venerdì 30 settembre 2011

Confindustria


Emma Marcegaglia lo aveva annunciato qualche giorno fa. Ora ha mantenuto la promessa. Il manifesto per salvare l'Italia è pronto. Ma non aspettatevi chi sa quali principi rivoluzionari contenga questa carta delle imprese. Cinque priorità scontate, necessarie e che sono sul tavolo del dibattito politico già da tempo. Ma per Confindustria l'importante è esserci. Fare sentire la propria voce e continuare a rifilare stoccate all'esecutivo. "Salvare l’Italia non è uno slogan retorico", sottolinea il Manifesto che le imprese presenteranno al governo. Ed ecco le cinque priorità indicate dagli industriali: spesa pubblica e pensioni, riforma fiscale, cessioni patrimonio, liberalizzazioni e semplificazioni, infrastrutture ed energia.

Sul fronte delle pensioni si chiede di elevare l’età pensionabile e, in particolare per le donne, come nel pubblico impiego portarla a 65 anni dal 2012 nel settore privato. Ma si chiede anche di anticipare al 2012 l’avvio del meccanismo di aggancio automatico dell’età pensionabile all’aumento delle speranze di vita. E poi ancora una riforma delle pensioni di anzianità che abolisca l’attuale sistema e infine di abrogare tutti i regimi speciali previsti dall’Inps e dai diversi enti previdenziali per eliminare "privilegi che non trovano alcuna giustificazione". Quanto al fisco occorre recuperare competitività riducendo il costo del lavoro e stimolare la produttività, la ricerca e l’innovazione con strumenti fiscali ad hoc. Altro punto centrale quello del contrasto all’evasione fiscale e l’introduzione di un prelievo patrimoniale ordinario: le imprese chiedono di fissare a 500 euro il limite per l’utilizzo del contante e di applicare sul patrimonio netto delle persone fisiche un’imposta patrimoniale annuale ad aliquote contenute con le necessarie esenzioni. "Si può stimare che la misura comporti un maggior gettito per l’erario di circa 6 miliardi di euro annui". E le associazioni chiedono anche di rivedere l’Irpef.

Alla fine quindi, dopo alcuni giorni di confronto tra le associazioni datoriali (Confindustria, Abi, Rete imprese Italia, Alleanza delle cooperative, Ania) il famigerato "progetto delle imprese per l’Italia", considerato come "una svolta importante per la situazione di stallo che sta vivendo il Paese", è nato. "L'Italia si trova davanti a un bivio: può scegliere la strada delle riforme e della crescita in un contesto di stabilità dei conti pubblici o viceversa scivolare ineluttabilmente verso un declino economico e sociale", si legge sul Manifesto. "Occorre produrre - prosegue il testo - un immediato e profondo cambiamento capace di generare più equità, maggiore ricchezza e riduzione dello stock del debito. Il tempo si è fatto brevissimo: servono scelte immediate e coraggiose". "Se il governo varasse le misure per lo sviluppo a metà ottobre andrebbe bene. Non ne facciamo una questione di giorni", ha poi spiegato il presidente di Confindustria. Scetticismo del ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, sul Manifesto delle imprese, soprattutto su patrimoniale e riforma delle pensioni. "Le proposte delle associazioni d’impresa - sottolinea però Sacconi - meritano rispetto e attenzione. Una loro prima lettura consente di individuare nella patrimoniale da sei miliardi all’anno e in un intervento sulle pensioni gli assi portanti in quanto destinati a garantire le risorse per politiche di sostegno alla crescita. Una patrimoniale strutturale di questa entità considerando la composizione della ricchezza certificabile, arriverebbe inevitabilmente a colpire una larga platea di persone e famiglie, essendo l’Italia un Paese di proprietari, dalle prime case, ai titoli di Stato e a tutto quello che può essere amministrato direttamente e indirettamente dalle banche. La redistribuzione di questi sei miliardi su Irpef e Irap, immaginandola in modo equo, avrebbe effetti poco percettibili".

"Sulle pensioni - ha aggiunto Sacconi - sono ipotizzati elevati, immediati e crescenti effetti finanziari, fino a 18 miliardi nel 2019, ma da un lato gli estensori sembrano volere correggere la riforma Maroni con il pensionamento flessibile in regime contributivo (il che darebbe luogo a molti più oneri) e dall’altro condannerebbero improvvisamente ad attendere 3-4 anni proprio le donne e i lavoratori anziani con molta contribuzione che quotidianamente le imprese e le banche medie e grandi sono portate ad espellere affidandoli agli ammortizzatori sociali. Sarebbe contemporaneamente utile la disponibilità a una moratoria dei licenziamenti di banche e imprese per far sì che i lavoratori possano attendere nel lavoro e non nella disoccupazione la maggiore età di pensione".

"Non siamo qui per mettere in crisi questo Governo, né altri Governi", ha dichiarato il presidente dell’Abi, Giuseppe Mussari, che poi ha precisato: "Questa non è una cosa contro l’Italia, ma per l’Italia, il nostro obiettivo non è di mandare a casa il Governo, siamo in una democrazia parlamentare: se cinque associazioni decidono di fare sacrifici è perché immaginano di avere un interlocutore". Il Presidente dell’Associazione delle Banche Italiane ha inoltre sottolineato che della crisi "la responsabilità è di tutti, nessuno è indenne". Differente la posizione della Marcegaglia che lancia un vero e proprio ultimatum. "Confindustria è pronta a lasciare i tavoli aperti con il governo se non si andrà avanti nel confronto sulle proposte presentate dalle imprese. Se le proposte non andranno avanti ho avuto mandato dalla giunta a valutare se non andare ai tavoli", ha detto il presidente degli degli industriali. E il manifesto delle imprese ha raccolto subito l'appoggio del Partito democratico. "Bene il manifesto delle imprese. È un testo in larga parte condivisibile che indica obiettivi ambiziosi e parte da una giusta analisi dei problemi dell’Italia e delle risorse a cui attingere per ripartire", ha dichiarato il vice segretario Pd, Enrico Letta, che poi ha colto l'occasione per lanciare una stoccata all'esecutivo: "È chiaro che non è l’attuale governo ad essere in grado di affrontare quelle priorità. Noi siamo pronti al confronto e alla sinergia con la volontà riformatrice che quel manifesto esprime".

giovedì 29 settembre 2011

Pisapia e compagnia


Prima firma? Giuliano Pisapia, sindaco di Milano. Seconda firma? Basilio Rizzo, presidente del Consiglio comunale. Inizia così la battaglia della sinistra italiana che guarda ai futuri elettori: una raccolta firme per presentare due proposte di legge di iniziativa popolare sui temi della cittadinanza e del diritto di voto per gli immigrati. L'obiettivo? Raggiungere 50mila firme per portare i due documenti al vaglio del parlamento. L'appuntamento è per sabato prossimo. Da Torino a Milano, da Bologna a Firenze. E ancora: Roma, Bari e decine di città in tutto il Paese. I comitati locali della campagna allestiranno banchetti e organizzeranno incontri di sensibilizzazione. L'Italia sono anch'io è il nome dell'inziativa, subito sottoscritta dal neosindaco di Milano, per dare agli immigrati la possibilità di votare alle amministrative. Una iniziativa che sarà sviluppata in modo capillare in tutto il Paese. Nomi illustri tra i sostenitori: l'editore Carlo Feltrinelli, parte del mondo cattolico (dalla Caritas alle Acli), la Cgil e la fondazione Migrantes.

La prima proposta di legge va a riformare la legge sulla cittadinanza. Si punta a sostituire lo ius sanguinis con lo ius soli, passare cioè dalla cittadinanza trasmessa per via del sangue (quindi solo se si è figli di italiani) alla cittadinanza trasmessa a chiunque nasce in Italia. I promotori vorrebbero, infatti, modificare la normativa vigente con il diritto alla cittadinanza per chi nasce nel Belpaese da almeno un genitore legalmente presente da un anno nel nostro Paese, per chi fa domanda entro i due anni successivi al 18esimo anno di età ed è nato in Italia o vi è arrivato prima dei dieci anni soggiornando legalmente, per gli adulti che soggiornano regolarmente da cinque anni o su proposta dei sindaci. La seconda proposta punta, invece, a concedere il diritto di elettorato attivo e passivo alle elezioni amministrative (comunali, provinciali e regionali) agli stranieri residenti regolarmente in Italia da cinque anni.

La proposta, promossa dal sindaco di Reggio Emilia Graziano Delrio, non è piaciuta alla Lega Nord. "Ma che stiamo scherzando?", sbotta l'europarlamentare Lorenzo Fontana: "Attualmente la legislazione va già bene... anche se io la restringerei, soprattutto per gente come gli islamici che fanno davvero fatica a integrarsi nel tessuto sociale del Paese in cui vanno a vivere". L'esponente del Carroccio porta l'esempio della Svezia che, pur offrendo agli immigrati uno stato sociale davvero alto, sta progressivamente chiudendo le frontiere ai nuovi arrivati. "In un momento di crisi così forte come quello che stiamo vivendo - continua Fontana - non possiamo permetterci di mantenere tutte le persone che arrivano nel nostro Paese". D'altra parte la preoccupazione non è solo a livello europeo, ma va a colpire anche le amministrazioni locali. A Milano, per esempio, dove Pisapia sta per tagliare oltre 50 milioni di euro proprio ai servizi sociali destinati ai milanesi, l'opposizione di centrodestra promette battaglia. "E' l'ennesima carota che Piaspia dà a una parte marginale della città - ha commentato Alessandro Morelli, ex assessore comunale - mentre ai milanesi viene dato il bastone con tasse e tagli ai servizi". Morelli fa infatti sapere che alla proposta di legge di L'Italia sono anch'io la Lega ne contrapporrà un'altra per dare i punteggi per la graduatoria per le case popolari in base agli anni di residenza. Una proposta di legge già sperimentata a Verona dove, durante l'amministrazione di centrosinistra, quasi il 90 per cento delle case popolari veniva assegnato a cittadini extracomunitari. Adesso è stata invertita la rotta. Qualora la raccolta firme raggiungerà il numero necessario per portare le due proposte di legge in parlamento, la Lega assicura che si metterà di traverso. Se infatti la sinistra punta a formare una pletora di "nuovi italiani" e potenziali nuovi elettori, il Carroccio intende difendere lo stato sociale del Paese. "Per ottenere il diritto di voto - conclude Fontana - bisogna essere integrati e la maggior parte degli immigrati che risiedono in Italia non sanno nemmeno scrivere...".

mercoledì 28 settembre 2011

Dell'avere la faccia come il didietro


MILANO - La crisi dei debiti sovrani in Europa pesa sulla crescita economica e la risposta dei Paesi Ue per affrontarla non è stata abbastanza robusta. Lo ha detto il presidente Usa Barack Obama, secondo Bloomberg. «In Europa non stanno affrontando la crisi del sistema finanziario in modo efficace, come sarebbe necessario», ha detto.

