Un'illuminazione dopo l’altra. A furia di illuminarsi, finiranno per chiamarlo lampaDario Franceschini. Prima l’idea di giurare sulla Costituzione, come se la carta suprema abbisognasse d’essere impalmata dal segretario del partito democratico. Poi nuova lampadina accesa: l’assegno mensile per i disoccupati, «su cui andremo fino in fondo», nel senso che bisognerà raschiare il "fondo" del barile per trovare i soldi necessari. A seguire, ennesima pensata: l’una tantum per i ricchi, o meglio per quelle 200mila persone che guadagnano più di 120mila euro e li dichiarano onestamente: in pratica un gettito per i presunti beneficiari di 4 euro a testa, e una definizione spiccia, quella di «ricco», che ha fatto dire a Sebastiano Messina su Repubblica: «Grazie al segretario molti italiani hanno fatto il salto; erano ricchi e non se ne sono accorti». Ebbene, flash dopo flash oggi lampaDario è tornato a brillare con un’altra magia. Semplicemente, si è trasformato in Veltroni. Lo ha fatto all’assemblea dei circoli del Pd, fulminato sulla via dello studio 5 di Cinecittà: nel sacro olimpo delle passioni uolteriane, il ragazzo di Ferrara è fatalmente caduto vittima del virus killer del «ma-anche». Sulle alleanze corriamo da soli, dice: «ma anche» in compagnia. Romano Prodi che vuol resuscitare l’Ulivo ha ragione: «ma anche torto». Parola di segretario: «Noi non torneremo all’Unione, a quell’alleanza di 15 sigle che si combattevano tra di loro», però non ci presenteremo mica da soli, no, «avremo pochi alleati con un programma chiaro». E aggiunge: «Ora però è prematuro parlarne». Certo, come no: ora è prematuro. Non è che possiamo decidere tutto adesso. Per ora accontentatevi del nulla, poi domani si vedrà. Il risultato è che il futuro del Pd, allo stato delle cose, è come il cruciverba per esperti della settimana enigmistica: inestricabile. Continueranno sul solco tracciato da Veltroni, oppure daranno retta a Prodi, che in tv chiede espressamente di imbarcare le ali estreme e reimpiantare l’Ulivo nell’orto del centrosinistra? Vacci a capire. Per il momento, sappiamo che il partito avrà degli alleati, forse, può darsi, sappiamo che il partito riaprirà alla sinistra estrema, forse, può darsi, ma comunque guarderà al centro, forse, può darsi, mantenendo un occhio su Di Pietro, forse, può darsi, e in ogni caso questi alleati saranno pochi, forse, può darsi, ma pochi quanti?, chi lo sa, diciamo una manciata, un ventaglio, un pugno di alleati. Insomma, dal discorso di Franceschini emerge una cristallina chiarezza d’intenti degna del miglior Veltroni: del resto, tale segretario, tale vice. Accusa il governo di «coprire la crisi del Paese», cercando al contempo di coprire la propria, di crisi. Dopo il no al piano casa ribadito in tutte le salse, qualcuno in platea avrà pensato: vabbè, ma almeno sull’atteggiamento, sul lessico politico, sulle armi in dotazione, ecco, almeno su quello avranno le idee chiare. Macché: «Diciamo basta con l’antiberlusconismo - tuona il leader - però ciò non toglie che alzeremo la voce quando occorre». Tradotto: saremo intransigenti ma anche permissivi, irremovibili ma anche concilianti, morbidi ma anche duri. Lo spirito sembra quello delle ultime manifestazioni di piazza veltroniane: quando si scendeva in piazza, però «niente spallate», al massimo una spallatina, un pizzicotto, un po’ di solletico, «perché saremo aggressivi ma anche propositivi», antiberlusconiani ma non troppo. Adesso, con Franceschini, l’unica differenza sta nella location: col fatto che siamo a Cinecittà sembrava di stare sul set del film con Michael Douglas: Un giorno di ordinaria follia. E invece no, ad arringare la folla è il segretario vero di un partito vero in un’assise vera. Comunque ci pare un film già visto, una sceneggiatura già orecchiata: per adesso, ci spiace dirlo, ma lo stile retorico del piede in due scarpe è quello di Walter. Un imprinting inconfondibile. Lo capisci da un particolare: il comizio è pieno zeppo di belle parole e buoni propositi. Ma alla fine del discorso, non ti ricordi mai nulla.
