martedì 29 novembre 2011

Conflitti d'interesse? Ma stiamo scherzando?


Non parlategli di conflitto d'interessi e di lentezza nella scelta di sottosegretari e viceministri. Mario Monti non accetta critiche né dubbi sulla composizione della sua squadra. "Attenti a parlare di conflitto di interessi rispetto al quale saremo trasparenti. Chi nella società civile ha avuto delle competenze ed ha fatto la scelta di entrare nel governo, non lo ha fatto per trascinare le esperienze passate", ha assicurato il nuovo presidente del Consiglio che ha avvisato: "Molte delle persone che sono qui hanno rinunciato a trattamenti economici superiori e a carriere. Attenti quindi a parlare di conflitti di interesse". Il premier non nutre alcun dubbio sulla qualità della sua compagine di governo. "Questa è una squadra snella e forte, in termini di numeri rispetto al precedente governo il numero di persone che siederanno in Consiglio dei ministri scenderà da 26 a 19 mentre il numero di sottosegretari scende da 40 a 28", ha affermato il premier, nel corso della cerimonia di giuramento dei sottosegretari nella sala dei Galeoni di palazzo Chigi. Poi la precisazione: "Sarà una squadra al servizio del Paese". Il nuovo governo "chiamato tecnico" è un esecutivo che "ha una cifra di competenza" e, allo stesso tempo, "si pone con umiltà, come abbiamo cominciato a fare da alcuni giorni, al servizio del Parlamento", ha tenuto a sottolineare l'economista. "È stato osservato che ho impiegato più tempo del previsto a comporre la squadra di governo. É vero, ma le condizioni di emergenza, che hanno determinato la necessità di formare questo governo non mi hanno consentito di dedicarmi 24 ore su 24 alla composizione della squadra", ha dichiarato Monti, rispondendo a chi lo accusava di un eccessiva lentezza nella scelta dei componenti del governo.

E per chi avesse qualche dubbio sul rapporto che ci sarà tra l'esecutivo e il Parlamento, Monti rassicura: "Aiuteremo l’Italia ad uscire da questa situazione difficile e aiuteremo le forze politiche a ritrovare un clima di riconciliazione con l’opinione pubblica". Insomma, il Parlamento, per Monti Il governo aiuterà le forze politiche a ritrovare un clima più sereno e una riconciliazione con l’opinione pubblica". "Anche la stampa che ci osserva e che critica quando necessario e che mi auguro continui a farlo, ha capito come è il rapporto tra la politica e il governo: un rapporto costruttivo che comporta un’innovazione statico-dinamica perché in Parlamento abbiamo ricevuto la fiducia da forze politiche che erano in perenne dissenso fino a poco tempo fa e che ora fanno lo sforzo di guardare a noi e non le une alle altre. Quindi in ogni momento sarà un rapporto essenzialmente costruttivo, siamo molto rispettati dalle forze politiche", ha concluso Monti.

La squadra del governo Monti. No, non esiste alcun conflitto d'interesse. Nomi, cognomi e curricula. Così, giusto per farsene una idea...

domenica 27 novembre 2011

Guadagnare (con l'immigrazione) a spese altrui


CITTA' DEL VATICANO - A poche ore dal naufragio di immigrati a largo di Brindisi, la Chiesa italiana fa sentire la sua voce sul tema dell'immigrazione. Per chiedere, innanzitutto, di "rivedere le quote per gli ingressi in Italia e in Europa, in particolare dai Paesi mediterranei che vivono rivolte e instabilità. Altrimenti avremo altri tragici arrivi". A parlare, ai microfoni di Radio Vaticana, è monsignor Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes. Il ragionamento, ampiamente condiviso nel mondo cattolico, è chiaro: offrire maggiore possibilità di ingresso legale in Italia per evitare viaggi della disperazione che comunque nessuno riuscirà a fermare.

La linea di Monsignor Perego sull'immigrazione si sviluppa su tre piani: "Credo che occorra lavorare maggiormente per creare dei canali protetti, soprattutto in questa stagione, con la situazione del mare che non sempre è favorevole". "Un secondo lavoro - prosegue - è puntare sulla cooperazione internazionale che, anche alla luce della crisi, si era praticamente azzerata o quasi". E poi, il cuore del problema: "Provare a rileggere anche la modalità con cui entrano gli stranieri in Italia e in altri Paesi in Europa, per dare quote maggiori soprattutto ad alcuni Paesi che in questo momento sono al di là del Mediterraneo e vivono la drammatica situazione di rivoluzioni e di instabilità". "Diversamente - avverte - potremmo assistere a nuovi arrivi che si risolvono in una drammatica situazione, come per alcuni di quelli che volevano sbarcare in Puglia". Il tema dell'immigrazione, negli ultimi giorni, è tornato centrale nel dibattito politico. Soprattutto dopo l'intervento del presidente Napolitano a favore della cittadinanza ai bambini nati nel nostro Paese. Progetto che sta a cuore al nuovo ministro della cooperazione Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio, uno dei cattolici doc nella squadra di governo targata Monti.

Milanistan...

... e le preghiere islamiche a spese dei contribuenti (italiani)


Novantamila euro per tre mesi. Quasi mille al giorno, dallo scorso ottobre a metà gennaio. Tanto spende il Comune per affittare i due tendoni allestiti davanti al Palasharp per la preghiera islamica del venerdì. Una soluzione condivisa con il presidente del Centro culturale di viale Jenner, Shaari, dopo lo sgombero del palazzetto che a gennaio verrà demolito. E non dovrebbero lamentarsi, visto che per usare le tensostrutture restituisce al Comune solo mille euro al mese. Con l'ex giunta Moratti dovevano pagare l'affitto anche a MilanoSport per l'area della piscina Scarioni. E il gestore del Palasharp assicura di non aver «mai ricevuto dal Comune un euro in 3 anni e mezzo per far pregare i musulmani». Quando l'impianto era occupato da eventi, metteva a disposizione un tendone a fianco. Ma Togni a ottobre ha dovuto smantellarlo. Il Comune ha fatto piazzare le strutture prese in affitto a 90mila euro per i tre mesi. E il Pdl Alan Rizzi prepara un'interrogazione: «Sembra la premessa alle moschee gratis. La giunta chiarisca cosa intende fare nel 2012, se confermerà i tendoni i milanesi spenderanno 400mila euro».

sabato 26 novembre 2011

La dittatura europea

La dittatura europea di Ida Magli

Adesso che la dittatura si è instaurata ufficialmente e con il consenso di coloro che dovevano difendere la democrazia, possiamo trarre le conseguenze di quanto è accaduto con la sicurezza di essere nel giusto. Tutto questo era infatti già stato previsto più di un anno fa e reso pubblico con il libro intitolato appunto: “La dittatura europea”. L’unica differenza consiste nel nome di Monti invece di quello di Draghi, che avevo indicato come primo instauratore della dittatura dei banchieri soltanto perché non era ancora avvenuta la sua nomina a capo della Banca centrale europea, ma si trattava di nomi interscambiabili. Il Capo dello Stato finalmente respira l’aria a lui più congeniale. L’internazionalismo mondialista, che è stato sempre indispensabile ai banchieri, sono stati però i comunisti a teorizzarlo e a perseguirlo per primi dal punto di vista politico. Per Lenin non esistevano né nazioni né città capitali: qualsiasi città poteva essere la capitale del mondo e nulla gli era più odioso del nazionalismo e delle patrie. Napolitano, dunque, procede senza remore, non essendo più l’Italia una repubblica parlamentare, a usare della sua autorità e del suo potere per additare la strada giusta dell’uguaglianza comunista. In primis, ovviamente, in odio all’Italia e all’italianità, la cittadinanza agli stranieri. La maggioranza degli Italiani non lo vuole? Suvvia, imparate ad essere giusti e buoni, perché è questo il compito della politica comunista: educare i cittadini. E poi, che importanza volete mai che abbia una cittadinanza? Per i dittatori d’Europa nulla o quasi, visto che hanno imposto con sfrontata disinvoltura agli oltre 500 milioni di sudditi la cittadinanza europea ben sapendo che non è valida dato che l’Ue non è uno Stato. Coraggio, dunque, il più in fretta possibile verso il multiculturalismo e il mondialismo. Pagano i cittadini, mica i dittatori. L’importante è raggiungere lo scopo: cancellare gli Stati nazionali, privandoli di ogni potere. L’Europa à già a buon punto. Nessuno pensi che ci sia qualcuno fra i banchieri e i politici che si preoccupi delle questioni finanziarie, dei debiti pubblici, di quanto perde la Borsa o di quanto sale il famoso “spread”. Era questo che volevano: affondarci tramite il debito e ci stanno riuscendo a meraviglia. L’operazione si è dimostrata forse un po’ troppo lenta per i loro gusti: per questo hanno deciso di mettere l’acceleratore dissestando i governi. La prima a caderci è stata l’Italia. L’operazione Monti serviva a questo. Nessuno Stato, infatti, è tanto debole quanto quello che, privo del governo legittimo, improvvisa cariche politiche, riduce a marionette i rappresentanti votati dal popolo e inventa soluzioni alla giornata. E’ debole in sé, ma è ancor più debole agli occhi del mondo, inclusi ovviamente quelli dei mercati di cui si cercava la fiducia. E’ sufficiente il buon senso per capirlo: è troppo evidente. I banchieri e i politici europeisti ci hanno ingannato, atrocemente ingannato, cari Italiani, dicendo che ci saremmo salvati con “un uomo forte”, e gettandoci così allo sbaraglio di un’azione politica d’emergenza e priva di regole. Indebolire gli Stati svuotando la democrazia di ogni significato e di ogni potere è infatti il loro scopo: assediarli giorno per giorno, ora per ora, con il crescendo del panico per il debito è soltanto il loro strumento.

Isole Cook, Mauritius, lodi e calma...


MILANO - Le manovre di bilancio di Monti «sono avvolte nella nebbia» e «gli italiani che hanno riposto fiducia in lui stanno diventando un pò nervosi», dopo che «in cima all'agenda di un atteso cdm c'è stata la discussione di accordi bilaterali con le Mauritius e le Isole Cook e una legge per fermare dannosi sistemi antivegetativi sulle barche i cui effetti prevedono la crescita di organi genitali maschili sulle conchiglie di mare». Critico e caustico il commento del Financial Times sul «battesimo di fuoco» del premier Mario Monti. «Mentre tutti aspettano di sapere dove cadrà la scure di bilancio, non c'è ancora chiarezza sulle misure di emergenza pianificate». E il comunicato ufficiale del Cdm «ha fatto poco per aumentare la fiducia».

