domenica 31 luglio 2011

Salta l'ikea...


Pisa - Da tempo Ikea ha in mente di allargare la propria rete di vendita in Italia aprendo un magazzino in provincia di Pisa. Sarebbe il secondo in Toscana, dopo quello di Firenze. Individuata l'area - nel Comune di Vecchiano (a Migliarino Pisano, per l'esattezza) - sono partite le trattative con gli amministratori locali. Trattative estenuanti, sei anni, che alla fine hanno prodotto un buco nell'acqua: niente da fare per gli svedesi. A Vecchiano lo stabilimento non s'ha da fare. Problemi burocratici. O meglio, l'incapacità da parte degli amministratori locali di sedersi a un tavolo per trovare un compromesso accettabile con chi, investendo tanti soldi e portando centinaia di posti di lavoro, ovviamente desiderava avere qualche garanzia (parcheggi, viabilità, ecc.). La rottura della trattativa è stata motivata dalla stessa Ikea lo scorso maggio: "L'eccessiva dilazione dei tempi di decisione da parte delle autorità locali". Una storia che ha dell'incredibile. Infinite lungaggini burocratiche e politiche hanno bloccato un investimento da 60 milioni di euro, con la realizzazione di un negozio di circa 20mila metri quadrati con annesse infrastrutture viarie e la creazione di circa 350 posti di lavoro.

Clamore internazionale. Il caso della mancata apertura dell'Ikea in provincia di Pisa è finito anche sull’International Herald Tribune. Viene citato tra gli esempi della "scoraggiante via per la prosperità" dell’Italia. L’articolo si sofferma su una serie di casi e di interviste ad imprenditori italiani sulla burocrazia e sulla politica italiana come freno all’economia. A proposito del caso Ikea si legge nell’articolo che "sei anni fa il gigante Ikea pianificò di aprire un magazzino da 60 milioni di euro a poche miglia dalla torre di Pisa ma poi le cose si sono ingarbugliate come succede spesso in Italia dove burocrazia e politica schiacciano l’economia".

Si cerca di correre ai ripari. Tanto clamore non poteva passare inosservato. Il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, è corso subito ai ripari per cercare di limitare i danni e far capire al colosso svedese che qualcosa si poteva ancora fare. Rossi si è prodigato in prima persona, in un faccia a faccia con l'amministratore delegato di Ikea Italia, Lars Peterson, per convincerlo a non abbandonare l'idea di investire sulla costa toscana. Gli svedesi hanno fatto finta di nulla, rispetto ai pesci in faccia presi sino ad ora, e si son detti disposti a prendere in considerazione nuove soluzioni per la costruzione del loro punto vendita. Non lontani dalla zona che piaceva a Ikea ci sarebbero almeno tre alternative, tre i comuni interessati: Pisa, Cascina e Collesalvetti. Ma l'Ikea fa gola a molte altre amministrazioni locali. Per fortuna, infatti, non tutti ragionano coi paraocchi e sono ancora in grado di ragionare con lungimiranza, evitando di mandare all'aria una buona opportunità di sviluppo economico.

Un no anche in provincia di Torino. Il caso di Pisa non è il solo. Cinque anni di lavoro e trattative non sono bastati per l'apertura del secondomagazzino dell'Ikea a Torino. In questo caso a dire no è stata la Provincia.

Ops...

... e si sbrigano persino a farcelo sapere.


MILANO - La strage di Oslo porta consensi al partito labusista norvegese. Secondo un recente sondaggio pubblicato nel paese scandinavo, la popolarità della formazione al governo sta conoscendo un livello altissimo di popolarità.

SONDAGGIO - Il partito del primo ministro Jens Stoltenberg ha raggiunto il 41,7% dei consensi, secondo questa indagine svolta tra il 29 e il 30 luglio, con un incremento di 11,1 punti percentuali rispetto allo scorso mese di giugno. Il Partito del progresso (destra populista), a cui faceva riferimento l'autore degli attacchi Anders Behring Breivik, ha invece registrato un calo di tre punti percentuali, scendendo al 16,5%. I conservatori, da parte loro, hanno perso quasi cinque punti passando dal 28,5% di giugno all'attuale 23,7%. Il sondaggio è stato svolto dall'istituto Synovate, contattando 500 persone in rappresentanza della popolazione norvegese.

Si mormora che...

... primavere arabe gloriose e glorificate e fondamentalismo islamico che avanza.


Sharm El Sheik addio. A sei mesi dalla rivoluzione costata il posto a Hosni Mubarak il villaggio vacanze del Mar Rosso più amato dagli italiani è una cittadella della paura, una Fort Alamo circondata dai terroristi, un paradiso dove un soggiorno può costare la vita. Sicura non lo era mai stata. Nel 2005 le bombe degli attentatori suicidi infiltratisi tra gli hotel a cinque stelle avevano dilaniato 88 persone, tra cui 6 nostri connazionali.

Ora la situazione è decisamente peggiorata. Dopo la deposizione del Faraone, che nella villa di Sharm El Sheik attende malato il processo, la penisola del Sinai è diventata una roccaforte del terrore fondamentalista. Per capirlo basta una scorsa alle cronache dell’attacco di venerdì sera ad El Arish, il capoluogo con 130mila abitanti nel nord della penisola, e dell’attentato messo a segno ieri contro il terminal del gasdotto che rifornisce Israele. L’attentato al gasdotto è il terzo in pochi mesi e non rappresenta più una grande novità. Conferma solo l’incapacità delle forze egiziane di controllare il territorio. Quel che invece stupisce per modalità, violenza e intensità è la scorreria alqaidista ad El Arish.

Un assalto in piena regola condotto da un plotone di 400 militanti integralisti che per sei ore tengono in scacco poliziotti e militari occupando il capoluogo del Sinai e martellando con una batteria di cinque mortai la caserma della polizia. Secondo i resoconti ufficiali il bilancio è di sei vittime, tra poliziotti e civili, e di 19 feriti. Ma la realtà potrebbe essere molto più tragica visto che per evacuare morti e feriti sono volati sul posto due aerei Hercules. Per capire la gravità dell’offensiva al qaidista basta leggere le testimonianze degli abitanti di El Arish. Tutto inizia alle sei di sera di venerdì quando una colonna di auto, moto e camion entra in città trasportando centinaia di militanti armati. Sui mezzi sventolano le bandiere nere di Al Qaida con la scritta «Non c’è altro Dio al di fuori di Allah». Ugualmente nere sono le divise dei militanti, ma quel che più spaventa è la loro capacità di fuoco. Il battaglione terrorista oltre a sparare con i classici kalashnikov e lanciarazzi anticarro dispone di almeno cinque mortai montati sui cassoni dei camion. La reazione delle forze di sicurezza è invece inesistente.

Mentre i poliziotti si barricano nella caserma i militanti - ormai padroni della città - piazzano i mortai e bersagliano il caposaldo governativo tenendolo sotto tiro per diverse ore. Mentre El Arish brucia i due battaglioni dell’esercito dispiegati nella Penisola impiegano sei ore per ingaggiare gli assalitori e sloggiarli dalla città. Una prova non molto incoraggiante. Il ritorno dei militari nel Sinai - in deroga all’accordo di pace del 1979 che ne esclude la presenza - era stato concesso da Israele proprio per prevenire l’infiltrazione terroristica.

Più grave dell’insipienza delle forze di sicurezza egiziane è però l’esistenza di quel piccolo esercito terrorista ritiratosi dopo l’assalto ad Arish nel cuore del deserto. Secondo gli abitanti di El Arish pochissimi di quei truci militanti in nero - sorpresi a chiedere informazioni per spostarsi da una parte all’altra della città - erano egiziani o beduini. Tutto dunque conferma i rapporti d’intelligence israeliani secondo cui nei mesi scorsi almeno 400 militanti stranieri hanno approfittato degli scarsi controlli alla frontiera egiziana per infiltrarsi nel Sinai e unirsi alle cellule Al qaidiste nate con l’appoggio dei clan beduini in conflitto con il governo.... I beduini erano stati gli artefici degli attentati del 2005 a Sharm El Sheik e di quelli del 2004 a Taba e del 2006 a Dahab sempre nel Sinai. Attorno al nocciolo duro dei beduini, impareggiabili conoscitori di sentieri e oasi del deserto, si è ora formata una piccola legione straniera forte di centinaia di uomini dotati di armamenti pesanti. Un esercito accampato sulle dune intorno a Sharm El Sheik e pronto a trasformare in prede i turisti innamorati del Mar Rosso e della sua barriera corallina.

sabato 30 luglio 2011

Su Borghezio; libertà di pensiero e opinione? Quale?

Di tanto in tanto, comincio i post con un commento preso a caso, e dunque, parto proprio da un commento: "Borghezio ha espresso un OPINIONE su delle IDEE e NON un CONSENSO SUL METODO adottato da Breivik. Questo significa che chi lo condanna, lo estromette, lo demonizza vuole solo far prevalere la propria opinione o FEDE. Non c'è niente di più ipocrita e falso di chi ha condannato Borghezio. E' ora di finirla di condannare le opinioni della gente solo perchè non vanno bene ad alcuni o perchè considerate valori da rispettare come se fossero una fede intoccabile e santa. Siamo in sistema liberale e democratico e non in una dittatura comunista, nè al Vaticano. Sarebbe ora che s'iniziasse a cambiare la nostra costituzione, un inciampo alla sovranità del popolo, alle istituzioni italiane e una "santificazione" d'idee e valori che avrebbero fortemente bisogno di una profonda revisione. Il potere che si nasconde dietro di essa la usa ipocritamente per non ammettere cambi e far permanere il popolo italiano sotto il loro tacco".


Roma - «Sospeso dalla Lega e rimosso dalle cariche interne». Si capiva da qualche giorno che l’aria era brutta, per Mario Borghezio. Dopo l’uscita congiunta di Maroni e Calderoli sulle «farneticazioni» dello storico pasionario piemontese (ma anche eurodeputato) sui deliri del pazzo di Oslo, via Bellerio doveva decidere una «punizione», per rendere esplicita la presa di distanza. Tre mesi di congelamento, decisi dal Consiglio federale della Lega. Una misura lieve tutto sommato (altri dirigenti in passato sono stati cacciati o sospesi per sei mesi su beghe interne), che serve per far sbollire le polemiche attorno al Carroccio. Calderoli aveva proposto un mese di sospensione, ma i veneti hanno premuto per almeno tre. Borghezio dice di non sapere nulla e accettare «come un soldato» le decisioni dei capi, ma di «non aver sbagliato» perché «non ho parlato della strage ma delle idee sul fondamentalismo islamico espresse da quel signore». Sulle reti padane i militanti più duri e puri insorgono contro la sospensione. Su Facebook i leghisti oltranzisti attaccano: «Io mi autosospendo dalla Lega...», «Non vorrei sia una scusa per farlo fuori politicamente». Resta l’incognita su quel che succederà a Strasburgo, per Borghezio. Ora che è sospeso dalla Lega teoricamente dovrebbe uscire dal gruppo all’Europarlamento, ma via Bellerio non ha dato indicazioni, e dunque la decisione verrà rimessa al capogruppo europeo, Francesco Speroni, che però ha sottoscritto le parole di Borghezio. Dunque: il piemontese resterà al suo posto.

