NEW YORK - Sette anni e mezzo dopo l'attacco alle Torri Gemelle, l'enfasi patriottica che ha accompagnato il faticoso avvio dei piani di ricostruzione viene accantonata per lasciare spazio a un po' di pragmatismo commerciale: un paio di giorni fa i newyorchesi hanno scoperto che il nuovo grattacielo di 541 metri (1776 piedi, per ricordare l'anno dell'indipendenza americana) che sta finalmente sorgendo dalla voragine di Ground Zero, non si chiamerà più Freedom Tower, Torre della libertà. Le esigenze del mercantilismo e il timore che un nome patriottico renda, ancora di più, l'edificio un bersaglio per i terroristi, ha suggerito il ritorno al vecchio nome: «1 World Trade Center». I capi della Port Authority - l'agenzia pubblica proprietaria dell'area che deve trovare inquilini a sufficienza per riempire i 102 piani della torre - minimizzano, spiegando che Freedom Tower è un nome affettivo e simbolico che resterà nel linguaggio popolare, ma che, giunto il momento di commercializzare l'immobile (il suo completamento è previsto per il 2013), era logico tornare al suo legale. Che in molti casi i nomi affettivi prevalgano su quelli «contrattuali», è sicuramente vero. A New York la gente continua a chiamare Pan Am Building il grattacielo che chiude il segmento nord di Park Avenue, anche se la Pan American non esiste più da vent'anni (l'edificio è stato da tempo ribattezzato MetLife Building). Ma il sito delle Torri Gemelle non è un posto come un altro. La Port Authority lo sapeva bene e per questo, nell'ultimo anno, ha cercato di gestire con gradualità l'abbandono del nome «patriottico». Ma il caso gli è ugualmente scoppiato tra le mani quando, due giorni fa, il nuovo nome commerciale è spuntato fuori alla firma del contratto con una società cinese, la Vantone Industrial, che ha affittato sei piani dell'edificio per 23 anni. Il New York Times non aveva dato troppo risalto alla notizia, presentandola come un semplice accorgimento di marketing: il ricorso al nome di «trade center» per riproporre l'edificio come porta commerciale d'America. Un cambio di rotta imposto anche dal fatto che, fino a due giorni fa, gli unici spazi prenotati nella torre erano quelli destinati a uffici pubblici statali e federali. Ma i quotidiani popolari - il Post e il Daily News- hanno accusato la Port Authority di opportunismo, innescando la protesta dei familiari delle vittime dell'11 settembre («il loro sacrificio è stato inutile: li stanno dimenticando»). Sono scesi in campo anche i conservatori con accuse a raffica: «Non possiamo rinunciare, per una questione di affitti, a un nome nel quale c'è tutto il nostro orgoglio di Paese libero», ha protestato l'ex governatore repubblicano, George Pataki: fu lui, nel 2003, a scegliere il nome di Freedom Tower. La nuova amministrazione democratica dello Stato di New York, però, non sente la necessità di un'ostentazione immobiliare di patriottismo e anche il sindaco Bloomberg - ex repubblicano, ora indipendente - ha dato una mano: «Personalmente preferisco Freedom Tower, ma capisco le ragioni di chi ha scelto diversamente. Se con un altro nome riescono a riempire l'edificio, facciano pure». Bloomberg alle polemiche è abituato: da anni sulla ricostruzione dell'area di Ground Zero si azzuffano autorità, costruttori, agenzie per la sicurezza e parenti delle vittime. Si litiga su tutto: dalla forma del museo della memoria alle protezioni antibomba della nuova torre. Gli stop sono stati innumerevoli e la crisi economica degli ultimi due anni ha reso ancor più incerta la sorte dell'intero progetto. Comprensibile che chi deve rendere economico l'enorme investimento (la costruzione della torre costerà più di tre miliardi di dollari) tenti tutte le strade. Ma il fatto che la questione del cambio di nome sia venuta fuori con la firma del contratto con una società cinese legata al governo di Pechino, ha lasciato l'amaro in bocca a molti. Certo sono proprio i cinesi, che useranno i piani che hanno affittato come luogo d'incontro tra le loro imprese che operano negli Usa e quelle americane interessate al grande mercato asiatico, ad aver riaperto la possibilità di rendere la torre una grande centro di scambi commerciali. E per un luogo simile, nota il capo della Port Authority, Anthony Coscia, World Trade Center è il nome più adatto. Ha ragione. Ma ne ha qualcuna di meno quando liquida l'altro nome, quello patriottico, come una mera manifestazione di sentimenti popolari. «Sorry Mr president - l'ha smentito ieri il New York Post - quello è un nome impresso nell'acciaio», non scritto sulla sabbia. E ha tirato fuori dall'archivio la foto della prima trave del grattacielo impiantata nel terreno nel 2006: sulla quale compare, gigantesca, la scritta Freedom Tower.