domenica 22 marzo 2009
Maanchismi illuminati
Ecco l’ultimo flash di lampaDario: copiare il "ma-anche" di Walter
Un'illuminazione dopo l’altra. A furia di illuminarsi, finiranno per chiamarlo lampaDario Franceschini. Prima l’idea di giurare sulla Costituzione, come se la carta suprema abbisognasse d’essere impalmata dal segretario del partito democratico. Poi nuova lampadina accesa: l’assegno mensile per i disoccupati, «su cui andremo fino in fondo», nel senso che bisognerà raschiare il "fondo" del barile per trovare i soldi necessari. A seguire, ennesima pensata: l’una tantum per i ricchi, o meglio per quelle 200mila persone che guadagnano più di 120mila euro e li dichiarano onestamente: in pratica un gettito per i presunti beneficiari di 4 euro a testa, e una definizione spiccia, quella di «ricco», che ha fatto dire a Sebastiano Messina su Repubblica: «Grazie al segretario molti italiani hanno fatto il salto; erano ricchi e non se ne sono accorti». Ebbene, flash dopo flash oggi lampaDario è tornato a brillare con un’altra magia. Semplicemente, si è trasformato in Veltroni. Lo ha fatto all’assemblea dei circoli del Pd, fulminato sulla via dello studio 5 di Cinecittà: nel sacro olimpo delle passioni uolteriane, il ragazzo di Ferrara è fatalmente caduto vittima del virus killer del «ma-anche». Sulle alleanze corriamo da soli, dice: «ma anche» in compagnia. Romano Prodi che vuol resuscitare l’Ulivo ha ragione: «ma anche torto». Parola di segretario: «Noi non torneremo all’Unione, a quell’alleanza di 15 sigle che si combattevano tra di loro», però non ci presenteremo mica da soli, no, «avremo pochi alleati con un programma chiaro». E aggiunge: «Ora però è prematuro parlarne». Certo, come no: ora è prematuro. Non è che possiamo decidere tutto adesso. Per ora accontentatevi del nulla, poi domani si vedrà. Il risultato è che il futuro del Pd, allo stato delle cose, è come il cruciverba per esperti della settimana enigmistica: inestricabile. Continueranno sul solco tracciato da Veltroni, oppure daranno retta a Prodi, che in tv chiede espressamente di imbarcare le ali estreme e reimpiantare l’Ulivo nell’orto del centrosinistra? Vacci a capire. Per il momento, sappiamo che il partito avrà degli alleati, forse, può darsi, sappiamo che il partito riaprirà alla sinistra estrema, forse, può darsi, ma comunque guarderà al centro, forse, può darsi, mantenendo un occhio su Di Pietro, forse, può darsi, e in ogni caso questi alleati saranno pochi, forse, può darsi, ma pochi quanti?, chi lo sa, diciamo una manciata, un ventaglio, un pugno di alleati. Insomma, dal discorso di Franceschini emerge una cristallina chiarezza d’intenti degna del miglior Veltroni: del resto, tale segretario, tale vice. Accusa il governo di «coprire la crisi del Paese», cercando al contempo di coprire la propria, di crisi. Dopo il no al piano casa ribadito in tutte le salse, qualcuno in platea avrà pensato: vabbè, ma almeno sull’atteggiamento, sul lessico politico, sulle armi in dotazione, ecco, almeno su quello avranno le idee chiare. Macché: «Diciamo basta con l’antiberlusconismo - tuona il leader - però ciò non toglie che alzeremo la voce quando occorre». Tradotto: saremo intransigenti ma anche permissivi, irremovibili ma anche concilianti, morbidi ma anche duri. Lo spirito sembra quello delle ultime manifestazioni di piazza veltroniane: quando si scendeva in piazza, però «niente spallate», al massimo una spallatina, un pizzicotto, un po’ di solletico, «perché saremo aggressivi ma anche propositivi», antiberlusconiani ma non troppo. Adesso, con Franceschini, l’unica differenza sta nella location: col fatto che siamo a Cinecittà sembrava di stare sul set del film con Michael Douglas: Un giorno di ordinaria follia. E invece no, ad arringare la folla è il segretario vero di un partito vero in un’assise vera. Comunque ci pare un film già visto, una sceneggiatura già orecchiata: per adesso, ci spiace dirlo, ma lo stile retorico del piede in due scarpe è quello di Walter. Un imprinting inconfondibile. Lo capisci da un particolare: il comizio è pieno zeppo di belle parole e buoni propositi. Ma alla fine del discorso, non ti ricordi mai nulla.