Le questioni politiche nazionali sono state solo sfiorate nel federale, che è un organo di autogoverno del partito e si occupa di regole, provvedimenti disciplinari e aspetti organizzativi. Per la parte politica c’è la segreteria, convocata lunedì. Bossi ha confermato che la Lega prosegue, sul decentramento dei ministeri, nella sua rotta. Ma che per mantenere un buon rapporto con Napolitano si dovrà spiegare meglio l’operazione. Per questo si è definita una bozza di lettera in cui la Lega illustra le sue ragioni dopo il richiamo del Colle. I leghisti hanno portato in Consiglio il supporto «costituzionale» al decentramento, che sarebbe «previsto per legge», perché nella Carta si parla di Roma come sede del governo, «ma non dei ministeri». Poi un invito a rispettare la linea del segretario federale e le indicazioni di voto indicato dal gruppo. Poi un mandato a Bossi per trovare una soluzione ai ticket sanità introdotti in manovra, soluzione che il Senatùr ha già annunciato in serata: «Il ticket sanitario non lo vogliamo. Si possono recuperare i fondi aumentando il prezzo di sigari e sigarette. Io fumo il sigaro ma di fronte alla sanità sono disposto a pagare di più il mio vizio».

Dal consiglio è arrivato il via libera ai congressi provinciali, una «vittoria» per i maroniani, che li chiedevano in chiave anti cerchio magico. Bocciata la candidatura anti-Tosi del sindaco Bitonci, che è anche parlamentare. Il consiglio ha poi discusso di iniziative per diffondere il «brand» padano, come il Giro della Padania. «Dobbiamo fare altre cose come queste» ha detto Bossi, invitando a mettere in cantiere altre iniziative mediatiche. Poi il raduno della Lega a Venezia, che sarà il 18 settembre, due giorni dopo il rito del Monviso, con la raccolta dell’acqua nell’ampolla. Questioni organizzative, meno bollenti di quelle disciplinari decise dal federale, che vedeva riuniti con Bossi tutti i capi regionali (Giorgetti, Cota, Zaia, Gobbo, Alessandri per l’Emilia, Pini per la Romagna) più i colonnelli Maroni e Calderoli e altri luogotenenti importanti.

Visto che...

Allora. Visto il sollievo procurato dal fatto che la carneficina di Oslo sia avvenuta per mano di un cristiano, un cristiano sui generis, ma diciamo pure un cristiano. Vista la diligenza con cui celebratissime teste di cazzo si impegnano a spiegare come si inizi sempre col leggere la Fallaci e si finisca poi regolarmente all’emporio per comprare uno sproposito di fertilizzanti. Vista l’allegra pervicacia con cui si insiste nella ramanzina per la quale, chi continua a pensare che Maometto ci andasse giù pesante con la spada, quello allora è un razzista, un segregazionista, un campanilista, un fascista e un nazista. Visto l’entusiasmo sollevato tra le suddette teste di cazzo alla sola idea che un domani, se qualcuno si azzarderà a nominare Hezbollah, o magari Hamas, gli si potrà rispondere di pensare piuttosto alla destra olandese. Visti quindi i solidi argomenti e lo stato d’animo leggero regalati a non pochi minchioni di sinistra dai fatti di Norvegia, ci siamo prefissi, in un gruppo di amici con tendenze di destra, di astenerci dall’effettuare qualsivoglia carneficina per i prossimi sei mesi.

Andrea Marcenaro

mercoledì 27 luglio 2011

Indagato...

... peccato che ancora non si sappia per quale motivo sarebbe indagato. Che ha fatto? Ha forse ammazzato, derubato, seviziato o stuprato qualcuno? No, ha semplicemente detto la sua. Ma di questi tempi pare che bisogna stare attenti a come si parla. Inoltre, su segnalazione della sempre attenta ed efficiente Maria Luisa, neurodeliri, ossia, qualcuno pretende di far tacere l'opinione pubblica che la pensa diversamente: "Basta silenzi, i politici devono agire, c'è troppo odio contro gli immigrati". Una buona scusa per la Ue per mettere bavagli, mordacchie e probabilmente anche le manette.


Milano - Le parole del leghista Mario Borghezio a La Zanzara hanno suscitato un vespaio di polemiche. Ora la procura di Milano ha aperto un' inchiesta conoscitiva. Si tratta però di un'indagine a modello 45, ovvero senza titolo di reato e senza indagati.

Le scuse. Dopo la condanna anche dal suo partito, l'europarlamentare si scusa e dice di essere pronto a rinunciare all’immunità parlamentare per essere giudicato dai magistrati: "Apprendo ora che la Procura di Milano avrebbe aperto un fascicolo sulle mie dichiarazioni rese nella nota trasmissione La Zanzara. Dichiaro fin da ora di essere a piena disposizione dell’autorità giudiziaria. Ovviamente, a differenza del comportamento tipico dei politici ladri intrallazzatori, dichiaro fin da ora che non mi avvarrò dell’immunità parlamentare". Dopo aver rivendicato, "ancora una volta, il diritto di esprimere le mie idee e i miei convincimenti in piena libertà", l’europarlamentare accoglie "l’invito rivoltomi dal ministro Frattini a rendere anche nelle sedi opportune le mie scuse alla Norvegia e, in particolare, ai parenti delle vittime in merito a quanto è stato, secondo me, illegittimamente travisato dalle opinioni da me espresse".

"Posizioni condivisibili". Ai microfoni di Radio24, l'europarlamentare ha detto che quelle espresse da Anders Behring Breivik "sono posizioni sicuramente condivisibili". Per Borghezio sono "buone alcune delle idee espresse" da Breivik "al netto della violenza, in qualche caso ottime". Per Borghezio Breivik era "magari in buona fede. Ho paura che questo personaggio sicuramente esaltato sia stato strumentalizzato".

Riflessioni contro...


Questa volta l’avete fatta sporca, amici e nemici della sini­stra nostrana. Sui giornali di sinistra insistono da giorni a dare una connotazione politica alla strage compiuta dal mostro di Oslo. Ieri su la Repubblica , Michele Serra si è accodato a definir­lo un delitto politico compiuto da «uno schifoso fanatico di de­stra», paragonandolo a Hitler e sostenendo che la pazzia di am­bedue non cancella la matrice politica di entrambi.

E sempre su la Repubblica Francesco Merlo ha definito Breivik la versio­ne degenerata di Oriana Fallaci e dei giornali italiani di centro­destra, pur concludendo che si tratta di un colossale cretino. Non sono un fan della Fallaci e non ho fobie antislamiche e pulsioni nordico- occidentaliste, ma questo paragone che circola sottotraccia sulla stampa di sinistra e a volte affiora in superficie, mi pare davvero carognesco. Non ho mai pensato di giudicare, che so, il terrorista Cesare Battisti, la versione estrema di Bersani, Vendola, la Repubblica o di chi volete voi. E parliamo di un terrorista politico, mica di un paranoico come Breivik. Cosa differenzia un terrorista politico da un mostro malato di paranoia? Il fatto che il primo compie il suo atto nell’ambito di un gruppo e con il consenso di un’area da cui il gruppo attinge le sue leve, colpendo obbiettivi mirati e condivisi. Il secondo invece compie il suo gesto nella solitudine della sua mente malata, spesso colpendo obbiettivi che sono la proiezione della sua paranoia.

Mi pare una differenza elementare e abissale. I brigatisti rossi, per esempio, compivano i loro delitti in gruppo, con un collettivo, una pianificazione e una struttura piramidale, riscuotevano un certo consenso in alcune aree estreme della sinistra e reclutavano le loro cellule ai margini del sindacato, dell’università, dei movimenti estremisti di sinistra. Così i fanatici islamici. Se un uomo fa strage dei suoi vicini perché hanno offeso la sua famiglia, non possiamo desumere dal suo atto feroce che l’amore per la famiglia produce questi frutti estremi. Non è l’idea di famiglia che spinge alla strage di chi l’ha offesa, ma la follia di una mente bacata che trasforma un valore positivo, l’amore per i suoi cari, in un crimine orrendo. Lo stesso vale per la civiltà cristiana, per la tradizione europea.

Dovrebbe essere una verità solare, ma il senso della realtà ormai è una rarità filatelica. Il marchio politico su Breivik non nasce solo dalla faziosità e dalla criminalizzazione assoluta del nemico politico. Nasce da un vizio originario, assai diffuso a sinistra: giudicare gli atti sulla base delle idee professate. Sono le idee che decidono se sei un criminale o un combattente politico, non gli atti e gli effetti. Tra chi sogna una società pura nel suo cristianesimo o anche nel suo comunismo, ed uno che nel nome del cristianesimo o del comunismo fa strage di impuri, corre l’abisso. Il primo può essere un utopista, il secondo è un criminale; non c’è relazione tra i due, se non nell’immaginazione. Quel che conta è l’atto compiuto, la realtà dell’effetto, e non l’intenzione ideale che lo ha mosso. Invece, giudicando gli atti sulla base delle idee professate, accade, per esempio, che gli orrori del comunismo vengano attribuiti alle persone o alle circostanze storiche, così viene salvata l’incontaminata purezza del comunismo. Mentre gli orrori compiuti dall’estremismo cristiano-occidentale, dal nazionalismo e dal nazismo, sono orrori cristiani, nazionalisti, nazisti....

Il criminale coincide perfettamente con l’idea professata. Nel caso del comunismo invece la tradisce. Eppure non si conoscono comunismi ben riusciti. Se ogni applicazione storica di un’idea produce disastri, allora il difetto sta nel manico. Invece, gli orrori compiuti nel nome del comunismo vengono classificati alla voce brigatismo, stalinismo, regime sovietico, mai citando il comunismo. E gli orrori compiuti nel nome del nazismo o d’altro, vengono classificati come crimini nazisti. Perché al primo si attribuisce il beneficio delle buone intenzioni, e così viene salvata l’immacolata purezza dell’Idea dalle sue degenerazioni. Agli altri invece, non solo ai nazisti, il crimine viene attribuito direttamente alla malignità delle idee professate; anche quel che appartiene alla patologia di individui isolati. Se il mostro di Oslo avesse ucciso nel nome dell’uguaglianza e del comunismo sarebbe per questo «meno schifoso»? Se rispondete di no, ammettete che non è il movente ma è lo sterminio a determinare l’orrore. Se rispondete di sì, fate leggermente schifo anche voi.

lunedì 25 luglio 2011

La distruzione delle leggi


MILANO - La condizione di immigrato o immigrata irregolare non può essere di per sé un ostacolo alla celebrazione delle nozze con un cittadino o una cittadina italiana: lo ha stabilito la Corte costituzionale che ha dichiarato la parziale illegittimità dell'articolo 116, primo comma, del codice civile, che recita: «Lo straniero che vuole contrarre matrimonio nello Stato deve presentare all'ufficiale dello stato civile una dichiarazione dell'autorità competente del proprio Paese, dalla quale risulti che giusta le leggi a cui è sottoposto nulla osta al matrimonio». Il testo era emerso dal «pacchetto sicurezza» del 1994 e modificato nel 2009.

