domenica 30 settembre 2012

I provvedimenti del governo monti

I provvedimenti del governo Monti di Paolo Franceschetti

[...] Spulciando qua e là per le gazzette ufficiali poi troviamo ulteriori finanziamenti quali (per l’elenco mi avvalgo di alcuni miei precedenti articoli e di un recente articolo apparso su repubblica), oltre che di documenti ufficiali del parlamento europeo:

- contributi allo sviluppo del cinema in Burkina Fasu, in Angola, Mauritania, Mauritius;

- 1 milione di euro per incentivare la pesca in kiribati

- (somma imprecisata) per il finanziamento della più grande scultura del mondo in Antartide.

- contributi per sviluppare la cucina solidale (che non si sa cosa sia, ma puzza comunque di presa per il culo) in Burkina Fasu, Maldive, Sudan, Gabon, Micornesia, Isole Cook.

- 600mila euro per la sensibilizzazione dei diritti sessuali e riproduttivi nel Burundi;

- 2,6 milioni di euro per finanziare le inziative a favore dei disabili in Turchia.

- Per frequentare un corso di russo e cinese si può ottenere un credito da 1800 euro,

- in Sicilia sono stati spesi 150mila euro per pagare un consulente chiamato a coordinare un progetto che tuteli la Zerkova, una specie diffusa sui monti Iblei.

- 28,4 euro per alveare a chi fa un allevamento di api in Andalusia,

- fino a 700mila euro per la coltivazione di noci in Polonia,

- 110mila euro per studiare l'attuazione della direttiva sugli zoo in Europa.

- 219 milioni di euro (219.000.000 di euro) di finanziamenti per sviluppare la ristorazione, lo sport, la cultura in Groenlandia.

- 75 milioni di euro per il finanziamento di spedizioni al polo nord.

- 18 milioni di euro per finanziare ricerche in Antartide (questo provvedimento è del Ministro dell'istruzione Mariastella Gelmini, ed è italiano, non europeo);

- 30 milioni di euro per finanziare la ricerca di nuove specie di fitoplancton da poter utilizzare per produrre biocarburanti;

- 2 milioni di euro per diffondere la cucina siciliana in Perù.

- 1000 milioni di euro per sviluppare i rapporti tra amministrazioni e cittadini di vari stati: Antigua e Barbuda, Barbados, Benin, Bhutan, Botswana, Burkina Faso, Burundi, Capo Verde, Comore, Costa Rica, Fiji, Filippine, Gabon, Gambia, Ghana, Giamaica, Gibouti, Grenada, Guatemala, Guinea, Guinea Equatoriale, Guinea-Bissau, Guyana, Haiti, Honduras, India, Indonesia, Isole Cook, Isole Marshall, Isole Mauritius, Isole Salomone, Kiribati, Niue, Palau, Papua Nuova Guinea, Saint Kitts and Nevis, Santa Lucia, Saint Vincent e le Grenadine, Samoa, Sao Tome e Principe, Swaziland, Togo, Tonga, Trinidad e Tobago, Tuvalu, Vanuatu, Samoa occidentale. [Continua qui]

I soldi degli italiani


Leggendo questo assurdo resoconto di un manipolo di “fanatici dell’integrazione”, scopriamo che i sedicenti profughi, per stessa ammissione dei loro sponsors, non otterranno lo status di rifugiati, perchè non ve ne sono le condizioni, ovvero, tradotto in Italiano, non sono Libici ma provengono da paesi non in guerra e dove non sono perseguitati. In breve: sono clandestini. Il problema è che per giungere a questa conclusione ci sono voluti, e forse non basterà, oltre quindici mesi. Tenendo conto che ognuno di questi sfaticati che passa le giornate al Ritz (e questi xenofili sgallettati si chiedono anche, come mai non partecipano alle iniziativa messe in campo dai volontari e rimangono quasi esclusivamente all’interno dell’hotel, sono serviti e riveriti a gratis..) ci costa 45€, basta fare i conti per arrivare alla vergognosa cifra di circa 1 miliardo di Euro.

Questi soldi vengono esattamente dall’aumento delle accise sulla benzina, deciso per la fasulla e criminale, oltreché indotta, “emergenza profughi”. E questi soldi potevano ad esempio essere utilizzati per aumentare le pensioni minime di 150€ al mese, a ben 500mila pensionati ultraottantenni. Invece vanno a Nigeriani, Ghanesi e altri giovani Africani. Ah, dimenticavo: vanno anche ai proprietari degli hotel e alle associazioni che gestiscono “l’emergenza”. Vero ministro Riccardi? C’è qualche magistrato in Italia, che ha voglia di indagare su questo sperpero di denaro? Che ha voglia di dirci perché un ministro gestisca al tempo stesso un’associazione pseudo-caritatevole e il flusso di individui che ne determinano gli incassi?

L’accoglienza dei profughi all’hotel Ritz di Banchette è stato, in pratica, un fallimento dell’integrazione. E’ questo il succo della conferenza stampa che i volontari che lavorano con l’ottantina di persone ospitate nell’ex albergo banchettese (il gruppo informale di Quellidelritz) hanno tenuto ieri in Comune a Banchette, presenti il Sindaco Maurizio Cieol e l’assessore eporediese alla solidarietà Paolo Dallan. Per Giorgio Berutti, che ha assunto il ruolo di portavoce del gruppo, pur con tutti gli sforzi fatti dai volontari, non si hanno reali segni di integrazione di queste persone con le comunità locali. Pochissimi parlano italiano, nonostante i corsi di lingua, pochi partecipano alle iniziativa messe in campo dai volontari, molti rimangono quasi esclusivamente all’interno dell’hotel e alcuni hanno anche iniziato ad “arrangiarsi”. Una situazione che rischia di arrivare a un punto di “esplosione”, visto che questi “profughi” difficilmente otterranno lo status di rifugiati, perchè non ve ne sono le condizioni secondo la legislazione attuale, e il forte rischio e che vadano a ingrossare le fila dei clandestini. «E’ gente scappata dalla guerra in Libia – ha ricordato Berutti – e da quindici mesi sono in una situazione di attesa. Tutti hanno presentato domanda di rifugio, al momento solo una decina l’ha ottenuta. Altri hanno avuto un diniego e hanno presentato ricorso. Alla fine di dicembre, ricorsi a parte, dovrebbero tutti avere le risposte e al massimo un venti per cento sarà positiva. Gli altri avranno il foglio di via. Ma, anche volendo, come torneranno nei loro paesi d’origine, a nuoto?».

Basterebbe rispondere a tal Berutti che un volo low-cost sola “andata” costa meno di due giorni al Ritz. Un biglietto per uno, e addio. Ah, e di grazia, quanto prende il sig. Dallan di stipendio dai cittadini, per il suo presunto “lavoro” come “assessore alla solidarietà”? In Italia ci sono migliaia di Fiorito. A partire da Riccardi per arrivare fino ai tanti Dallan. Parassiti dei parassiti.