Qui e anche qui. E qui ci sono ancora dei perfetti coglioni che lodano il governo dei miracoli.

Integrazione


BRESCELLO (Reggio Emilia) - Nella mano sinistra stringeva l'atto di separazione chiesto dalla moglie Rachida alle autorità marocchine: il grande affronto. Nella destra, il martello: la punizione. Uno, due, tre, dieci colpi per spezzare quella donna che gli stava sfuggendo, che «voleva cambiare vita», che aveva smesso di portare il velo, si sforzava di parlare italiano, frequentava altre mamme e aveva trovato negli ambienti della parrocchia, tra i volontari della Caritas e il gruppo ricreativo per i bambini, aiuto, solidarietà e parole nuove. Intollerabile per Mohamed El Ayani, 39 anni, figlio del profondo Marocco, musulmano osservante, la famiglia vissuta come una proprietà. La sola idea che qualche amico potesse irriderlo per le frequentazioni cattoliche della sua donna ha spento anche l'ultima luce nella mente dell'uomo, che ha colpito Rachida Radi, 35 anni, fino a sfondarle il cranio. «Voleva lasciarmi...» ha poi biascicato in uno sdrucciolevole italiano ai carabinieri, ai quali si è presentato un'ora dopo, insanguinato e con in braccio la figlia piccola di 4 anni, che probabilmente ha assistito al delitto, è il sospetto degli inquirenti, anche se l'omicida confusamente nega. Rachida è rimasta nel soggiorno di via Manzoni, in un lago di sangue: e solo per caso la figlia grande di 11 anni, che rientrava da scuola, non si è imbattuta in quel cadavere deturpato. Non è molto importante a questo punto sapere se El Ayani, a 7 giorni da quel delitto che ha fatto piangere Sorbolo Levante, frazione di Brescello, terra di Po, pioppeti, Peppone e don Camillo, sia pentito o abbia la minima coscienza dell'orrore commesso.

È Rachida, solo lei, che ci interessa. Il suo martirio. Il suo sogno spezzato. Ennesimo volto di quella guerra troppo spesso dimenticata, e dove le vittime sono sempre e solo da una parte, che ha fatto ieri da sfondo alla Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, a firma delle Nazioni Unite. Donne immigrate che pagano con la vita il tentativo di sottrarsi al giogo medievale di mariti e parenti. El Ayani, come decine di altri padri padroni, è un uomo che non aveva capito niente. Non aveva capito che Rachida, anche se tutte le notti si coricava al suo fianco, lo aveva lasciato da un pezzo. Non aveva capito che lui e la moglie erano due lontanissimi pianeti sotto lo stesso tetto. Lui, un lavoro in un'impresa di pulizie a Parma, pochi amici e nessuna frequentazione a Sorbolo Levante. Era arrivato in Italia nel '95. Schivo, silenzioso, incapace di fronteggiare la voglia di autonomia della moglie e della figlia più grande. Lei, l'esatto contrario. «Aveva una grande voglia di integrarsi» racconta il sindaco, Giuseppe Vezzani. Per arrotondare il bilancio domestico, faceva lavoretti per la parrocchia, ma, più che i pacchi dono che ogni tanto riceveva, a Rachida interessava conoscere persone nuove. «La sua vita con il marito era diventata un inferno, spesso lui alzava le mani: lei non l'ha mai denunciato, ma l'estate scorsa, approfittando di un viaggio in Marocco, aveva avviato le pratiche per la separazione» raccontano alcuni volontari di un'associazione cattolica. Parlare di conversione, non è tecnicamente esatto. Quello di Rachida, come spiega chi la frequentava, «si configurava come un graduale percorso verso un mondo e una fede completamente nuovi». Il giorno della mattanza, il parroco di Brescello, don Giovanni, è stato tra i primi a precipitarsi nella casa di via Manzoni. Impietrito davanti a quel sangue, si è messo a pregare. E la sera, in chiesa, ha ricordato così Rachida: «Il nostro pensiero va a una giovane donna, che non è più davanti ai nostri occhi, ma davanti agli occhi di Dio».

Francesco Alberti

venerdì 25 novembre 2011

Le misure impressionanti... con calma


ROMA - Mario Monti gioca d'anticipo sull'Unione Europea. Il governo potrebbe infatti istituire in tempi piuttosto brevi un ufficio autonomo per la verifica della spesa pubblica. La creazione di un'authority indipendente sui conti pubblici è stata proposta appena due giorni fa dalla Commissione europea tra gli strumenti di rafforzamento della vigilanza e di governo della zona euro con i quali accompagnare l'eventuale emissione degli eurobond. Ma senza aspettare le obbligazioni comunitarie, né tantomeno la discussione e poi l'adozione formale del regolamento della Commissione, l'Italia sembra già pronta a partire. La proposta di un'autorità indipendente per vigilare sulla finanza pubblica potrebbe spuntare già martedì prossimo nell'Aula della Camera, quando il governo presenterà il nuovo testo del disegno di legge costituzionale per la riforma dell'articolo 81 della Carta con l'introduzione del vincolo al pareggio di bilancio. Il testo presentato dall'ex ministro Giulio Tremonti viene ritenuto dal nuovo esecutivo troppo dettagliato e pesante, con il rischio che si creino problemi in fase di attuazione.

Pietro Giarda, il ministro dei Rapporti con il Parlamento che segue i lavori sul ddl alla Camera, ha fatto sapere che il governo preferirebbe un testo più snello del nuovo articolo 81 della Costituzione, rinviando i dettagli alla legislazione attuativa. Dove troverebbe spazio anche l'ufficio indipendente sui conti pubblici. L'embrione dovrebbe essere quello dei Servizi bilancio di Camera e Senato, da raccordare con la Corte dei Conti, la Ragioneria generale dello Stato e la Banca d'Italia, sul modello del Congressional budget office degli Stati Uniti.

Oggi, intanto, nel corso del Consiglio dei ministri si farà un nuovo punto sui lavori per la definizione del pacchetto delle misure per la crescita e la nuova correzione di bilancio, che dovrà essere di almeno 15 miliardi di euro nel prossimo biennio. Il menu è quello anticipato nei giorni scorsi, con una stretta fiscale sulla casa, la revisione delle rendite catastali, una patrimoniale leggera sulle grandi proprietà, forse anche un nuovo aumento dell'Iva. «C'è da correggere la manovra alle nostre spalle; non è credibile reperire 20 miliardi di euro da un taglio dell'assistenza. Bisogna fare altro, bisogna che chi ha di più dia di più. Quindi è molto difficile escludere una patrimoniale da uno sforzo di questo tipo» ha detto ieri il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani.

La patrimoniale non piace a Silvio Berlusconi, ma non pare proprio essere un tabù per il nuovo esecutivo. Corrado Clini, ministro dell'Ambiente, non esclude anzi che proprio da quella tassa possano derivare le risorse per la protezione dell'ambiente dal dissesto idrogeologico. In ogni caso, ha detto Clini, «serve un fondo alimentato dalla fiscalità corrente». Tra le prime misure del governo, attese entro l'8 dicembre, potrebbero esserci anche un piccolo ribasso per l'Irap sul lavoro e gli interventi sulle pensioni e il mercato del lavoro, anche se secondo alcune fonti di Palazzo Chigi, questi interventi potrebbero vedere la luce in un secondo momento, dopo la manovra per la correzione dei conti. In arrivo anche il piano per le dismissioni, la liberalizzazione dei servizi, degli ordini professionali, un intervento per sbloccare i pagamenti della pubblica amministrazione alle imprese. Corrado Passera, superministro dello Sviluppo, ne ha accennato ieri a Bruxelles. Assicurando anche l'arrivo di un nuovo Piano nazionale per l'energia dopo il nucleare. Bisognerà individuare le fonti alternative con le quali coprire il 25% del fabbisogno che avrebbe dovuto essere garantito dal nucleare.

Mario Sensini

Oggi si mormorava anche di creare una tassa sugli animali domestici...

giovedì 24 novembre 2011

Napolitano ordina...

... e gli imbecilli marchigiani (rossi-multikulti-lassisti-traditori) eseguono. Considerando che le marche potrebbero essere annoverate come regione da terzo mondo... ci può anche stare.


PESARO, 24 NOV - La Provincia di Pesaro Urbino concedera' la cittadinanza onoraria ai bambini nati nel Pesarese da immigrati: un atto simbolico, a sostegno della battaglia per il diritto alla cittadinanza italiana di tutti i nati nel nostro Paese, affermato nei giorni scorsi anche dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano. ''Chi nasce in Italia e' italiano'' dice il presidente della Provincia Matteo Ricci (Pd), ed e' arrivato il momento che lo ius soli prenda il posto ius sanguinis''. Ricci conta di organizzare una cerimonia entro l'anno. (ANSA).

Il golpista (2)

Forse, il signor napolitano non sa che gli ospiti d'italia sono anche questi (e i commentatori non sono solo convertiti... tra di loro ci sono anche musulmani di nascita ) e di esempi nel blog di stefania ce ne sono a bizzeffe. Gli islamici odiano i miscredenti ed educano i propri figli a fare altrettanto. E napolitano vuole svendergli la cittadinanza.


Giorgio Napolitano ci ha preso gusto a cavalcare la Costituzione. Sarà l’incenso, che per un politico è il gas più inebriante e al tempo stesso più tossico, sarà il colpo andato a segno con l’imposizione di un governo nato, composto e istruito in qualche salottino del Quirinale, ma il capo dello Stato sembra non aver più freni. Arrivando a definire «una autentica follia» una legge dello Stato che tuttora regola l’acquisizione della cittadinanza. Una legge può piacere o non piacere, ma dichiararla «folle» dando così del pazzo, dell’affetto da gravi turbe mentali all’intero Parlamento che quella legge votò mette i brividi a chiunque abbia a cuore l’armonia democratica del Paese. Comunque, quella è la legge, la numero 91 del 5 febbraio 1992, e quella deve restare perché nulla è intervenuto a farcela credere troppo severa. Molto, invece, a farci temere gli incontrollabili  l’immigrazione, foss’anche «da parto», andrebbe alle stelle e deleteri effetti di una sua revoca a favore del «diritto di suolo», l’automatica cittadinanza a chiunque veda la luce in Italia. Cittadinanza che comunque la legge, così com’è, non nega a nessuno, dopo dieci anni di residenza (ovviamente legale) e in assenza di precedenti penali.