«DIRITTI INVIOLABILI» - La sentenza ammette la celebrazione delle nozze tra un partner italiano e uno straniero, anche se non regolarmente presente sul territorio nazionale. Riprendendo un recente pronunciamento della Corte europea e l'articolo 12 della Convenzione, la Consulta ha risposto alla richiesta di una coppia di Catania italo-marocchina che ha contestato il rifiuto a celebrare il proprio matrimonio, annullando «la previsione di una generale preclusione alla celebrazione delle nozze» su nubendi irregolarmente in territorio italiano. «Resta pur sempre fermo che i diritti inviolabili, di cui all'articolo 2 della Costituzione, spettano ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani, di talché la condizione giuridica dello straniero non deve essere pertanto considerata - per quanto riguarda la tutela di tali diritti - come causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi», hanno scritto i giudici nel dispositivo.

I MATRIMONI DI COMODO - La Corte costituzionale ha affermato che la limitazione al diritto dello straniero, oltre a implicare un'implicita compressione del corrispondente diritto della controparte italiana, non è comunque uno strumento idoneo a contrastare i cosiddetti «matrimoni di comodo» vista la normativa vigente che disciplina già alcuni istituti in materia.

domenica 24 luglio 2011

Spiegatelo ai governi "aperti" quel che è successo...


La nostra condanna è netta e totale della doppia strage che ha massacrato oltre 90 norvegesi e ha fatto sprofondare in un devastante lutto un’intera nazio­ne. Nessuna giustificazione e nessuna attenuante per il terrorismo di qualsivoglia risma che viola la sa­cralità della vita di tutti, perseguendo l’imposizione del proprio pote­re attraverso l’uso della violenza. Non sappiamo ancora se en­trambi gli attentati di Oslo e Utoya abbiano la stessa matrice. L’unica certezza è l’arresto di un trenta­duenne norvegese, Anders Behrin Breivik, qualificato come un «fon­damentalista cristiano», che trave­stito da poliziotto ha commesso lo sconvolgente massacrosull’isola di Utoya. In precedenza la potente esplosione che ha devastato il quar­tiere governativo nel centro di Oslo era stata rivendicata dai sedicenti Ansar al Jihad al Alami (Seguaci della Guerra santa islamica globa­le). Ammettiamolo: in un primo tempo quando la pista islamica sembrava avvalorata, tutti ci senti­vamo come rincuorati, probabil­mente perché condividiamo la consapevolezza che questo gene­re di odiosi crimini contro l’umani­tà appartiene quasi naturalmente a dei fanatici votati a imporre con la forza ovunque nel mondo la sot­tomissione ad Allah e la devozione a Maometto.

Mentre quando è sta­to arrestato e abbiamo visto il volto di un norvegese che sulla propria pagina di Facebook si presenta co­me «conservatore, di fede cristia­na, ama la musica classica e i video­giochi di guerra», siamo stati come colti dal panico. Perché per noi il cristianesimo è inconciliabile con la pratica della violenza finalizzata ad uccidere il prossimo, indipen­dentemente dalla diversità di et­nia, fede, ideologia o cultura. La verità è che sia il terrorismo islamico sia quello neonazista, si fondano sulla supremazia della razza o della religione, nel caso di Anders Behrin Breivik indicata co­me «cristiana», si equivalgono nel­la loro divisione faziosa dell’uma­nità dove loro, detentori di una veri­tà assoluta che deve essere impo­sta con la forza, condividono sia il principio che chi non la pensa co­me loro non ha diritto di esistere sia la pratica della violenza per la re­alizzazione dei loro obiettivi. La dif­ferenza sostanziale è che mentre gli islamici che uccidono gli «infe­deli» sono legittimati da ciò che ha ordinato loro Allah nel Corano e da quanto ha fatto Maometto, i cristia­ni che uccidono per qualsivoglia ra­gione lo fanno in flagrante contra­sto con ciò che è scritto nei Vangeli.

Quanto alla causa di fondo di questi barbari attentati, essa risie­de nell’ideologia del razzismo che, nel caso specifico dell’Occidente che s’ispira alla fede cristiana,è l’al­t­ra faccia della medaglia del multi­culturalismo. Razzismo e multicul­turalismo commettono l’errore di sovrapporre la dimensione della religione o delle idee con la dimen­sione della persona. L’ideologia del razzismo si fonda sulla tesi che dalla condanna della religione o delle idee altrui si debba procede­re alla condanna di tutti coloro che a vario titolo fanno riferimento a quella religione o a quelle idee. Vi­ceversa l’ideologia del multicultu­ralismo è la trasposizi­one in ambi­to sociale del relativismo che si fon­da sulla tesi che per amare il prossi­mo si debba sposare la sua religio­ne o le sue idee, mettendo sullo stesso piano tutte le religioni, cultu­re, valori, immaginando che la civi­le­convivenza possa realizzarsi sen­za un comune collante valoriale e identitario....

La Norvegia, al pari della Svezia, Gran Bretagna, Olanda e Germa­nia, predica e pratica l’ideologia del multiculturalismo, concepen­do che l’accoglienza degli immi­grati e più in generale il rapporto con il mondo della globalizzazio­ne debbano portare a un cambia­mento radicale della nostra civiltà, fino a vergognarci delle nostre radi­ci giudaico- cristiane, a negare i va­lori non negoziabili, a tradire la no­stra identità cristiana, ad antepor­r­e l’amore per il prossimo alla salva­guardia dei legittimi interessi na­zionali della popolazione autocto­na, al punto da elargire a piene ma­ni agli stranieri diritti e libertà sen­za chiedere loro l’ottemperanza dei doveri e il rispetto delle regole.

Il razzismo che esplode nel con­testo d­el multiculturalismo proce­de in senso letteralmente opposto, emergendo come una brutale e ir­razionale reazione, assolutamen­te ingiustificabile e inaccettabile, da parte di chi arriva a legittimare il massacro di chi è considerato re­sponsabile della perdita della no­stra civiltà. Noi condanniamo totalmente, non riconosciamo alcuna giustif­i­cazione e non concediamo alcuna attenuante a qualsiasi forma di ter­rorismo, compreso il terrorismo neonazista. Al tempo stesso am­moniamo che il multiculturalismo è il terreno di coltura di un’ideolo­gia razzista­che fa proseliti tra quan­ti hanno la sensazione di non risie­dere più a casa loro, che presto si ri­durranno a essere minoranza e for­se a esserne allontanati. Ecco per­ché multiculturalismo e razzismo sono di fatto due facce della stessa medaglia. La mia conclusione? Se vogliamo sconfiggere questo razzi­smo d­obbiamo porre fine al multi­culturalismo.

sabato 23 luglio 2011

Le sinistre bolle di sapone...

Si accettano scommesse (per finta) su come finirà... credo anche che il titolo che ho dato, sia abbastanza esplicito.


Milano - Tutto questo, prima. Prima che arrivasse la Finanza negli uffici della Regione, prima di sapere che Filippo Penati - uomo forte del Pd - era indagato per tangenti, e prima di dichiarare urbi et orbi di essere stato «spremuto». Bisogna tornare indietro di un anno. Al 7 giugno del 2010. È il giorno in cui Piero Di Caterina, presidente della società di trasporti Caronte - che opera a Sesto San Giovanni, e che era proprietaria di 4mila metri quadri nella ex Falck -, rompe il patto con la politica. Alle Fiamme gialle presenta un dossier sul contenzioso con Atm, l’azienda milanese di trasporti.

«Si è creata una situazione - denuncia Di Caterina - che impone di muoversi in una palude di relazione di concussione e corruzione». Parla di Sesto, Di Caterina, e usa le parole concussione e corruzione. Il tempo gli darà soddisfazione. Perché sono i reati su cui si muove la Procura di Monza, e che ora vengono contestati a Penati e al suo entourage. Attenzione, però. Perché anche l’imprenditore finirà sotto inchiesta, indicato come il collettore di tangenti destinate al Pd. E Di Caterina, con Penati, ha più di un fronte aperto. Incluso - come si legge nel decreto di perquisizione firmato dalla Procura -, proprio quello della «gestione del Servizio dei trasporti».

In ballo milioni di euro che la Caronte rivendica come conseguenza della vendita da parte di Atm dei biglietti nel circuito Sitam, il Sistema integrato tariffario per l’area milanese, e a cui aderiscono la maggior parte delle linee di trasporto pubblico del capoluogo. Il contenzioso fra le due aziende resta aperto, ma poco prima di lasciare la Provincia di Milano, l’allora presidente Penati firma una delibera che impone ad Atm di «corrispondere al consorzio dei trasporti la somma complessiva di 40 milioni di euro, di cui 8,4 milioni alla sub affidataria Caronte srl, che deve ricevere anche 4,3 milioni dal Comune di Segrate». Insomma, un «assegno» da oltre 12 milioni più Iva. Ma la battaglia dei ricorsi blocca tutto, e un anno fa Di Caterina denuncia «un clima molto pesante che condiziona negativamente la vita pubblica e privata», che Sesto annega «in un brodo di complicità e di acquiescenza», che la partita si gioca su «una campo di battaglia di figure inviluppate in una trama di malaffare».

Però, nel 2004, la Caronte paga macchina e autista per la campagna delle elezioni provinciali di Penati. Fra il 2008 e il 2009, la Provincia affitta (per sistemare delle famiglie rom) e poi acquista per 1,4 milioni di euro quattro immobili residenziali in via Varanini a Milano, di proprietà dell’imprenditore. E nel 2006 Penati entra nel cda della Eventus, che ha come oggetto sociale «la produzione, l’importazione e la vendita di cemento, sabbia, vernici, laminati e legno». La società - liquidata nel 2009 - è partecipata al 50% da una fiduciaria, e tra gli azionisti figura ancora una volta Di Caterina.

L’imprenditore, ora, denuncia un «sistema di mazzette» nell’ex Stalingrado d’Italia. Lui che nel fango - sostengono i pm - c’è finito con tutte le scarpe. Sarebbe stato lui a consegnare in Svizzera una parte della maxitangente per i lavori della Falck a Giordano Vimercati, poi capo di gabinetto di Penati alla Provincia. Due miliardi e mezzo versati dall’immobiliarista Giuseppe Pasini per il via libera ai progetti urbanistici nell’ex area industriale. E sempre Di Caterina, nel 2000, avrebbe concluso con Pasini una permuta di due terreni della ex Falck per maturare un saldo negativo a bilancio e nascondere una tangente da 1,2 miliardi di lire.... Perché il piatto più ricco era quello delle aree industriali, in cui sono entrate anche le coop rosse (due funzionari sono sotto inchiesta). Il Consorzio cooperative di costruzione di Bologna (Ccc), infatti, è sempre stato presente nei passaggi di proprietà dei terreni, da Pasini a Luigi Zunino a Davide Bizzi, e acquistati nel 2010 dalla Sesto Immobiliare, il cui 10% è di Sesto Futura, veicolo societario proprio della Ccc. Un modo - è l’ipotesi degli inquirenti, che contestano anche il finanziamento illecito ai partiti - per garantire al Pd una fetta di una torta immensa.