Mi sa che il tizio abbronzato d'oltreoceano non ha ancora capito che la crisi è scoppiata a causa della sua america. Ma si sa, lui con quella sua abbronzatura... può dire tutto e taluni gli perdonano tutto. Persino mentire sapendo di mentire.

Ambizioni

Mercoledì 21 settembre 2011, De Magistris annuncia di voler costruire una grande moschea. Ma i rifiuti restano.


Napoli - De Magistris, mentre la sua Napoli continua ad affogare nel mare dei rifiuti, continua a sognare nel suo "blu dipinto di blu...". Proprio dopo aver appreso che l'Ue sta per per mettere in mora l'Italia per la situazione della monnezza di Napoli, lui cosa fa? Un altro annuncio in grande stile: "Dopo aver ridotto gli stipendi d’oro darò a Napoli la più grande pista ciclabile del mezzogiorno". Lo ha detto commentando i suoi primi 100 giorni di amministrazione. De Magistris ha sostenuto che sono stati "giorni di grande fatica, che si fa sentire, ma l’affetto della gente è una carica straordinaria. Non mi bisogna mai perdere il rapporto con le persone, è una fonte inesauribile di risorse".

Sarà, ma forse la carica dei cittadini la sente solo lui visto che sono abbastanza infuriati per i rifiuti e le nuove ztl. Ma Giggino non è un sindaco, è un sognatore si sa... Voleva portare Obama a Napoli per Natale, poi si è concentrato sulle barche a vela per la Coppa america nel golfo partenopeo, poi ha firmato una petizione per il riconoscimento dello stato palestinese all'Onu, adesso annuncia la più grande pista ciclabile del sud nella sua Napoli... Pensa davvero in grande su tutto tranne che sui veri problemi dei napoletani...

Mercoledì 28 settembre 2011, De Magistris annuncia di voler costruire una grande pista per bici... Ma i rifiuti restano ancora. 

lunedì 26 settembre 2011

Immigrati, una risorsa

Ricordando che per noi immorali amanti delle bionde, un pacchetto ci costa la bellezza di (un massimo) 4 euro e 90 cent PAGATI DI TASCA NOSTRA (e infondo ce lo siamo voluto il vizio con annessi e connessi) e veniamo umiliati e ghettizzati giornalmente coi divieti voluti dal ministero della sanità.


LAMPEDUSA (AGRIGENTO), 26 SET - Nel corso di quest'anno, la cooperativa ''Lampedusa accoglienza'', che gestisce i due centri per i migranti sull'isola, ha speso 450 mila euro per le sigarette. Il capitolato di appalto col Viminale prevede infatti che venga fornito ad ogni migrante maggiorenne un pacchetto di sigarette al giorno. ''Le sigarette - dico Cono Galipo', amministratore della coop - fungono anche come una sorta di tranquillante''. Il budget per ogni ospite del centro e' di 33,42 euro al giorno.

domenica 25 settembre 2011

La condonata


Emma Marcegaglia propone un nuovo manifesto per l’Italia. Di nuo­vo c’è poco, se non la sfiducia che la Signora ha nei confronti del gover­no Berlusconi. Che in effetti di riforme ne ha fatte davvero pochine. Ma della signora Marcegaglia ci possiamo fidare? E questi grandi imprendi­tori che si stanno già combattendo per la successione della Signora, hanno tutti le carte in regola per fare i moralisti? Ci sono molte imprese, come testimonia­no le ottime inchieste di Dario Di Vico e Marco Alfieri, che non ne possono più di questo governo. Speravano in una riduzione fisca­le e in uno sn­ellimento della buro­crazia che non è arrivato. Ma i ver­ti­ci di questa Confindustria non ri­schiano di fare come il governo, aver capito troppo in ritardo gli umori della propria base? Sulla lotta all’evasione, ad esempio, la posizione confindustriale più che tardiva sembra ipocrita. Così co­me sulla liberalizzazione del mer­cato del lavoro. I nuovi personalis­si­mi dispiaceri alla signora Marce­gaglia li ha procurati il governo e Tremonti in particolare. Parados­salmente proprio per venire in­contro alle indicazioni anche del­la Confindustria, l’esecutivo si è messo in testa di dare la caccia ai presunti evasori. Marcegaglia compreso. Lungi da noi pensare che ciò che stiamo per scrivere ab­bia minimamente irritato la sciu­ra. Ella, come si sa, viaggia alto, al­tissimo. Figurarsi se si occupa di quella norma introdotta dall’ulti­ma manovra estiva che estende gli accertamenti fiscali all’anno di grazia 2002. In buona sostanza il governo ha deciso che il condono fiscale del 2002, considerato ille­gittimo dalla Ue, non metta al ripa­ro da nuovi accertamenti proprio coloro che all’epoca lo sottoscris­sero. La materia è complicata: ba­sti dire che l’Agenzia delle Entrate nei prossimi tre mesi ha l’obbligo di legge di andare a verificare tutte le posizioni di coloro che aderiro­no a quel condono fiscale. E indo­vi­nate un po’ chi rischia un bell’ac­certamento? Esatto. Il gruppo Marcegaglia,che all’epoca dei fat­ti aveva proprio nella Sciura un amministratore delegato. Ma non preoccupatevi, la presidente della Confindustria è su un altro li­vello. Questa estate tuonò: «Basta con i condoni fiscali». Grazie, tut­to quello che si poteva condonare la Sciura l’ha già condonato.Senti­te qua. Bilancio Marcegaglia. An­no 2002. «Negli oneri straordinari figura l’importo di 9,5 milioni deri­vante dalle legge 289/02 sul con­dono». E nella relazione del colle­gio sindacale: «Sono venuti com­pletamente meno i rischi derivan­ti dalla verifica fiscale generale, eseguita nel corso del 2001». In­s­omma l’azienda ha pagato 9,5 mi­lioni di condono e si è così messa a posto con la verifica fiscale che aveva subito e che con tutta proba­bilità sarebbe sfociata in un bel verbale di contestazione. Ma il punto è che oggi la Marcegaglia ri­schia di nuovo. Quel condono, per la parte di sanatoria Iva, è sta­to considerato illegittimo dalla Ue e molti dei condonati non hanno neanche pagato le rate che erano previste. Il governo italiano alla caccia disperata degli evasori ha preso la palla al balzo (non pro­prio il primo, visti gli anni passati) e ha riaperto un faro di verifica nei confronti dell’anno 2002. Senza questa norma estiva infatti quel­l’anno sarebbe prescritto e i con­donati (che poi tali non sono per la sentenza Ue) sarebbero al sicu­ro. Che colpo gobbo. Insomma la Marcegaglia do­vrebbe ben conoscere sulla sua pelle l’attivismo del governo per combattere l’evasione fiscale. Ma è il pulpito da cui arrivano le prediche ad essere ridicolo. Certo ricordare alla signora Marcega­glia del conto cifrato 688342 della Ubs di Lugano a lei intestato (insie­me al padre Steno) dove transita­vano quattrini della Scad Com­pany Ltd, o quello 688340 sempre a Lugano e sempre della Ubs dove transitavano milioni di euro frut­to della costituzione di fondi neri all’estero, può sembrare poco ele­gante se ad occuparsene è il Gior­nale. Se a farlo, come fece, è Repub­blica , è tutto ok. Così come sareb­be seccante ricordare alla sciura come 750mila euro vennero tra­sferiti dal conto di Lugano a quel­lo di Chiasso e poi presi in contan­ti tra il settembre e il dicembre del 2003 (tutte informazioni contenu­te in una rogatoria ottenuta da Francesco Greco). Mica un secolo fa. Il punto qua non è la correttez­za etica della Signora Marcegaglia e del suo gruppo (e quante impre­s­e hanno fatto altrettanto), ma è la sua inadeguatezza a spiegare al mondo cosa sia necessario fare per dare sviluppo al Paese. Glielo diciamo noi cosa è necessario alla Signora. È necessario che il grup­po della sua famiglia, in cui lei è stata anche amministratore dele­gato, competa sul mercato ad ar­mi pari con i concorrenti. Magari senza aprire troppi conti cifrati in Svizzera. Il gruppo Marcegaglia ol­tre a commettere un possibile rea­to (per la verità il fratello della Si­gnora ha patteggiato per tangen­ti) ha messo indirettamente fuori mercato le aziende che seguivano le regole. La prima vittima del­l’evasione fiscale non è lo Stato, ma è l’impresa vicina che come un gonzo paga tutte le tasse come si deve. E poi arriva Emma che fa la furbetta. E prima contribuisce a costituire fondi in nero: per Repub­blica il gruppo costituì all’estero 400 milioni di euro di fondi. Poi li scuda grazie all’odiato Tremonti. E poi da presidente della Confindustria fa la maestrina e ci racconta come si deve far ripartire il Paese. Ma ci faccia il piacere. La vicenda dei 17 conti segreti della Marcegaglia in Svizzera è roba passata. Il tutto si chiuse nel 2004 con il trasferimento di 22 milioni dai conti svizzeri a Singapore. E lo stesso fratello della Signora, Antonio, interrogato dai Pm di Milano disse a fine 2004: «Si tratta di risorse riservate che abbiamo sempre utilizzato nell’interesse del gruppo per le sue esigenze non documentabili». Come dargli torto, si sarebbe trattato di milioni e milioni di documenti. Quando si dice la semplificazione che le imprese a gran voce richiedono. La Signora in materia fiscale ha poche idee e un po’confuse. Tuona contro i condoni, ma li utilizza a man bassa. Non vuole il contributo di solidarietà del Cav, ma accetta la patrimoniale, con una storia di conti all’estero da paperone di Mantova. Si possono accettare molte le­zioni dalla Signora Marcegaglia. Ma quella della moralista con il ditino alzato, proprio no. Soprattutto in materia di tasse. «Confindustria - ha detto la Marcegaglia - ­ non ha paura delle critiche». Bene accetti le nostre. E inizi a fare pulizia a casa sua, prima di pontificare sullo sviluppo del Paese, compromesso anche dalle furbate dei privati. Il governo Berlusconi ha mol­te colpe. Ma un esame di coscienza da parte di queste grandi impre­se che afferrano al volo i condoni e costituiscono conti in Svizzera, non l’abbiamo ancora visto.

Zitti tutti, ora parla lei


Anna Wintour è la gran signora della mo­da mondiale. Si dice scandalizzata, con­versando con un giornalista di Repubbli­ca, perché in Italia nessuno fa nulla per buttare giù Berlusconi, che si comporta in modo tanto difforme dagli standard ti­pici del mondo delle sfilate, e si doman­da perché mai le donne non scendano in strada a protestare per la loro dignità. La signora Wintour è evidentemente male informata:c’è parecchia gente che prova a buttare giù il capo del governo italiano, tra questi molti magistrati e giornalisti in toga, e anche le donne di sinistra, giova­ni belle e molto indignate, si sono fatte sentire vivacemente. Ma se ci si occupa di pizzi, mutandine e falpalà, non è necessario saperla lunga sulla situazione politica di un Paese e sulla sua storia. Basta­no impressioni generiche, e una intervista indignata non si rifiuta a nessuno. Va di moda, come le scarpe di Manolo Blahnik. Berlusconi è molto amico di Dolce & Gabbana, io no. Lui si pre­occupa del made in Italy e fa bi­sbocce anche con loro, se del ca­so.

