sciopero. Il ministro dell'Economia: "Domani legge di Stabilità al Quirinale". Il sindacato: "Sblocco contratti statali o in piazza senza rispettare vincoli" di Chiara Sarra

Domani mattina la legge di stabilità arriverà al Quirinale. Lo assicua Pier Carlo Padoan che a In mezz’ora difende la sua manovra e sostiene di non temere bocciature: "I colleghi europei mi hanno detto che andiamo nella direzione giusta", ha spiegato, "Il deficit-pil continua a scendere, l’obiettivo strutturale continua a migliorare. Il programma delle riforme è importante. Noi pensiamo di essere assolutamente in regola". Per quanto riguarda le norme per il lavoro, poi, il ministro dell'Economia assicura che con le nuove misure potrebbero crearsi 800mila nuovi posti di lavoro. "Potremmo sbagliarci per difetto", ribadisce a Lucia Annunziata ricordando che lo sgravio triennale sui contributi riguarderà tutti i nuovi contratti a tempo indeterminato fino a 1200 euro netti. Anche per quanto riguarda i fondi pensione Padoan non ha dubbio: l’adeguamento della tassazione è inferiore ad altre categorie, ma "si collega a una filosofia di adeguare il trattamento ai valori medi europei".

Intanto la Uil è già sul piede di guerra. "I contratti collettivi di lavoro del pubblico impiego sono fermi al 2010. Ebbene, se lo Stato non rispetta gli accordi, anche noi ci sentiamo sciolti dal rispetto di quegli stessi accordi e, dunque, non terremo più conto dei limiti previsti per gli scioperi nel settore", minaccia il segretario generale aggiunto, Carmelo Barbagallo. "Il paese è bloccato da due decenni", replica a distanza Padoan. "La responsabilità è di tutti, anche dei sindacati. Il paese va sbloccato. Abbiamo fatto sgravi fiscali, ora le imprese ne traggano le conseguenze investendo e creando occupazione".  Intanto anche il Garante per gli scioperi avverte la Uil: "La dichiarazione non può essere produttiva di effetti, salvo cadere nell’illegittimità, che l’Autorità non esiterebbe a sanzionare", dice il presidente Roberto Alesse, "Non rispettare l’accordo significa non rispettare gli utenti, danneggiandoli".

Altri 80 euro, siore e siori, venghino, venghino!

Ennesima promessa di Renzi "80 euro alle neomamme". Intervistato da Barbara D'Urso a Domenica Live, il premier difende la legge di Stabilità: "Ci sono spese che si possono tagliare". Poi bacchetta le Regioni: "O facciamo uno sforzo insieme o l’Italia non ha futuro". E annuncia il bonus da 80 euro anche per le neomamme di Andrea Indini


Matteo Renzi non arretra. Tiene botta all'assalto delle Regioni rosse, che da giorni sono sul piede di guerra per i tagli contenuti nella legge di Stabilità, e gli risponde per le righe. Perché, è il refrain del premier, "o facciamo uno sforzo insieme o l’Italia non ha futuro". Intervistato da Barbara D'Urso a Domenica Live, mette in chiaro che non è possibile andare avanti a far pagare il conto alle famiglie. Ci vuole un cambio di rotta. E la politica deve iniziare a fare la propria parte tagliando gli sprechi, limando le spese e facendo fronte alla crisi economica. "Se poi le Regioni si arrabbiano... gli passerà - fa spallucce Renzi - d'altra parte sono tutti arrabbiati: le Regioni, i sindacati, i magistrati".

Il governo e le Regioni dovrebbero incontrarsi a metà settimana. Ma dai toni usati a Domenica Live è sin troppo chiaro che Renzi non è disposto a fare sconti. "Dopo settant'anni abbiamo capito che non possiamo far pagare sempre ai soliti - spiega il premier - e finora hanno pagato le famiglie. Se facciamo tagli ai ministeri, alle Regioni o agli apparati non si possono lamentare". Le polemiche dei giorni scorsi, questo è certo, se le è già buttate alle spalle. Perché, come ha già fatto con i magistrati e i sindacati, è pronto ad andare avanti come un rullo compressore. "Ci sono delle spese che possono essere tranquillamente tagliate, a partire da quelle dell’organizzazione - insiste - bisogna rendere questo Paese più efficiente". Per questo non è disposto ad accettare le barricate dei difensori dello status quo che, per difendere i vecchi privilegi, sono addirittura disposti a tagliare la spesa sanitaria. La minaccia, sbandierata nei giorni scorsi dal governatore del Piemonte Sergio Chiamparino, non è affatto piaciuta al premier per cui è "vergognoso anche solo parlarne". "Mentre l'età media si allunga, dobbiamo far fronte a un impatto inedito di alcune malattie sui conti dello Stato, malattie terribili come la Sla - spiega - ma ci sono Asl che vanno a casa dei malati e li curano e altre che scelgono l'ospedalizzazione. Bisogna essere seri: non possiamo tagliare questi servizi ai cittadini". Allo stesso tempo, però, ci sono spese che possono essere tranquillamente sforbiciate: "Non ci saranno troppe Asl? O non è strano che una siringa costi il doppio in una Regione rispetto a un'altra? O non ci saranno troppi super manager?".