domenica 29 marzo 2009
American dhimmi
New York si divide: «Una resa». «No, scelta saggia». «Può attirare i terroristi»: Freedom Tower cambia nome. I dubbi sull'enfasi patriottica. Anche motivi commerciali all'origine del ripensamento. Scoperto per un caso
NEW YORK - Sette anni e mezzo dopo l'attacco alle Torri Gemelle, l'enfasi patriottica che ha accompagnato il faticoso avvio dei piani di ricostruzione viene accantonata per lasciare spazio a un po' di pragmatismo commerciale: un paio di giorni fa i newyorchesi hanno scoperto che il nuovo grattacielo di 541 metri (1776 piedi, per ricordare l'anno dell'indipendenza americana) che sta finalmente sorgendo dalla voragine di Ground Zero, non si chiamerà più Freedom Tower, Torre della libertà. Le esigenze del mercantilismo e il timore che un nome patriottico renda, ancora di più, l'edificio un bersaglio per i terroristi, ha suggerito il ritorno al vecchio nome: «1 World Trade Center». I capi della Port Authority - l'agenzia pubblica proprietaria dell'area che deve trovare inquilini a sufficienza per riempire i 102 piani della torre - minimizzano, spiegando che Freedom Tower è un nome affettivo e simbolico che resterà nel linguaggio popolare, ma che, giunto il momento di commercializzare l'immobile (il suo completamento è previsto per il 2013), era logico tornare al suo legale. Che in molti casi i nomi affettivi prevalgano su quelli «contrattuali», è sicuramente vero. A New York la gente continua a chiamare Pan Am Building il grattacielo che chiude il segmento nord di Park Avenue, anche se la Pan American non esiste più da vent'anni (l'edificio è stato da tempo ribattezzato MetLife Building). Ma il sito delle Torri Gemelle non è un posto come un altro. La Port Authority lo sapeva bene e per questo, nell'ultimo anno, ha cercato di gestire con gradualità l'abbandono del nome «patriottico». Ma il caso gli è ugualmente scoppiato tra le mani quando, due giorni fa, il nuovo nome commerciale è spuntato fuori alla firma del contratto con una società cinese, la Vantone Industrial, che ha affittato sei piani dell'edificio per 23 anni. Il New York Times non aveva dato troppo risalto alla notizia, presentandola come un semplice accorgimento di marketing: il ricorso al nome di «trade center» per riproporre l'edificio come porta commerciale d'America. Un cambio di rotta imposto anche dal fatto che, fino a due giorni fa, gli unici spazi prenotati nella torre erano quelli destinati a uffici pubblici statali e federali. Ma i quotidiani popolari - il Post e il Daily News- hanno accusato la Port Authority di opportunismo, innescando la protesta dei familiari delle vittime dell'11 settembre («il loro sacrificio è stato inutile: li stanno dimenticando»). Sono scesi in campo anche i conservatori con accuse a raffica: «Non possiamo rinunciare, per una questione di affitti, a un nome nel quale c'è tutto il nostro orgoglio di Paese libero», ha protestato l'ex governatore repubblicano, George Pataki: fu lui, nel 2003, a scegliere il nome di Freedom Tower. La nuova amministrazione democratica dello Stato di New York, però, non sente la necessità di un'ostentazione immobiliare di patriottismo e anche il sindaco Bloomberg - ex repubblicano, ora indipendente - ha dato una mano: «Personalmente preferisco Freedom Tower, ma capisco le ragioni di chi ha scelto diversamente. Se con un altro nome riescono a riempire l'edificio, facciano pure». Bloomberg alle polemiche è abituato: da anni sulla ricostruzione dell'area di Ground Zero si azzuffano autorità, costruttori, agenzie per la sicurezza e parenti delle vittime. Si litiga su tutto: dalla forma del museo della memoria alle protezioni antibomba della nuova torre. Gli stop sono stati innumerevoli e la crisi economica degli ultimi due anni ha reso ancor più incerta la sorte dell'intero progetto. Comprensibile che chi deve rendere economico l'enorme investimento (la costruzione della torre costerà più di tre miliardi di dollari) tenti tutte le strade. Ma il fatto che la questione del cambio di nome sia venuta fuori con la firma del contratto con una società cinese legata al governo di Pechino, ha lasciato l'amaro in bocca a molti. Certo sono proprio i cinesi, che useranno i piani che hanno affittato come luogo d'incontro tra le loro imprese che operano negli Usa e quelle americane interessate al grande mercato asiatico, ad aver riaperto la possibilità di rendere la torre una grande centro di scambi commerciali. E per un luogo simile, nota il capo della Port Authority, Anthony Coscia, World Trade Center è il nome più adatto. Ha ragione. Ma ne ha qualcuna di meno quando liquida l'altro nome, quello patriottico, come una mera manifestazione di sentimenti popolari. «Sorry Mr president - l'ha smentito ieri il New York Post - quello è un nome impresso nell'acciaio», non scritto sulla sabbia. E ha tirato fuori dall'archivio la foto della prima trave del grattacielo impiantata nel terreno nel 2006: sulla quale compare, gigantesca, la scritta Freedom Tower.