A me dispiacciono quelli che fanno chiassosamente tardi, e danno fastidio alla vacanza a Stromboli del presidente della Re­pubblica, e poi quei loro manifesti pubblicitari in cui si esalta il role model del branco di fronte al cor­po sottomesso di una donna dan­no ­un gran fastidio a un bacchetto­ne come sono io. Per non parlare di tutta quell’apologia del culo, che è un bell’oggetto anche ses­suale, ma da tenere preferibilmen­te riservato (non è una battuta omofobica, lo dico per i cretini, è una battuta semiologica, e questo invece lo dico per quelli troppo in­­telligenti). Però se dei magistrati infoiati li intercettassero a casac­cio, Dolce & Gabbana, mi parreb­be una scurrile violazione della lo­ro privacy, e sarei pronto a difen­derli per ogni dove e in ogni mo­do. Qual è il problema? Il proble­ma è che molti giudicano senza sa­pere, e va ancora bene, ma anche senza tenere conto del fatto che non tutti hanno chiesto al Signore un cuore docile e la capacità di di­stinguere il bene e il male, come Re Salomone (lo ha ricordato il Pa­pa a Berlino in un magnifico di­scorso politico- teologico). Alcuni se ne fottono. Se il focoso Bill Clin­ton mette un sigaro cubano dove non dovrebbe nello studio ovale della Casa Bianca, sono poi pronti ad andare a cena a Westchester County, a casa sua, in qualsiasi momento, per non parlare di una settimana di vacanza a Martha’s Vineyard. La signora Wintour sa che dietro il successo commercia­le della moda, a parte la grandez­za artigianale e industriale di cer­te creazioni, c’è la molla del desi­derio: desiderio di sesso, di cocai­na, di possesso, di sottomissione. Non è che stiamo qui a pettinare le bambole, sappiamo come va il mondo, e anche il suo mondo di fatturati dell’eccitazione e del­l’eleganza trasgressiva. Quindi prima di salire in cattedra e dare giudizi sprezzanti sull’Italia, gli italiani e Berlusconi, Anna Win­tour, che è una liberal inconcussa, si rilegga i nastri delle conversazio­ni tra Arth­ur Schlesinger e Jacque­line Bouvier Kennedy, e vedrà che Martin Luther King faceva orgette prima di sognare l’eguaglianza tra bianchi e neri con la carica mi­stica che tutti gli riconosciamo, e che tanto tempo dopo ancora be­nediciamo, e i gli altri suoi eroi di sempre non si comportavano altri­menti. Poi veda se è il caso di dare interviste pedagogiche al giorna­le fondato da Scalfari e Carlo Ca­racciolo, simpatico principe sen­za complessi.

A ciascuno il suo ruolo. C’è un af­follamento di voci moraleggianti che irrita, oggi in Italia e intorno al­­l’Italia. Ci sono giornalisti aggres­sivi con i lenoni che si mettono sul­la scia di magistrati incarogniti, e gli fanno da prosseneti intellettua­li e civili. Sono molto peggio di qua­lunque Tarantini. Dovrebbero sa­pere che ne­ssuno ha mai intercet­tato Mitterrand per sapere che co­sa pensasse della Edith Cresson, primo ministro da lui nominato e sua grande e tenera amica, o di Margaret Thatcher, la sua nemesi politica e ideologica. Nei Paesi normali le intercettazioni, in soli casi eccezionalmente gravi, le di­spone l’autorità giudiziaria, spes­so eletta o dipendente dal gover­no, per tutelare la sicurezza dei cit­tadini dalla mafia o quella del Pae­se dai nemici. Solo da noi le inter­cettazioni servono a rovesciare il premier eletto dalla maggioranza del corpo elettorale, e a far tenere lezioni di moralità da chi non è au­­torizzato a darle.

... ma Vogue, qualche mesetto fa, non aveva pubblicato alcune foto di bambine truccate e vestite come le modelle? E poi, accortisi dell'errore madornale e della pubblica indignazione, licenziarono chi decise di pubblicare ciò?

sabato 24 settembre 2011

Le colpe degli altri...

I clandestini tunisini mettono a ferro e fuoco Lampedusa, bloccano il porto di linosa, lanciano sassi contro la gente e contro le forze dell'ordine ferendole, rendono inagibile il cie... e la questura che fa?


E così anche l’isola che l’Italia sta per candidare all’Oscar è nei guai. Anche la piccola, remota, verdeggiante Linosa, sfondo dell’ultimo film di Emanuele Crialese, «Terraferma» di pace e accoglienza, ieri ha conosciuto una nuova storia. È successo questo: nella notte di giovedì sono sbarcati 30 tunisini da un minuscolo peschereccio con il motore in avaria. Ogni tanto capita. Sono migranti che sbagliano rotta e vanno a sbattere sullo scoglio sbagliato. La gente dell’isola, 380 residenti, è abituata. Il sindaco facente funzione (quello vero è il sindaco di Lampedusa) si sveglia, prende l’Ape e va a chiamare la titolare dell’unico minimarket. Poi Salvatore Ramirez offre dei kit preconfezionati, scarpe e magliette, acqua e biscotti, infine indica la strada: i 30 nuovi arrivati sono andati a dormire insieme ad altri 68 tunisini, già accampati nella palestra comunale. Però è stata una brutta notte. Forse hanno sentito per telefono che questi non sono giorni buoni per i cercatori di fortuna. Fatto sta che ieri pomeriggio alle due, quando hanno visto arrivare il traghetto Palladio - una nave di linea piena di cibo, turisti e parenti - hanno deciso che era venuto il momento di continuare il loro viaggio. Tutti insieme sono usciti dalla palestra e si sono incamminati verso il molo di Linosa. Sull’isola ci sono sei carabinieri. Il capitano della Palladio aveva già fatto lanciare le cime, quando ha ricevuto l’ordine di non attraccare. Troppo pericoloso. Situazione fuori controllo. Ne è scaturita una protesta furiosa: la prima. I residenti volevano abbracciare i loro amici, i tunisini volevano partire. Gente incatenata alle bitte per impedire al traghetto di allontanarsi. Urla, tensione. La Palladio immobile in porto, ma ancora lontano dal molo. Mentre i carabinieri di Lampedusa - avvisati dai colleghi - inviavano due motovedette. Ma servivano quasi due ore di navigazione. A Linosa tutti stavano chiedendo la stessa cosa: libertà di viaggiare. All’arrivo dei rinforzi, è stata presa una decisione inedita: la Palladio è stata fatta attraccare, turisti e parenti sono scesi, mentre i 98 tunisini sono stati imbarcati quasi come passeggeri normali (anche se a Porto Empedocle già stavano organizzando il servizio d’ordine).

Una giornata strana. Di brutti piccoli segnali. Ieri a Lampedusa si è battuto il record di assenze. Solo 31 immigrati nel centro d’accoglienza, trenta uomini e una donna. Ma a qualcuno non è bastato. Dopo la rissa di mercoledì sassi e bastoni contro i tunisini dove per la prima volta alcuni lampedusani sono passati dalla parte del torto (i carabinieri stanno studiando i filmati degli scontri), ieri notte un incendio doloso ha svegliato il paese. Sulla curva di via Lido Azzurro bruciava la Ford Fiesta di Cono Galipò. Ovvero l’auto dell’amministratore delegato della cooperativa che gestisce il centro di accoglienza dell’isola. «Più che spaventato sono inferocito - dice Calipò - ho sempre avuto un buonissimo rapporto con la popolazione di Lampedusa, diamo lavoro a 120 famiglie, mi è difficile capire». Tre dati non giustificano l’intimidazione mafiosa, ma raccontano bene cosa è successo a Lampedusa nella sua storia recente: 11 mila immigrati nel 2007, 34 mila nel 2008, 52 mila solo nei primi sette mesi del 2011.

venerdì 23 settembre 2011

Punti di vista


“L’Islam, proprio perché è molto decaduto, ha assunto una rigidità che gli rende difficile poter conciliare i propri valori con quelli democratici.” Forte e chiaro il messaggio di Giovanni Sartori sulla cultura islamica, così come sono chiare le sue posizioni sulla crisi economica mondiale, il ruolo del governo italiano, le rivoluzioni arabe, l’Islam e i processi di integrazione sociale. A dieci anni dall’11 settembre possiamo affermare che gli U.S.A. hanno definitivamente perduto il ruolo guida nello scacchiere geopolitico internazionale? Il ruolo guida no ma hanno perso la partita economica, tutto l’occidente ricco è in crisi. Questa globalizzazione fatta senza criteri ha creato e creerà ancora disoccupazione: a parità di tecnologia, se un’operaio costa mezzo dollaro in Cina e dieci dollari negli Stati Uniti, il lavoro finisce in Cina. L’ingegnosità ce l’hanno anche i cinesi, non abbiamo più molte possibilità da giocarci. La verità è che i nostri politici si sono fatti cogliere di sorpresa.

E nel frattempo Al Quaeda è tornata a minacciare il mondo ipotecando anche le rivoluzioni arabe. È vero che c’erano le giunte militari ma erano proprio le giunte militari che tenevano basso il fervore islamico. Ora invece esplode e sono curioso di vedere se ci saranno elezioni democratiche. Non è semplice far funzionare la democrazia, non ci riusciamo nemmeno noi dopo un secolo. Non è pensabile un sistema democratico nei paesi islamici dove conta solo la volontà di Dio, non certo il costituzionalismo e il laicismo. Io sono molto preoccupato di questa situazione instabile perché indubbiamente possono vincere forze islamiche estreme. Le dittature militari erano capaci di controllare l’islam, ora siamo in balia degli eventi

Però la gente gridava libertà e democrazia. E non bruciava bandiere americane. Una cosa è inneggiare, altra cosa è perseguire e saper fare. Io non le chiamerei nemmeno rivoluzioni, sono rivolte. La rivoluzione ha un progetto e un parco di cognizioni che nessun popolo che ha vissuto con le dittature mediorientali ha acquisito. Si capisce che libertà e democrazia sono parole popolari e l’occidente le incoraggia ma io credo che poi il conflitto sarà tra gerarchie militari e Islam. L’Egitto è quello con più chance democratiche perché alfabetizzato e infiltrato dal turismo europeo, il Marocco sta bene perché il Re è anche il capo della religione. Qui la partita è tutta aperta e secondo me l’Islam della rivincita viene alimentato da tutto questo. La stessa Turchia sta facendo enormi passi indietro.

Lei descrive uno scenario alla Samuel Hungthington, di scontro di civiltà. Lo scontro di civiltà c’è, perché negarlo. E’ unilaterale perché l’Occidente è laico e l’Islam è teocratico. Però se si estremizza, l’Islam teocratico diventa aggressivo. Ora la contrapposizione si fa più forte perché le dittature militari che tenevano a bada le forze islamiche sono state abbattute. Il principio fondante dell’Islam è che tutto dipende da Allah, le democrazie si fondano sulla volontà popolare; possono funzionare male tutti e due ma sono due principi opposti.