Un'illuminazione dopo l’altra. A furia di illuminarsi, finiranno per chiamarlo lampaDario Franceschini. Prima l’idea di giurare sulla Costituzione, come se la carta suprema abbisognasse d’essere impalmata dal segretario del partito democratico. Poi nuova lampadina accesa: l’assegno mensile per i disoccupati, «su cui andremo fino in fondo», nel senso che bisognerà raschiare il "fondo" del barile per trovare i soldi necessari. A seguire, ennesima pensata: l’una tantum per i ricchi, o meglio per quelle 200mila persone che guadagnano più di 120mila euro e li dichiarano onestamente: in pratica un gettito per i presunti beneficiari di 4 euro a testa, e una definizione spiccia, quella di «ricco», che ha fatto dire a Sebastiano Messina su Repubblica: «Grazie al segretario molti italiani hanno fatto il salto; erano ricchi e non se ne sono accorti». Ebbene, flash dopo flash oggi lampaDario è tornato a brillare con un’altra magia. Semplicemente, si è trasformato in Veltroni. Lo ha fatto all’assemblea dei circoli del Pd, fulminato sulla via dello studio 5 di Cinecittà: nel sacro olimpo delle passioni uolteriane, il ragazzo di Ferrara è fatalmente caduto vittima del virus killer del «ma-anche». Sulle alleanze corriamo da soli, dice: «ma anche» in compagnia. Romano Prodi che vuol resuscitare l’Ulivo ha ragione: «ma anche torto». Parola di segretario: «Noi non torneremo all’Unione, a quell’alleanza di 15 sigle che si combattevano tra di loro», però non ci presenteremo mica da soli, no, «avremo pochi alleati con un programma chiaro». E aggiunge: «Ora però è prematuro parlarne». Certo, come no: ora è prematuro. Non è che possiamo decidere tutto adesso. Per ora accontentatevi del nulla, poi domani si vedrà. Il risultato è che il futuro del Pd, allo stato delle cose, è come il cruciverba per esperti della settimana enigmistica: inestricabile. Continueranno sul solco tracciato da Veltroni, oppure daranno retta a Prodi, che in tv chiede espressamente di imbarcare le ali estreme e reimpiantare l’Ulivo nell’orto del centrosinistra? Vacci a capire. Per il momento, sappiamo che il partito avrà degli alleati, forse, può darsi, sappiamo che il partito riaprirà alla sinistra estrema, forse, può darsi, ma comunque guarderà al centro, forse, può darsi, mantenendo un occhio su Di Pietro, forse, può darsi, e in ogni caso questi alleati saranno pochi, forse, può darsi, ma pochi quanti?, chi lo sa, diciamo una manciata, un ventaglio, un pugno di alleati. Insomma, dal discorso di Franceschini emerge una cristallina chiarezza d’intenti degna del miglior Veltroni: del resto, tale segretario, tale vice. Accusa il governo di «coprire la crisi del Paese», cercando al contempo di coprire la propria, di crisi. Dopo il no al piano casa ribadito in tutte le salse, qualcuno in platea avrà pensato: vabbè, ma almeno sull’atteggiamento, sul lessico politico, sulle armi in dotazione, ecco, almeno su quello avranno le idee chiare. Macché: «Diciamo basta con l’antiberlusconismo - tuona il leader - però ciò non toglie che alzeremo la voce quando occorre». Tradotto: saremo intransigenti ma anche permissivi, irremovibili ma anche concilianti, morbidi ma anche duri. Lo spirito sembra quello delle ultime manifestazioni di piazza veltroniane: quando si scendeva in piazza, però «niente spallate», al massimo una spallatina, un pizzicotto, un po’ di solletico, «perché saremo aggressivi ma anche propositivi», antiberlusconiani ma non troppo. Adesso, con Franceschini, l’unica differenza sta nella location: col fatto che siamo a Cinecittà sembrava di stare sul set del film con Michael Douglas: Un giorno di ordinaria follia. E invece no, ad arringare la folla è il segretario vero di un partito vero in un’assise vera. Comunque ci pare un film già visto, una sceneggiatura già orecchiata: per adesso, ci spiace dirlo, ma lo stile retorico del piede in due scarpe è quello di Walter. Un imprinting inconfondibile. Lo capisci da un particolare: il comizio è pieno zeppo di belle parole e buoni propositi. Ma alla fine del discorso, non ti ricordi mai nulla.
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