Lista nera per i cittadini italiani


Le associazioni dei consumatori insorgono: "Così si impedisce ai cittadini e alle imprese di attivare una fornitura energetica o cambiare venditore". Un registro dove iscrivere chi non paga le bollette di luce e gas. Questa l'idea dell'Autorità per l'energia, contenuta in un documento approvato dalle Commissioni X di Camera e Senato, che servirebbe a tutela degli operatori che eviterebbero di fare nuovi contratti ai morosi. La lista nera, però non piace alle associazioni dei consumatori. Il sistema ed i suoi contenuti in un mercato che ad oggi registra forti criticità e contenziosi tra le aziende ed i clienti finali, tuonano Assoutenti, Adiconsum, Adoc, Atroconsumo, Cittadinanzattiva, Codacons, Codici, Confconsumatori, Mdc, Movimento consumatori, Federconsumatori, Lega Consumatori, Unc "non possono essere in maniera più assoluta condivisi dalle associazioni dei consumatori" per "pratiche commerciali scorrette e servizi non richiesti" o "fatture emesse con dati di consumo stimati e non effettivi (principalmente nel settore power) che generano fatture con importi non corretti ed abnormi rispetto al consumo reale". Il tutto in nome della "garanzia della privacy" e della "situazione economica contingente". Se questo sistema dovesse essere introdotto, "tutti cittadini che per vari motivi non risultino aver pagato una bolletta, rischiano di finire nella banca dati dei cattivi pagatori, con tutte le conseguenze del caso come ad esempio l'impossibilità di attivare una nuova fornitura energetica o cambiare venditore. Lo stesso accadrebbe per le imprese".

Comicismi


«Serve una grande lista civica nazionale, una grande lista per l'Italia che chiami a raccolta le energie sane del paese senza personalismi». Così si richiama alla proposta avanzata da Luca Cordero di Montezemolo sul Corriere della Sera il leader di Fli Gianfranco Fini alla convention «Mille per L'Italia» In platea, oltre ai mille esponenti della società civile, il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini ed i dirigenti di Fli.

«NO ROTTAMAZIONI O DEMAGOGIA»- «Tocca a voi fare sentire la vostra voce - ha dettoFini - ed evitare così che il governo Monti sia una parentesi. Dovete continuare con impegno e rinnovato vigore nel vostro quotidiano lavoro, per rendere possibile alle urne la nascita dell'unica vera autentica novità politica in questo scenario: non nuovismo o rottamazione dell'esistente o facile demagogia, ma un incontro alla luce del sole e virtuoso tra una buona politica, che c'è anche all'interno dei partiti, e settori della società organizzata che la politica la fanno nel quotidiano».

«MONTI SIA SCELTA DEGLI ITALIANI» -Il presidente della Camera prosegue nel suo endorsement per il professore, spiegando che «ha ragione Mario Monti quando dice che la luce comincia a vedersi. Ma dipende anche dalle scelte degli italiani, è importante che Monti dica "se il popolo sovrano riterrà, sono disponibile a continuare". Non è una scelta dei partiti ma di tutti italiani, che oggi spero dicano che non aveva sbagliato chi voleva chiudere una fase e aprirne un'altra».

CASINI: «PAZZO CHI PENSA MONTI SIA INCIDENTE» - Poi è intervenuto anche il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini: «Chi pensa che Monti sia un incidente di percorso di cui bisogna disfarsi è fuori di senno. Il prestigio che ha ridato all'Italia è un importante e prezioso punto di riferimento non solo per oggi».

«HA RIDATO CREDIBILITA' ALL'ITALIA» -  «Io - ha continuato - non sono un entusiasta di Monti, come mi dipingono, perché l'entusiasmo è degli sciocchi. Io semplicemente vedo come era stato ridotto il nostro Paese dopo una certa politica per vent'anni e come lui ha ridato credibilità all'Italia». Ed ha concluso: «Se si creerà un contenitore «che sta tra Pdl e Pd» ed è «alternativo al grillismo, io aderisco a questa lista».

ALFANO: «MONTI SI DEVE CANDIDARE» - Di avviso non proprio coincidente è invece Angelino Alfano, segretario del Pdl: «Se si vota la prossima primavera e se Monti non è candidato è difficile» ipotizzare un Monti Bis. Se l'attuale premier non scende in campo: «Tecnicamente sarebbe inspiegabile».

L'ennesimo parassita del quale non avevamo bisogno


Presidente Montezemolo, il premier Monti ha dato la sua disponibilità a restare a Palazzo Chigi anche dopo le elezioni. È una buona notizia per il Paese? E per lei cosa cambia? «È un’ottima notizia. La stagione delle riforme è appena iniziata. Mario Monti è riuscito a dare agli italiani l’idea che si possa voltare pagina, affrontando un momento drammatico della nostra storia. Adesso è necessario un passaggio elettorale per consolidare il lavoro svolto e andare oltre. Dobbiamo legittimare con il voto di milioni di italiani l’apertura di una stagione di ricostruzione nazionale, che sarà lunga e difficile».

Non crede sia arrivato per lei il tempo di dire una parola definitiva su quel che intende fare? «Il progetto a cui è sempre stata interessata Italia Futura è contribuire al rinnovamento della politica nelle persone, nelle idee e nelle proposte. Per questo è necessario costruire una grande forza popolare, riformatrice e autenticamente liberale, che nasca dall’incontro tra società civile e politica responsabile e si ponga l’obiettivo di dare consenso elettorale al percorso avviato da Monti. Personalmente intendo impegnarmi perché questo progetto abbia successo, senza rivendicare alcun ruolo o leadership. La mia speranza e quella di molti cittadini è che il premier voglia continuare a guidare la fase che si aprirà dopo le elezioni, insieme a tanti altri italiani che dovranno abbandonare le tribune, impegnandosi in prima persona, senza nulla chiedere in cambio in termini di ruoli o ricompense».

Non teme che l’operazione possa essere considerata debole fin dalle premesse? Nelle democrazie occidentali si mette in campo un partito o una lista con l’ambizione di guidare il Paese, non di sostenere un premier che alle elezioni non è neppure candidato. «Il Paese è a pezzi, il sistema produttivo sopravvive solo quando esporta, il disagio sociale enorme e il distacco tra politica, istituzioni e cittadini non ha precedenti. Ogni giorno scopriamo con sgomento nuovi scandali, ruberie e inaccettabili privilegi. Lo spettacolo che sta dando la politica è passato dal cinepanettone di cui parlavamo due anni fa a un horror di serie b. Stiamo vivendo una situazione esplosiva. È ora che il governo intervenga subito e con determinazione, e quindi per decreto, sui centri di spesa regionali. La prossima legislatura non potrà che essere costituente, è impossibile pensare di tornare alla conflittualità permanente della Seconda Repubblica. L’Italia non ha bisogno dell’ennesimo partito personale, grande o piccolo che sia, e Italia Futura non è mai stata interessata a esserlo. Serve un ampio movimento civico che si ponga l’obiettivo di dare rappresentanza ai milioni di italiani che si sono riconosciuti almeno in parte nel percorso di Monti, che non credono alla retorica populista antieuropea della destra o ai neostatalismi della sinistra. Milioni di italiani che in assenza di una vera novità non andranno a votare».