Immancabilmente, anche nello studio della D'Urso, arriva l'ennesima promessa targata Matteo Renzi. Adesso tocca alle neomamme. "Dal primo gennaio del 2015 daremo gli 80 euro non solo a chi prende meno di 1500 euro al mese ma anche a tutte le mamme che fanno un figlio per i primi tre anni - annuncia - si tratta di mezzo miliardo destinato alle famiglie". Se la promessa rimarrà tale, solo il tempo ce lo dirà. Sulla carta è sicuramente un ulteriore passo avanti. L'obiettivo finale è, infatti, mettere a dieta lo Stato per dare fiato alle famiglie, ai lavoratori e alle imprese. In questo senso va anche il taglio dell'Irap che vale 6 miliardi di euro. "Un imprenditore paga un sacco di soldi, ma molti non arrivano al lavoratore - continua - la spesa dell’imprenditore se la mangia lo Stato".

sabato 18 ottobre 2014

L'equità di fonzarelli... il canone rai

Tassa Rai, paga pure chi non ha la tv. Canone addio, dal 2015 arriva un'altra imposta: tutte le famiglie saranno costrette a sborsare tra 35 e 80 euro di Paolo Bracalini

Un «contributo», nemmeno più un «canone Rai», più basso per tutti ma dovuto da tutte le famiglie, anche da chi in casa non ha tv, né radio, né internet, e usa solo carta, penna e telefono. Le slide sono già pronte, con le simulazione di quel che entrerà alla Rai, e di quel che pagheranno gli italiani con il nuovo sistema di finanziamento del servizio pubblico messo a punto dal ministero dello Sviluppo economico (Mise), nella persona del sottosegretario Giacomelli. Si attende solo il via libera del premier Renzi (che potrà così annunciare: «Abbassiamo il canone Rai», ben consapevole che si tratta dell'imposta più odiata dagli italiani), e la decisione se farlo passare come decreto legge, sempre che il Quirinale ne riconosca il carattere di urgenza, quella cioè di vararlo entro dicembre, prima che partano i bollettini del «vecchio» canone 2015. Cosa cambierà? Molto, se non tutto. Intanto le cifre. Il nuovo canone, che il ministero non chiama più così ma «contributo al servizio pubblico radio-tv», sarà molto più basso. Si pensa ad una forbice tra i 35 e gli 80 euro, a seconda delle capacità di spesa dei nuclei famigliari (calcolata sul reddito, ma anche sui consumi e altre variabili). Nessuna famiglia, dunque, nemmeno le più ricche, pagherà più di cento euro per finanziare il servizio pubblico radio-tv, e molte pagheranno parecchio di meno, fino ad un terzo rispetto agli attuali 113,50 euro del canone Rai (mentre si studia un'esenzione per le famiglie con soglie di reddito minime). Fin qui tutte notizie positive.

Ma l'altro aspetto difficilmente farà contenti molti contribuenti, quelli ad esempio che hanno fatto disdetta del canone Rai, quelli che non lo pagano perché non posseggono televisori né apparecchi «atti alla ricezione del servizio radio televisivo» (quasi tutti evasori secondo i calcoli governativi, visto che il 98% delle case, dicono le indagini, ha un tv in casa). Ebbene, anche loro, col nuovo sistema che potrebbe entrare in vigore già dal 2015, dovranno pagare il contributo alla Rai, pensato in verità come contributo generico al servizio pubblico, quindi in teoria e in misura parziale, se si riuscirà, anche alle tv locali.

Si rottama insomma il cardine della vecchia legge sul canone Rai, che vincola l'obbligo del pagamento al reale possesso (tutto da accertare, impresa impossibile di fatto, come lamenta a Mix24 il direttore dell'Agenzia delle entrate Rossella Orlandi) di un televisore in salotto, e trasforma l'obolo in un contributo strutturale delle famiglie al servizio pubblico, un servizio che lo Stato offre e che i contribuenti finanziano. La stessa legge, che si articola in una riforma radicale della Rai, prevede anche che le risorse affidate a Viale Mazzini siano effettivamente usate per svolgere il servizio pubblico, e su questo vigilerà un nuovo organo ad hoc. Scompaiono quindi anche i bollettini di pagamento della Rai, si vocifera che l'importo verrà pagato insieme alle tasse, forse con un F24, di certo Viale Mazzini non seguirà più direttamente la riscossione del tributo (a proposito, che fine faranno i dipendenti della direzione canone Rai?). Le simulazioni del Mise garantiscono un gettito di 1,8 miliardi di euro, quello che entra attualmente alla Rai dal canone, ma recuperando tutta l'attuale evasione, stimata nel 27%. In più si potrà giocare su un extragettito preso dalle lotterie, che però varrà qualche decina di milioni d'euro, non di più. Pagare meno, pagare tutti. I rumors da Viale Mazzini però non trasmettono grande euforia dai vertici Rai. Sia il dg Gubitosi che la presidente Tarantola in ogni occasione ribadiscono che il canone Rai è un'eccezione in Europa perché è il più basso di tutti. Abbassarlo, e di tanto, suscita perplessità. Anche perché nella legge di Stabilità è previsto un prelievo statale del 5% su quel gettito, un'idea partorita dal Tesoro indipendentemente dal Mise. E che sta già terremotando Viale Mazzini. L'assemblea dei giornalisti esprime «grave preoccupazione per il nuovo taglio al servizio pubblico» e prepara una diffida ai vertici Rai per costringerli ad adire le vie legali. Cosa che il consigliere Antonio Verro è già intenzionato a fare: «Nel prossimo Cda chiederò formalmente che i consiglieri si esprimano con un voto sull'opportunità di procedere in sede giudiziaria a tutela del patrimonio aziendale». E come non pensare ai 150 milioni di euro già chiesti dal governo alla Rai. Insomma, il fronte già aperto tra Renzi e la Rai rischia di diventare ancora più caldo. «Una riforma radicale del canone - dice il sottosegretario Giovannelli - che introduca equità e dia certezze e risorse, e che sia vissuta in modo meno negativo dai cittadini». Forse non da tutti.