Ma le democrazie, per loro natura pluraliste, non dovrebbero continuamente rinegoziare i loro valori con chi le abita? L’integrazione è solo l’accettazione dei valori etico politici di un sistema, non della religione, non dei costumi, delle credenze. Di solito chi arriva si integra nelle società che li ospita. Invece l’Islam, proprio perché è molto decaduto, ha assunto una rigidità che gli rende difficile poter conciliare i propri valori con quelli democratici.

Anche il Cristianesimo è stata una religione aggressiva e poco tollerante. Non abbiamo la responsabilità storica di partecipare all’evoluzione dell’Islam? Le due religioni monoteiste (Israele è troppo piccola per contare) erano alla pari come crudeltà solo che l’Occidente dopo le guerre di religione si è laicizzato e la Chiesa non ha più il potere della spada; noi siamo diventati laici mentre l’Islam resta una civiltà teocratica. Questo si può ovviare, ma non è semplice.

Quindi non c’è speranza di dialogo. L’ evoluzione dell’Islam deve essere endogena. L’unico strumento utile per gli immigrati è la scuola: abbiamo bisogno di classi miste perché è importante socializzare. Attraverso questa apertura dei giovani tra di loro possiamo sperare che si sviluppino delle generazioni più sofisticate mentalmente.

E i nuovi arrivati? Accelerare le procedure di ottenimento della cittadinanza può essere utile per loro? La cittadinanza non è importante. Io sono residente negli Stati Uniti da molti anni ma resto cittadino italiano. La questione è, invece, accogliere e riconoscere i diritti, tranne quelli di elezione politica. Perché non concedere il voto? Perché questa pratica ricrea il blocco islamico, che altrimenti si disperderebbe.

La sua paura è che possa crearsi un blocco islamico in Italia? Gli italiani sono legati alla propria casa e non spostandosi così facilmente non creano quartieri ghetto come succede invece a Parigi e a Londra. Gli inglesi sono scappati dalle zone di infiltrazione islamica, gli italiani soffrono ma non vanno via. Il processo di integrazione non funziona in queste periferie omogenee, i flussi migratori andrebbero distribuiti in tutto il territorio; questo vale per qualsiasi civiltà monoteista.

Due battute sulla politica interna. Il governo attuale sarà in grado di gestire questa situazione economica difficile? La crisi è forte, ci vorrebbe un personale esperto, qualificato e di prestigio internazionale. I tedeschi farebbero una “grosse koalition”. Un governo tecnico da noi, che comunque dipenderebbe dal Parlamento, sarebbe auspicabile.

La nostra classe dirigente non Le pare all’altezza? Berlusconi è un bravissimo affarista, in un epoca di contrabbando sarebbe stato un grandissimo contrabbandiere ma poi l’uomo è di un’ignoranza totale. Se uno riuscisse a penetrare dietro alle formule si capirebbe, ma a lui basta sapere quello che sa per rimanere dov’è.

Faccia un nome per la guida del governo tecnico. Mario Monti è l’ uomo giusto, è cordiale ma ha una volontà di ferro. La forza di un governo tecnico guidato da lui sarebbe anche quella di poter prendere delle decisioni impopolari, i partiti non vogliono assumersi questa responsabilità.

giovedì 22 settembre 2011

Ah, bhe allora...


Si può anche concedere che Barack Obama sia stato sgarbato con l’Italia. Ringraziare davanti all’Assemblea delle Nazioni unite Lega araba, Egitto, Tunisia, Francia, Danimarca, Norvegia e Gran Bretagna per il ruolo svolto in Libia contro il regime di Gheddafi, dimenticando il governo di Roma, è un’amnesia singolare. Ma sottolineare l’omissione di un presidente degli Stati Uniti che vive lui stesso un momento di seria difficoltà non basta a eludere una domanda di fondo: perché l’inquilino della Casa Bianca non sente il bisogno di dire grazie anche a un’Italia immersa nel Mediterraneo?

Trovare una risposta confortante non è facile. Riesce impossibile sfuggire alla sensazione di un isolamento crescente del nostro Paese, che tende a essere trattato come il comodo capro espiatorio dei problemi dell’Occidente; e in particolare dell’Europa. Non ci si può non chiedere se un simile atteggiamento sia favorito anche dagli errori del governo di Silvio Berlusconi: dalle oscillazioni sull’operazione in Libia a quelle sulla manovra economica, fino alla tesi autoconsolatoria di un complotto anti-italiano. La verità è che dopo la perdita di ruolo che la Guerra fredda regalava all’Italia, certi atteggiamenti non le sono più consentiti. E in una fase come l’attuale diventano imperdonabili. Quando si accredita un nostro ruolo in politica estera superiore alla realtà dei rapporti di forza, alla lunga il risveglio è brusco. Molto meglio guardare in faccia l’isolamento e individuarne l’origine; e smetterla di fingere che esista ancora una maggioranza politica e di fare piani per l’eternità: perfino nel centrodestra ormai c’è chi misura l’eternità del governo in termini di mesi ma anche di giorni. Il convulso tramonto del berlusconismo e l’involuzione della Lega non sono meno vistosi solo perché per Pdl e Carroccio non esistono alternative alla loro alleanza.

Purtroppo è vero che l’opposizione non offre molto. E l’evocazione lugubre di Antonio Di Pietro, secondo il quale se Berlusconi non getta la spugna «ci scappa il morto», non contribuisce ad alzarne le quotazioni: lo ammette anche il Pd, spaventato da un suo alleato che semina i germi di una guerra civile strisciante. Ma questo non basta a cancellare il sospetto che, comunque vada oggi la votazione segreta del Parlamento sull’arresto di Marco Milanese, ex braccio destro del ministro dell’Economia Giulio Tremonti, il governo sta concludendo la sua traiettoria. Lo scontro virulento fra Palazzo Chigi e magistratura contribuisce a offrire all’opinione pubblica italiana e internazionale l’immagine di un’Italia immobilizzata e sfigurata dalle proprie faide interne. Somiglia a una sorta di conflitto tribale, nel quale l’istinto di sopravvivenza del centrodestra finisce per apparire insieme una risorsa e un limite: quasi un alibi per scansare i veri problemi. Protrarre nel tempo una situazione così tesa mentre la crisi finanziaria morde i risparmi, tuttavia, è rischioso. Più la conclusione sarà rinviata, più il «dopo» segnerà una rottura. E, alla fine, la realtà potrebbe prendersi una rivincita traumatica per tutti.

Massimo Franco

Emergency e l'immigrazione


LAMPEDUSA - Sulla situazione che si sta creando a Lampedusa, Emergency 1 ha diffuso un comunicato nel quale si esprime una valutazione e si lanciano delle accuse precise alla politica dell'immigrazione adottata da questo e da altri governi. "Quello che sta succedendo a Lampedusa è il risultato di una politica criminale che da molti anni i governi di questo Paese stanno attuando nei confronti dei migranti - si legge nella nota dell'organizzazione umanitaria - migranti che, oltre a essere privati dei più elementari diritti umani, vengono deliberatamente usati per esasperare gli animi, costruire "diversi" e "nemici", alimentare guerre tra poveri".

Calpestati di diritti fondamentali. "La tensione e la violenza delle ultime ore, a Lampedusa, come a Pozzallo - prosegue il comunicato - sono l'inevitabile conseguenza della politica di un governo che tratta gli stranieri come criminali, come problema di ordine pubblico, come bestie. Il sovraffollamento delle strutture, la carenza di assistenza di base, la privazione dei diritti fondamentali, oltre a essere una vergogna per un Paese che si vuole definire civile, comportano inevitabilmente l'inasprirsi del disagio e della violenza. Grave - prosegue Emergency - è anche la mancanza di un progetto di accoglienza: migliaia di persone vengono lasciate marcire in condizioni disumane, senza prospettive, senza speranze, senza sapere cosa succederà di loro. A fare le spese di questa situazione, insieme ai migranti, sono ovviamente i cittadini italiani, lasciati pressoché soli a gestire tutti i problemi che una politica miope e disumana ha creato".

La voratori trattati come schiavi. "Disumana, nella maggior parte dei casi - si legge ancora nella nota - è anche la situazione dei migranti che visitiamo ogni giorno nel sud Italia, presso le cliniche mobili di Emergency: lavoratori trattati come schiavi, senza accesso all'acqua potabile, senza una casa, senza assistenza medica, senza diritti. Confidiamo che i cittadini italiani abbiamo la ragionevolezza e l'umanità che finora è mancata al governo, quell'umanità che permette di capire che gli stranieri, i 'clandestini', i migranti stagionali sono, prima che qualsiasi altra cosa, semplicemente persone, esseri umani. E come tali devono essere trattati. Ci rifiutiamo di cadere - conclude il comunicato di Emergency - anche a Lampedusa nella logica della guerra: ci rifiutiamo di partecipare alla lotta di 'quelli che stanno male' contro 'quelli che stanno peggio'. Siamo dalla parte dei diritti: dei diritti degli italiani e degli stranieri, contro chi ostinatamente li nega".

Dal tg di poco fa, risulta che c'è stata una rivolta anche nel cie di Torino. Una ventina di immigrati sono riusciti a scappare MA, pare che siano stati istigati (alla violenza e alla rivolta) da un gruppo di anarco-insurrezionalisti. Chissà cosa ne pesano quelli di emergency quando i loro amichetti li usano per creare caos e violenza. L'istat invece è felice, c'è un boom di immigrati regolari... e gli irregolari, quanti sono?

Un commento che la dice lunga: "E' una progressione geometrica inarrestabile. Chiunque viva in una grande città SA e VEDE con i propri occhi quel che accade. Inarrestabile e stupefacente per le sue proporzioni. Sembra quasi che si riproducano di notte, come gli Ultracorpi".

Premio nobel all'imbecillità


Se c’è un premio per gli eredi dello smemorato di Collegno allora è tutto per Laura Boldrini. L’ha stravinto con l’intervista in cui scarica sul governo le responsabilità per la distruzione del centro d’accoglienza di Lampedusa. A dar retta alla portavoce dell’Alto Commissariato per i Rifugiati scempio e distruzione sono dovuti solo all’insipienza dell’esecutivo. «Sì, si poteva prevedere e infatti noi l'avevamo prevista, avevamo messo in guardia le Autorità. Avevamo notato – spiega - un aumento della tensione... il centro poteva contenere 850 immigrati e invece ce n’erano 1.200». A questo punto tutto è chiaro. Laura non c’è. Non ricorda. Non rammenta quanto lei stessa raccontava. Per aiutarla basterebbe farle rileggere qualche sua perla del passato. Incominciando da quella del 3 marzo scorso.