Quindi l’alleanza con il Pdl, di cui si parla e si scrive da settimane, non ci sarà? «Alleanza, no; del resto l’abbiamo sempre smentita. È opportuno invece dialogare con le persone responsabili che sono nel Pdl e guardano con preoccupazione al futuro di un partito che resta una realtà importante del mondo moderato.
Così come abbiamo ottimi rapporti con la parte più responsabile del Pd».

Ma il nuovo movimento dovrà pure fare alleanze. O no? «È mai possibile che i tanti milioni di italiani che non si riconoscono nel Pd o nel Pdl siano condannati a disperdere il loro voto in piccoli partiti, la cui massima aspirazione sembra essere quella di accordarsi con questo o con quello, invece di ritrovarsi in un unico grande soggetto che abbia l’ambizione di essere il primo partito? Serve un movimento che nasca dalla scelta comune di tante personalità e associazioni, provenienti da matrici ed esperienze diverse ma unite dalla convinzione che nessuno degli attuali partiti sia da solo in grado di rispondere alla crisi italiana. Oltre la destra e la sinistra di questa fallimentare Seconda Repubblica occorre dare finalmente un approdo agli elettori liberali, democratici e riformisti».

Lei elogia il governo del rigore. Ma di troppo rigore non si rischia di morire? Quale sono le sue proposte per la crescita? «La crescita è il grande tema della prossima legislatura. Con molta franchezza, è su questo tema che dall’attuale governo sono venute le maggiori delusioni. Si è data l’impressione di perdersi in mille rivoli e annunci mirabolanti, mentre occorreva una visione netta e pochi obiettivi chiari. Io penso che dobbiamo rimettere al centro lavoro, produzione e cultura: i tre pilastri su cui costruire il rilancio italiano e sui quali concentrare ogni euro disponibile. E l’unica via per trovarne è ripensare radicalmente il perimetro dello Stato. Agli italiani serve uno Stato più forte nei suoi compiti fondamentali ma meno pervasivo. Un solo esempio: non è possibile con una spesa pubblica gigantesca a otto anni dall’ultimo indulto, siamo di fronte a una nuova emergenza carceri. Non è pensabile che si costituisca ogni giorno un nuovo fondo per questa o quella categoria d’imprese, quando a migliaia chiudono per il peso insostenibile del fisco. Meno incentivi, meno tasse e soprattutto molte più dismissioni. Agli italiani sono stati richiesti sacrifici immani. Ora è lo Stato che deve fare la sua parte».

La collocazione naturale del nuovo movimento sembra essere il centro. Che è già presidiato da Casini, contro cui Italia Futura ha preso una posizione critica. Perché? È vero che c’entra qualcosa la presenza della Marcegaglia? «Non ho alcun pregiudizio nei confronti dell’Udc, di Casini che conosco da trent’anni, o di Emma Marcegaglia che è stata tra l’altro una mia vicepresidente in Confindustria per quattro anni. Anzi, ho apprezzato che l’Udc sia stato l’unico partito ad ammettere di aver bisogno della società civile, ed è positivo che Emma Marcegaglia si sia dichiarata disponibile a impegnarsi. Detto questo, esiste una questione che riguarda la credibilità oggettiva del progetto presentato a Chianciano. Non credo basti cambiare la cornice del simbolo, o reclutare due o tre figure dalla società civile o dal governo, per realizzare operazioni di vero rinnovamento. Se i partiti del centro hanno in testa qualcosa di diverso da una “Udc 2.0”, da un remake dello stesso film, e pensano invece a contenuti, idee e rinnovamento vero della classe dirigente, allora vale assolutamente la pena aprire un dialogo. Senza tatticismi o idiosincrasie, perché gli italiani non capirebbero operazioni all’insegna dello slogan “tutto cambi perché niente cambi”. Il tempo in cui si poteva essere per il rigore a Roma e per gli sprechi in Sicilia è finito».

Molti tra gli elettori delusi dai partiti guardano a Grillo. Che ne pensa? «È inevitabile che sia così. E io penso che ogni nuova forza che affronta il giudizio degli elettori abbia il diritto ad essere rispettata. D’altra parte i partiti non sono riusciti, neanche di fronte al totale discredito pubblico e a un’emergenza economica che costringe gli italiani a enormi sacrifici, a realizzare riforme di una qualche rilevanza. Ma le risposte non possono essere distruttive o populiste, perché il populismo è una delle cause della crisi italiana. Affrontare una profonda riforma dello Stato è il migliore antidoto».

Renzi che impressione le fa? «È un fatto nuovo, una bella dimostrazione di democrazia. È giusto che il sindaco di una grande città europea possa ambire a essere il leader di un partito. Non possiamo da un lato lamentarci dei professionisti della politica e dall’altro allarmarci se un giovane si fa avanti».

Della Valle, suo socio in Ntv e suo amico, ha usato un linguaggio molto duro verso Marchionne ed Elkann. Chi ha ragione? «Guardi, con la famiglia Agnelli ho da quarant’anni rapporti di stima e di affetto che attraversano le generazioni, da Gianni Agnelli a Leone Elkann, il figlio di John. Mi sono sempre sentito orgoglioso di far parte di una quadra. Quando la famiglia mi chiese di assumermi responsabilità, non mi sono tirato indietro. Le lascio immaginare la mia profonda amarezza di fronte alle parole di Diego, che non condivido nella sostanza e tanto meno nella forma, in rapporto a una polemica nei confronti della famiglia e di Sergio Marchionne che considero dannosa e sbagliata. Sono stato presidente della Fiat per sei anni, e posso ben dire che Marchionne ha salvato l’azienda».

Ma della Fiat che sarà? Manterrà gli stabilimenti e la "testa" in Italia? O rischia di diventare la sottomarca europea della Chrysler? «La Fiat opera in uno dei settori più difficili e competitivi del mondo, con un mercato europeo tornato indietro di trent’anni. Eppure ha confermato di voler rimanere in Italia. L’operazione Chrysler sarà fondamentale per il futuro di Fiat. E non dimentichiamoci mai che una grande azienda come Peugeot, e altre presenti in Europa, si trovano oggi in enormi difficoltà. La questione a cui dobbiamo dare una risposta è se l’Italia vuole continuare a essere un grande Paese industriale, con regole e condizioni da grande Paese industriale. Io sono sicuro di sì, e anche per questo ho investito in Ntv. Ma attenzione, Ntv è un’esperienza che se da un lato conferma che c’è grande potenziale di crescita, dall’altro mette in evidenza che fare impresa in Italia oggi è una missione quasi impossibile».

Perché dice questo? «Perché tra barriere alla concorrenza e insufficiente attenzione da parte del governo siamo l’unico Paese al mondo dove sembra che la politica faccia una cortesia a lasciar investire i privati. Per questo dico: dobbiamo favorire e premiare l’Italia che rema e che continua ad avere fiducia nelle proprie potenzialità, restituendo al lavoro e alla produzione il posto che meritano, anche nelle politiche fiscali. Lavoratori e imprese sono legati in maniera molto forte in questo momento storico. Con una tassazione sulle imprese che è vicina al 70%, con un costo dell’energia del 30% superiore alla media europea, con una burocrazia asfissiante, una produttività bassa, norme spesso assurde e liberalizzazioni insufficienti o continuamente rinviate, come possiamo pensare che gli imprenditori continuino ad investire e l’occupazione cresca?».