NEW YORK - Sette anni e mezzo dopo l'attacco alle Torri Gemelle, l'enfasi patriottica che ha accompagnato il faticoso avvio dei piani di ricostruzione viene accantonata per lasciare spazio a un po' di pragmatismo commerciale: un paio di giorni fa i newyorchesi hanno scoperto che il nuovo grattacielo di 541 metri (1776 piedi, per ricordare l'anno dell'indipendenza americana) che sta finalmente sorgendo dalla voragine di Ground Zero, non si chiamerà più Freedom Tower, Torre della libertà. Le esigenze del mercantilismo e il timore che un nome patriottico renda, ancora di più, l'edificio un bersaglio per i terroristi, ha suggerito il ritorno al vecchio nome: «1 World Trade Center». I capi della Port Authority - l'agenzia pubblica proprietaria dell'area che deve trovare inquilini a sufficienza per riempire i 102 piani della torre - minimizzano, spiegando che Freedom Tower è un nome affettivo e simbolico che resterà nel linguaggio popolare, ma che, giunto il momento di commercializzare l'immobile (il suo completamento è previsto per il 2013), era logico tornare al suo legale. Che in molti casi i nomi affettivi prevalgano su quelli «contrattuali», è sicuramente vero. A New York la gente continua a chiamare Pan Am Building il grattacielo che chiude il segmento nord di Park Avenue, anche se la Pan American non esiste più da vent'anni (l'edificio è stato da tempo ribattezzato MetLife Building). Ma il sito delle Torri Gemelle non è un posto come un altro. La Port Authority lo sapeva bene e per questo, nell'ultimo anno, ha cercato di gestire con gradualità l'abbandono del nome «patriottico». Ma il caso gli è ugualmente scoppiato tra le mani quando, due giorni fa, il nuovo nome commerciale è spuntato fuori alla firma del contratto con una società cinese, la Vantone Industrial, che ha affittato sei piani dell'edificio per 23 anni. Il New York Times non aveva dato troppo risalto alla notizia, presentandola come un semplice accorgimento di marketing: il ricorso al nome di «trade center» per riproporre l'edificio come porta commerciale d'America. Un cambio di rotta imposto anche dal fatto che, fino a due giorni fa, gli unici spazi prenotati nella torre erano quelli destinati a uffici pubblici statali e federali. Ma i quotidiani popolari - il Post e il Daily News- hanno accusato la Port Authority di opportunismo, innescando la protesta dei familiari delle vittime dell'11 settembre («il loro sacrificio è stato inutile: li stanno dimenticando»). Sono scesi in campo anche i conservatori con accuse a raffica: «Non possiamo rinunciare, per una questione di affitti, a un nome nel quale c'è tutto il nostro orgoglio di Paese libero», ha protestato l'ex governatore repubblicano, George Pataki: fu lui, nel 2003, a scegliere il nome di Freedom Tower. La nuova amministrazione democratica dello Stato di New York, però, non sente la necessità di un'ostentazione immobiliare di patriottismo e anche il sindaco Bloomberg - ex repubblicano, ora indipendente - ha dato una mano: «Personalmente preferisco Freedom Tower, ma capisco le ragioni di chi ha scelto diversamente. Se con un altro nome riescono a riempire l'edificio, facciano pure». Bloomberg alle polemiche è abituato: da anni sulla ricostruzione dell'area di Ground Zero si azzuffano autorità, costruttori, agenzie per la sicurezza e parenti delle vittime. Si litiga su tutto: dalla forma del museo della memoria alle protezioni antibomba della nuova torre. Gli stop sono stati innumerevoli e la crisi economica degli ultimi due anni ha reso ancor più incerta la sorte dell'intero progetto. Comprensibile che chi deve rendere economico l'enorme investimento (la costruzione della torre costerà più di tre miliardi di dollari) tenti tutte le strade. Ma il fatto che la questione del cambio di nome sia venuta fuori con la firma del contratto con una società cinese legata al governo di Pechino, ha lasciato l'amaro in bocca a molti. Certo sono proprio i cinesi, che useranno i piani che hanno affittato come luogo d'incontro tra le loro imprese che operano negli Usa e quelle americane interessate al grande mercato asiatico, ad aver riaperto la possibilità di rendere la torre una grande centro di scambi commerciali. E per un luogo simile, nota il capo della Port Authority, Anthony Coscia, World Trade Center è il nome più adatto. Ha ragione. Ma ne ha qualcuna di meno quando liquida l'altro nome, quello patriottico, come una mera manifestazione di sentimenti popolari. «Sorry Mr president - l'ha smentito ieri il New York Post - quello è un nome impresso nell'acciaio», non scritto sulla sabbia. E ha tirato fuori dall'archivio la foto della prima trave del grattacielo impiantata nel terreno nel 2006: sulla quale compare, gigantesca, la scritta Freedom Tower.
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