Lo sappiamo tutti che siamo pieni di bambini extracomunitari, che asili e scuole ne straboccano e così gli ospedali. Bambini, per dirla con l’amico Giordano Bruno Guerri, «che vedono gli stessi cartoni, tifano per la stessa squadra, fanno gli stessi giochi» dei bambini italiani. Ma questa è forse una buona ragione per renderceli in blocco connazionali? Possono esser felici, giocare, vedere i cartoni, tifare per l’Inter e farsi curare le tonsille anche così. La cittadinanza non è una casacca da infilarsi come viene viene. Diventare italiani dovrebbe infatti significare far proprie la cultura, le tradizioni, la specifica civiltà degli italiani e tutto nel rispetto delle leggi dello Stato, anche se confliggono con quelle della saharia, mettiamo, o d’altri codici. Quando non si insegue ciò, la cittadinanza è solo un atto burocratico, un timbro. E una rendita. Ora, basta guardarsi attorno: di integrazione compimento naturale della cittadinanza se ne vede pochina. Di figlie islamiche con propensione a integrarsi-occidentalizzarsi, secondo la condanna del padre selvaggiamente picchiate quando non accoppate, quelle, invece, non mancano. Né mancano le casbah, il persistente svolazzo di chador o altri panneggi e la martellante rivendicazione, da parte dei gentili ospiti, della propria identità. Che è altra: rispettabile, certo, ma altra. E i piccoli nati in Italia che si vorrebbero connazionali già dal primo vagito, dove crescerebbero? Nei giardini del Quirinale con nonno Giorgio nelle vesti di educatore civico che magnifica la cultura, la storia, la civiltà e la tradizione del Bel Paese? O non piuttosto in quelle enclaves islamiche o animiste, poco conta, degli alloggi dei genitori, dove a essere magnificata e imposta è la loro di cultura, civiltà, e tradizione? A nonno Giorgio tutto ciò interessa poco, tanto non avrebbe tempo di vedere l’Italia di quegli italiani. Ad averci a che fare - e sarebbero dolori - toccherebbe alle nuove generazioni. Bel regalo.

Il golpista


Continuano a ripeterlo, un giorno sì e l'altro pure. Il momento è critico. E la sfida alla crisi economica richiede scelte urgenti e decise. Eppure la situazione non si sblocca. I continui appelli del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano cadono nel vuoto e il governo tecnico sembra in stallo. "Il momento attuale - ha ripetuto ancora oggi il capo dello Stato - è caratterizzato da difficili sfide che impongono una comune assunzione di responsabilità". Lo stesso discorso è stato fatto dal ministro dello Sviluppo economico, Corrado passera alla confederazione nazionale dell’Artigianato. Lo stesso discorso viene fatto, in perfetto stile british, dal premier Mario Monti. Si aspettano soluzioni.

Quando Napolitano ordiva la spallata all'allora premier Silvio Berlusconi, non si faceva che parlare di emergenza. Insigni papaveri del Partito democratico ci insegnavano che le dimissioni del Cavaliere ci avrebbero giovato centinaia di punti sullo spread col Bund tedesco. E i poteri forti (italiani e non) chiedevano, ogni giorno, riforme e misure. Il Sole 24Ore usciva addirittura con una prima pagina ad effetto e i caratteri cubitali: "Fate presto". Siamo ancora lì. Con la Borsa che, in altalena, guadagna dopo aver bruciato miliardi e impoverito i risparmiatori. Con il differenziale sui titoli di Stato che non si muove dalla drammatica soglia dei 500 punti. Tutto oscilla, nulla torna a posto. Il pdl Sandro Bondi è convinto che chi sosteneva che l’aumento dello spread fosse imputabile direttamente alla persona di Berlusconi dovrebbe provare un minimo di vergogna. Macché, nepure le scuse arrivanno. Tuttavia, l'Italia e gli italiani sembrano aver ritrovato una certa flemma. Flemma nella quale è rimasto impigliato Napolitano che imperterrito continua a parlare di "sfide difficili" e di sacrifici e di misure economiche e di sistema Italia e coesione sociale e di compiti della politica e così via.

All’assemblea della Cna e della piccola e media impresa, il capo dello Stato ha parlato di "occasione importante" per "riaffermare le ragioni di una più forte coesione sociale, indispensabile per attuare le riforme strutturali necessarie alla crescita del Paese e per offrire nuove e più sicure prospettive alle giovani generazioni". Per Napolitano, infatti, è sempre più necessario affrontare "la difficile situazione economica con spirito costruttivo e unitario e un saldo ancoraggio all’Europa". "Per il contesto imprenditoriale italiano, formato in gran parte da imprese di non grande dimensione - ha, quindi, concluso il presidente della Repubblica - è essenziale che le forze politiche e le istituzioni si impegnino a sostenere i processi di aggregazione e cooperazione soprattutto al fine di migliorarne la competitività e le capacità di inserimento nei nuovi mercati attraverso un ampio ricorso all’innovazione". Il discorso pronunciato oggi da Napolitano non è tanto distante da quello confezionato da Passera secondo il quale occorre lavorare insieme per rendere più competitiva l’economia italiana. "Dobbiamo lavorare assieme per dare nuova efficienza al sistema Italia ritrovando la voglia di cambiare e di rendere più dinamica e competitiva la nostra economia", ha ribadito il titolare dello Sviluppo economico. Non è il solo. Anche il segretario nazionale della Cisl, Raffaele Bonanni, va avanti nella speranza che si prendano "le decisioni giuste". Eppure la situazione resta in stallo. Nulla si muove. Solo gli indici di Borsa che fanno ancora paura a chi investe e a chi tiene che le banche siano stabili. E i tecnocrati che avrebbero dovuto tirarci fuori dalla crisi al sol schioccare delle dita, che fine hanno fatto? La politica ha addirittura deciso di garantire iter rapidi per approvare il piano anti crisi. Purché arrivi.

martedì 22 novembre 2011

L'assoluta priorità

Hanno detto finora che l'italia rischia di finire nel baratro. Hanno voluto far dimettere Berlusconi perchè incapace di pareggiare il debito pubblico e di fare le riforme. Hanno cambiato governo evitandoci le urne... è una follia pensare ora agli immigrati? Si è una follia del cazzo. E addirittura, quegli idioti del Pd vorrebbero una legge per approvarla prima di Natale...


Milano - Dal confronto politico all'immigrazione. Giorgio Napolitano al Quirinale torna a parlare della situazione italiana. Ma allarga anche alle altre problematiche. Per il Capo dello Stato ora c'è «la possibilità di fare in Parlamento quello che non si è potuto fare negli anni passati». Certo, il mare è ancora «un po' mosso ma credo ci siano maggiori possibilità di dialogo e confronto fra gli schieramenti». Certo che «avremo le condizioni per una maggiore obiettività e costruttività»

L'IMMIGRAZIONE- Ed è proprio sulla scia del dialogo che Napolitano coglie l'occasione di parlare anche di diritti degli immigrati durante l'incontro con la federazione delle chiese evangeliche in Italia. Riprende il discorso fatto solo una settimana fa quando al Colle ha ricevuto una rappresentanza dei "nuovi cittadini italiani". «Mi auguro che in Parlamento si possa affrontare anche la questione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da immigrati stranieri. Negarla è un'autentica follia, un'assurdità. I bambini hanno questa aspirazione». Napolitano ha auspicato che tale iniziativa dovrebbe rientrare nella consapevolezza della necessità di «acquisire anche nuove energie in una società per molti versi invecchiata se non sclerotizzata». E la nomina di Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant'Egidio, a ministro della Cooperazione internazionale e dell'integrazione sociale segnala «la possibilità di riprendere le politiche di integrazione che hanno uno sviluppo ormai lontano».

LE REAZIONI- La Lega si schiera compatta per il no. E si dice «pronta a fare le barricate in Parlamento e nelle piazze». Lo ha fatto sapere l'ex ministro Roberto Calderoli. che richiamando le parole del capo dello Stato ha detto: «La vera follia sarebbe quella di concedere la cittadinanza basandosi sullo ius soli e non sullo ius sanguinis, come prevede invece oggi la legge». Insomma la paura del Carroccio è che si «punti ad arrivare a dare il voto agli immigrati prima del tempo previsto dalla legge...». Roberto Maroni rincara la dose: « L'idea di dare la cittadinanza a chiunque nasca in Italia è uno stravolgimento dei principi contenuti nella costituzione». In altre parole: «Non sono d'accordo con Napolitano». Ma quella del partito di Umberto Bossi è una posizione isolata. Pierferdinando Casini, leader dell'Udc, condivide «pienamente» l'appello del Capo dello Stato. Così come Felice Bellisario, Idv, che esorta il governo ad assecondare la proposta perché «è una questione prioritaria». Gianfranco Fini è cauto: «Uno ius soli automatico mi lascia qualche dubbio. Mentre è giusto dire che è cittadino italiano chi nasce in Italia, parla la lingua ed ha concluso un ciclo di studi». Per Ignazio Marino, Pd, «esiste una discriminazione incomprensibile ai danni dei figli degli immigrati. Con il disegno di legge che ho presentato, si afferma un principio semplice: un bambino che nasce in Italia è italiano, punto. Lo hanno firmato 113 senatori, quindi un terzo dell'aula del Senato e spero che avrà un esame e una approvazione rapida». Dario Franeschini, presidente dei deputati del Pd, auspica che quello degli immigrati «non diventasse un tema di scontro politico ma invece un elemento unificante». E aggiunge che una legge «potrebbe essere approvata in aula alla Camera prima di Natale».

Infine, giusto un paio di commenti presi da qui: "Il duo napol-fini non finisce di stupire, per le continue forzature che tentano di fare, dopo aver estromesso il Cavaliere con un golpe. Prima il governo tecnico, con un tizio salameccato a gettone, di nome monti che dopo la nomina a presidente del consiglio è andato al mare, ora la cittadinanza ai poveri immigrati, che di già non fanno la coda da nessuna parte, che possono convivere nel nostro Pase con più mogli, che al pronto soccorso anche per un callo hanno la precedenza, non pagano l'autobus, bloccano le strade con il culo per aria, questi gli vogliono dare il diritto di cittadinanza. 'Sto presidente pulcinella passerà alla storia per essersi impossessato del paese, senza il permesso della tanto decantata costituzione, spalleggiato da un infame che occupa arbitrariamente lo scranno in Parlamento. Aspettiamoci, dopo queste sparate l'invasione dall'Africa, poi li portiamo tutti nella tenuta di San Rossore per la gioia dl vetusto. Italia, mai paura, al peggio non c'è limite".