Aldo Cazzullo

sabato 29 settembre 2012

Ma si, suvvia...

... pensiamo a scarcerare i delinquenti perchè in carcere, poverini ci stanno male e soffrono... invece, tartassiamo ancora un pò gli italiani onesti, vah.


Dalla prossima settimana gas e luce aumenteranno di 1,1 e 1,4%: in un anno pagheremo oltre 20 euro in più. Sarà un autunno caldo, per colpa delle bollette. Dal primo ottobre sono previsti nuovi ricanri sui prezzi di gas ed energia elettrica. Secondo quanto stabilito dall’Autorità per l’energia, per le famiglie e i piccoli consumatori serviti in tutela, il gas aumenterà dell’1,1% e l'energia elettrica dell’1,4%. La maggiore spesa su base annua sarà rispettivamente di 14 euro per il gas e di 7,6 euro per l'energia elettrica. A influire sulle variazioni, spiega una nota, sono principalmente gli inaspettati rialzi delle quotazioni petrolifere che in meno di tre mesi sono saliti di oltre il 20%. Tuttavia, per il gas, occorre sottolineare che l'applicazione del nuovo metodo di aggiornamento della 'quota energia' (Qe), approvato a giugno dall’Autorità, ha consentito di evitare, alla vigilia dei più alti consumi autunnali, un aumento che sarebbe stato dell’1,7% (pari a una maggiore spesa complessiva di 21 euro: l’esborso evitato, quindi, è pari a 7 euro su base annua). Infatti, grazie al nuovo meccanismo, il prezzo della materia prima gas (ovvero la Qe) è stato determinato con un mix di contratti di importazione di lungo periodo e una quota crescente di mercato spot, attualmente più favorevole per i consumatori. E’ prevista una nuova fase di riforma della Qe, già annunciata in Relazione Annuale e operativa dai primi mesi del 2013, che porterà ulteriori ribassi di prezzo alle forniture di gas alle famiglie. Per l’energia elettrica, oltre ai rialzi del petrolio, ha inciso la necessità di aumentare il gettito a copertura della voce A3 degli oneri di sistema per l'incentivazione alle fonti rinnovabili e assimilate nell’anno 2012. Parte dell’incremento della voce A3 legata all’incentivazione delle rinnovabili è attribuibile ad una previsione leggermente superiore alla stima del fabbisogno per l’anno in corso, anche a causa della contrazione dei consumi 2012 assoggettabili agli oneri generali.

venerdì 28 settembre 2012

Punti di vista


In un Paese così, dove milioni di reati restano impuniti, dove migliaia di ceffi da galera vanno in giro, e dove il direttore di un giornale va in carcere per un articolo pubblicato sul suo giornale, io non ci vorrei vivere. In un Paese così, dove l'onore ferito va a tassametro e se tu paghi smettono di sentirsi offesi, io non ci vorrei vivere. In un Paese così, dove i magistrati danno ragione ai magistrati, dove un cittadino perde sempre contro un magistrato, dove passano anni e anni per un giudizio definitivo, io non ci vorrei vivere. In un Paese così, dove la politica è incapace perfino di rimediare alle storture e al reato d'opinione, e sa solo reagire quando le toccano gli affari propri, io non ci vorrei vivere. E poi, da un Paese così, dove la verità vale meno dell'appartenenza, la qualità conta meno della collocazione, dove quel che sei, quel che vali, quel che pensi non conta rispetto a da che parte stai o peggio come ti hanno incasellato, e dove una vita intera, un'opera o un'impresa viene giudicata solo da una frase o da una supposizione, te ne vorresti andare. Ma quel Paese tu ce l'hai nel sangue, nell'anima, sulla tua lingua. Qui hai costruito, anche se nessuno te ne rende merito, qui hai generato, hai vissuto, hai amato, nonostante tutto. Allora pensi a come andartene restando, ti costruisci rifugi e lontananze per un'emigrazione interiore. Ma il Paese viene a riprenderti e ti ricaccia dentro il suo vomito. E se vuoi sopravvivere alla Disgrazia, devi chiedere la grazia. Che schifo vivere in un Paese così.

Fini chi? Quello dei tortellini?


"Fli non si scioglie e, a quanto mi risulta, nemmeno l’Udc. Vedremo se presentare il simbolo". Non ha dubbi il presidente della Camera, Gianfranco Fini parlando a Otto e mezzo su La7 delle prospettive di quello che era il Terzo polo. Poi il leader di Fli ha spalleggiato il Monti-bis: "Tanti italiani attendono dalla politica più responsabile un riferimento con una cultura di governo per rendere possibile un assetto politico che sia all’insegna dell’interesse nazionale. Il presidente del Consiglio più idoneo a fare ciò è Mario Monti". Per quanto riguarda il centrodestra, Fini si è autoproclamato insieme a Casini come l'alternativa credibile: "Il Terzo Polo non c’è più ma ciò che abbiamo detto Casini ed io a Chianciano e ciò che spero Casini dirà ad Arezzo significa che c’è un obiettivo comune: costruire un’alternativa credibile di governo di centrodestra a Bersani e a Berlusconi. Una aggregazione che vada molto oltre Fli, che non si scioglie come mi risulta si sciolga l’Udc, ed altre eventuali altri liste di cui si parla".

Cappuccetto rosso e il lupo

"Ohhh, nonna ma che occhi grandi che hai". "E' per guardarti meglio, Cappuccetto rosso". E così, quando Cappuccetto rosso s'accorse che quella non era la nonna, ma era il lupo, estrasse la pistola. Sei colpi le bastarono.


Se ne parla già da un po': monete e banconote hanno i minuti contati. La battaglia del governo contro l'evasione fiscale passa dai portafogli di tutti, nel nome della trasparenza e della tracciabilità di ogni movimento. Così, se dal 1° luglio 2013 potrebbe essere obbligatorio per negozianti e professionisti accettare il pagamento con bancomat o carta di credito per importi sopra i 50 euro, dal 2014 anche i tesserini magnetici potrebbero sparire. Come riporta ItaliaOggi, infatti, l'ultima bozza del decreto sviluppo spinge all'iperdigitalizzazione del cittadino: i pagamenti si potranno effettuare con il telefonino, la carta d'identità elettronica diventerà obbligatoria e gratuita e integrerà anche la tessera sanitaria, le ricette mediche saranno digitali. Contemporaneamente, tutti i pagamenti verso le pubbliche amministrazioni dovranno essere fatti con strumenti elettronici o bonifici, mentre ricette e cartelle cliniche potranno essere consultate online. Novità anche nelle scuole, dove i libri diventeranno digitali a partire dall'anno scolastico 2014-2015 e nelle piccole scuole si sperimenterà l'e-learning, con un insegnante collegato in videoconferenza.