Qualcosa di cui sparlare

Giusto due o tre cose... dal blog di Nico. E giusto per ribadire il fatto che ho la nausea e che i miei pensieri sono tutti lì in quel post scritto da lei.

venerdì 22 luglio 2011

Gianfranzo Fini

Auauauau, questa è meglio di una qualunque barzelletta porno... scusate ma in questo momento sto ridendo a crepapelle... sia per l'alleanza (che no, questa non è mica alleanza coatta), sia per le parole pronunciate da ahem, Fini, da... Rutelli e da Casini. Certo, il terzo polo c'era da inventarselo... con lo zero virgola zero e qualcosa alle elezioni in italia potrebbe fare molto, in effetti.


MILANO - «Dobbiamo dare atto a Casini di averlo capito qualche tempo prima: dar vita ad alleanze coatte rischiava di imprigionare le energie più sane della società e di cancellare una vera democrazia dell'alternanza di cui il Paese ha bisogno». Lo ha detto il leader di Fli Gianfranco Fini nel suo intervento all'auditorium della Conciliazione per la convention del Terzo polo, di fronte a 1.300 persone, con in prima fila Pier Ferdinando Casini, Francesco Rutelli e Raffaele Lombardo. Fini ha sottolineato che ciò che unisce Udc, Fli, Api e Mpa «è la volontà di archiviare un bipolarismo primitivo, unico in Occidente che non sa individuare valori comuni anche se riguardano l'interesse nazionale. Un interesse - ha aggiunto - che invece non è la bandiera del centro, della destra o della sinistra ma degli italiani orgogliosi della propria storia, una bandiera che deve essere la stella polare di una politica consapevole che archiviare il bipolarismo non significa cancellare una democrazia dell'alternanza basata su valori condivisi».

NUOVO PREMIER - Su un nuovo assetto della politica italiana che immagini il dopo-Berlusconi Fini ha poi detto che «la maggioranza debba indicare un nuovo premier e il Terzo polo, in questo caso, non si tirerà indietro». E ha proseguito: «La maggioranza ha il diritto-dovere di indicare un nuovo premier, sulla base di un'agenda di 2 o 3 cose da fare al più presto. Serve un uomo che archivi il libro dei sogni e serve un governo serio che si presenti in parlamento e si rivolga alle opposizioni le quali, credo, si assumeranno le loro responsabilità. Il Terzo polo - ha concluso Fini - non si tirerebbe indietro, non guarderebbe dall'altra parte».

LA MANOVRA - Nel corso del suo intervento alla convention del Terzo Polo il leader di Futuro e Libertà ha criticato anche la manovra economica che «rinvia alla prossima legislatura la definizione dei nodi strutturali, mentre fa pagare oggi ai cittadini costi che rischiano di non poter pagare alla luce del drammatico impoverimento delle famiglie denunciato dall'Istat». Fini ha sottolineato però che «se la casa brucia le opposizioni non fanno un ostruzionismo che non verrebbe capito dalla gente» ma ha anche aggiunto che «se dovranno esserci in futuro altri momento di coesione questa prova non dovrà essere chiesta soltanto alle opposizioni. Noi in questa circostanza - ha concluso Fini - abbiamo dimostrato di amare l'Italia più di quanto contrastiamo l'attuale governo».

BOZZA CALDEROLI - Tranchant anche sul disegno di legge Calderoli: «L'Italia non ha bisogno del ddl Calderoli che assomiglia più a un volantino per le feste padane che non al testo del governo per ridisegnare l'architettura costituzionale», ha detto Fini.

Terrorismo islamico


Oslo - Una esplosione si è verificata a Oslo nei pressi della sede del governo causando "forti danni e diversi feriti". Lo riferisce la pagina web del quotidiano Aftenposten citando testimoni oculari. A poco tempo di distanza si sarebbe verificata un'altra deflagrazione, non confermata dalla polizia. Danneggiato anche l’ufficio del primo ministro, che però non era presente al momento dell'esplosione. Le fonti riferiscono di "numerosi vetri rotti" e di "diversi incendi in atto". Chiusa la circolazione in un ampio raggio circostante il centro. La città, "è nel caos", sottolinea la testata.

Esplosa un'autobomba. A causare l'esplosione è stata un'autobomba, come ha confermato la polizia. Non sono giunte al momento rivendicazioni dell’attentato. Un ufficiale di polizia ha riferito che, secondo le immagini delle telecamere di sorveglianza, "una grande automobile è stata vista passare nel quartiere del governo pochi istanti prima dell’esplosione". Secondo un quotidiano locale l'obiettivo dell’attentato era la sede del ministero del Petrolio e dell’Energia.

Il premier: situazione grave. Il primo ministro norvegese Jens Stoltenberg ha definito la situazione "grave" ed ha aggiunto di essere sano e salvo, ma che è "troppo presto per parlare di attacco terroristico". "Sembra che tutti i ministri siano in salvo", ha aggiunto. Il capo del governo norvegese ha rivelato che la polizia gli ha consigliato di non rendere noto dove si trova in questo momento.

Almeno due morti. "Vedo che le finestre dell’edificio del Vg e della sede del governo sono in frantumi. Delle persone insanguinate sono in strada", ha raccontato un giornalista della radio pubblica Nrk. Sarebbero almeno quindici le persone rimaste ferite e due le vittime. La polizia però parla di "diversi morti". Un ufficiale del governo ha però detto che ci sono ancora persone intrappolate nel luogo dove è avvenuta l'esplosione. Le prime immagini mostrano le strade ricoperte di detriti e vetri rotti, con una colonna di fumo che sale verso il cielo. "L’intero edificio ha tremato, pensavano fosse un terremoto", ha riferito un giornalista dell’emittente pubblica Nrk che si trovava nell’area al momento dello scoppio. La polizia ha chiuso l’accesso alla zona colpita. L’Unità di crisi della Farnesina è in contatto con l’ambasciata italiana a Oslo per verificare l’eventuale presenza di connazionali coinvolti nell’esplosione.

Evacuata gran parte della città. La polizia di Oslo ha disposto l’evacuazione di "gran parte della città" e ha chiesto di limitare "l’uso dei cellulari". Lo si legge sul sito del tabloid Vg, testata la cui sede è stata sconvolta da una potente esplosione poco dopo le 15.20. La deflagrazione, che ha causato secondo le forze di sicurezza "morti e feriti" si è prodotta nel quartiere che ospita i palazzi del governo e delle istituzioni. L'attacco arriva in un momento in cui il governo scandinavo è alle prese con una serie di complotti terroristici di gruppi legati ad al-Qaeda. La settimana scorsa un procuratore norvegese ha inoltrato una denuncia per terrorismo contro il Mullah Krekar, un religioso nato in Iraq accusato di aver minacciato di uccidere politici locali se lo espelleranno dal Paese. Krekar, fondatore del gruppo curdo islamico Ansar al-Islam, ha avanzato le sue minacce diversi media, tra cui anche l'emittente statunitense Nbc....

Schizofrenie senili


Roma - Giorgio Napolitano fa marcia indietro e precisa di non aver mai invaso uno spazio diverso da quello che il suo ruolo istituzionale gli chiede. Soltanto ieri aveva richiamato i magistrati a una maggiore sobrietà e aveva chiesto un'acceleraziona alla riforma della giustizia e di una regolamentazione delle intercettazioni. Il monito però non era riferito all’autorizzazione all’arresto di Alfonso Papa concessa dalla Camera: "Non commentavo libere decisioni del Parlamento che sempre rispetto. Ho richiamato a comportamenti che non offuschino la credibilità e il prestigio dei magistrati e non indeboliscano l’efficacia dei loro interventi a tutela della legalità".

Gli attacchi ai magistrati. Il richiamo del presidente della Repubblica quindi era solo un invito ai giudici che devono essere "inappuntabili" per contrastare "attacchi inammissibili alla magistratura", disinnescando così "un fuorviante conflitto" con la politica. Napolitano ha aggiunto che i suoi rilievi sono "ben noti" e coincidono con "richiami costanti e coerenti negli anni".

Il ministro della Giustizia. Il presidente ha poi parlato anche del possibile sostituto del Guardasigilli, Angelino Alfano, ora segretario del Pdl. "Non ho avuto nessuna lista di nomi. Ho visto dodici nomi sulla stampa", ha detto, aggiungendo di non aver dato "nessun avallo al rinvio a settembre. Ho detto che sono pronto in qualsiasi momento, ma mi sembra che non siano pronti loro e abbiano altri pensieri". Il capo dello Stato ha però fatto presente "di fare attenzione all’effetto domino che si creerebbe prendendo qualcuno dal governo. Sarebbe meglio prenderlo dal Parlamento".

La manovra. Il Colle ha risposto anche alle critiche sulla manovra economica che lo vogliono regista dell'approvazione in tempi da record: "Non c’è nulla di serio in certe interpretazioni dietrologiche o fanta-istituzionali del mio operato. Ho considerato che fosse mio dovere porre decisamente questa esigenza, senza tenere alcun conto delle convenienze dell’una o dell’altra parte politica, e senza invadere o occupare alcuno spazio o ruolo che non fosse il mio". Napolitano ha poi spiegato che, come richiesto dal suo ruolo, "segue da vicino l’evolversi della situazione del quadro politico" precisando però, rivolto ad osservatori e commentatori, di non fare al momento "valutazioni o dare risposte".

L'invito alla coesione nazionale. La "prova di coesione nazionale", secondo Napolitano, è avvenuta invece "in continuità con lo spirito pubblico" mostrato dai cittadini nel celebrare il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. È stato inoltre "importante assumere tutti l’obiettivo del pareggio di bilancio", pur nel dissenso inevitabile sulle misure da adottare. Il presidente ha poi ribadito il suo appello alla coesione alle forze politiche perché bisogna "riconoscere la complessità e gravità dei problemi che si sono accumulati e che pongono a rischio il futuro del paese e il suo ruolo in Europa"....

I costumi della politica. E non si è fatto sfuggire l'occasione per parlare dei costi della politica "Io auspico da tempo decisioni di alleggerimento e semplificazione dell’architettura istituzionale oltre che tangibili correzioni sul piano del costume politico".