"Per settimane intere l'attenzione dei mezzi di comunicazione è stata incentrata su spread, crisi etc etc, tanto che alla fine si è pensato che la cosa "migliore" da fare sia stata quella di creare un governo tecnico che prenda i provvedimenti per contenere questa crisi. Così adesso ci ritroviamo un governo non scelto dal popolo che in teoria ha la funzione di tranquillizzare l'Europa sulla credibilità economica dell'Italia. Il governo però adesso non oltrepassi i limiti della sua funzione e se proprio Napolitano pensa che in questo momento la priorità dell'Italia sia quella di rivedere le linee politiche sulla migrazione perchè non ha imposto le elezioni in modo che i cittadini avrebbero potuto scegliere chi mandare al governo? Questo dimostra come il Presidente Napolitano non sia superpartes (e non a caso è stato eletto con il governo Prodi). Notare poi come fa riferimento ai bambini per far leva sui sentimenti di compassione... mala tempora currunt.... "

Dittatura...

... su segnalazione di una cara amica. Qui, sperando che sia una bufala ma... conoscendo già il trattato di Lisbona...

domenica 20 novembre 2011

La ue contro i celiaci

Linko un post di Marshall che parla di etichette sul cibo, l'unione europea ha deciso di togliere le etichette con la dicitura "senza glutine". Ed è un vero e proprio attentato alla vita di tutti i celiaci. Ciò significa che l'unione europea cerca di avvelenare e ammazzare la gente. Se questo non fosse abbastanza chiaro.

sabato 19 novembre 2011

Ai piromani altra benzina


Il glorioso settimanale della sinistra britannica, New Statesman, è durissimo con il governo Monti e la tecnocrazia europea. Scrive che “per la prima volta paesi europei sono guidati da individui che non hanno avuto il benestare del popolo alle urne”. “Se i leader democraticamente eletti non soddisfano i mercati, il Fmi e la Commissione europea, allora vengono licenziati”, recita un editoriale della rivista che fu di George Bernard Shaw. New Statesman dice che la democrazia in Italia e Grecia è stata soppiantata dal “dominio dei tecnocrati”, voluti e promossi da “organismi internazionali non eletti come la Commissione europea e il Fondo monetario”. Dice anche che “il potere degli organismi internazionali ha sminuito la democrazia” e parla di “apoteosi tecnocratica che guida il Fondo e la Commissione europea”. Così facendo, “il deficit democratico al cuore dell’Europa è diventato un abisso democratico”.

Un giornale di segno opposto, il Daily Telegraph, evoca la lotta di Margaret Thatcher contro i burocrati di Maastricht: “Gli architetti dell’Unione europea non hanno mai voluto essere una democrazia”. Scrive sempre il Telegraph con Christopher Booker che “l’élite europea ha appena destituito due primi ministri eletti”, mentre Charles Moore lamenta che “ora che la crisi dell’Unione europea raggiunge il suo momento di verità abbiamo bisogno di leader eletti al potere, non di tecnocrati. Mario Monti è stato nove anni commissario europeo e il suo indirizzo postale era Rue de la Charité, Bruxelles. Questo non è il tempo dei tecnocrati e dei francofortesi”.

Durissimo lo Spectator con un lungo commento di Fraser Nelson. Il direttore del celebre settimanale britannico attacca “l’Eurozona che ha creato un apparato mostruoso affidato sostanzialmente a un manipolo di individui”. E ancora: “La Old Opera House di Francoforte – un tempo il più bel edificio in rovina della Germania post bellica e oggi il suo più stupefacente restauro – è diventata il simbolo della rinascita europea. E’ stato lì che il mese scorso Angela Merkel e Nicolas Sarkozy hanno incontrato l’élite burocratica dell’Unione europea, organizzando quello che in un altra epoca sarebbe stato definito un putsch. Merkozy e i burocrati si erano stancati dei vertici dell’Eurozona, dove i leader discutono incessantemente ma non arrivano mai a una decisione comune. C’era bisogno di formare un gruppo più ristretto, in grado di esercitare il potere con fermezza ma anche in maniera informale. Quella sera, mentre Claudio Abbado dirigeva l’Orchestra Mozart di Bologna, nasceva la cupola dell’Unione europea. Soltanto pochi mesi fa l’idea che il capo di un governo europeo cercasse di destabilizzarne un altro, o addirittura provocarne la caduta, era del tutto impensabile. La scorsa settimana, invece, i leader di due paesi dell’Ue sono stati costretti a dimettersi”. Il problema è nella leadership di Francoforte: “Il fondo di salvataggio dell’euro, che ha una potenza di fuoco di mille miliardi di euro, è gestito da uno staff di quindici persone. Evidentemente oggi è possibile controllare un continente formato da diversi stati nazione mettendo insieme pochi individui che la pensano allo stesso modo nei camerini di un teatro dell’Opera di Francoforte. E tutto nel nome dell’unità dell’Europa”. Secondo lo Spectator, l’Italia era un osso più duro della Grecia di Papandreou: “A parte l’interesse sul debito, l’Italia ha uno dei più grandi surplus dell’Eurozona. Il suo nord è una delle regioni più ricche del continente e lo sarebbe ancora di più se ci fosse una lira da svalutare per aiutare gli esportatori. Le famiglie sono risparmiatrici e il debito è alto ma stabile”. Lo Spectator definisce l’operazione che ha portato i tecnocrati al governo come “l’incontro fra la gerarchia europeista e il potere finanziario tedesco: una sorta di Bruxelles sul Reno”.

“Il piromane torna sulla scena del crimine”. Anche l’Economist, con toni più compassati ma altrettanto chiari, esprime dubbi sull’operazione: “Hai un PhD, allora puoi governare”. Il magazine britannico sostiene che “i tecnocrati saranno bravi a dire quanto debba soffrire un paese, come rendere sostenibile il debito o risolvere una crisi finanziaria, ma non saranno bravi a distribuire il dolore. Questa è una questione politica”.

Sul Wall Street Journal, Walter Russell Mead parla di “guerra culturale” e di un tentativo tedesco di imporre regole prussiane a paesi culturalmente diversi come l’Italia. Ironizza con la Francia, che “è fondamentalmente un paese da Club Med con alcune caratteristiche del nord (storicamente rinvenibili fra ugonotti ed ebrei, comunità da cui vengono molti degli imprenditori francesi di maggior successo)”. Di “tecnocrazia barcollante”, con riverberi statunitensi, parla sulla rivista conservatrice National Review Victor Davis Hanson: “Stiamo vivendo la crisi di fede nei nostri guardiani illuminati degli ultimi trent’anni”. Hanson biasima le “caratteristiche in comune della tecnocrazia occidentale: credenziali accademiche, nomine governative, politiche progressiste e un passe partout per godere della propria ricchezza personale senza essere percepita in contraddizione con le politiche egualitarie”. Hanson è durissimo anche con quei “giornalisti tecnocratici che amano l’autocratica Cina e odiano i Tea Party”. Sempre su National Review ne scrive Andrew Stuttford: “Come aveva capito Berlusconi, è la moneta il problema, non il paese. Chiedere a Monti, un sostenitore della moneta unica, che è stato commissario europeo quando venne varata, di diventare primo ministro è come chiedere a un piromane di tornare sulla scena del crimine e dargli un’altra tanica di benzina”.

Dopo Enrico, ecco baffino


Adesso sono tutti professori. Non bastava la componente accademica presente nel nuovo governo. Ora sono tutti pronti a dispensare lezioni, ricette e soluzioni. Soprattutto a sinistra. Il nuovo maestro si chiama Massimo D'Alema, il quale, durante un lectio magistralis (quale migliore occasione se non questa) tenuta all'università di Kore di Enna, ha rivendicato con vigore la stabilità economica e la salute dei conti pubblici mantenute dai precedenti governi economici. Ma per valutare l'obiettività (o la saccenza) del presidente del Copasir bisogna partire dalla fine. Da quella sua frase conclusiva, applaudita con fragore dalla platea e diretta al governo Monti. "Se vogliono sapere come si fa, siamo pronti a spiegarlo". La battuta è riferita alle modalità di riduzione del debito pubblico. E arriva dopo l'elencazione di tutti gli obiettivi, in materia di conti pubblici, ottenuti dai precedenti governi di centrosinistra. "Non è giusto dire che le responsabilità sono della politica tutta. Il debito pubblico italiano era costantemente calato fino al 2000, ha ricominciato a crescere dopo il 2001, non dico chi c’era al governo; salvo che nel periodo tra il 2006 e il 2008 quando è calato nuovamente", rivendica D'Alema che poi, non pago, aggiunge: "La spesa pubblica nel 2000 era del 46% del Pil, contro il 53% di oggi, malgrado ci fossero 10 punti in più per il Mezzogiorno e ci fossero più soldi per sanità e istruzione. In quell’anno raggiungemmo questa soglia minima, la più bassa degli ultimi 40 anni e il governo stanziò più soldi per scuola e sanità.

"Ho detto a Monti che se vogliono sapere come si fa siamo disponibili a un’audizione". Insomma, è la solita storia della sinistra migliore della destra e di Berlusconi peggiore di ogni altro leader. Non conta che ci sia stata una crisi economica di mezzo, così come non si capisce come mai, visti i risultati splendenti citati da D'Alema e ottenuti dai governi di centrosinistra, questi stessi governi siano implosi. Ma questa è un'altra storia. Di sicuro, al momento Mario Monti non si è detto disponibile ad ascoltare la teoria economica di D'Alema. Come se non bastasse, il presidente del Copasir ha dimostrato pure di conoscere i motivi che hanno provocato la crisi: "Il primo è la mancanza di regole nel mondo finanziario. La finanza mondiale è senza regole, è un mostro. Il secondo fattore è il deficit di innovazione tecnologica. A fronte dell’esercito di lavoratori sotto costo dei paesi emergenti è stata trascurata l’innovazione della forza lavoro europea. Il terzo fattore è determinato dalla crescita delle diseguaglianze sociali e dell’impoverimento della classe media".