Una rivoluzione degna di un film di fantascienza, in un Paese in cui il digital divide è ancora un problema. Basti pensare che sono ancora molte le zone non coperte da Adsl e dove una connessione veloce è quasi un sogno. Senza contare che secondo l'Istat il 41,7% delle famiglie italiane non è ancora in grado di usare sufficientemente un computer: siamo al 22esimo posto in Europa per diffusione delle tecnologie digitali e, con una velocità media di 5,5 Mbps, addirittura all’80esimo posto a livello globale per quanto riguarda la diffusione della banda larga. Non parliamo nemmeno della diffusione degli smartphone dotati di dispositivo di pagamento e soprattutto dei meccanismi per ricevere denaro dai telefoni di cui dovrebbero dotarsi i negozianti.  Eppure il governo ci prova e nel 2014 un decreto stabilirà la soglia minima per cui sarà "raccomandato" il pagamento elettronico, tramite carta di credito o cellulare. Ma oltre ai problemi tecnici, resta il problema delle risorse per consentire il passaggio al digitale. Adesso, nei Comuni in cui è possibile ottenere la carta d'identità elettoronica, il documento ha un costo a carico del cittadino. Se dovesse diventare obbligatorio a pagare dovrà essere lo Stato. Una parte dei soldi saranno presi dai 20 milioni di euro stanziati per la produzione e il rilascio della tessera sanitaria (già elettronica e gratuita). Si partirà con circa 30 milioni di euro per arrivare a un finanziamento dal 2014 di circa 82 mln di euro l'anno.

giovedì 27 settembre 2012

Le elezioni non servono più


Qualche giorno fa scrissi un post in cui descrivevo lo scenario che avrebbe portato Monti alla riconferma a Palazzo Chigi. Guardate cos’è successo in questi giorni: PdL a pezzi, Grillo in fortissima perdita di velocità, Pd dilaniato tra Bersani e Renzi, sinistra in cui tutti sono contro tutti, Lega ancora tramortita, nessuna legge elettorale, indignazione, anzi, disgusto dell’opinione pubblica nei confronti della politica... E ora Mario Monti, dopo aver negato per mesi ambizioni politiche, finalmente ammette di essere pronto per un secondo mandato. Nell’interesse della Patria, naturalmente. Ma senza candidarsi alle elezioni, senza piegarsi a chiedere il plauso e il consenso dei cittadini. La democrazia è una cosa antica, retrograda, non è chic, non è global, non è trendy per un uomo al passo dei tempi come lui. L’esimio Professor Monti sa che il vero potere, oggi, si conquista usando altri strumenti e, soprattutto, altri percorsi; sa che i più efficaci sono obliqui. E lui, mosso da una glaciale ma insaziabile ambizione, si adegua. Per il nostro bene, naturalmente. Il diesgno si realizza. Commossi, ringraziamo.

Disturbi della personalità


Il premier Mario Monti non si candiderà alle prossime elezioni, come ha sempre assicurato, ma si dice pronto a servire ancora il Paese qualora fosse necessario. Monti ricorda infatti - intervenendo al Council on Foreign Relations di New York, che si tiene a margine dei lavori della 67esima Assemblea generale delle Nazioni Unite - di essere stato nominato senatore a vita, quindi di non poter partecipare alle elezioni, ma non esclude di tornare «al servizio del Paese».

CIRCOSTANZE PARTICOLARI - Monti ha spiegato: «Nel caso di circostanze particolari, che spero non si verificheranno, potrebbero chiedermi di tornare. Potrei considerare questa ipotesi, ma spero di no». Se il Paese ne avesse bisogno sarebbe pronto a dare il suo contributo, ha poi ancora specificato alla domanda dell'intervistatore a questo proposito: «Se richiesto dalle forze politiche sono disponibile a un secondo mandato». Però questo non sarebbe normale: «Prima di tutto, dopo le elezioni i partiti dovrebbero essere capaci di presentare come primo ministro uno dei loro membri, e non me. Poi, se mi venisse posta la questione, esaminerei la situazione».

LA LEGGE ELETTORALE - Il rischio è di andare a votare ancora con la vecchia legge elettorale, ma l'esecutivo di Monti su questo non ha fretta: «Questo governo non si è impegnato sulla riforma elettorale perchè era stato chiamato per salvare il Paese». Ci stanno, però, lavorando le forze politiche e, «con una figura chiave come il presidente Giorgio Napolitano, confido che venga approvato in tempi non troppo lunghi», ha concluso il premier.

BERLUSCONI - Ancora una volta, poi, Monti ha toccato l'argomento Berlusconi: «Lui non è partito per un'isola deserta. È in Italia, è sempre il presidente del partito maggiore del Parlamento, il suo impegno politico è una cosa che dovrà decidere lui stesso», ha ribadito. Ma anche Berlusconi a sua volta parla dell'ipotesi di un Monti bis. «Ci devono ancora essere le elezioni» ha dichiarato a margine della presentazione del libro di Renato Brunetta. Commenta l'ipotesi anche il segretario del Pd Pierluigi Berani: «In tutta Europa - afferma - si fanno le elezioni per decidere quale partito o quale maggioranza deve governare».

L'EUROZONA - Gli investitori americani hanno poi chiesto informazioni sulla situazione dell'euro, e il primo ministro li ha rassicurati: «come valuta non ha sofferto la crisi, ed è molto importante». Inoltre, ad avviso di Monti, l'Eurozona non perderà pezzi, a partire dalla Grecia: «Non credo succederà, perché c'è l'idea di irreversibilità». E allora Atene, ma anche la Spagna e l'Italia, potrebbero essere da salvare con l'aiuto del Fondo di stabilità, che «dovrebbe coinvolgere anche il sistema bancario - evidenzia Monti, ritenendo che se ne parlerà a breve - Ci sono cose che non vengono discusse per un giorno o per un anno ma poi tornano».

L'ITALIA, IL FUMO E L'EVASIONE - L'evasione fiscale è uno dei nemici da abbattere perché l'Italia possa ripartire. E il premier lo spiega agli americani con un esempio pratico: «Molti ritengono che sia difficile fare rispettare le leggi agli italiani. Ma venite in Italia, andate in un qualsiasi luogo pubblico, e vedrete che il semplice divieto di fumare viene rispettato dal cento per cento degli italiani. Mi piacerebbe che la stessa cosa valesse per il pagamento delle tasse... Stiamo cercando di rallentare l'aumento del debito attraverso politiche rigorose sul deficit e attraverso un piano di privatizzazioni: c'è un grande potenziale di crescita non ancora sfruttato».

Liberi tutti? Di nuovo...


«Ho rinnovato l'auspicio che proposte volte a incidere anche e soprattutto sulle cause strutturali della degenerazione dello stato delle carceri in Italia trovino sollecita approvazione in Parlamento». Il messaggio di Giorgio Napolitano è chiaro e arriva in un passaggio della dichiarazione diffusa dopo aver ricevuto al Quirinale il professore Pugiotto e altri firmatari di una lettera aperta sui temi della situazione carceraria.