Magistratura


Ma il coccodrillo come fa? Finalmente risolto l’antico dilem­ma della canzoncina per bambini: il coccodrillo fa come Napo­litano. Cioè piange sul latte versato. In effetti l’appello del capo dello Stato contro «il protagonismo dei giudici» sarebbe perfet­to se non fosse che arriva un po’ tardi: i giudici protagonisti stan­no scorrazzando per l’Italia, un deputato ha appena passato la sua prima notte in carcere e attorno al Parlamento si sente un tintinnare di manette da far paura. Chiedere adesso di fermare «l’intollerabile scontro fra politica e magistratura» è corretto ma leggermente fuori tempo. Un po’ come ricordare a tutti di chiudere i rubinetti del lavabo mentre fuori c’è lo tsunami.

A leggere le sue solenni parole, viene infatti da chiedersi: ma dove diavolo ha vissuto finora il presidente? Che, niente niente, negli ultimi mesi, mentre Woodcock impazzava, il Quirinale era stato trasferito su Marte? O nel bosco della Bella Addormentata? Ci vuole un «uso sapiente dei mezzi investigativi», tuona ora re Giorgio. Bisogna tutelare «i diritti costituzionalmente garantiti». E non bisogna esagerare con l’uso e l’abuso delle intercettazioni, e soprattutto con la divulgazione di contenuti «privi di rilievo processuale». Ma davvero? O perdindirindina:chi l’avrebbe detto? E dov’era il Presidente della Repubblica quando tutti questi suoi sacrosanti e celestiali principi venivano fatti a pezzi, calpestati, offesi e vilipesi dalle Procure impazzite e dai John Herny associati? Era distratto? Faceva la pennichella? Giocava a briscola con i corazzieri? In questi ultimi mesi, sul fronte dell’«intollerabile scontro fra politica e magistratura», per dirla con Napolitano, abbiamo visto di tutto. Sui giornali sono state pubblicate telefonate private di ministri, con dettagli non soltanto «privi di rilievo processuale» ma anche di qualsiasi valore che non fosse quello del gossip spinto. Abbiamo sentito parlare di «mignotte», «stronze», «sboroni», quello che voleva «rompere il culo», quell’altro che faceva«puttanate»,abbiamo sentito gli sfoghi privati dei ministri, le confessioni dei parlamentari, senza nemmeno capire quale fosse il reato contenuto in quelle chiamate.

Abbiamo imparato a sfruculiare quotidianament l’intimità interurbana dei parlamentari, abbiamo visto sfondare senza ritegno la loro privacy, i «diritti costituzionalmente garantiti» sono stati ridotti a mocho vileda: roba da usare per pulire i pavimenti. E Napolitano che cosa faceva? Puntava il ditino contro il decreto sulle intercettazioni e si opponeva a ogni misura atta a fermare lo scempio. Proprio così: e allora adesso di che cosa si stupisce, il bello addormentato al Quirinale? Per carità, sempre meglio tardi che mai. Incontrando i futuri magi-strati, il capo dello Stato li invita a non inserire nei provvedimenti «riferimenti non pertinenti» e poi li incoraggia a usare il «massimo scrupolo» prima di mandare qualcuno in galera. Speriamo gli diano retta. Ma nel frattempo chissà che cosa ne pensa l’onorevole Papa, spedito direttamente dal Parlamento alla cella senza scrupoli né massimi né minimi. E anche in quanto a «riferimenti non pertinenti», purtroppo, fra «mignotte» e «sboroni» il più è stato fatto.

Al Presidente non viene per caso il dubbio di essere arrivato fuori tempo massimo come un maratoneta spompato? A un certo punto, per dire, ieri se l’è presa con gli «atteggiamenti protagonistici e personalistici dei pm».... Ha messo sotto accusa le «esposizioni mediatiche», i comportamenti privi di «correttezza espositiva, compostezza, riserbo e sobrietà». E ha definito profondamente sbagliato che un magistrato si candidi nella stessa sede in cui ha svolto attività togata. Sante parole.

Ma Napolitano stava forse pensando a Michele Emiliano, che è passato direttamente da sostituto procuratore di Bari a sindaco della medesima città? O stava parlando del pm Luigi De Magistris che lavorava alla Procura di Napoli, città della quale è diventato sindaco? Perché non ce l’ha detto prima? E perché,se davvero s’indigna per l’esposizione mediatica dei magistrati, non ha mai avuto nulla da dire sulle innumerevoli comparsate in toga nel salotto incandescente di Annozero? Perché non è intervenuto, da capo del Csm, sulle esternazioni a reti unificate di Antonio Ingroia? Aveva il televisore rotto? Sbagliava canale? Non è che, per caso, al Quirinale il segnale è disturbato? Per l’amor del cielo, noi siamo lieti che alla fine anche sul Colle si sia accesa, insieme con l’antenna parabolica, anche la lampadina della saggezza. Ci chiediamo solo, con rispetto, che effetto faccia tutta questa luce, vista dal buio di una cella di Poggioreale.

mercoledì 20 luglio 2011

Di nuovo indagato...

Berlusconi indagato anche per Santoro di Gian Marco Chiocci - Patricia Tagliaferri

È un po’ come per Ruby. Il presidente del Consiglio, quando telefona, non chiama in qualità di presidente del Consiglio. Chiacchiera a titolo personale. Ed è per questo che va indagato pure per le presunte pressioni per bloccare Annozero e il suo presentatore. Abuso d’ufficio, il reato contestato dalla procura di Roma. Niente più concussione e minaccia a un corpo amministrativo dello Stato, come ipotizzato dai magistrati capitolini prima di inviare il fascicolo (ricevuto per competenza dalla procura di Trani) al tribunale dei ministri. Che se ne è spogliato dichiarandosi non competente a giudicare il caso sul presupposto che il premier, quando alzava la cornetta, non agiva nelle sue funzioni di capo del governo. Sott’inchiesta per lo stesso reato anche l’ex direttore generale della Rai Mauro Masi e Giancarlo Innocenzi, commissario dell’Agcom, inizialmente considerate «vittime» di concussione da parte di Berlusconi quando parlavano con il «cittadino qualunque» Silvio Berlusconi arrabbiatissimo per le puntate a senso unico di Michele Santoro.

Ci risiamo, dunque. L’ennesima inchiesta sul premier arriva sulla scia di altre decisioni avverse al Cavaliere: la devastante pronuncia della corte d’appello sul Lodo Mondadori, il no dei giudici di Milano al trasferimento ad altra sede del processo Ruby, il «taglio» di uno dei testimoni-chiave del processo Mills, l’incriminazione per vilipendio all’ordine giudiziario presso la procura di Monza per aver dato dei «talebani» ai giudici che ce l’hanno con lui, l’iscrizione a Roma per le interviste «elettorali» ai Tg Rai. Routine.

La sempre sonnolenta procura di Roma (ricordate il caso Montecarlo?) s’è svegliata. E si è messa al passo di altri uffici giudiziari più attivi. Il procuratore Giovanni Ferrara e l’aggiunto Alberto Caperna, oltre ai pubblici ministeri Ilaria Calò e Roberto Felici, hanno preso atto della decisione del tribunale dei ministri e iscritto il premier nel registro degli indagati dopo aver scelto, a febbraio scorso, di utilizzare le diciotto telefonate fatte dal premier a Masi e Innocenzi nell’autunno del 2009 ritenendole penalmente rilevanti. Ora le strade percorribili sono due. La Procura può decidere di concludere gli accertamenti con il deposito degli atti, un passo che precede la richiesta di rinvio a giudizio, oppure con una richiesta di archiviazione. L’avvocato Niccolò Ghedini, difensore di Berlusconi, è certo che i magistrati opteranno per questa seconda ipotesi: «Il tribunale dei ministri ha archiviato tutte le accuse originariamente mosse proprio al presidente Berlusconi ritenendo la totale insussistenza di tutti i reati contestati e provvedendo all’archiviazione». Nell’ambito di tale provvedimento, insiste Ghedini, «il tribunale ha ipotizzato che in linea astratta nei fatti accaduti potrebbe individuarsi un abuso d’ufficio non di sua competenza pur dando atto che nessuna interruzione concreta delle trasmissioni mai vi è stata. Si tratta quindi di un’ipotesi residuale per la quale il tribunale dei ministri si è ritenuto incompetente funzionalmente e che la procura di Roma certamente non tarderà ad archiviare». In questo nuovo procedimento che vede Berlusconi indagato per abuso d’ufficio potrebbero confluire gli atti stralciati dall’inchiesta della Procura di Napoli sulla cosiddetta P4 relativi ai rapporti tra Masi e Luigi Bisignani intercettati mentre parlavano del contenzioso tra la Rai e Santoro per la chiusura della trasmissione.

Dal 1992 al 2011


Roma - Si vota per l'arresto del deputato Pdl Alfonso Papa a Montecitorio e del senatore Pd Alberto Tedesco a Palazzo Madama. Alla Camera è stata presentata la richiesta del voto segreto per dare il parere alla Giunta per le autorizzazioni sulla richiesta di arresto di Papa, coinvolto nell’inchiesta della Procura di Napoli sulla cosiddetta P4. Lo scorso 15 luglio la Giunta aveva approvato, con i soli voti dell’opposizione, la proposta presentata dall’esponente dell’Italia dei valori dopo che la maggioranza aveva ritirato la sua relazione e aveva abbandonato la commissione. Al momento del voto La lega si era astenuta. Al dibattito saranno dedicate circa tre ore. Il voto è previsto intorno alle 19 e dovrebbe avvenire a scrutinio segreto.

L'appello di Berlusconi alla Camera. "Dobbiamo fermare il rischio di una ulteriore escalation di arresti preventivi da parte della Magistratura perchè di questo passo si rischia di minare i numeri della maggioranza e di tornare al clima del 1992". E' il ragionamento svolto dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi - secondo quanto riferito da diversi presenti - nel corso dell’incontro a Palazzo Grazioli con i coordinatori regionali del partito. "Non voterò mai per mettere le manette a qualcuno - ha detto il capo del governo - sempre secondo quanto riferito da alcuni presenti". Il premier ha parlato di rischio "escalation" da parte di una magistratura che parte dalla inchieste e arriva agli arresti preventivi. "Un rischio che - a giudizio del Cavaliere - si deve contrastare proprio attraverso un voto negativo all’arresto del parlamentare del Pdl. Altrimenti, ha aggiunto il premier, di questo passo i magistrati arriveranno a minare i numeri della maggioranza e torneremmo al clima del 1992. Berlusconi ha anche difeso l’atteggiamento di Papa: "Quando una persona si dimette dal partito, viene sospeso dalla magistratura e dice di essere disponibile a collaborare con i magistrati non lo si può arrestare".

La richiesta di voto segreto. "Abbiamo presentato una richiesta di voto segreto - ha detto Silvano Moffa, capogruppo di Popolo e Territorio - perché il tentativo di strumentalizzare questo tema per fini politici che nulla hanno a che fare con la vicenda Papa è la dimostrazione che stiamo dando una dimostrazione del degrado assoluto della politica". Dai banchi dell’opposizione, non appena Moffa ha annunciato la richiesta di voto segreto, gli è stato gridato: "Vergogna, servo, vai a casa". "Da questo voto - ha aggiunto Moffa - si misura il confine tra chi a parole si definisce garantista ma usa il garantismo in modo strumentale e chi crede che la libertà personale non possa essere limitata fino all’arrivo di una sentenza di condanna - ha concluso - il voto segreto consente alla coscienza di esprimersi senza condizionamenti".