In quei giorni d’inizio guerra la Libia vomitava duecentomila e passa profughi sul confine tunisino di Ras Jdir. Le carrette dei mari scaricavano centinaia di disperati sulle coste di Lampedusa. Ma l’imperturbabile Laura Boldrini non scorgeva l’ombra d’un problema. «A oggi non c’è un’emergenza umanitaria a Lampedusa perché in un mese e mezzo sono arrivate 6.500 persone... L’isola – spiegava - neanche s’accorge della presenza di questi emigranti... Il Centro è stato riaperto, c’è stato lo sforzo logistico del portarli fuori dell’isola e si è tornati alla normale amministrazione». Quelle di allora, eran insomma, ignobili allarmismi dettati da un governo egoista e razzista, desideroso di respingere a cannonate i poveri migranti e pronto a spacciar per catastrofe l’approdo di qualche disgraziato.

Rassicurante come sempre la Boldrini tranquillizzava tutti. Non esistono - garantiva - fughe dalla Libia. Immaginare che decine di migliaia di immigrati tunisini abituati a incassar la paga da Tripoli venissero a cercar fortuna da noi era solo un’altra ignobile fola. Le affollate bagnarole dirette su Lampedusa non erano – ad ascoltar lei - figlie della guerra, ma il solito piacevole tram tram del Mediterraneo. «Nessun allarmismo, al momento non mi sentirei di dire – spiegava il 3 marzo - che è in corso un’emergenza... è un flusso solo di tunisini in partenza dalla Tunisia verso l’Italia. Dalla Libia non è partito nessuno». Vaglielo a dire oggi. «È fisiologico che la gente scappi dai conflitti. Dall’inizio della guerra – spiega al Messaggero - sono un milione e trecentomila gli immigrati fuggiti dalla Libia». Ma se sospettate una Laura in malafede, tranquillizzatevi. Non è prevenuta. Non ce l’ha con il governo. È solo sbadata. E opportunamente smemorata.

mercoledì 21 settembre 2011

Popolazione carceraria

Il 65% della popolazione carceraria in italia, è formata da stranieri di ogni nazionalità. Lo hanno detto proprio stasera al tg. E dunque, siamo proprio così tanto sicuri che gli stranieri sono un "arricchimento culturale", "ci pagano le nostre future pensioni", "fanno lavori che gli italiani non vogliono più fare"? O tutti stanno in carcere per razzismo, per errore di persona o per errore giudiziario?

Un commento preso dal giornale: Ministro Maroni, non è questo il momento di farci ridere: "Ora via tutti"! Tu pensi: via tutti, cioè tutti rimpatriati, e invece no. Trasferiti, Poi, chissà quando, rimpatrati a botta di uno alla volta. Siamo andati a prenderli a 50/60 miglia appena avvistati e ora ce li teniamo. Altro che se ce li teniamo. Ci vuole tanto ad adottare la via australiana? Aiuti in mare: cibo, acqua e poi dietro front a casa. Infine, Bernardino de Rubeis, è lo stesso ineffabile sindaco che mesi fa esaltava la capacità di accoglienza dei lampedusani nei confronti di questi pseudoprofughi? Come a dire venite, venite, non sarete che dei benvenuti...

Guerriglia a Lampedusa: extracomunitari in rivolta. Il Viminale: "Ora via tutti" di Sergio Rame

Lampedusa - Lampedusa come una polveriera pronta a esplodere. Ancora scontri, ancora proteste. Nei pressi del porto vecchio, diverse centinaia di tunisini hanno caricato le forze dell'ordine (guarda la gallery). Nel giro di poche ore i disordini hanno contagiato diverse parti dell'isola e si sono trasformati in una vera e propra caccia all'uomo. "La situazione è tragica, siamo stanchi di essere ignorati dal governo: siamo in presenza di 1500 delinquenti - ha tuonato il sindaco Bernardino De Rubeis - non accettiamo più un solo immigrato". E il sottosegretario all’Interno con delega all’immigrazione, Sonia Viale, ha assicurato che "entro le prossime 48 ore tutti i clandestini presenti a Lampedusa saranno trasferiti per essere poi rimpatriati".

All'inizio delle proteste gli immigrati si sono impossessati di tre bombole del gas all’interno del vicino ristorante "Delfino blu" e hanno minacciato di farle esplodere. A questo punto le forze dell’ordine, in assetto anti sommossa, hanno cercato di disperdere i manifestanti caricando a più riprese la folla. Gli scontri hanno coinvolto anche alcuni abitanti dell’isola, che hanno dato vita a una fitta sassaiola nei confronti degli immigrati, che hanno risposto lanciando a loro volta pietre e suppellettili. Subito dopo la rivolta ha contagiato tutta l'isola: altri scontri sono avvenuti all’interno del Centro di prima accoglienza dove si trovano ancora un centinaio di immigrati. Anche qui gli extracomunitari hanno lanciato sassi contro gli agenti che stavano presidiando la struttura. Al termine degli scontri sono stati portati nel poliambulatorio dell’isola i primi feriti appartenenti alle forze dell’ordine. Il responsabile sanitario, Pietro Bartolo, ha chiesto l’invio di altre ambulanze dal centro di accoglienza.

Neurodeliri


"Prima che ci scappi il morto, mandiamo a casa questo governo". Il leader dell'Idv Antonio Di Pietro evoca scenari tragici e catastrofistici per continuare nella sua crociata contro Berlusconi e il suo governo. E a quelli a cui tempo fa era apparso più morigerato e moderato nei toni, Di Pietro ha fornito subito la smentita. Dal suo blog, l'ex pm spiega che domani sarà la giornata saliente: "Il governo e la sua maggioranza parlamentare non ci sono più. Domani sarà la cartina di tornasole per verificare se in Parlamento c’è ancora qualche parlamentare di maggioranza che ha un pò di dignità e di onore". Al di là di quelle che censura come "anomalie sul piano del diritto processuale penale", il leader Idv sottolinea che "interessa far rilevare la grande responsabilità politica di un governo che non ha più nulla da dire o da dare e che, chiuso nel suo bunker e pensa di poter ancora governare il Paese mentre nel Paese sta sbocciando la rivolta sociale".

Domani, spiega Di Pietro, "avremo a che fare con la richiesta di una misura cautelare, cioè mandare in carcere l’on. Milanese, un deputato che prima era un alto ufficiale della Guardia di Finanza e che è accusato di reati gravissimi contro la Pubblica amministrazione dalla Procura di Napoli...Domani però si rischia che la decisione del Parlamento venga assunta non per motivi di legge ma per motivi politici, siccome sei un parlamentare, noi non diamo l’autorizzazione all’arresto. Il problema, come vedete, non è solo Milanese. Il problema è la degenerazione di questo Parlamento, di questa maggioranza parlamentare e del suo governo che, mentre il mondo brucia, mentre l’Italia va a pezzi, mentre il Paese ha bisogno di interventi urgenti in materia economica, sociale, di rilancio della produzione industriale e di diritti civili, tiene impegnato il Parlamento per dire no all’arresto di un deputato accusato di essersi macchiato di gravi reati. Tiene impegnato il Senato per dire che il presidente del Consiglio non può essere processato perché Ruby Rubacuori, ai suoi occhi, era la nipote di Mubarak e, quindi, per salvare la dignità di un capo di Stato, non voleva che fosse arrestata. Tiene impegnato il Parlamento per il "processo lungo", cioè per fare delle regole affinché i processi non arrivino mai a sentenza e i delinquenti stiano sempre fuori, perché questo serve a Berlusconi nel processo Mills. Tiene impegnata l’Aula per ridurre o eliminare le intercettazioni telefoniche come strumento di investigazione".

Le frasi di Di Pietro hanno scatento, come era immaginabile, la reazione del Pdl. "Di Pietro ha toccato il fondo. Con la sua frase di oggi e il suo "prima che ci scappi il morto", l’ex pm si conferma un incendiario irresponsabile", ha affermato il portavoce del Pdl, Daniele Capezzone, secondo il quale "ora il Pd ha il dovere politico di rompere con chi usa questi toni e soffia sul fuoco, in una situazione già delicata. Non bastano frasette di presa di distanza: se il Pd non compie un atto di rottura rispetto a questi metodi e a questi alleati, saremo autorizzati a pensare che la sinistra italiana sia come Di Pietro, e lo meriti come guida". Ancora nessuna risposta in questo senso da parte del Partito democratica. Quello che è certo è che il solito Di Pietro non si smentisce mai e non perde occasione per attaccare il governo e criticare aspramente Berlusconi, evocando scenari apocalittici o paventando, come in questo caso, epiloghi tragici.

martedì 20 settembre 2011

Accoglienze, ringraziamenti e pretese

Non sono rifugiati politici e non hanno diritto di richiedere asilo politico, sono clandestini e, come tali, vanno rimpatriati... nel frattempo, chi paga le loro devastazioni? Il governo di transizione tunisino e i suoi contribuenti oppure i contribuenti italiani?


MILANO- L'esasperazione degli isolani si mischia alla rabbia degli extracomunitari nel Cie di Contrada Imbriacola a Lampedusa. Un incendio di vaste proporzioni è scoppiato in pomeriggio nel centro accoglienza che al momento ospita circa 1300 immigrati. Di questi 1200 tunisini che nei giorni scorsi hanno protestato contro i rimpatri e circa 800 sono riusciti a scappare. E in 400 sono stati rintracciati dai carabinieri vicino al molo Favaloro, gli altri sono attualmente ricercati su tutta l'isola.

L'INCENDIO- La zona è presidiata dalle forze dell'ordine e dai vigili del fuoco, che stanno tentando di circoscrivere le fiamme. L'incendio, appiccato in diversi punti, ha causato una densa nube di fumo nero sospinta dal vento verso il centro abitato. Non è la prima volta che il centro di accoglienza viene dato alle fiamme. Un episodio analogo, con danni consistenti alla struttura, si era registrato nel febbraio del 2009.

L'ALLARME- Il sindaco dell'isola, Bernardino de Rubeis, lancia l'allarme: «Il centro è interamente devastato, è tutto bruciato, non esiste più e non può più ospitare un solo immigrato. Lampedusa non ha più un posto. È l'ora che il governo intervenga dopo tanto immobilismo. Avevano avvertito tutti su quello che poteva succedere ed è accaduto».

Immigrati tunisini protestano contro i rimpatri. E le proteste degli isolani. Lampedusa in fiamme. Il Cie devastato dalla rivolta. In fuga 800 persone. 300 agenti in assetto antisommossa al campo di calcio

LAMPEDUSAMille tunisini in rivolta hanno incendiato i materassi delle camerate distruggendo il centro accoglienza da dove chiedevano di andare via. E la più rovente estate di Lampedusa finisce tra le fiamme, sotto una nube acida che si alza verso il cielo e ricade sul centro abitato, fra gli alberghi, per fortuna con meno di dieci feriti e intossicati. Un incendio per fuggire dall’isola, per dire no ai rimpatri diretti sull’asse Lampedusa-Tunisi. Una rivolta guidata dai più violenti dei 1.200 ospitati nel devastato Cie, mentre dieci minori arrivati venerdì con un barcone annaspano terrorizzati, centinaia di immigrati fuggono da contrada Imbriacola verso le stradine del paese e una teoria di disperati compare fra i pub del corso, invade il molo, il porto, la costa davanti ad alberghi, pensioni e case dei turisti, incrociando i pompieri, scappando alla vista dei cellulari della polizia, dileguandosi in parte fra I sentieri di campagna.