LA REALTA' CARCERARIA - Il Presidente della Repubblica fa riferimento alle proposte «già in avanzato stadio di esame, per l'introduzione di pene alternative alla prigione» e rileva che «restano nello stesso tempo aperte all'attenzione del Parlamento, in questa legislatura ormai vicina al suo termine e in quella che presto inizierà, sia le questioni di un possibile, speciale ricorso a misure di clemenza, sia della necessaria riflessione sull'attuale formulazione dell'art. 79 della Costituzione che a ciò oppone così rilevanti ostacoli». E poi aggiunge che la realtà carceraria italiana «non fa onore al nostro Paese e ne ferisce la credibilità internazionale e il rapporto con le istituzioni europee».

LA COSTITUZIONE - Recita l'articolo 79 della Costituzione: «L'amnistia e l'indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale». «La legge che concede l'amnistia o l'indulto stabilisce il termine per la loro applicazione». «In ogni caso l'amnistia e l'indulto non possono applicarsi ai reati commessi successivamente alla presentazione del disegno di legge».

I DETENUTI - Secondo gli ultimi dati sono 66.271 i detenuti reclusi (compresi nel totale dei detenuti anche quelli in semilibertà) nei 206 istituti di pena italiani, a fronte di una capienza regolamentare di 45.568 posti. I numeri sono del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) al 31 agosto 2012. Poco meno di un terzo ossia 23.773 sono i detenuti non italiani (che rappresentano il 35,8% della popolazione carceraria) minima è la componente femminile il 4,2% del totale dei detenuti ovvero 2.826 donne (di cui 1.133 straniere). Al 30 aprile 2012, sono 54 i bambini sotto i 3 anni che vivono in carcere con le madri (51 detenute).

LE REAZIONI - E sulle dichiarazioni di Napolitano è intervenuta anche il ministro della giustizia Paola Severino: «Condivido pienamente le meditate parole del Presidente della Repubblica. Ho più volte sollecitato io stessa - ha aggiunto il Guardasigilli - l'accelerazione dell'itinerario parlamentare, credendo profondamente che le misure alternative possano essere una soluzione strutturale al problema del sovraffollamento carcerario e della rieducazione del condannato». «Trovo infine estremamente realistico - ha concluso il ministro Severino - il richiamo del Presidente Napolitano alle procedure imposte dall'art. 79 della Costituzione per l'adozione di misure di clemenza cui il Parlamento può decidere di far ricorso, ove sussistano i presupposti di un'intesa politica di larga maggioranza».

Goldman sachs e il pd

Goldman Sachs vota per il Pd di Antonio Satta

Le polemiche saranno inevitabili. Per le prossime elezioni Goldman Sachs scommette sul Pd. Il colosso finanziario americano, a sette mesi dalle elezioni politiche italiane, ha pubblicato un report che farà rumore, nel quale si sostengono le chanche di una maggioranza di centro sinistra incentrata sul Pd. E questa maggioranza molto probabilmente manterrebbe la linea Monti, anche se non è chiaro se riconfermerebbe Mario Monti a capo del governo. In ogni caso, secondo il report, difficilmente il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, porterà il Paese alle elezioni prima di aver risolto la questione della riforma elettorale. Goldman Sachs ritiene «probabile che vengano introdotte modifiche alla legge con l'idea di garantire una coalizione centrista a favore di una conferma di Monti».

Ora non si può dire che a Goldman Sachs non conoscano la politica e gli effetti che una dichiarazione del genere può scatenare. Se c'è una banca d'affari che con la politica e i governi, in patria e all'estero, ha avuto relazioni strettissime è proprio GS. In America hanno tirato in ballo le revolving doors (le porte girevoli) per definire il fenomeno tipico in Goldman di un dirigente di primo piano che lascia il suo incarico per passare al governo, e magari, finito il mandato, torna tranquillamente alla casa madre. Per limitarci all'Italia, Mario Draghi è stato vicepresidente di Goldman Sachs per l'Europa dal 2002 al 2005, ma tra i consulenti della banca d'affari ci sono stati anche Gianni Letta, Romano Prodi e Mario Monti.

Ebbene, ora gli analisti di Goldman Sachs, peraltro molto attiva nella vendita di Btp nei momenti in cui lo spread era salito alle stelle e grande sostenitrice di un governo Monti post-Berlusconi nelle fasi calde del novembre scorso, scrivono che il tempo del governo tecnico del loro autorevole ex collega, «sta per finire» e «l'Italia potrebbe risentire dell'incertezza politica collegata alle future elezioni politiche in agenda ad aprile 2013». 11 maggior rischio per il Paese, secondo la banca d'affari, verrebbe da una vittoria delle forze euroscettiche e tra queste colloca il Pdl di Silvio Berlusconi e il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. Del resto, scrivono gli analisti, «le riforme impopolari del governo Monti, ad esempio l'Imu dal valore di 20 miliardi di euro all'anno, hanno favorito campagne politiche anti-europee e anti-euro di vari partiti». Non va nemmeno sottovalutato l' appeal politico di Grillo, perché «ha buone opportunità di guadagnare un gran numero di seggi in Parlamento, riflettendo la di saffezione degli italiani all'esistente establishment politico».

GS rimane cauta, ma comunque «costruttiva», sulle dinamiche di mercato dei titoli di Stato italiani che potrebbero soffrire se la credibilità del nuovo programma di acquisto della Bce fosse messa in discussione, soprattutto in considerazione del debole scenario macroeconomìco. Ma pesa anche l'incertezza sugli esiti delle prossime elezioni, tanto che gli analisti arrivano a delineare tre possibili scenari che potrebbero portare l'Italia a ricorrere al programma di aiuti Efsf/Esm, così ribattezzati: il vincolato, il tattico e il mani-legate. Nei primo scenario («il meno probabile») l'Italia potrebbe essere obbligata a ricorrere ai fondi per il riemergere «delle tensioni sull'obbligazionario» che potrebbero rendere «illiquido il mercato dei Btp»; un'ipotesi possibile con «una vittoria dei partiti anti-europei». Nel secondo scenario, il governo italiano potrebbe «tatticamente» vincolarsi al Fondo salva Stati prima delle elezioni, «senza in realtà averne bisogno», annullando il rischio contagio dalla Spagna. Il terzo e ultimo scenario prevede che la richiesta di sostegno possa essere avanzata da Monti stesso, prima delle elezioni, per «legare le mani al suo successore».

L'idiota

Un commento: "No! Il Mondo ha bisogno di singoli Stati Nazionali sovrani che rispettino i trattati di diritto internazionale. La confusione che prospetta Monti, di un ammucchiata di Stati senza identità, è proprio ciò che ci sta facendo affondare come popoli e culture. Monti vuole il dissolvimento dell'Italia, proprio come gli dettano le sue conoscenze di banchieri e speculatori privati internazionali."