Lo scontro con l'opposizione. Nelle ore che precedevano il voto, il clima alla Camera si era fatto sempre più incandescente. Lo scontro sulla scelta di ricorrere al voto segreto, con l’opposizione che accusava la Lega di avere deciso di "salvare" il parlamentare coinvolto nell’inchiesta sulla cosiddetta P4 in cambio del ritiro del contestato decreto sull’emergenza rifiuti a Napoli. Un "patto scellerato" siglato con il Pdl, avevano denunciato Pd e Idv a Montecitorio. A rivolgersi direttamente alla Lega - che nonostante i "sì" all’arresto alla fine ha deciso di lasciare libertà di voto - era stato il leader democratico Pier Luigi Bersani: "Ostacoli il voto segreto in Aula sull’autorizzazione all’arresto per Papa e dimostrerà che non c’è stato uno scambio con il rinvio in Commissione del dl rifiuti".... Gli aveva fatto eco il capogruppo Dario Franceschini: "Dovreste essere voi i primi a dire no al voto segreto che coprirà la vostra ipocrisia, un’ipocrisia che i padani non dimenticheranno. Non potete chiedere ai Responsabili di chiedere il voto segreto per coprire la vigliaccheria dei guerrieri padani". A stretto giro di posta la replica del leghista Marco Reguzzoni: "E' il Pd che sta mettendo le mani avanti: vi preparate a un voto dei vostri parlamentari a scrutinio segreto" per evitare l’arresto di Alfonso Papa. "State mettendo le mani avanti - aveva accusato Reguzzoni - dopo che siete stati colpiti dall’avviso di garanzia a Penati".

L'escamotage del "voto palese". Il Pd e l'Idv hanno comuqnue trovato un escamotage per rendere "palese" il voto in Aula. Il metodo è presto detto: il voto può essere espresso con l’indice della mano sinistra perchè inserendo la sinistra nella cavità dove si trovano i pulsanti è impossibile digitare il "no". In questo modo diventa evidente che tutti i 206 deputati del Pd si pronunceranno a favore dell’arresto. I dipietristi hanno subito commentato con soddisfazione la decisione del Pd di accogliere il nostro appello e rendere, di fatto, palese il voto. "Rinnoviamo - ha detto il presidente del gruppo Idv alla Camera Massimo Donadi - l'appello alle altre opposizioni ed anche alla Lega affinché voti come Idv e Pd, con l'indice della mano sinistra in modo visibile e riconoscibile".

Papa sereno attende il voto. "Vivo questa giornata con grande serenità perchè sono innocente e lo dimostrerò", assicura Papa ostentando serenità a poche ore dal voto dell’aula di Montecitorio. Prima in aula per il voto sul decreto rifiuti, poi in cortile per una sigaretta, qualche scambio di parola con i colleghi di partito: "Sono innocente, lo dimostrerò nel tempo, dimostrerò al processo la mia innocenza rispetto a tutte le accuse". In serata, Papa ha poi lanciato un appello a tutti i deputati: "Mi affido a voi". "Non ritengo dover fare appello alla difesa del Parlamento, perchè sono innocente ed estraneo nel merito a tutte le accuse - ha detto Papa - davanti alla mia coscienza, a dio, agli uomini, ritengo che la verità non abbia bisogno di difensori, ma si manifesta da sè nel tempo".

Pdl contrario all'arresto. Due foto che ritraggono Alfonso Papa sul retro della Camera, mentre parla con altre persone. E' l’ultima carta del Pdl per convincere la Camera della necessità di negare l’arresto del deputato, a poche ore dal voto. Foto inviate a tutti i componenti dell’Assemblea, per dimostrare - è la tesi Pdl - che nei confronti di Papa è stato disposto un vero e proprio pedinamento, e che dunque l’indagine "non ha rispettato le garanzie minime dei parlamentari". "La linea è quella di votare no all'arresto di Alfonso Papa", spiega il capogruppo del Pdl, Fabrizio Cicchitto, alla Camera al termine della riunione dei deputati del Pdl a Montecitorio. Quanto alla concomitanza del voto di domani sia per Alfonso Papa alla Camera, sia per Alberto Tedesco al Senato, Cicchitto ha risposto: "Io non darei l'arresto né per Papa né per Tedesco, ma questa è una posizione mia, personale". Ad ogni modo, il Pdl rivendica il voto segreto, perché è giusto che su una valutazione di una persona non ci sia un gioco cinico politico, ma che ogni deputato sia messo di fronte alla sua coscienza e senza nessun condizionamento faccia i conti con se stesso e con gli altri....

L'avvertimento di Alfano. "Noi non siamo favorevoli all’impunità, ma ad un uso più saggio della custodia cautelare", avrebbe detto il segretario del Pdl, Angelino Alfano, senza però mai fare il nome di Papa o di altri esponenti del Pdl coinvolti da inchieste. "Il Parlamento - avrebbe proseguito il Guardasigilli - è chiamato ad esprimersi con il volto non sull’impunità ma sulla misura cautelare prima del processo, quindi sull’arresto prima del giudizio". "Noi non siamo favorevoli all’impunità - avrebbe ribadito il segretario del Pdl parlando ai coordinatori regionali - ma a un uso più saggio della custodia cautelare. Quindi i magistrati non hanno alcun limiti ad indagare, processare ed eventualmente condannare", avrebbe concluso Alfano.

Il Pd e la Lega favorevoli. "La Lega vuole votare per il suo arresto, penso che la Lega voterà per il suo arresto", ha confermato il leader della Lega Umberto Bossi. Anche i democratici seguiranno la stessa posizione delle Lega Nord. "Il Pd voterà sia alla Camera che al Senato a favore dell'arresto di Alfonso Papa e di Alberto Tedesco - ha detto la presidente del Pd, Rosy Bindi - il parlamento compierà atto concreto se voterà per l'arresto di entrambi, soprattutto in questo momento difficile in cui i cittadini pensano che gli esponenti della classe politica non siano uguali a loro. Ci auguriamo che nessuno si vada a nascondere dietro il voto segreto".

Il voto al Senato su Tedesco. Il senatore Alberto Tedesco è intervenuto nell’Aula del Senato per chiedere all’assemblea di rispondere affermativamente alla domanda della magistratura di arresti domiciliari. Il senatore del Gruppo misto ha anche chiesto che non si ricorra al voto segreto, ma al voto palese. "Sommessamente ma fermamente vi invito a dire sì alla richiesta di arresto che la magistratura barese ha avanzato nei miei confronti e vi chiedo di farlo in modo trasparente, mettendoci le facce, senza ricorrere al voto segreto". Tedesco ha chiesto, in aula al Senato, che i colleghi si esprimano a favore della richiesta di arresto nei suoi confronti: "Siamo coscienti di rinunciare oggi ad un pezzo dei nostri diritti ma questi risalteranno maggiormente quando si sarà chiuso questo iter". "La sede naturale per dimostrare la mia estraneità ai fatti contestatimi è la sede del processo", ha concluso il senatore del gruppo misto.

lunedì 18 luglio 2011

E allora...

Diciamo che... un post come questo avrebbe potuto anche risparmiarselo. V per vendetta esiste solo nei fumetti e al cinema. Non altrove. Invece che ergersi a paladino dei deboli, degli sfruttati, dei precari, dei cassintegrati e blablabla, avrebbe dovuto scrivere chilometri di posts con nuove rivelazioni che nessuno di noi conosce... e invece, sta perdendo di credibilità perchè per fare buoni servizi e raccontarci cose che tutti noi sappiamo, bastano Stella e Rizzo.

Magistratura italiana


In Italia tutti i colpevoli sono in definitiva un po’ innocenti e per forza di simmetria è an­che vero il contrario. Collodi scrisse pagine definitive nel suo Pinocchio, quando lo mi­se nelle mani di un contrad­dittorio giudice scimmia. E così abbiamo imparato che la Fiat ha avuto ragione, ma che la Fiom non per questo aveva torto. Che la strage di Milano del 12 dicembre 1969 è stata una strage «fascista», ma tutti i fascisti imputati di quella strage sono stati sontuosamente assolti. Ustica: il Dc9 Itavia fu certamente abbattuto da una bomba e non da un missile, ma per l’opinione pubblica messa a morte davanti al muro di gomma fu missile e gli assolti furono colpevoli e viceversa, ma non troppo. E Andreotti? Non fu forse definitivamente assolto al processo per mafia di Palermo dove lo accusarono di aver baciato Totò Riina? Sì, ma al tempo stesso Andreotti fu riconosciuto un po’ mafioso, appena un sentore, un retrosapore. Innocente sì, ma con juicio , avrebbe scritto Manzoni. Come il senatore Dell’Utri, un uomo che di volta in volta è dato ai margini, un po’ dentro o un po’ fuori, di esili linee di associazioni mafiose per cui non puoi mai dire se il bicchiere sia troppo pieno o troppo vuoto e se il disegno mostri due profili che si guardano o un vaso da fiori. Dipende dalla disposizione pirandelliana del momento, dall’ascendente zodiacale e dall’umore italiano.

E Sofri? Non vogliamo riaprire l’antica ferita, ma Sofri è stato condannato in ogni ordine e grado, aveva il suo studio in prigione da cui diffondeva pensieri e scritti, finché ebbe un malore, una crisi di vomito molto violenta se ricordiamo bene, e fu scarcerato e restituito al mondo, un po’ come il militare condannato a morte nelle strofette di Giusti, che prima viene fucilato salvo che «poi la grazia arriva a trarlo in salvamento e torna al quartier contento a fare il suo dover». L’Italia non è l’America, nel senso di Stati Uniti, dove nessuno può essere pro-cessato due volte per lo stesso delitto, sicché un omicida che la faccia franca al processo poi può scrivere le sue memorie e fare soldi a palate raccontando come strozzò la moglie e la stivò in pezzi dentro al freezer. In Italia abbiamo tre gradi di giudizio e se sei colpevole al primo puoi sperare nel secondo, e alla fine c’è sempre speranza nello spareggio della Cassazione quando ormai metà dei protagonisti sono andati in pensione o finiti sotto terra.

Il che è un vantaggio per un sistema colloso, obliquo, diagonale e spiraloide in cui tutti hanno sempre ragione, ma non per questo gli altri hanno torto. Dove si può sostenere con successo che un giornalismo mentitore, non è altro che una «linea editoriale» e che coloro i quali si sbracciano in difesa della verità in se stessa, come fatto e come valore, sono in realtà dei provocatori. Ai tempi del terrorismo rosso una parte della sinistra, una parte molto ampia peraltro, non sapeva decidersi: certo che lo Stato deve distruggere il terrorismo, deve farlo con tutta la forza e gli strumenti di cui dispone e deve farlo in maniera ferma. Ma, d’altra parte, come negarlo, le Brigate rosse sono fatte di rivoluzionari e i rivoluzionari per definizione devono attaccare lo Stato e dunque fanno il loro dovere di ribelli e non li si può biasimare per la violenza che usano. Fra Stato e brigatisti, chi scegliere? Tutti colpevoli, tutti innocenti, tutti giustificabili, tutti condannabili....