NOTTE AL GELO - Un inferno nell’isola senza pace dove il campo sportivo diventa ancora una volta rifugio notturno, simile ad una prigione, per fortuna sotto un cielo terso, ma spazzato da un vento gelido. Triste replay che porta indietro alle immagini sconvolgenti di febbraio o marzo, alla “collina del disonore”, annullando la mole di promesse frattanto rovesciate qui da tutti i potenti. A cominciare da Silvio Berlusconi, fino alle recentissime rassicuranti visite lampo del sottosegretario all’interno Sonia Viale e del ministro della Difesa Ignazio La Russa. Tanto che il sindaco Dino De Rubeis aveva provato a rasserenare gli animi di commercianti e albergatori, a far calare la tensione dei suoi concittadini riferendo venerdì scorso una telefonata con il ministro Roberto Maroni: «Mi ha garantito che mille tunisini entro un paio di giorni saranno trasferiti tutti in altri centri sparsi sul territorio italiano. Mi ha anche spiegato le difficoltà che ci sono state per i rimpatri dei giorni scorsi. Maroni dovrà a breve tornare in Tunisia, per rimodulare gli accordi ma questa volta, lo farà insieme a Frattini ed interagiranno con i rispettivi ministri di quello Stato...».

«E’ UNA GUERRA» - Ma al quarto giorno da quelle parole, tossendo, coprendosi la bocca per cercare di non respirare fumo, esplode la rabbia di quest’omone che ha sempre teso la mano agli immigranti: “Questa è ormai una guerra e i cittadini di Lampedusa reagiranno. Anche perché non abbiamo di fronte la massa dei profughi sub sahariani, ma centinaia di giovani tunisini che vogliono tutto e subito con arroganza, proprio come delinquenti, pronti a mettere a repentaglio la nostra e la loro vita”.

“CI SCAPPA IL MORTO” – Che la situazione sia incandescente lo conferma il responsabile del poliambulatorio Pietro Bartolo, il medico arruolato da De Rubeis come assessore alla Sanità: “Ho soccorso gli intossicati, compreso un immigrato paraplegico al quale avevo fatto avere una sedia a rotelle sperando che lo portassero in un altro centro italiano. Invece li fanno restare qui anche due mesi e con tutta la buona volontà delle forze di polizia il Centro diventa una bomba ad orologeria, stanchi ed esauriti come sono questi disperati. Che cosa si aspetta? Qui prima o poi ci scappa il morto”.

TUTTO PREVEDIBILE – Che l’incendio del Centro fosse prevedibile lo avevano ribadito con ripetuti allarmi le organizzazioni umanitarie. È il caso di “Save the Children”, adesso preoccupata per le condizioni inaccettabili in cui sono ospitati tanti minori. Ovvero dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) in Italia, come spiega Flavio Di Giacomo, responsabile della comunicazione: «Da giorni all’interno della struttura di accoglienza si era creata un’atmosfera molto tesa a causa dell’alto numero di migranti tunisini, oltre 1.300, e per la seconda volta in due anni e mezzo ci troviamo di fronte a un incendio che mette a rischio l’incolumità di migranti e operatori».

CARCERE A CIELO APERTO – A scrivere «adesso basta» sono Lino Maraventano e Rosangela Mannino, presidente e vicepresidente dell’associazione che riunisce commercio, turismo e servizi: «Non possiamo più sopportare che Lampedusa e Linosa siano utilizzate come un carcere a cielo aperto e si possa consentire l’arrivo sull’isola di migliaia di immigrati al giorno... Lampedusa non é Alcatraz, non è uno specchietto per le allodole, vuole essere liberata da una morsa che la sta letteralmente soffocando». Al di là delle distanze politiche, l’appello al governo per non lasciare l’isola in balia di un’emergenza continua parte anche dal Pd e dalla leader di Legambiente Giusi Nicolini, responsabile della riserva protetta: «Non si può perdere altro tempo per trovare soluzioni concrete rendendo civile la vita di chi sta qui e di chi arriva in cerca di aiuto». Cresce comunque la rabbia mentre un volo speciale ne porta via cento in una notte che non finisce mai. Svegli i vigili del fuoco costretti a controllare i residui focolai di un padiglione ormai da abbattere e svegli i trecento agenti in assetto antisommossa raccolti attorno al campo di calcio, stipato da tunisini decisi a tutto pur di andare via da Lampedusa, ma senza essere rimpatriati.

lunedì 19 settembre 2011

Oltre la gnoccofilia

Di gnoccofilia, ne parla in un bellissimo post Nico e non serve aggiungere molto altro. Le donne sono sante, le donne sono puttane, gli uomini sono santi e gli uomini sono puttanieri. I soldi, fanno il resto. Il fatto è che il premier ha sbagliato alla grande a finire dentro ad una storia del genere... e comunque, da ingenua continuo a pensare che alla fin fine, tutti avrebbero potuto sbagliare. Persino i santi. Ma tant'è... che un paio di notizie sfiziose ci sono, e le posto ora perchè magari, qualcuno non ci ha nemmeno fatto caso dopo tutto il marasma delle intercettazioni:


Napoli - La città affonda tra i rifiuti ma il cda di NapoliServizi si regala un premio da 5mila euro al mese. Desta stupore nella giunta napoletana la gestione pd della società nata per occuparsi del decoro urbano della città partenopea. Tra debiti, assunzioni immotivate e stanziamenti milionari finiti in nulla, ora de Magistris eredita una bella gatta da pelare, che gli causerà più di qualche grattacapo. A riverlarlo Il Mattino e il Corriere della Sera.

5mila euro in più al mese. Un aumento di 1,7 milioni di euro, e non una tantum, ma una lievitazione consistente dello stipendio di 13 dirigenti della società napoletana che si occupa del decoro urbano, la NapoliServizi, considerata un feudo del Partito Democratico. E' quanto decideva il cda della azienda a gennaio 2011, con una decisione che lascia oggi perplessa la giunta napoletana e che ha costretto de Magistris a una domenica di lavoro straordinario per discutere della questione. Ignoti i motivi che avrebbero portato alla decisione di auto-assegnarsi l'aumento, un incremento della base di retribuzione di circa 5mila euro mensili, che per altro non è l'unica vicenda a destare dei sospetti sulla gestione della società.

Spese non giustificate. Ad essere poca chiara è anche la gestione economica di NapoliServizi. Tra i documenti già passati al vaglio comparirebbero infatti spese extra difficilmente giustificabili e poco chiare, di cui per altro non c'è traccia nelle carte comunali. Al comune spetterebbe di norma l'approvazione di ogni spesa aggiuntiva, ma dei 3,5 milioni di euro stanziati per la guardia armata di luoghi non meglio precisati, si ipotizza i parchi cittadini, non c'è traccia da nessuna parte.

Assunzioni immotivate. Ma non sono neppure solo spese aggiuntive e aumenti di stipendio immotivati a preoccupare la giunta de Magistris. Al di là di questi aspetti destano numerose preoccupazioni anche una serie di assunzioni non giustificate e i debiti accumulati da NapoliServizi. La società entra in attività con 400 dipendenti, lavoratori ex socialmente utili. Dipendenti che lievitano nel giro di pochi anni: nel 2003 sono 470 le nuove assunzioni, altre 500 nel 2007. Nel 2008 si decide di cancellare la società, per poi stanziare 50 milioni di euro a bilancio e ripianare i debiti accumulati nel tempo. Assunzioni e stanziamenti immotivati, su cui nessuno fa domande e che vengono giustificate con nuove competenze assegnate alla società, dalle pratiche di condono, alla gestione di catasto e eventi sportivi, alla vigilanza armata dei parchi. Proprio quest ultimo è un altro punto dolente, causa di nuove assunzioni. Alcuni dipendenti della società hanno infatti precedenti penali, che gli impediscono di girare armati.

Dietro la mala gestione l'ex assessore al bilancio. E dietro al portafoglio facile della giunta Iervolino nei confronti della società ci sarebbe la stessa persona, Riccardo Realfonzo, assessore al Bilancio nel 2009 e unico Iervoliniano a essere presente nella nuova giunta. Un caso di malgoverno amministrativo che ora ricade sulle spalle del vicesindaco Sodano, che dovrà occuparsi della fusione di NapoliServizi a Asìa, società incaricata della gestione della raccolta dei rifiuti. Il paradosso è che mentre la giunta Jervolino con una mano rimpinguava il portafogli dei dirigenti della società, con l'altra bacchettava il governo per i tagli delle risorse agli enti locali...

Di Pietro difende il figlio: "Per lui nessuna spinta". La base Idv non perdona di Andrea Indini

Roma - "Io, da militante Idv, credo fermamente che non sia opportuna questa candidatura, e soprattutto in questo momento. Si parla tanto di combattere la casta, il nostro movimento sembrava un punto di riferimento in tal senso ma questa storia va decisamente contro le buone intenzioni manifestate". Andrea Bruni non usa mezzi termini nel commentare le giustificazioni che Antonio Di Pietro ha dato sul suo blog dopo aver candidato il figlio Cristiano alle regionali in Molise suscitando numerose defezioni all'interno del partito. Cade nel vuoto la difesa dell'ex pm. "Di Pietro come Bossi, accomunati dalla stessa concezione familistica e privatistica della politica", avevano denunciato ieri mattina i componenti del circolo Idv di Termoli che hanno abbandonato l'Italia dei Valori per protestare contro la candidatura di Di Pietro junior. Dopo aver divulgato una nota alle agenzie di stampa per giustificare la propria scelta, oggi Di Pietro ha anche postato un video sul blog. "A Montenero di Bisaccia abbiamo candidato Cristiano non perchè é è un figlio di papà senza esperienza politica - ha spiegato Di Pietro - ha dovuto fare, e deve continuare a fare, la trafila come tutti gli altri iscritti all’Idv". Come già spiegato ieri, l'ex pm ha ribadito che Cristiano non si è svegliato una mattina per trovarsi candidato. "Quando abbiamo creato il partito, dieci anni fa, si è rimboccato le maniche anche lui e ha contribuito, con me e con migliaia di altre persone, a costruirlo - ha continuato Di Pietro - non è andato a fare il 'trota' di turno con un'elezione sicura in parlamento, o in qualche listino regionale o in qualche assessorato".