"L'Italia darà un contributo agli sforzi di rivitalizzare questa assemblea migliorandone il ruolo e l'efficienza. Oggi più che mai il mondo ha bisogno delle Nazioni unite e la riforma del Consiglio di sicurezza è l'elemento chiave". Lo ha detto il premier Mario Monti intervenuto all'assemblea generale dell'Onu. Il presidente del Consiglio sottolinea che occorre "una riforma equa del Consiglio" ispirata alla logica del "trasferimento dei poteri alle regioni". Poi sottolinea che avere "più Europa è nell'interesse del mondo". "L’instabilità nel Mediterraneo colpisce la nostra stessa sicurezza - ha osservato Monti - ed i conflitti e le rivolte sociali sulle sponde meridionali si estendono alle nostre coste". Il premier ha dunque sottolineato "i cambiamenti storici" che stanno avvenendo nelle regioni del Mediterraneo e come l’Italia "sia stata a fianco della gente araba nella loro ricerca di giustizia e democrazia". Secondo Monti, anche se la primavera araba "ha attraversato delle difficoltà, ha anche ottenuto una serie di traguardi importanti. Niente è facile - ha detto- ma niente è impossibile". "L'intolleranza deve essere isolata. Diritti dignità e opportunità devono essere offerti a ogni membro delle nostre società, soprattutto alle minoranze e alle donne". Per l'Italia è una priorità "proteggere i diritti umani".

"Nei mesi scorsi - ha spiegato il premier italiano - ci siamo impegnati con i nuovi leader di queste nazioni ed ho trovato in loro un forte impegno che ispira speranza. Sia a livello bilaterale sia attraverso l’Unione europea, stiamo offrendo un supporto concreto ai loro nuovi governi per assisterli nella ripresa, per definire politiche commerciali a vantaggio comune, per favorire uno sviluppo economico e per promuovere la stabilità in tuttala regione". Anche la situazione nello Sahel "è motivo di grande preoccupazione e tra le principali priorità dell’Italia", ha rimarcato Monti affermando che non si può lasciare deteriorare ulteriormente la situazione èche l’Italia continuerà a fare la sua parte. In un passaggio del suo intervento Monti ha parlato anche della guerra in Siria: "L’Italia sostiene pienamente la missione del nuovo Rappresentante speciale per la Siria e chiede con forza al Consiglio di sicurezza di superare lo stallo che impedisce l’adozione di una efficace azione internazionale". Per mettere fine "ai massacri in corso e alle massicce violazioni dei diritti umani in Siria", sono necessari "buona fede e buona volontà". "La storia non sarà clemente nel giudicare coloro che hanno delle responsabilità", ha detto ancora il premier.

mercoledì 26 settembre 2012

Socialmente pericoloso e in grado di reiterare il reato

... ovvero, la dittatura della magistratura italiana.


Una vera vergogna, una sentenza aberrante. Come nelle peggiori dittature, è arrivata la definitiva condanna alla libertà di espressione. Oggi pomeriggio la Cassazione ha, infatti, confermato i 14 mesi di reclusione in carcere al direttore del Giornale Alessandro Sallusti per diffamazione aggravata. Subito dopo aver appreso la notizia, il direttore ha incontrato i giornalisti del Giornale per fare sapere che è intenzionato a scontare la propria pena: "Non ho alcuna intenzione di chiedere misure alternative alla galera".

La notizia è arrivata in redazione come una bomba. La magistratura italiana ha fatto calare l'ascia sulla libertà di espressione: una sentenza che getta vergogna su tutta l'Italia. Quattordici mesi di carcere per un articolo che l'allora direttore di Libero non ha mai scritto. È stato ritenuto responsabile dalla magistratura nostrana che ha deciso, oggi pomeriggio, di assestare l'ennesimo colpo politico. Proprio per questo Sallusti, incontrando i giornalisti nella sede di via Negri a Milano, ha detto chiaramente che non ha alcuna intenzione di "chiedere misure alternative di galera". Il carcere, quindi. Non solo. Con una nota dell’ufficio stampa della Suprema Corte, la Cassazione ci ha tenuto a dire che aspetti del processo non sarebbero stati esattamente evidenziati dalla stampa nei giorni scorsi. In realtà, oltre ad andare contro alla Corte di giustizia europea, secondo cui non si può mai mandare in carcere per quello che ha scritto, la sentenza della Cassazione dimostra a che punto siamo arrivati in Italia: adesso i giornalisti devono pagare con la propria libertà le opnioni che esprimono. "Mi rifiuto di essere rieducato da qualcuno, credo che l’affidamento deve avvenire per qualcuno che spaccia droga magari anche per qualche politico che ruba", ha detto Sallusti ai giornalisti del Giornale spiegando per quale motivo non chiederà misure alternative al carcere né chiederà al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano la grazia: "Alcuni magistrati hanno voluto decidere quali dovevano essere i nostri primi ministro, i nostri ministri e governatori - ha aggiunto il direttore - adesso addirittura vogliono decidere chi debbano essere i direttori dei giornali".

Un "gioco" a cui Sallusti ha deciso di non sottostare: "Vado in galera e non accetto alcun compromesso"."Domani farò il titolo più semplice della mia vita - ha continuato il direttore - Sallusti va in galera". Un titolo che nessun giornalista vorrebbe mai fare. Una notizia che nessun giornalista vorrebbe mai scrivere. Eppure, oggi è successo. Durante l'assemblea di redazione Sallusti ha comunicato la propria decisione di rassegnare le dimissioni da direttore del Giornale spiegando che non può fare il giornale da uomo non libero. Al direttore verrà "automaticamente" sospesa l’esecuzione della pena detentiva dal momento che non ha cumuli di pena né recidive. Il principio, però, rimane. Non cambia nulla, nemmeno se, poi, la magistratura ci mette sopra una toppa. A questo punto non resta che augurarsi che la politica prenda atto di quanto successo e riveda la legge riducendo la pena a pecuniaria.

L'assassinio della Ue


Oggi tutta la Grecia si fermerà per 24 ore, con l'eccezione dei mezzi di trasporto pubblico di Atene che sciopereranno a intermittenza per portare in centro chi vorrà manifestare conto i tagli da 11,9 miliardi del governo Samaras, imposti dalla troika. E circola la voce che il governo sia pronto a reprimere duramente ogni manifestazione fuori della legalità. Nel frattempo il paese è scosso per la assoluta segretezza delle indagini sull'arricchimento illecito di almeno 32 deputati dei partiti governativi per l'acquisto di immobili attraverso il riciclaggio di denaro sporco per 10,2 miliardi. Scandalo che è costato la sospensione temporanea dal suo incarico al presidente del parlamento Meimarakis. I sindacati del settore privato Gsee e del settore pubblico Adedy hanno appunto proclamato uno sciopero nazionale di 24 ore, al quale hanno aderito quasi tutti i sindacati di tutti i settori del paese. Per l'ennesima volta lavoratori, disoccupati, giovani, donne e immigrati che lottano contro i tagli andranno divisi in piazza. I sindacati confederali hanno convocato un'assemblea al Campo di Marte, vicino al Politecnico, alle 11, mentre il Pame del Kke terrà la sua assemblea alle 10.30 a piazza Omonia.