Non parlategli di complotti franco-tedeschi nei confronti dell'Italia. Per D'Alema bastava una guida politica tale da farsi invitare al tavolo europeo. "Credo che il governo Monti sia un bellissimo segnale dopo le ostilità verso l’Europa e il fastidio provinciale che il governo precedente provava verso Sarkozy e la signora Merkel. Ora a quel tavolo ci saremo anche noi". Tanto per non farsi mancare nulla e rimanere sull'attualità, D'Alema ha pure fatto un accenno a quel pizzino che Enrico Letta ha mandato al neo premier Monti. E indovinate cosa ha detto? "Io ritengo che in Parlamento si potrebbe essere liberi, senza essere spiati". Figuriamoci, nulla di nuovo. Anche il Professore per eccellenza, Romano Prodi ha dispensato la sua lezione, addirittura a un giornale ceco. Al contrario di D'Alema però, per lui i motivi della crisi non sono tre, bensì solo uno: Berlusconi. "Senza gli errori che ha commesso da premier, l’Italia oggi non sarebbe sotto l’attacco dei mercati finanziari, se il premier diventa soggetto di vignette satiriche e di gag televisive, si perde l’immagine di Paese serio e moderno".

Ah ah ah ah


Cambia il governo, ma Fini rimane sempre lo stesso. E dal palco dell'assemblea del Terzo Polo a Verona, il leader di Fli torna a dettare l'agenda politica, a ergersi a profeta e ad emettere sentenze. Come questa: "Il governo Monti è l’ultimo governo in grado di fare uscire l’Italia dalla crisi. Se fallisce, non fallisce Monti ma l’Italia intera".

Insomma, per Gianfranco Fini il nuovo premier è l'unico che ci possa salvare e per questo il suo partito gli ha già garantito "un sostegno leale". Un sostegno a un governo che "nasce con una montagna di problemi da superare. Monti ha indicato la necessità di coesione sociale in un momento in cui il divario tra italiani si è allargato. C’è una stragrande maggioranza che ha visto scendere il suo livello di vita, la croce del ceto medio di chi vive con il salario e un reddito fisso". Eccolo poi dettare l'agenda politica. Si parte dalla riforma delle pensioni: "Facciamola e diciamo ai padri "lavora qualche anno in piu" per garantire ai figli di poter lavorare a loro volta". Poi è la volta della riforma del lavoro: "È necessario che venga meno per i ragazzi il calvario dei contratti a termine. Crescita ed equità vuol dire anche licenziare, ma il contratto di assunzione non può essere sempre di sei mesi, a tempo a progetto. Sia un contratto unico a tempo indeterminato". E sui licenziamenti: "Quando si ipotizzano interventi di riforma sui licenziamenti credo che da parte del Terzo Polo si debba indicare chiaramente una politica che parta dal dovere di cambiare le procedure attraverso le quali si viene assunti".

Ma il presidente della Camera fa un accenno anche alla situazione dell'Eurozona e ai rapporti con Francia e Germania. Secondo Fini, in Europa non ci deve essere un direttorio franco-tedesco, ma l’Italia deve fare parte del nocciolo duro dei paesi più importanti dell’Ue. L'ex An ha anche stigmatizzato chi ha "gioito" nel vedere l’ex premier Silvio Berlusconi "snobbato" agli ultimi vertici. "Negli ultimi tempi fra me e Berlusconi non c’è stato un rapporto cordiale, ma questo non autorizza a gioire a vedere il premier snobbato rispetto alle sfide da affrontare". Poi, l'appello di Fini viene rivolto agli italiani: "Dobbiamo aprire una fase nuova della stagione politica: noi ci siamo uniti nel Terzo polo con gli amici dell’Udc, dell’Api e dell’Mpa e gli italiani si uniscano a noi per cambiare il paese". Insomma, il Terzo Polo si candida alla guida del Paese.

E ad ammetterlo è lo stesso Fini: "Il Terzo polo dovrà necessariamente avere una marcia in più, non potrà essere solo una sommatoria analitica dei partiti che lo compongono ma una sintesi alta di programmi, idee, valori e dovrà elaborare progetti per candidarsi alla guida del paese". Sul tema dei costi della politica, il presidente della Camera ha poi annunciato che "non è la politica che costa sono gli apparati, il numero degli enti e dei parlamentari a incidere. In questi 18 mesi dovremmo essere noi a dire che accanto alle riforme che farà il governo compito delle Camere sarà quello di fare interventi che dicano che il ceto politico sa dare l’esempio. Qualche settimana fa l’ufficio di presidenza della Camera ha deliberato di disporre una riforma per la quale la Camera abolirà il vitalizio degli ex parlamentari. È una piccola cosa ma è l’esempio che deve dare la politica".

Per il leader di Fli, "se vogliamo uscire dalla travagliata storia che abbiamo alle spalle dobbiamo dire basta alle alleanze costruite solo per battere un avversario". Poi Fini si compiace del fatto che la sua profezia si sia realizzata: "Quello che è accaduto in questi mesi e in questi anni dimostra la bontà dei proverbi popolari: il tempo prima o poi è sempre galantuomo, quello che è accaduto è dimostrazione che l’Italia era entrata in una fase turbolenta e difficile da gestire che aveva determinato un conflitto permanente". Aveva previsto tutto, Fini. Si sente l'artefice della nuova condizione politica. In realtà, in tema di profezie Fini non è proprio un fenomeno. A metà ottobre si era detto sicuro che a marzo 2012 si sarebbe andati alle elezioni anticipate e che Bossi avrebbe staccato la spina al governo. Non è andata così, così come non è stata mantenuta la promessa di lasciare la presidenza della Camera non appena Berlusconi si fosse dimesso. Ma non importa, anzi, come ha detto Fini stesso: "Il passato è passato, le polemiche appartengono a un'altra stagione, guardiamo avanti".

venerdì 18 novembre 2011

Piano segreto dal quarto reich

Ossia... dove non è arrivato Hitler è arrivata la Merkel coi l'aiuto di una manina (abbronzata) d'oltreoceano. No, non sono state usate armi convenzionali, non c'è stata la guerra... vera e propria ma la dittatura vera ora è realtà a tutti gli effetti. A seguire, un commento: "In Germania i segreti sono come in Italia, di Pulcinella. Nessun piano segreto quindi ma solo un disegno che in realtà corrisponde al ruolo tedesco in Europa. Si può auspicare e forse anche adoperarsi perché quanto paventato nell'articolo non divenga realtà, ma la situazione vede la Germania dominatrice in Europa e nel mondo anche senza esercito superarmato e senza armi nucleari. E' amaro constatare come la Germania oggi si ritrovi come la vedeva Hitler, padrona d'Europa... Anche la geografia dell'Europa orientale e in particolare balcanica è esattamente quella disegnata dal Fuehrer nel corso della seconda guerra mondiale (e poco importa, nel quadro generale, se Pomerania, Slesia e Prussia orientale non appartengono più alla Germania e nei Sudeti non ci sono più Tedeschi): sono valsi la pena i milioni di morti della guerra per trovarci così?"


Un piano segreto per la creazione di un Fondo monetario europeo capace di sostituirsi alla sovranità degli stato membri in difficoltà. Ad architettarlo, stando a quanto rivela il Daily Telegraph on line citando un documento di sei pagine del ministero degli Esteri tedesco, sarebbe appunto la Germania. Il documento esamina anche esplicitamente le possibili strade per limitare le modifiche al trattato per renderne più facile la ratifica. Questo anche per dissuadere Londra da un referendum sull’Ue. Il Fondo avrà il potere di mettere i paesi in crisi in amministrazione controllata e di gestire la loro economia, scrive il quotidiano britannico. Secondo il Telegraph, il documento, chiamato "Il futuro dell’Ue: i necessari miglioramenti di integrazione politica per la creazione di un’Unione di Stabilita", svela che la maggiore economia dell’Ue sta creando le condizioni perché gli altri paesi europei, che sono troppo grandi per essere salvati, possano fare default, andando così in bancarotta. E questo alimenta i timori che "i piani tedeschi per affrontare la crisi dell’eurozona prevedano un’erosione della sovranità nazionale che potrebbe aprire la strada ad un "super stato" europeo con proprie tasse e piani di spesa decisi a Bruxelles". Nel testo si fa anche un riferimento alla modifica dei trattati: "Limitare l’effetto delle modifiche al trattato nei paesi dell’Eurozona renderebbe più facile la ratifica, che tuttavia verrebbe richiesta da tutti gli stati membri (in questo modo sarebbero necessari meno referendum, e questo interesserebbe anche la Gran Bretagna)". Insomma, il Fondo avrebbe il potere di gestire la politica economica e fiscale dello Stato in difficoltà. Il piano viene rivelato nel giorno in cui il premier britannico David Cameron incontra a Berlino il cancelliere tedesco Angela Merkel per parlare delle modifiche da apportare ai trattati europei e di crisi economica. E, sempre oggi, la Merkel ha detto: "L’eurozona ha perso credibilità e deve riguadagnarla passo dopo passo". Il problema è come bisognerà farlo.

Bigliettini...


«Sì il biglietto è mio, ma non è auto candidatura, solo un'apertura al governo come indicato dal segretario Bersani». Così Enrico Letta, al telefono con il Corriere, riconosce la paternità del messaggio firmato "Enrico" e mostrato inavvertitamente ai fotografi dal presidente del Consiglio Mario Monti che lo aveva ricevuto pochi istanti prima, durante il dibattito sulla fiducia. Ecco il testo integrale del biglietto: «Mario, quando vuoi dimmi forme e modi con cui posso esserti utile dall'esterno. Sia ufficialmente (Bersani mi chiede per es. di interagire sulla questione dei vice) sia riservatamente. Per ora mi sembra tutto un miracolo! E allora i miracoli esistono!» (Photoviews)

Ci ricorda tanto Ciampi...


MILANO - Il primo test parlamentare è stato un successo. Il nuovo governo formato da Mario Monti ha incassato al Senato 281 sì su 306 votanti (un record per l'insediamento di un esecutivo nella storia della Repubblica) e si appresta a bissare il risultato alla Camera. Dalle 10 è in corso il dibattito sulle comunicazioni del governo.

IL DIBATTITO - Il primo a prendere la parola è stato Dario Franceschini. Il capogruppo dei deputati del Pd ha voluto ringraziare il neo-presidente del Consiglio augurandosi che il suo mandato duri «fino alla fine della legislatura». «Grazie - ha affermato Franceschini - per aver messo la sua credibilità internazionale e le sue competenze al servizio del paese. Ci ricorda tanto Ciampi che si assunse l'onere di mettere a disposizione la sua credibilità internazionale per far uscire l'Italia da un momento di crisi». «L'Italia ha bisogno di una legge del buon esempio», ha voluto specificare il capogruppo Idv Massimo Donadi, mentre la Lega con Pierguido Vanalli ha ribadito il suo «no» al governo Monti. «Senza la disponibilità del Pdl e di Silvio Berlusconi ad appoggiare il governo Monti, ora ci sarebbero state le elezioni anticipate», ha sottolineato con forza nel suo intervento il presidente dei deputati Pdl, Fabrizio Cicchitto. «Berlusconi - ha aggiunto - ha fatto due atti di responsabilità: ha dato le dimissioni e ha deciso di dare l'appoggio a questo governo e senza questo appoggio non staremmo a discutere qui ma a preparare le elezioni. Quindi rivendichiamo un ruolo di responsabilità».