Polemica chiusa? Assolutamente no perché i militanti dell'Idv non ha comunque digerito la decisione di Di Pietro di andare avanti su questa strada. E proprio sul blog dell'ex pm si è scatenato un vero e proprio dibattito sull'opportunità di candidare Cristiano alle regionali. "Nel caso di Cristiano Di Pietro le discriminazioni sono strumentali - commenta Domenico Ferraris - fatte di proposito per spostare l'attenzione dalle battaglie dell'Italia dei valori e dal momento politico delicatissimo per il paese". Ma non tutti sono d'accordo con lui. Anzi. "C'è un problema di credibilità alla base di tutto - ribatte Lambruschino - Di Pietro sarà credibile solo se riuscirà a fare in modo che il candidato Cristiano Di Pietro sia un puro caso di omonimia con suo figlio". Giancarlo, invece, ci va giù ancora più duramente: "Di Pietro ha l'insana abitudine di martellarsi periodicamente le 'ginocchia', dopo un paio di ottimi risultati politici (i referendum scorsi) torna a dare sfogo a questa sua perversione, è più forte di lui e non riesce a farne a meno". Non solo. A chi è favorevole alla candidatura perché Cristiano "non risulta indagato e tantomeno condannato", Andrea Moretti pone l'accento sul legame tra il figlio di Di Pietro e Mario Mautone, che al tempo lavorava al ministero dei Lavori pubblici: "Se non sbaglio non è quello che telefonò al padre, allora Ministro, per caldeggiare una pratica di un certo Mautone? E non fu il padre che disse, correttamente, la Magistratura deve svolgere il suo ruolo e se mio figlio ha sbagliato deve pagare (nobili parole). Da allora, come avviene nella stragrande maggioranza dei misfatti che i politici commettono ed hanno commesso, tutto viene messo sotto silenzio". Anche Enzo non va per il sottile: "Se non sbaglio suo figlio in passato si è gia contraddistinto per intercettazioni a dir poco edificanti". All'interno del partito c'è poi chi pensa ad un possibile calo dei consensi: "Ripensateci se non è troppo tardi che qua si perdono milioni di voti". "Con un po' di cinismo ne sarei soddisfatto ed oltremodo felice in quanto è ragionevole pensare che questi voti andrebbero verso il movimento 5 Stelle - fa eco un altro - purtroppo credo che dovrò realisticamente accontentarmi di qualche migliaia". Stefano Zuccarini, poi, dà un consiglio: "Di Pietro, lascia i parenti e quindi anche i figli fuori dalla politica! Se così non fosse non ti voto più". Insomma, il dibattito è tutt'altro che conciliante. E, forse, la base dipietrista si troverà a dover fare i conti con questa candidatura "scomoda" che, alle prossime regionali in Molise, rischierebbe di trasformarsi in un vero e proprio schiaffo.

domenica 18 settembre 2011

Sulla magistratura italiana

E il giudice si tolse la toga. Motivo? Non sopportava più l'idiozia dei colleghi. Intervista di Stefano Lorenzetto al giudice Edoardo Mori.

sabato 17 settembre 2011

Magistratura...

E' evidente che certa magistratura preferisce spiare dal buco della serratura piuttosto che indagare su cose gravissime. Ma daltronde, ormai siamo abituati a certe "incongruenze" del due pesi e due misure. La cosa peggiore però è che, per quelle certe incongruenze, nessuno pagherà.

Gli avvoltoi


MILANO - «Il premier si dimetta». È compatta la reazione delle opposizioni di fronte ai nuovi dettagli riguardanti Silvio Berlusconi, emersi dall'inchiesta su escort e appalti della Procura di Bari.

PD: UMILIANTE DEGRADO CIVILE- «L'Italia, con i suoi gravi problemi, non si può permettere un esecutivo che governa a tempo perso. Le parole sono finite. Berlusconi si rechi al Quirinale e rassegni le dimissioni» attacca Davide Zoggia, responsabile Enti locali del Pd, parlando a nome della segreteria del partito. «Continuano a emergere comportamenti di Silvio Berlusconi che confermano un reiterato e intenzionale tradimento dei suoi doveri e delle sue responsabilità» continua il senatore Luigi Zanda, vicepresidente del gruppo del Partito democratico al Senato. «Le cose sono arrivate a un punto tale che i parlamentari della maggioranza che dovessero continuare a sostenere Berlusconi - conclude Zanda - si renderebbero personalmente corresponsabili del discredito internazionale e dell'umiliante degrado civile che stanno travolgendo l'Italia».

IDV: SCENARIO SQUALLIDO E INQUIETANTE - Duro attacco al premier dall'Italia dei Valori. «Ci sono tutte le condizioni per parlare di circonvenzione di incapace. Con questo premier inebetito siamo un Paese a rischio - dice Felice Bellisario, capogruppo dell'Idv al Senato -. Le ultime intercettazioni sui baccanali del premier svelano uno scenario squallido e inquietante: Berlusconi è nelle mani di lenoni e meretrici che lo sfruttano per ottenere appalti e ruoli di prestigio in aziende pubbliche. Il Presidente del Consiglio, come ebbe a dire la sua ex moglie, è un uomo malato: dovrebbe essere allontanato da Palazzo Chigi e spedito in qualche struttura di cura». E il leader Antonio Di Pietro interviene anche sull'eventuale post Berlusconi: «Noi dell'Idv ieri sera (sabato, ndr) con Sel e Pd abbiamo posto le basi per una coalizione politica e di programma, perché per vincere le elezioni non bisogna solo mettersi insieme per fare numero ma costruire un Paese diverso da quello di Berlusconi».

UDC: GOVERNO DI RESPONSABILITA' NAZIONALE - Richiesta di dimissioni, ma diverso scenario sul dopo Berlusconi, invece, per il segretario nazionale dell'Udc, Lorenzo Cesa: «Il presidente del Consiglio faccia subito un gesto di generosità nei confronti degli italiani e si dimetta dal suo incarico. Si difenda nel modo migliore ma spinga il suo partito a iniziare una nuova fase politica dando l'occasione di arrivare a un governo di responsabilità nazionale».

SEL: SMOTTAMENTO DEL CENTRODESTRA «L'auspicio è che abbia ragione Bossi nel ritenere che si stia esaurendo il tempo del governo Berlusconi» interviene il leader di Sinistra Ecologia Libertà Nichi Vendola, riprendendo la dichiarazione del leader del Carroccio, Umberto Bossi, secondo il quale il traguardo di fine legislatura, nel 2013, sarebbe «troppo lontano». Per Vendola, «lo smottamento del centrodestra è evidente anche dalle parole di Bossi» e «spero - ha detto - che tra le cose che metteremo in archivio ci possa essere anche quel linguaggio, quella volgarità istituzionale». «Naturalmente», precisa, Bossi «ha torto marcio quando immagina che la crisi dell'Italia, di cui lui è uno degli artefici principali, possa esser affrontata in termini di secessione».

FINI: NUOVO GOVERNO CON UN NUOVO PREMIER - Interviene anche Gianfranco Fini: «Io non giudico, io dico che purtroppo l'immagine dell'Italia a livello internazionale si aggrava giorno per giorno e nessuno capisce quello che sta accadendo nel nostro Paese» dice il presidente della Camera commentando l'intercettazione telefonica in cui Berlusconi afferma di fare il premier a tempo perso. Poi attacca: «Personalmente spero che, anche nell'ambito della maggioranza, finisca per prevalere il buon senso e la decisione di dare vita a un altro governo che abbia maggior credibilità internazionale, che si occupi dei problemi dell'economia e faccia uscire il Paese da questa crisi». Quindi precisa: «Un altro governo presuppone, almeno per me, un altro presidente del consiglio».

venerdì 16 settembre 2011

Coop, Esselunga, togherosse e censura


Milano - Guai a chi tocca le cooperative: la guerra della mozzarella finisce nelle aule di tribunale. Ve lo ricordate il libro Falce e Carrello? Il volume, pubblicato nel 2007, fece molto scalpore: era la denuncia di Bernardo Caprotti, fondatore del gruppo Esselunga, nei confronti della politica che attraverso le cooperative mette le mani sulla spesa degli italiani. Apriti cielo: guai a toccare la sinistra e tutte le sue declinazioni, anche quelle economiche. L'impero Coop è intoccabile: la Coop sei tu, chi può darti di più? Beh, diciamo che dove non arrivano le lunghe mani delle cooperative arrivano quelle dei magistrati. A distanza di quattro anni arriva la vendetta. Il Tribunale di Milano ha deciso che il libro è "un'illecita concorrenza per denigrazione ai danni di Coop Italia". Tutto qui? Assolutamente no: risarcimento di 300mila euro, ritiro del pamphlet dalle librerie e "divieto di reiterarne la pubblicazione e diffonderne gli scritti". Una punizione esemplare e non facilmente comminabile. Vogliamo chiamarla censura? Il precedente è piuttosto inquietante: se scrivi male delle cooperative ti "bruciano" il libro. Sotto la tagliola della procura finiscono anche la casa editrice Marsilio, il coautore del libro Stefano Filippi (inviato del Giornale) e pure l'economista Geminello Alvi, reo di aver steso la prefazione di Falce e Carrello.

Al quartier generale della Coop festeggiano: "Abbiamo sempre respinto ogni accusa che viene mossa da un libro che si fonda solo sull'acredine dei suoi autori nei confronti di un sistema di imprese di successo che gode della fiducia di oltre 7 milioni e mezzo di italiani. Riteniamo che questa sentenza renda ragione anche a loro". E poi sanciscono anche un nuovo principio: la superiorità morale della mozzarella Coop rispetto a quella della rivale Esselunga: "Va aggiunto anche il recente pronunciamento della Corte di Giustizia dell'Unione Europea che riconosce la distintività delle imprese cooperative in merito alle esenzioni fiscali che non devono essere considerate come aiuti di stato. Le cooperative sono diverse dalle imprese private, rette da principi di funzionamento particolari, ma esempi di correttezza e lealtà imprenditoriale". Che è un po' come dire: lo stato ci aiuta economicamente perché siamo migliori. Alla faccia del liberismo. Perché i soldi, quando li maneggiano loro, hanno sempre un odore migliore rispetto a quelli degli altri. Insomma la Coop sei tu, ma non proprio tu, un tu migliore da quello che compra la mozzarella all'Esselunga: è la guerra del carrello, bellezza.

giovedì 15 settembre 2011

Avvoltoi in giacca e cravatta...

Appena ho visto la notizia al tg, ho chiamato lui dicendo qualcosa come: "guarda, corri, vieni a vedere gli avvoltoi napoleone e cameron diaz"... io ho pensato male perchè si sa, vanno solo ad aiutare la libia in difficoltà, che bravi 'sti due incravattati. E lui, nel frattempo arrivato davanti alla tv mi guarda e mi fa: "Maddai, che schifo!". Sapevamo che sarebbe finita così comunque. Ma la cosa fa schifo lo stesso.


Tripoli - La guerra in Libia non è ancora finita ma già è iniziata la corsa ad accreditarsi presso i futuri nuovi governanti. Gli aerei di Cameron e Sarkozy sono atterrati pressocché in contemporanea all’aeroporto di Tripoli: il titolare di Downing Street e quello dell’Eliseo sono affiancati dai rispettivi ministri degli Esteri, William Hague e Alain Juppè. Sarkozy è accompagnato anche dal filosofo francese, Bernard-Henry Levy, grande sostenitore dell’azione militare contro Gheddafi.