Tranne uno che è, avrete indovinato, il cavaliere del lavoro, dottor onorevole signor presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che è sempre colpevole senza se e senza ma, a prescindere. Questo è un fenomeno curioso. Io non sono, come è noto, un difensore e un fan dello stile di vita di quest’uomo e ne ho scritte tante e tali sul suo conto da convincere questo stesso Giornale che avete in mano a titolare uno sventurato articolo così: «Guzzanti come Travaglio», intendendo uno affetto da un antiberlusconismo quasi razziale, chiuso persino alle sfumature. Non, non sono un berlusconiano fanatico an­che se ho creduto in una rivoluzione libe­rale che non si è mai vista, e non sono un antiberlusconiano razzista. Il punto è che non mi è mai sfuggito e meno che mai mi sfugge oggi questo fatto, che ha a che fare con l’antropologia, con la storia del costume, forse con l’esoterismo. E cioè che se si tratta di Berlusconi, inno­cente o colpevole che sia, scatta un rifles­so condizionato di colpevolezza preven­tiva, anch’essa a prescindere. Io sono convinto che Berlusconi, come tutti i grandi tycoon italiani, ne abbia combina­te più di Carlo in Francia. E penso che se quest’uomo è accusato debba essere pro­ces­sato in maniera riconducibile alla tra­dizione democratica occidentale, senza trattamenti speciali,in un senso o nell’al­tro e sempre avendo ben presente che le costituzioni liberali contengono sempre meccanismi di tutela dell’esecutivo da eventuali tentazioni del sistema giudizia­rio di sovrapporsi a esso e prendere il co­mando. Io penso che Berlusconi si deb­ba far processare senza protestare, ma penso anche che il modo in cui vengono condotte le accuse contro di lui e la sua parte politica contengano sempre e in tutta evidenza anche, sottolineo l’an­che, una parte politica indebita e impro­pria che in qualche misura altera e modi­fica, a senso unico,l’atteggiamento pub­blico, e del pubblico nei suoi confronti.

Quando si tratta di lui, questo è crona­ca, non si vede mai quell’atteggiamento da «Sì, forse è colpevole, ma...» o «Sì, for­se è innocente ma...». No, nel suo caso, e soltanto nel suo e fin dal giorno in cui l’imprenditore Berlusconi è diventato il politico Berlusconi (ereditando in bloc­co l’eredità nera ed esoterica dell’anti­craxismo viscerale) la tempesta delle ac­cuse credibili e meno credibili, di ogni sorta e verso, dalla mafia al terrorismo, al pubblico al privato, si è scatenata come uno tsunami continuo. Si badi bene, non sto sostenendo qui una tesi innocentista a priori, ma non può sfuggire che dal gior­no in cui Berlusconi diventa un politico e minaccia di far saltare (come farà salta­re) certi piani e programmi politici, si ve­de applicare un pregiudizio di colpevoli­smo a prescindere, qualcosa di totaliz­zante, senza incrinature, senza dubbi e tentennamenti, come se di colpo fossi­mo diventati un Paese anglosassone, quelli in cui le cose, e le verità e i verdetti, sono sempre bianchi e neri, mai sulle sfu­mature del grigio.

Le sfumature si applicano, e generosa­mente, a Sofri e stragisti, mafiosi e libici in quanto probabili autori della strage di Ustica, a brigatisti e giovani assassini (ricordate la povera piccola Erika che scannò il fratello nella vasca da bagno dopo aver fatto fuori la mamma? Non fu, in fondo, adorabile?), a nessuno si nega non solo l’attenuante, ma il beneficio del dubbio.... A tutti, salvo che a questo grand villain Berlusconi che è avviato a correre sulle orme del cinghialone Craxi inseguito dalle picche e dagli spiedi di una torma di cavalieri con la celata sem­pre calata.

Ancora sulla casta

... dire una cosa come "da qual pulpito" (gli scrittori di questo articolo) è ancora dire poco... ma tant'è che certe storie vanno lette con attenzione anche se poi avremo un grosso sversamento di bile.


No, non possono chiedere ai cittadini di fidarsi ancora. Se Gianfranco Fini si dice «certo», in una lettera a il Fatto quotidiano, che «entrambe le Camere faranno la loro parte» e che i tagli ai costi della politica saranno «votati in Aula prima della pausa estiva» non può pretendere che gli italiani gli credano sulla parola. Sono stati già scottati troppe volte. Carta canta. Le promesse, le rassicurazioni e gli impegni non bastano più. Il presidente della Camera, nella sua prima intervista dopo l'insediamento, convenne che «il primo dei buoni esempi che devono dare i parlamentari è quello della presenza» perché «il vero costo che produce la "casta" è quello della improduttività». E ammonì: «I parlamentari devono essere presenti e lavorare da lunedì a venerdì, non tre giorni a settimana». Risultato? Prendiamo quest'anno: dal 1° gennaio a oggi, su 28 venerdì in calendario, quelli con sedute in Aula sono stati 2. Non sarà colpa sua, ma è così.

Quanto a palazzo Madama, Renato Schifani si prese mesi fa lo sfizio, nel corso della seduta imposta per varare la riforma universitaria voluta dal governo, di bacchettare i soliti criticoni: «Oggi, 23 dicembre, antivigilia di Natale, siamo qui a lavorare». Ciò detto, diede appuntamento a tutti al 12 gennaio 2011: 20 giorni dopo. Da allora, l'Aula è stata convocata 68 giorni su 198 e mai (mai!) di venerdì. Come del resto era successo in tutto il 2010: mai. C'è il lavoro in commissione? Anche a Washington. Eppure lì, dice uno studio di Antonio Merlo della Pennsylvania University, il Senato lavora in media 180 giorni l'anno: il 54% in più. Con un assenteismo 10 volte più basso.

Quanto ai costi, la Camera e il Senato Usa nel 2011 pesano insieme sulle pubbliche casse circa cento milioni meno dei nostri. Ma in rapporto alla popolazione, ogni americano spende per il suo Parlamento 5,10 euro l'anno, ogni italiano 27,40: cinque volte e mezzo di più. Diranno: ma poi lì ci sono i parlamenti statali. Vero: ma in California c'è un parlamentare locale ogni 299mila abitanti, in Lombardia ogni 124mila. Nel Molise ogni 10.659. Questo è il quadro. C'è poi da stupirsi se una pagina di Facebook aperta domenica mattina da un anonimo ex dipendente della Camera deciso a vuotare il sacco sotto il titolo «I segreti della casta di Montecitorio», alle otto di sera aveva 135 mila «amici»? L'impressione netta è che, mentre chiedono ai cittadini di mettersi «una mano sul cuore e una sul portafoglio», per usare un antico appello di Giuliano Amato riproposto da chi aveva seminato l'illusione di non mettere mai le mani nelle tasche degli italiani, quelli che Giulio Einaudi chiamava «i Padreterni», non si rendano conto che il rifiuto di associarsi a questi sacrifici rischia di dar fuoco a una polveriera.

Come possono imporre «subito» i ticket sanitari fino a 45,5 euro a operai e impiegati rinviando a «domani» (quando?) l'inasprimento del costo a carico dei parlamentari dell'assistenza sanitaria integrativa? Come possono imporre «subito» un taglio alla rivalutazione delle pensioni oltre i 1.400 euro rinviando a «domani» (quando?) quello dei vitalizi loro, che nel 2009 hanno pesato per 198 milioni di euro e pochi mesi fa sono stati salvati con voto plebiscitario dalla proposta che voleva trasformarli in pensioni «normali» soggette alle regole comuni? Come possono imporre «subito» il raddoppio della tassa sul deposito titoli che colpirà i piccoli risparmiatori rinviando a «domani» (quando?) l'abolizione di quell'infame leggina che consente a chi regala denaro ai partiti di avere sconti fiscali 51 volte più alti di quelli concessi a chi dona soldi alla ricerca sulle leucemie infantili? Nessuno contesta la necessità di provvedimenti anche duri. È irritante subirli dopo aver sentito e risentito che «la crisi è già alle spalle» (Renato Brunetta, agosto 2008), che occorreva «finirla con i corvi del malaugurio» (Claudio Scajola, febbraio 2009) e che chi diffidava dell'ottimismo era un «catastrofista» che alimentava, come tuonò Silvio Berlusconi nel maggio di due anni fa, «una crisi che ha origini soprattutto psicologiche». Ma è così: quando la casa brucia, va spento l'incendio. Costi quel che costi. Ma il golpe notturno che, con un paio di emendamenti pidiellini, ha stravolto all'ultimo istante la manovra di Tremonti che prevedeva l'adeguamento delle indennità dei parlamentari italiani a quelle dei colleghi europei, non è solo un insulto ai cittadini chiamati a farsi carico della crisi. È una scelta che rischia di delegittimare la stessa manovra delegittimando insieme la classe dirigente che la propone al Paese. Non è più una questione solo economica: è una questione che riguarda il decoro delle istituzioni. La rappresentanza. La democrazia stessa.

Il governo, la maggioranza e la stessa opposizione sono certi di essere nel giusto e che quanto prima metteranno mano sul serio ai costi della politica? Mettano da subito tutti i costi in piazza, su Internet. Tutto pubblico: stipendi, prebende, assunzioni, distribuzione delle cariche, consulenze, curriculum dei prescelti, voli blu, passeggeri a bordo, tutto. Barack Obama, pochi giorni fa, ha rivelato che i suoi più stretti collaboratori alla Casa Bianca prendono al massimo 172.200 dollari lordi: 118.500 euro. Cioè 15 mila in meno di quanto poteva guadagnare quattro anni fa un barbiere del Senato. Hanno o non hanno diritto, anche i cittadini italiani, a essere informati? È stupefacente, oltre che offensivo, che in un momento di difficoltà qual è questo, una classe politica obbligata a farsi «capire» da un Paese scosso, impoverito, spaventato, non capisca la drammatica urgenza di una svolta. Ed è sconcertante che ancora una volta, a chi chiede conto dell'arroccamento in difesa delle Province o dei rimborsi elettorali cresciuti fra il 1999 e 2008 addirittura 26 volte di più del parallelo aumento degli stipendi dei dipendenti pubblici (per non dire di quelli privati...) risponda rinviando tutto a una riforma complessiva ormai entrata nel mito come l'«Isola che non c'è» di Peter Pan. Una riforma che, in un futuro rosa pastello, vedrà finalmente ricomporsi in un magico e perfetto equilibrio la Camera e il Senato, il Quirinale e le città metropolitane, le province e le circoscrizioni e i bacini imbriferi montani. Un mondo meraviglioso dove tutti vivremo finalmente felici e contenti. Con Biancaneve, Pocahontas, Cip e Ciop.

Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella

domenica 17 luglio 2011

Gianfranzo Fini e la casta...


Roma - Anti Cav, anti casta, anti politica. E' questa la nuova battaglia politica della sinistra che da Antonio Di Pietro a Gianfranco Fini, passando per il Fatto Quotidiano, viene mossa per screditare il governo e far crescere l'impopolarità contro i politici. Mentre un ex precario della Camera pubblica su Facebook i "segreti della casta", il presidente della Camera accoglie la battaglia lanciata dal quotidiano diretto da Antonio Padellaro e scrive una lettera per promettere imminenti tagli ai costi di Montecitorio. E' l'ennesimo tentativo di cavalcare la pancia del popolo antiberlusconiano per mandare a casa il governo: una ramanzina che stona se arriva da una carica istituzionale che da mesi non è più super partes come invece dovrebbe essere. Ma Francesco Storace non ci sta: "E' apprezzabile che Fini vesta improvvisamente i panni dell’anticasta. Peccato però che sia in fuga di fronte al giudice civile per la casa di Montecarlo".

Non è solito prendere la penna in mano e scrivere. Questa volta Fini l'ha fatto per inseguire la battaglia del Fatto contro la casta. "Condivido l’appello affinché il Parlamento faccia tutto quanto è in suo potere per convincere gli italiani che le Camere non sono il luogo dove una casta privilegiata si chiude a difesa dei suoi interessi - scrive il leader di Futuro e Libertà - sono certo che entrambe le Camere faranno la loro parte e, per quanto riguarda Montecitorio, insieme al Collegio dei Questori metterò a punto le proposte di riduzione dei costi e di trasparenza, che entro luglio saranno discusse dall’Ufficio di presidenza e votate in Aula prima della pausa estiva". Una risposta all’editoriale di Furio Colombo di venerdì dedicato all’intoccabilità dei costi della politica rispetto alla manovra "di classe" che ricade pesantemente "sui pensionati e sui poveri, sulle madri e sugli ammalati". "Il parlamento - aveva scritto Colombo - ha l’ultima occasione per restare agganciato ai sentimenti del paese, invece che apparire contraddizione, privilegio e ostacolo". "Le possibilità di farlo - risponde Fini - ci sono. C’è materiale per tagli significativi. Va verificato se c’è la volontà di farlo".

Come Fini anche Di Pietro non aspetta un momento di più a cavalcare i mal di pancia degli anti casta. E promette ciò che meglio riesce: una manifestazione di piazza per contestare il governo. "Se la casta continuerà a difendere i suoi privilegi ci sarà una ribellione sociale di enormi proporzioni - tuona il leader Idv - per questo io propongo di scendere in piazza alla fine di settembre per una manifestazione unitaria di dimensioni mai viste e con una mobilitazione senza precedenti". Contro la casta al potere: è lo slogan dell'ex pm che la casta la conosce bene, dal momento che è in politica ormai da diversi anni. "Per l'eliminazione delle province, dei rimborsi elettorali, dei voli e delle auto blu, per il dimezzamento dei parlamentari, per l'abolizione dei vitalizi, per il blocco delle consulenze, e per la lotta all'evasione fiscale - continua Di Pietro - parliamone, discutiamo e organizziamoci: sarà l'inizio di una nuova stagione, finalmente, nell'interesse dell'Italia e non di pochi privilegiati". Mentre è caccia all’identità del precario che lavorava a Montecitorio e che ha aperto una pagina su Facebook per svelare tutti i privilegi (nascosti e non) della casta, l'opposizione prova a usare quest'odio contro la politica come leva per far traballare il governo.... In realtà, fa sorridere che questa battaglia sia portata avanti da politici - come Fini e Di Pietro - che fanno parte della casta politica ormai da innumerevoli anni.

Condotta antisindacale???


MILANO - L'accordo fatto a Pomigliano tra Fiat e Cisl e Uil è perfettamente legittimo, ma il comportamento dell'azienda automobilistica è stato antisindacale. Respinte quindi tutte le richieste contrattuali della Fiom ma, al tempo stesso, dichiarazione di comportamento antisindacale da parte della Fiat. È questo il senso della sentenza del tribunale di Torino sulla newcom di Pomigliano. Nel dispositivo della sentenza il giudice Vincenzo Ciocchetti dichiara antisindacale la condotta posta in essere da Fiat Spa, Fiat Group Automobiles Spa, Fabbrica Italia Pomigliano Spa poichè determina, quale effetto conseguente, l'estromissione di Fiom Cgil dal sito produttivo di Pomigliano d'Arco. Il giudice inoltre ordina a Fabbrica Italia Pomigliano Spa di riconoscere in favore di Fiom Cgil la disciplina giuridica come regolato dal titolo terzo (dell'attività sindacale).

Ciocchetti a Torino doveva valutare sul ricorso proposto dalla Fiom contro il contratto collettivo di primo livello per lo stabilimento di Pomigliano, siglato il 29 dicembre 2010, che fissa nuove regole di gestione dello stabilimento campano dove la Fiat ha investito 700 milioni di euro per la produzione della nuova Panda, prevista per il prossimo autunno, in tema, tra l'altro, di turni, organizzazione del lavoro, assenteismo e malattia, straordinario. Nel dispositivo il giudice del tribunale del lavoro ha respinto le domande formulate da Fiom Cgil dirette ad ottenere l'illegittimità dei contratti collettivi relativi al sito produttivo di Pomigliano d'Arco. In particolare, il contratto collettivo di lavoro di primo livello stipulato il 29 dicembre scorso da Fiat Spa con le organizzazioni sindacali nazionali e territoriali di Fim, Uilm, Fismic, Ugl, Associazione quadri e capi Fiat e il contratto collettivo aziendale di secondo livello stipulato il 17 febbraio da Fabbrica Italia Pomigliano Spa con le organizzazioni sindacali territoriali di Napoli di Fim, Uilm, Fismic, Ugl e Associazione quadri e capi Fiat.

LA VICENDA - La resa dei conti era cominciata il 18 aprile scorso quando i metalmeccanici della Cgil hanno presentato un'azione legale per contestare la costituzione di una nuova societá, la Fip, Fabbrica Italia Pomigliano. Secondo i legali del sindacato, la newco sarebbe stata voluta dalla Fiat per aggirare l'articolo 2112 del codice civile che vieta di creare nuove aziende con l'obiettivo di modificare i contratti. In più, sempre secondo la Fiom, l'intesa avrebbe avuto anche carattere antisindacale in quanto con il passaggio dalle Rsu alle Rsa, avrebbe permesso solo ai sindacati firmatari dell'accordo, e cioè Fim, Uilm, Fsmic e Ugl, di svolgere attività sindacali, mentre quelli dissenzienti non avrebbero alcuna rappresentanza in fabbrica. La decisione della Fiom di utilizzare la via giudiziaria è stata, però, contestata dalle altre sigle sindacali: Fim e Uilm, qualche giorno prima che si aprisse il dibattimento, lo scorso 18 giugno, hanno depositato un autonomo atto di intervento, spiegando che si trattava di «un atto dovuto per difendere le importanti ragioni sindacali di un accordo che ha assicurato lavoro e prospettive industriali allo stabilimento di Pomigliano». Fismic, invece si è costituita in giudizio con intervento volontario «a tutela esclusiva degli interessi dei lavoratori e degli accordi che sono stati approvati dalla maggioranza dei lavoratori attraverso i referendum», mentre l'Ugl ha depositato una memoria difensiva. Dal canto suo, Fiat ha sempre sostenuto la necessitá di nuove regole per garantire la competitivitá degli stabilimenti italiani, nuove regole in termini di flessibilitá, saturazione degli impianti, volumi prodotti, che richiedono alcune modifiche al contratto nazionale di categoria. Una necessità ribadita anche oggi da Raffaele De Luca, legale del Lingotto, secondo cui «è suggestione dire che la più grande organizzazione sindacale italiana non goda di diritti, quelli non sono in discussione. Quello che qui stiamo discutendo è altro, è il futuro dell'industria italiana per la quale senza quelle poche regole modificate non c'è storia».

I LEGALI FIAT - «La sentenza ci soddisfa a metà»: questo il primo commento degli avvocati Raffaele De Luca e Diego di Rutigliano, legali della Fiat, dopo la sentenza. «La prima parte riconosce piena legittimità delle nuove regole pensate per lo stabilimento di Pomigliano che l'azienda ritiene indispensabili per poter competere in un mercato sempre più globalizzato. La sentenza - aggiungono i legali - ha riconosciuto la legittimità delle deroghe ai contratti collettivi nazionali e la validità dell'impegno del gruppo Fiat e delle quattro organizzazioni sindacali firmatarie. La Fiom, al contrario, ha il mito dell'intangibilità del contratto collettivo nazionale di lavoro che invece è stato demolito dal giudice». «Al contrario riteniamo la seconda parte della sentenza incomprensibile in quanto contrasta apertamente - dicono gli avvocati - con l'articolo 19 dello Statuto dei lavoratori che sancisce il diritto di rappresentanza sindacale soltanto alle organizzazioni sindacali che hanno sottoscritto il contratto». Sulla seconda parte della sentenza, ovvero quella relativa al comportamento antisindacale della Fiat, l'azienda farà ricorso.

SACCONI - «Ad una prima analisi la sentenza conferma la legittimità dell'accordo di Pomigliano e questa è la cosa più importante». Così il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, commenta la sentenza. «A questo punto - aggiunge - la Fiom dovrebbe riflettere sulla strategia dell'autoisolamento e prendere la via della collaborazione con le altre organizzazioni sindacali e con la stessa Fiat nel nome degli investimenti e dell'occupazione».

LANDINI - «La Fiat è stata condannata per comportamento antisindacale e questo è un fatto significativo» ha detto Maurizio Landini, segretario generale della Fiom. «Da tempo - aggiunge - avevamo denunciato che l'esclusione della Fiom dagli stabilimento Fiat era illegittima. Dobbiamo leggere il dispositivo della sentenza, dopodichè valuteremo se avviare delle cause individuali dei singoli lavoratori».

BONANNI - «È una vittoria sul piano sindacale di chi ha ritenuto importante l'investimento ed ha puntato sull'accordo con la Fiat». Così il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, commenta la sentenza sul ricorso Fiom contro la newco Fiat di Pomigliano. «Ma per la Cisl - aggiunge - è anche una vittoria in sede giudiziaria perchè da oggi la Fiom, al contrario di ieri, non ha alcun alibi, visto che ha l'opportunità di rientrare nel gioco democratico ma dovrà rispettare gioco forza la volontà dei lavoratori e degli altri sindacati, assumendosi le proprie responsabilità sugli accordi che a maggioranza si faranno come pattuito dall'accordo interconfederale sottoscritto alcune settimane fa».