«L'EX PREMIER NON PARLA» - Alle 12 è prevista la replica del premier Monti e a seguire, e fino alle 14, le dichiarazioni di voto dei gruppi. Si era parlato di un intervento dello stesso Silvio Berlusconi per il Pdl. In mattinata però il deputato Osvaldo Napoli ha annunciato al Tgcom24 che la dichiarazione di voto verrà fatta da Angelino Alfano, «mentre Berlusconi non parlerà». «Nelle parole di Monti ho visto passione civile e orgoglio italiano, la voglia di unire equità e crescita», ha detto Pier Luigi Bersani commentando il discorso di Monti al Senato. Il segretario dei democratici, come il Cavaliere, interverrà a Montecitorio durante il dibattito sulla fiducia.

I SALUTI, LA FASCIA NERA, GLI APPUNTI - «Traffico» di saluti ai banchi del governo e qualche nota di colore durante la seduta. Domenico Scilipoti si è presentato a Montecitorio con una vistosa fascia nera al braccio. Molti deputati si sono avvicinati ai collega per chiedere il perché di quella fascia. Scilipoti non ha risposto ma ha consegnato a tutti un volantino che riproduce un manifesto mortuario in è rappresentata una croce nera con sotto scritto «oggi è morta la democrazia parlamentare. Il popolo Sovrano ne dà il triste annuncio al Paese». Durante la discussione, il premier Molti ha mostrato molta attenzione e ha preso appunti, probabilmente per prepararsi alla replica.

«NON SIAMO I POTERI FORTI» - Giovedì al Senato Monti ha ottenuto una larga maggioranza su un programma ambizioso e articolato, annunciando numerose misure su temi quali Ici, pensioni, lavoro. Lega a parte, ha avuto il sostegno di tutti i partiti. In Aula Monti ha anche respinto l'accusa di essere a capo di un «governo dei poteri forti» servitore della multinazionali e compiacente con l'asse franco-tedesco. «Restiamo uniti o falliremo», l'appello del neo-premier a tutte le forze politiche.

INCONTRO CON IL PAPA - Primo incontro tra il nuovo capo del governo e il Pontefice venerdì mattina all'aeroporto romano di Fiumicino. Monti ha accolto Benedetto XVI direttamente sotto la scaletta dell'elicottero con cui il Papa è arrivato alle 8.42 dal Vaticano. Una lunga stretta di mano e uno scambio di saluti ha suggellato l'incontro, particolarmente cordiale. Il nuovo presidente del Consiglio ha poi accompagnato il Santo Padre fino alla scaletta dell'aereo, un Airbus A330 dell'Alitalia, che lo condurrà in Benin.

«FIDUCIA PER IL PAESE» - Dopo il sì al Senato intanto, il professore nominato premier incassa anche la benedizione della Sir, l'agenzia dei vescovi. Bisogna «tradurre la fiducia» ottenuta nelle aule parlamentari «in un'iniezione di fiducia per il Paese tutto», «che non solo ne ha bisogno, ma anche la desidera. A partire dai giovani», ha scritto l'organo della Conferenza episcopale.

MARTEDÌ A BRUXELLES - Martedì prossimo il premier sarà a Bruxelles per presentare il suo piano di riforme al presidente del Consiglio Europeo, Herman Van Rompuy.

giovedì 17 novembre 2011

Tradimenti


Aggiungiamo Silvio Berlusconi al lunghissimo elenco dei governanti traditori dell’Italia. Dispiace, dispiace molto, ma la conclusione è purtroppo soltanto questa. Avrebbe potuto almeno, una volta deciso di uscire di scena, fare un grande gesto per rimanere alla storia, cosa che viceversa non succederà perché nulla ha fatto che possa interessare la storia. Avrebbe potuto, perso per perso, invece che inginocchiarsi davanti ai banchieri, ribellarsi al colpo di stato ordito dal Presidente della Repubblica e affermare, com’era suo dovere, che avrebbe difeso i diritti democratici degli Italiani. I motivi per prendere questa decisione erano due, e tutti e due talmente evidenti che nessuno, salvo che i suoi miserrimi nemici, avrebbe potuto contestarli.

Il primo non era opinabile: difendere la Repubblica dal colpo di stato di Giorgio Napolitano era un preciso dovere del Capo del Governo, sia nella sua qualità di Capo del governo che in quella di Capo del partito di maggioranza presente in Parlamento. Invece, non soltanto non ha fatto neanche il più piccolo gesto di resistenza e non ha dato come giustificazione delle sue dimissioni la volontà di tener fede al giuramento di fedeltà alle leggi della Repubblica, ma si è addirittura vantato, nel suo ultimo discorso televisivo, di non essere mai stato “sfiduciato”, di essersi sacrificato per il bene dell’Italia. Quanti ne ha conosciuti l’Italia, lungo il passare dei secoli, di traditori delle Leggi e delle Costituzioni, che sono venuti meno ai loro giuramenti “per il suo bene”! Tragico destino degli Italiani! Essere stati sempre odiati, traditi, dai loro governanti. Non c’è stato né Papa né Re né dittatore né generale in fuga che non si sia giustificato così. Neanche un minimo soprassalto di orgoglio, di dignità, di rispetto per la verità: nulla. Berlusconi ha dunque avallato, con la sua vigliaccheria, l’azione eversiva con la quale è stato installato a capo del governo un banchiere, firmando per giunta la sua repentina nomina a senatore a vita, espediente truffaldino messo in atto dal Presidente della Repubblica per fingerne l’appartenenza “politica”. Una messa in scena atroce che ricorda agli Italiani i peggiori momenti della loro storia e che li ha colti tanto di sorpresa da lasciarli incapaci di capire, di parlare, di ribellarsi. Avevano riposto fiducia e ammirazione in Giorgio Napolitano come nel migliore dei loro Presidenti. Non riescono ancora a rendersi conto di quanto è successo. Ma il risveglio arriverà presto, prestissimo. Arriverà a causa della macroscopica menzogna con la quale è stata giustificata tutta l’operazione. E’ il secondo motivo di cui parlavo all’inizio: il fallimento dell’unificazione europea.

Il progetto di unificazione europea ha dimostrato nel modo più evidente che era sbagliato fin dall’inizio e che è fallito. Nulla di quanto si voleva realizzare è andato a buon fine. L’Europa unificata, che doveva diventare il mercato più ricco del mondo, è viceversa molto più povera e la moneta unica sta per far andare in fallimento molti degli Stati che l’hanno adottata. Il costo di quanto è stato fatto non è in pratica calcolabile. Sarà, però, sufficiente pensare agli ordini che sono stati dati da un Parlamento europeo in preda all’isterismo di un immenso potere privo di limiti, ed eseguiti in timore e tremore dai poveri agricoltori europei, per averne almeno un’idea. Distruggere le migliori produzioni di frutta e di verdura, ammazzare magnifiche mucche e splendidi maiali, gettare a mare, sotto lo sguardo irato del Dio dei poveri e degli affamati, fiumi di latte, di vino, di olio, è soltanto una delle innumerevoli prove di quale oscura e profonda palude di non- senso un’ Europa allucinata sia stata costretta ad attraversare. Così del resto hanno fatto i rivoluzionari bolscevichi per ridurre alla “giusta” pianificazione le produzioni dei kulaki; così hanno fatto i Kmer rossi per distruggere il capitalismo stracciando tutte le banconote che lo rappresentano. In Europa non c’è stato bisogno, ameno fino ad ora, di fucilare nessuno (non illudiamoci: presto arriverà anche l’uso della forza) perché tutti hanno obbedito, incapaci di credere che la democrazia potesse diventare, come, di fatto, è diventata, la più folle delle dittature. Ma adesso, forse, siamo al dunque. La crisi economica imperversa, innestata da banchieri di primissimo piano in preda all’incontinenza dostojesckiana dei giocatori d’azzardo e che, in premio delle migliaia di miliardi che hanno mandato in fumo, adesso guidano da par loro, nel peggiore dei modi, l’economia dei singoli Stati. L’unificazione politica, poi, che era lo sbandierato scopo di tutta l’operazione, si è rivelata talmente fuori dalla realtà che, com’era logico aspettarsi, Francia e Germania hanno preso il comando a viso aperto, senza remore nel decidere per tutti le guerre e le alleanze, manifestando con assoluta sicurezza la loro superiorità e il loro potere sulle nazioni suddite.

Di fronte a questo quadro qualsiasi persona fornita di buon senso penserebbe di dover abbandonare la vecchia strategia e di doverne inventare una nuova. Invece governanti e banchieri insistono nel non voler prendere atto del fallimento e dicono il contrario: non si tratta di fallimento, ma di non aver ancora fatto tutto quello che si doveva fare. Evidentemente settanta anni di sforzi, di prove, di perdite, di sconfitte, non bastano. Non bastano perché - è questo il punto – non siamo ancora falliti del tutto, non si sono ancora impadroniti di tutto. Lo scopo vero, infatti, era questo: la distruzione dell’Europa. La distruzione degli Stati nazionali e la consegna di tutto il potere, incluso quello politico, ai banchieri. Pensate forse che quello che riusciamo a capire noi che non siamo degli specialisti dell’economia, non potevano capirlo coloro che hanno ideato questo progetto? Credete forse che lo sfacelo attuale non lo avessero previsto? Suvvia! I signori Ciampi, Prodi, Monti, Draghi, saranno pure più bravi di noi nel far di conto. E nel caso avessero davvero sbagliato, perché mai dovremmo affidarci a loro per salvarci? Non vedete, dunque, cari Italiani, che è tutto fuor di senso?