Gheddafi dovrebbe "arrendersi". e i suoi mercenari ritirarsi in buon ordine, ha detto il premier britannico, nel corso della conferenza stampa congiunta, a Tripoli, con Sarkozy e i leader del Cnt. Cameron ha aggiunto di non sapere dove si nascondano Gheddafi e i suoi familiari, ma che essi dovrebbero consegnarsi e affrontare la giustizia "per i crimini che hanno indubbiamente commesso". Poi ha sottolineato un concetto chiave: "Questo è il vostro Paese, è la vostra leadership, è la vostra rivoluzione, non la nostra". Ribadendo che il Cnt ha smentito gli scettici: "Ha dimostrato che si sbagliava chi diceva che erano divisi, che non potevano lavorare insieme". La Libia può essere "una grande storia di successo. La primavera araba - ha detto ancora - può diventare un’estate araba", con il processo di democratizzazione. "La cosa migliore da fare - ha aggiunto Cameron - è sbloccare i beni che appartengono ai libici, i miliardi di sterline portati via da Gheddafi e che restano in banche straniere. Bisogna darli al Cnt in modo che questo Paese si riprenda".

Non c’è "alcun calcolo". dietro l’aiuto dato dalla Francia alla Libia: "l’abbiamo fatto perché era giusto", ha detto Sarkozy, assicurando che l’intervento della Francia non è frutto di "alcun accordo" e che Parigi non chiederà "alcuna preferenza". Il capo dell’Eliseo ha quindi aggiunto che "l’impegno" della Nato "non è terminato" e che "c’e un lavoro da finire". Il presidente Francese si è poi rivolto al Niger, sostenendo di aver fiducia sul fatto che "non accoglierà Gheddafi".

Magistratura


Milano - Il gip di Milano Stefania Donadeo ha disposto l’imputazione coatta per Silvio Berlusconi nell’ambito della vicenda sul passaggio di mano dell’intercettazione tra Fassino e Consorte nell’inchiesta Bnl-Unipol. Il giudice ha rigettato la richiesta di archiviazione che aveva invece formulato il pm Maurizio Romanelli e ordinato che le carte tornino in procura per la richiesta di rinvio a giudizio, che dovrà poi essere in seguito valutata da un gup. "Dobbiamo leggere ancora il provvedimento, ma a Milano nulla mi stupisce - ha commentato il legale del premier, Niccolò Ghedini - è una decisione infondata, tra l’altro c’è una conclamata incompetenza territoriale"

Ghedini: decisione incredibile. Secondo il deputato Pdl, "la decisione di imputazione coatta nella vicenda Unipol nei confronti del presidente Berlusconi, è assolutamente incredibile. In un Paese dove tutti i giorni vengono illecitamente pubblicati decine e decine di atti di indagine e intercettazioni, dove la stampa viene avvisata prima degli interessati e dei difensori di ciò che accade nei processi e dove la violazione del segreto è la regola così come la assoluta impunità, si pretende di mandare a giudizio il presidente Berlusconi che è stato centinaia di volte vittima di tali comportamenti. E tutto ciò quando la stessa Procura di Milano, che certamente non può essere sospettata di benevolenza nei confronti del presidente Berlusconi, chiede l’archiviazione e quando tutti i protagonisti della vicenda escludono ogni sua responsabilità per i fatti di causa. Solo al presidente Berlusconi poteva occorrere accadimento siffatto. Non c’è dubbio che il giudice del dibattimento non potrà che pronunciare un’immediata sentenza di assoluzione".

La decisione del gip. Il pm aveva chiesto l’archiviazione per il premier, ma il gip non aveva accolto la richiesta e aveva fissato lo scorso luglio un’udienza per far discutere le parti. Oggi è arrivato il provvedimento del giudice che ha disposto l’imputazione coatta per Berlusconi, ossia il pm dovrà formulare la richiesta di processo per il presidente del Consiglio e la richiesta arriverà poi davanti a un altro giudice, un gup, che dovrà esaminarla. Berlusconi rischia, dunque, qualora il gup accogliesse la richiesta, di dover affrontare un altro processo a Milano, dopo quelli già in corso sui casi Ruby, Mediaset, Mediatrade e Mills. Per la vicenda del passaggio di mano della famosa intercettazione "abbiamo una banca" tra Fassino e Consorte ai tempi della scalata di Unipol alla Bnl, è già a processo il fratello del premier, Paolo Berlusconi, editore del Giornale, e la prima udienza è fissata per ottobre. L’intercettazione venne pubblicata sul quotidiano della famiglia Berlusconi il 31 dicembre del 2005 e, secondo l’accusa, venne trafugata dai computer della Procura di Milano quando ancora erano in corso le indagini e doveva restare segreta. Per la stessa vicenda è già stato condannato con rito abbreviato l’imprenditore Fabrizio Favata e ha patteggiato Roberto Raffaelli, all’epoca titolare dell’azienda che si occupava delle intercettazioni per conto dei pm milanesi. Stando alle indagini, il premier la vigilia di Natale del 2005 ricevette ad Arcore Favata e Raffaelli, alla presenza anche di Paolo Berlusconi, i quali sarebbero andati nella villa del presidente del Consiglio per fargli ascoltare il "nastro" con l’intercettazione. Da qui l’accusa di concorso nella rivelazione del segreto d’ufficio.

Le motivazioni del gip. "Il nastro dell’intercettazione tra Piero Fassino e Giovanni Consorte ai tempi della scalata alla Bnl fu un regalo ricevuto" da Silvio Berlusconi "stante l'approssimarsi delle elezioni politiche". Nell’ordinanza con cui ha ordinato l’imputazione coatta per il premier, la Donadeo spiega che la pubblicazione dell’intercettazione sul Giornale "avrebbe leso, così come è stato, l’immagine di Piero Fassino".

Belpietro: "Ho solo pubblicato una intercettazione". "Sono sopreso, anche perché fino a questo istante non ne sapevo proprio nulla, lo sto apprendendo ora", ha commentato il direttore di Libero ed ex direttore del Giornale Maurizio Belpietro, che è stato iscritto nel registro degli indagati. L’imputazione mossa a Belpietro è di concorso in rivelazione del segreto d’ufficio: "Io ho soltanto pubblicato sul Giornale l’intercettazione della telefonata tra Giovanni Consorte e Piero Fassino. Per il resto, di quella vicenda non so proprio nulla". Ha ricostruito il direttore: "Mi è stata portata l’intercettazione e, come moltissimi altri direttori di giornale in casi simili, ho deciso di pubblicarla. tutto qui. Ora - ha poi concluso Belpietro - vedrò le carte e cercherò di capire la decisione del gip di Milano, che al momento non posso che reputare sorprendente".

Nel frattempo, a Locri è successo che un pericolosissimo boss s'è fatto dare i domiciliari e successivamente per una fantomatica malattia s'è fatto ricoverare e poi è scappato. Mi chiedo, chi pagherà per cotanta imbecillità?

mercoledì 14 settembre 2011

Le dodici moschee

Come di tanto in tanto, si parte da un commento: “Combattete coloro che non credono in Dio e nel Giorno Estremo, e che non ritengono illecito quel che Dio e il Suo Messaggero hanno dichiarato illecito, e coloro fra quelli cui fu data la Scrittura, che non s’attengono alla Religione della Verità. Combatteteli finché non pagano il tributo, uno per uno umiliati”(Corano, IX 29)[1] . Parole dettate dal profeta Maometto dopo aver ordinato, e partecipato in prima persona, all’assassinio di un tribu di 650 ebrei medinesi colpevoli solo di non voler abiurare la loro fede. Quanto all’integrazione invocata da tanti buonisti basta leggere i fatti di cronaca per rendersi conto di cosa intendono i musulmani per integrazione. Padri, madri, fratelli e sorelle che condannano chi vuole veramente integrarsi arrivando fino all’omicidio. Per l’islam l’integrazione esiste solo a senso unico : vengono in casa nostra per integrare noi, con le buone oggi con le cattive domani, non per adeguarsi alle nostre leggi e «integrarsi». A termini e proseguendo con questo andazzo la miglior condizione che ci si prospetta e quella di diventare «dhimmi», l’alternativa la morte per apostasia.


Dodici moschee. Una per ciascun centro islamico. Il disegno di Palazzo Marino era già chiaro - una volta accantonato il progetto (tutto elettorale) di un unico grande «duomo dell’islam». Ora è finito nero su bianco anche il numero. Lo ha riportato il «Mattino di Padova»: «Abbiamo deciso di realizzare - avrebbe detto il sindaco, nel corso di un incontro nella cittadina veneta con il collega Flavio Zanonato - dodici moschee in altrettante aree della città, evitando così di costruire un unico centro islamico come invece inizialmente avevamo pensato». Dunque 12 luoghi destinati a ospitare le attività culturali, sociali e anche di culto che le associazioni musulmane conducono, con vario orientamento, nelle attuali sedi, in gran parte piccole, inadeguate e insicure. Ieri sera lo stesso Pisapia ha smentito: «Non è stata presa nessuna decisione né sul numero né sull’ubicazione di questi centri di preghiera».

Sarà dunque dedicato a questo, l’incontro che, come programmato da tempo, oggi sarà ospitato a Palazzo Marino: un vertice con le comunità religiose cittadine a cui parteciperà mezza giunta; oltre al vicesindaco Maria Grazia Guida, ci saranno gli assessori alla Sicurezza, Marco Granelli, allo Sport Chiara Bisconti e all’Urbanistica Lucia De Cesaris. Una formazione che prefigura già un ordine del giorno piuttosto concreto, che va al di là di un semplice dialogo preliminare. Al di là di un lavoro «per commissioni» su temi come la condizione delle donne, la scuola (con l’insegnamento della lingua araba), e il lavoro (si parla del problema della pausa del venerdì, giorno tradizionalmente dedicato alla preghiera più importante). «Si inizierà a ragionare dei luoghi di culto esistenti - conferma Davide Piccardo, portavoce del Coordinamento delle associazioni islamiche di Milano, che ha incassato l’adesione di altre due sigle, fino dunque al numero di dodici - i luoghi devono essere accessibili, dignitosi, trasparenti». Quanto al ruolo del Comune, Piccardo è molto netto: «Le spese le sosteniamo da sempre noi, il Comune non fa le moschee, il ruolo del Comune sarà di accompagnamento nel dialogo con i quartieri e i privati, per dare tranquillità. Il tempo della paura è passato - conclude il portavoce del Caim - i problemi sono di ordine pratico».

Non la vede così il vicepresidente del Consiglio comunale, ed ex assessore alla Sicurezza, Riccardo De Corato, del Pdl, che torna a ribadire il suo «no» al progetto di Palazzo Marino. «Da oggi - ironizza De Corato - il Comune si trasforma in un’immobiliare islamica». Dello stesso tenore la posizione della Lega, che con il consigliere Alessandro Morelli, attacca: «Con una giunta come questa, che nel momento di crisi per migliaia di famiglie si occupa di priorità fasulle per la città, capisco le sempre maggiori richieste da parte degli islamici che chiedono permessi di lavoro, pause più lunghe e la creazione di corsi di educazione civica gestiti loro e non dal Comune. Il prossimo passo saranno le madrasse?». Dal Pd Pierfrancesco Majorino fa sapere: «Quello che faremo come istituzione è una verifica approfondita sull’idoneità dei luoghi scelti per il culto».