Un’accelerazione sulla strada della consegna totale del potere ai banchieri l’ha data il Presidente della Repubblica italiana. Non meravigliamoci: come già detto, i governanti italiani sono i migliori complici delle nostre sfortune. E’ stato, però, così rotto il patto, il patto della democrazia. Non siamo più tenuti, quindi, neanche noi, i cittadini, a tenervi fede. I parlamentari potrebbero ancora, però, non votando un governo illegittimo e pretendendo di andare alle elezioni, salvare almeno le forme della democrazia. I parlamentari del Pdl in particolare non hanno nessun obbligo di obbedienza nei confronti di Berlusconi, dato l’enorme errore che ha compiuto. Sarebbe l’unico modo anche per fermare la crisi economica: dire ad alta voce a coloro che ci stanno strangolando che non staremo più al gioco; che, non appena eletto il nuovo parlamento, ci sottrarremo al cappio dell’euro, riprendendoci la sovranità monetaria e l’indipendenza. Non ci sono altre strade di salvezza. Qualche parlamentare vorrà alzare la testa e ricordarsi di essere italiano?

Priorità italiana


E ora tirarla fuori dal cassetto si può. Ora che Andrea Riccardi uno dei trentasei "eroi moderni" (vedi Time del 2003) è diventato ministro all'Integrazione, la legge per i bambini immigrati si può finalmente approvare. Facendo uscire da quella terra di nessuno di "senza diritti" o "diritti a metà" il figlio di immigrati, italiano di fatto, con la bandana della Roma o la maglietta della Juve, uno che sta gomito a gomito con i nostri figli a scuola nel banco, ma per una ragione che è difficile capire - (provate a spiegare a vostro figlio cos'è il "diritto di sangue") - è uno straniero.

Nella fase maronian-berlusconiana c'è stato tempo solo per trasformare in reato uno status - quello di clandestino - alla faccia dei diritti e dello Stato di diritto. Figuriamoci allargare le maglie della cittadinanza! La legge generale sulla cittadinanza fece capolino in aula a Montecitorio alla fine del 2009, e poi ritornò in commissione Affari costituzionali, dove tornò a giacere per ragioni di opportunità politica. Si avvicinavano le regionali e, disse la Lega, non se ne parla proprio. A insistere, di lì a qualche mese, furono Gianclaudio Bressa e Roberto Zaccaria con un sostanziale placet di Isabella Bertolini, la pidiellina che nella fine di partita di Berlusconi si è ribellata al capo. Tuttavia, niente di fatto. Il criterio è semplice: chi nasce in Italia è italiano, anche se (in questo si "tempera" il modello americano), i genitori immigrati devono vivere qui da almeno cinque anni; idem se si tratta di un bimbo immigrato (sempre devono passare cinque anni). Stabilire lo ius soli riguarderebbe 850 mila minori. Sarebbe un bell'inizio di integrazione. Per Riccardi, e per la Comunità di Sant'Egidio di cui è fondatore, il coronamento di una battaglia sui minori stranieri che dura da anni.

Per quanti non vogliono capire...



C’era una volta il manuale Cencelli, l’aurea guida che regolava la spartizione delle poltrone tra i partiti. Si componeva dunque di un unico capitolo, quello politico. Mario Monti ne ha editato una nuova versione, assai più evoluta: il Cencelli dei tecnici. Esiste un Cencelli di primo impatto. Un ambasciatore agli Esteri, un prefetto all’Interno, un economista all’Economia, un banchiere allo Sviluppo/Infrastrutture, un rettore universitario all’Istruzione e un suo collega alla Cultura, un avvocato alla Giustizia, un ammiraglio alla Difesa, due alti dirigenti ministeriali (Agricoltura e Ambiente) ai vertici dei rispettivi dicasteri. Lettura facile e divertente. Ma c’è di più. C’è un secondo livello del Cencelli montiano. È quello che consente di scoprire i politici sottotraccia. Ed ecco che il professor Renato Balduzzi (Sanità) fu consulente legislativo del ministro Rosy Bindi: era scritto da lui il disegno di legge sui «Dico». Al professor Francesco Profumo (Istruzione) l’inverno scorso fu offerta dal Pd la candidatura a sindaco di Torino per il dopo-Chiamparino, invito declinato. Il commercialista Piero Gnudi, l’erede di Michela Vittoria Brambilla al Turismo, bolognese come Casini e Prodi, fece da scudiero proprio a quest’ultimo all’Iri mentre Piero Dino Giarda (Rapporti con il Parlamento) fu sottosegretario al Tesoro con Dini, Prodi, D’Alema e Amato ininterrottamente dal 1995 al 2001.

Ma il vero capolavoro del professor Monti è aver creato il Cencelli dei Poteri Forti. Banche, università private, società quotate, giornali che contano. A Corrado Passera, consigliere delegato di Intesa San Paolo, va il superministero dello Sviluppo economico più Infrastrutture: dovrà promuovere o difendere opere cui partecipa la sua banca, tuttavia per lui è vietato parlare di conflitto di interessi. Il Welfare è andato a uno dei due vicepresidenti del medesimo istituto, Elsa Fornero, specialista di politiche previdenziali. Ma il Cencelli dei Grandi non dimentica gli altri giganti creditizi. Gnudi, gran privatizzatore dell’Iri, siede nel cda di Unicredit: ha avuto più fortuna di Alessandro Profumo, l’ex amministratore delegato che si era candidato a leader del centrosinistra. L’altro Profumo, l’ingegner Francesco, ha fatto parte del cda di Unicredit Private Bank. Invece il secondo Piero del nuovo governo, Giarda, nel 2005 fu eletto presidente della Popolare di Lodi dopo il crac della gestione di Giampiero Fiorani e da lì è approdato nel consiglio di sorveglianza del Banco popolare, l’istituto di Verona quotato in Borsa che assorbì la Bpi lodigiana.

Ed ecco il Cencelli dei superatenei. Monti è presidente della Bocconi. L’attuale rettore dell’università economica milanese, Guido Tabellini, è in predicato di diventare viceministro. Il nuovo titolare della Cultura, Lorenzo Ornaghi, è rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove Giarda occupa una cattedra di prestigio. E Paola Severino, avvocato penalista outsider, è vicerettore dell’università Luiss di Roma dopo esserne stata preside della facoltà di Giurisprudenza: tra i suoi clienti il neo Guardasigilli annovera Prodi, Francesco Gaetano Caltagirone, Cesare Geronzi e aziende come Fininvest, Telecom, Eni. Tra le università statali, primeggiano quelle del Piemonte: Balduzzi insegna all’università del Piemonte orientale, Elsa Fornero è ordinario di Politica economica a Torino, Profumo è stato a lungo rettore del Politecnico della città sabauda che ha abbandonato per la presidenza del Consiglio nazionale delle ricerche dopo aver detto (a Repubblica) che «in Italia il sistema politico è troppo pervasivo». Società quotate. Gnudi è stato presidente Enel fino a pochi mesi fa ed era stato consigliere di Stet, Eni, Enichem, Credito Italiano; oggi siede nei cda di Astaldi e Sole 24 Ore. Del quotidiano di Confindustria è editorialista Elsa Fornero, consigliere di Buzzi Unicem, moglie dell’economista Mario Deaglio, editorialista della Stampa. Profumo appartiene ai cda di Telecom, Pirelli e Fidia. Passera rappresenta il suo istituto nel patto di sindacato di Rcs Mediagroup, editore del Corriere della Sera. E nel Cencelli dei giornali, oltre a CorSera e Sole, non dimentichiamo che Ornaghi è vicepresidente di Avvenire, il quotidiano dei vescovi.

La lurida felicità di De Benedetti


MILANO - Ingegner De Benedetti, che impressione le ha fatto la caduta di Berlusconi? «La fine di uno show. Berlusconi è stato, ed è, un serial tv durato troppo a lungo. Tutto è cominciato su un set televisivo, con la messinscena del tavolo di noce e del contratto con gli italiani, alla presenza di un notaio fasullo anche quello. Termina con la tragedia di un Paese eticamente distrutto, economicamente sfiancato, finanziariamente sull'orlo del fallimento. Ora lo show è finito».

Ma Berlusconi non è ancora stato battuto. «Sia chiaro che è caduto in Parlamento, dove non aveva più i voti per governare. L'analisi storico-politica si farà carico di spiegare come un Paese si sia convinto a dare il proprio consenso a un illusionista, e poi abbia tollerato una figura retrò che impersonava la vecchia corruzione, il vecchio sessismo, il vecchio machismo. Nel mondo ormai veniva definito "buffoon". A me rimane una tristezza: come una classe dirigente abbia tollerato-favorito-tratto vantaggi personali dal rapporto con lui, mentre l'Italia andava a picco al suono del suo pifferaio magico che addirittura negava la crisi».

Cos'ha provato nel vedere la folla che lo insultava sotto casa? «Gli insulti sono sempre un elemento di inciviltà. Ma talvolta il popolo ha bisogno di uno sfogo, più folkloristico che sostanziale. Nel serial tv il finale prevede, come nelle grandi opere musicali, la parte del coro; ed è proprio a quel punto che si chiude il sipario. Comunque, è una cosa che sarebbe stato meglio non fosse successa».

La crisi è davvero così drammatica? «Sì. Ho passato la scorsa settimana tra Washington e New York. E ho scoperto che l'Italia è importante come mai in passato: la crisi del suo debito può destabilizzare il mondo intero; a cominciare dalla Francia. Non a caso Obama ha auspicato una soluzione tecnocratica per Grecia e Italia. Un grande banchiere mi ha confidato che la sera non riesce a dormire, in preda a cattivi pensieri; e il primo è l'Europa. È stato allora che mi sono reso conto che stavamo precipitando nel baratro, l'orologio della politica non coincideva con l'orologio dei mercati, e occorreva una grande accelerazione».

Monti è una «soluzione tecnocratica»? «Non so fino a che punto gli italiani siano riusciti a capire la straordinarietà di quanto ha fatto Napolitano la settimana scorsa. La lucidità, il tempismo, la determinazione, e la vera genialità politica con cui ha trasformato un professore in un padre della patria. Monti era l'unica scelta. Ho molta fiducia in lui».

Eppure in questi giorni la Borsa ha continuato a soffrire, lo spread e i rendimenti dei titoli di Stato a salire.  «Perché non basta cambiare l'etichetta; la gente vuol sapere cosa c'è dentro la bottiglia. La questione non è solo italiana, il problema della leadership è mondiale. Salvare la democrazia dalla tecnocrazia è un grande compito. Io penso che Monti rappresenti il meglio che la tecnocrazia può offrire: è la nostra ultima occasione, guai a perderla; viva Monti, mille volte. Ma la gente come me, che sono un democratico vero, spera che la tecnocrazia venga presto sostituita dalla politica. Altrimenti si apre l'orizzonte inquietante della demagogia, amplificata dalla grande rete comunicativa di Internet. È nato così un fenomeno come Obama: ottimo candidato, pessimo presidente; al punto che alcuni tra i suoi grandi finanziatori del 2008 stavolta voteranno Romney».

I partiti italiani sosterranno davvero un governo da cui sono esclusi? «I più grandi beneficiari di un governo tecnico saranno i partiti. Un governo tecnico darà loro respiro, consentirà di recuperare quella capacità di parlare ai cittadini che tutti hanno perso, a destra ma anche a sinistra».

Anche il Pd, la cui nascita lei aveva salutato con favore? «Il Pd non ha corrisposto alle aspettative mie e a quelle di tanti entusiasti alla sua nascita. Bersani è un'eccellente persona, è stato un ottimo ministro, si è dimostrato anche in questa circostanza un politico eccellente, fermo e intransigente sui suoi principi ma duttile come la circostanza richiedeva; ma, in un'epoca in cui la comunicazione è così importante, lui è più efficace comunicativamente nella versione Crozza che in quella originale. Ringraziamo però che ci sia Bersani perché, al di là delle amicizie personali, troppi a sinistra non sopportano più le liti trentennali D'Alema-Veltroni».

Renzi non la convince? «Assolutamente no. La rottamazione può essere la condizione per un progetto. Non può essere un progetto in sé. Di Berlusconi ne abbiamo già avuto uno. E ci è bastato».

Cosa pensa della composizione del governo? «Mi sembra una squadra con grandi professionalità. L'importante ora e che li lascino lavorare perché il compito che li attende è drammatico».

Quanto dura, secondo lei? «Parlare di governo a termine è ridicolo. L'unico termine sono le elezioni del 2013. Ma in 15 mesi Monti potrà solo iniziare un lavoro che durerà molto di più. Ci vorranno cinque, forse dieci anni per riparare ai guasti degli ultimi venti».

Questo significa che Monti potrebbe tornare a Palazzo Chigi sostenuto da un nuovo centrosinistra? «Non credo che Monti abbia intenzione di schierarsi, fondare partiti, guidare campagne elettorali. La sua forza è proprio nell'essere neutro, nel fatto che non favorirà né l'uno né l'altro. È un liberale, sia nel senso europeo sia nel senso americano del termine. È un einaudiano e un kennedyano allo stesso tempo. Ma non è padre Pio. Non è un dio. Cercherà di fare alcune cose, inclusa, spero, la legge elettorale e la patrimoniale, che personalmente ho suggerito due anni e mezzo fa».

È davvero necessaria la patrimoniale? E di quale tipo? «Serve una patrimoniale light , sotto l'1%, su tutto. Ma non per ridurre il debito, né per sistemare i conti, né per tranquillizzare l'Europa. La patrimoniale è un segno verso l'assoluta necessità, per l'Italia come per tutto l'Occidente, di ridurre la forbice sempre più ampia della disuguaglianza sociale. In America ho visto i giovani di Occupy Wall Street . Non concluderanno nulla; ma vanno compresi. Perché non si può più tollerare che l'1% della popolazione controlli il 50% della ricchezza».

Oltre alla leva fiscale, Monti dovrà far ripartire la crescita. Ce la può fare? «L'Italia può ripartire nel lungo e medio periodo, Ma ciò a cui andiamo incontro è una profonda recessione».

Qual è il suo giudizio su Tremonti? «Tremonti è un uomo di cultura e di buone letture. La massima soddisfazione per Tremonti è andare controcorrente. Nel titolo del suo best-seller, La paura e la speranza , ci sono entrambe le correnti contrastanti in cui si dibatte. Ma di quanto stava accadendo nel mondo non ha capito molto. Chiedeva i dazi contro la Cina. Ora siamo qui a chiedere aiuto alla Cina».

Non salva nessuno del governo uscente? «Maroni».

E lei cosa farà dei 564 milioni di euro che le ha versato Berlusconi? «Premesso che dovrà ancora rispondere dei danni non patrimoniali così come stabilito dalle sentenze già emesse, il risarcimento del danno subito l'abbiamo investito in impieghi estremamente conservativi. Siamo rispettosi della magistratura. Attendiamo sereni l'ultimo grado di giudizio, visto che l'unico argomento della controparte è quello di aver corrotto un giudice solo - peraltro, il relatore - e non tutti e tre. Quei soldi vorrei investirli nel mio Paese. Siccome ora in Italia il problema è la mancanza di liquidità, credo che le opportunità di investimento non mancheranno».

Aldo Cazzullo

mercoledì 16 novembre 2011

Il male assoluto


La Goldman Sachs? Una banca d’affari che in Europa ha «tessuto una rete d’influenza unica sedimentata nel corso dei lustri grazie a una fitta trama sia pubblica, sia sotterranea». A dirlo non sono i soliti quattro gatti appassionati di trame e complotti internazionali, ma quelli di Le Monde. La bibbia dei “gauche caviar” d’Oltralpe parte da Mario Monti e Mario Draghi per accusare la banca d’affari statunitense di gestire un occulto direttorio europeo capace di manovrare, in base ai propri interessi, gli uomini chiamati prima a generare e poi governare la crisi dell’euro. La caccia di Le Monde ai Goldman’s Boy parte proprio da Mario Monti. Come ricorda il quotidiano francese il nostro premier in pectore ha collezionato non solo l’incarico di consigliere internazionale della Goldman Sachs, conferitogli nel 2005, ma anche le cariche, non proprio ininfluenti, di presidente della Commissione Trilaterale e di socio del Bilderberg Group. Ma l’appartenenza alla Trilaterale e al Bilderberg sembrano dei requisiti irrinunciabili per tutti i Messia delle disastrate nazioni europee. Non a caso Peter Denis Sutherland presidente non esecutivo della Goldman Sachs International, membro del Bilderberg Group e presidente onorario della Trilaterale, è stato chiamato a dirigere le operazioni per il salvataggio dell’economia irlandese. Peccato che la Commissione Trilaterale, ideata nel 1973 da David Rockfeller, venga spesso accusata di non essere non soltanto un “think tank” dedito al coordinamento delle politiche di Asia, Europa e Stati Uniti, ma un centro di potere occulto creato - scriveva il senatore repubblicano Barry Goldwater - per sviluppare «un potere economico mondiale superiore ai governi politici delle nazioni coinvolte».

Ben peggiori sono però, ricorda Le Monde, i sospetti che circondano Mario Draghi l’attuale governatore della Bce, titolare tra il 2002 e il 2005 della carica di vice presidente della Goldman Sachs International. In quel fatale 2005 la Goldman Sachs rifila alla Grecia gli strumenti finanziari indispensabili per nascondere i debiti e metter piede nell’euro. A render possibile il raggiro targato Goldman Sachs contribuisce non poco Lucas Papadémos, il premier greco, membro come Mario Monti della Commissione Triennale, chiamato oggi - al pari del “Supermario” nostrano - a salvare la patria in pericolo. Una patria accompagnata da lui stesso sull’orlo del precipizio quando, da governatore della Banca Centrale di Atene, affida a Petros Christodoulos, un ex gestore di titoli della Goldman, lo scellerato maquillage dei conti ellenici. Tra i Goldman’s Boys nostrani Le Monde dimentica Romano Prodi. A puntare il dito sull’ex premier dell’Ulivo ci pensa già nel 2007 il Daily Telegraph accusandolo di esser stato sul libro paga della Goldman una prima volta tra il 1990 e il 1993 e poi di nuovo dopo il 1997. Ma alla luce dello scenario disegnato da Le Monde è assai interessante anche il “cursus honorum” di Massimo Tononi, il 47enne manager bocconiano nominato nel 2006 sottosegretario all’Economia del governo Prodi dopo una fulgida carriera in Goldman Sachs. Tornato alla Goldman dopo quell’esperienza, Tononi è oggi il presidente di Borsa Italiana, la società di proprietà del London Stock Exchange che controlla Piazza Affari. Una carica assunta lo scorso giugno, poche settimane prima del fatidico decollo dello spread. Uno di quei casi che solo Dio sa spiegare. Non a caso Lloyd Craig Blankfein, presidente dal 2006 della Goldman Sachs e grande finanziatore delle campagne elettorali di Obama, spiega così il suo mestiere di banchiere. «Io faccio il lavoro di Dio».

I salvatori cattocomunisti della patria...

... asserviti a finanza e ue


MILANO - «Io superministro? No, lavoriamo tutti insieme». Lo dice Corrado Passera, neo-ministro dello Sviluppo economico, risponde ai cronisti dopo il giuramento al Quirinale. «Assolutamente sì» risponde a chi gli chiede se l'Italia ce la farà. «L'Italia è molto di più di quel che sembra» aggiunge l'ex ad di Intesa San Paolo. «Tutto è difficile, tutto è semplice», ha detto poi a chi gli chiedeva se non si sentisse schiacciato dal peso della prova che si profila davanti a lui. Bisogna puntare su «crescita sostenibile e creazione di posti di lavoro, dimostrare ai mercati che l'Italia è molto di più di quello che molti pensano». Ai giornalisti che gli chiedevano se la realizzazione del Ponte sullo stretto di Messina restasse archiviata anche con il nuovo Governo ha replicato: «È troppo presto». Passera, rimpiange il suo ruolo in Banca Intesa anche se già detta le linee del suo incarico nell'Esecutivo. Passera risponde alle domande dei giornalisti che gli chiedono se la cosa più difficile sia proprio lasciare il suo incarico nella Banca.

PROFUMO - «Per prima cosa ascolterò gli studenti e i ricercatori per capire quale sono i loro desideri, le loro incertezze e e le loro difficoltà. Andare avanti con il consenso dei diretti interessati» ha detto Francesco Profumo, il nuovo ministro dell'Istruzione a Radio 24. «Sono felice - ha concluso in neoministro - è un impegno molto interessante, molto difficile e molto complicato».

RICCARDI - Andrea Riccardi, ministro alla Cooperazione internazionale e integrazione, si affaccia alla mostra in corso a Roma «Democrazia Cristiana per l'Italia unità ed il fondatore della Comunità di Sant'Egidio» prima di giurare al Quirinale. Risponde con uno «speriamo» ai cronisti che gli chiedono se stia per cominciare una nuova avventura, il ministro , regala ancora una battuta significativa: «O forse è la vecchia che continua...». Poi da buon cristiano mai spergiuro, Andrea Riccardi, non può venire meno ad uno dei dieci comandamenti. La formula di rito per il giuramento dei ministri al Quirinale è la seguente: «Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell'interesse esclusivo della Nazione». Andrea Riccardi legge la formula al Quirinale con voce alta e chiara, ma omette di pronunciare la parola «esclusivo».