Allo sciopero hanno aderito i sindacati dei portuali Pno e di tutte le categorie del settore navale, i controllori di volo della Eeeke e tutti i sindacati dei trasporti urbani e interurbani, delle ferrovie, della Metropolitana di Atene, gli statali e tutte le categorie dell'impresa a partecipazione pubblica Dedho e delle amministrazioni locali Poeota, gli insegnanti di tutti i livelli, i medici e tutto il personale della sanità, gli avvocati e gli impiegati nelle banche della Otoe, gli ingeneri del Tee e i liberi professionisti, gli artigiani e le associazioni dei commercianti e negozianti Gsebee, che abbasseranno le saracinesche fino alle 3 di pomeriggio. L'Unione dei giudici e dei procuratori resterà in stato di agitazione fino il 20 ottobre, interrompendo le sedute dalle 10 del mattino e non pubblicando le sentenze. E gli impiegati delle agenzie tributarie hanno proclamato uno sciopero di tre giorni, fino alla fine della settimana. Oggi non ci saranno nemmeno previsioni meteo, perché allo sciopero aderiscono perfino gli impiegati del servizio nazione di meteorologia Emy.

Lo tsunami dei nuovi tagli prevede tra l'altro l'abolizione di ogni traccia di tredicesima e quattordicesima, l'aumento dell'età pensionabile da 65 a 67 anni, tagli sulle pensioni integrative e quelle basse, tagli sui benefici per i disabili e i malati con problemi renali, tagli alle pensioni degli agricoltori e alle loro prestazioni sanitarie; aumento degli anni di lavoro per avere la pensione minima e tagli sulle indennità di disoccupazione temporanea nel settore delle costruzioni, degli alberghi ed altri, nuovi tagli sulla spesa farmaceutica e ospedaliera. E ancora, riduzione del 12% in media degli stipendi di militari, poliziotti e giudici. Il ministro delle Finanze, l'ultraliberista Stournaras, ha cercato ieri di rispondere alle voci allarmanti riportate dalla stampa tedesca sull'insostenibilità del programma per la «salvezza» del paese, ammettendo che il prolungamento del piano della troika per due anni costerà tra i 13 e 15 miliardi che, secondo le ricette segrete di Stournaras, saranno coperti dallo stesso programma senza ulteriori prestiti. Staikouras, il suo vice, scommette però che il pagamento del debito greco dovrà slittare, mentre la direttrice generale del Fmi, Christine Lagarde, ha avvertito sul rischio di un buco nelle finanze del governo di Samaras per i ritardi nella svendita del patrimonio del paese e l'applicazione del Memorandum. Secondo Lagarde serviranno tagli aggiuntivi, oltre a quelli che già dovrà adottare Samaras, e un aumento delle entrate. Ma come si possono aumentare le entrare in un paese che è stato condotto alla maggior recessione della sua storia, questo Christine Lagarde non l'ha detto. Nel centro di Atene, già un negozio su tre, il 28,3% del totale, ha abbassato per sempre le sue serrande. la mobilitazione Tutti i sindacati di tutti i settori del paese aderiscono alla protesta contro il pesante piano di austerity imposto dalla troika. E la direttrice del Fmi Lagarde prevede ancora nuovi tagli.

L'italia cura (gratis), ospita e coccola i terroristi islamici


ROMA - Due sospetti terroristi libici, che si trovavano a Roma, sono stati espulsi dall'Italia. I due libici, di 26 e 28 anni, sono sospettati di essere jhadisti, legati alle formazioni armate di matrice salafita cheoperano in Libia. Secondo gli inquirenti romani i due presunti jihadisti fermati «avevano cominciato attività di proselitismo e propaganda al jihad nella comunità libica, per reperire materiale per commettere attentati contro interessi occidentali». Entrambi erano giunti in Italia da alcuni mesi per essere sottoposti a cure perché feriti durante il conflitto in Libia ed erano ospitati in alberghi della Capitale.

Preparavano un vera vendetta per il film anti-Maometto che ha infiammato Bengasi con l'assalto al consolato degli Stati Uniti e la morte dell'Ambasciatore Stevens. Questa l'intenzione dei due jihadisti. Il provvedimento è stato preso dal ministro dell'Interno, Rosanna Cancellieri, al termine delle indagini che sono state svolte dalla Direzione Centrale Polizia di Prevenzione, la Digos, diretta da Lamberto Giannini, e la Procura di Roma. L'attenzione sui due personaggi è stata focalizzata perchè segnalati dalla Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione per «la radicalità dei comportamenti» e l'atteggiamento particolarmente aggressivo, soprattutto nei confronti di propri connazionali. È stata quindi intrapresa una attenta attività investigativa da parte della Digos, direttamente coordinata dal Procuratore Aggiunto Giancarlo Capaldo, Coordinatore del pool Antiterrorismo della Procura della Repubblica di Roma.

Punti di vista sulla vicenda Lazio (dimenticando Lusi e Penati)


La penosa vicenda che ha portato alle dimissioni della governatrice del Lazio Renata Polverini ha messo in fibrillazione l’intero sistema politico, scatenando l’ipocrita reazione dei soliti farisei della sinistra italiana, compresi i suoi fiancheggiatori mediatici. La tesi di questi moralisti caduti dal pero, che si richiama ancora ai fasti della diversità cromosimica del vecchio Partito comunista, è la seguente: occorre distinguere le responsabilità nello scandalo della Regione Lazio. Chi ha incautamente “accettato” i soldi non può essere posto sullo stesso piano di chi dei medesimi soldi si è approfittato a piene mani. Il che tradotto starebbe a significare che lo scandalo non consiste nell’entità di tale finanziamento ma solo nell’uso distorto che qualcuno ne ha fatto. Così, ad esempio, si è sostanzialmente espresso l’ex ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni, esponente di spicco del Partito democratico, nel corso de L’Infedele. Ma su questa linea interpretativa, per così dire, si sta muovendo all’unisono tutto il Pd. L’idea che quest’ultimo vuole dare all’esterno (coadiuvato in questo da alcuni servizi scandalosi mandati in onda dal Tg3, in cui sono stati evidenziati solo i passaggi in cui la Polverini, all’atto delle dimissioni, stigmatizzava il comportamento di alcuni suoi alleati, tagliando completamente i suoi pesanti rilievi all’indirizzo dell’opposizione) della sprecopoli laziale è quella di una formazione politica che molto ingenuamente ha visto piovere dal cielo questa manna di milioni da spendere e l’ha solo raccolta, in modo quasi del tutto inconsapevole. Tuttavia, precisando in ogni angolo del Paese che loro tali quattrini li hanno spesi solo per attività politico-istituzionali, i compagni di Bersani tendono ad attribuire al Pdl ed ai suoi alleati ogni responsabilità politica e penale di questa ennesima storia di ordinario malcostume amministrativo. In realtà le cose non stanno affatto nella maniera in cui la strumentale propaganda rossa vorrebbe darci a bere. Ed è sufficiente ricordare alcuni numeri incontrovertibili per smascherare una simile fandonia. Infatti, fino al 2010 l’appannaggio che con le famigerate manovre d’aula veniva concesso a tutti i gruppi consiliari del Lazio ammontava ad un milione di euro. Successivamente, attraverso una serie di provvedimenti ad hoc, questa somma è stata portata a ben 14 milioni.

Ora, ed occorre essere molto chiari su questo punto, i gruppi dell’opposizione non hanno solo “accettato” il malloppo, come sostiene testualmente il summenzionato Gentiloni, bensì hanno fatto qualcosa di ben più serio: hanno sempre votato all’unanimità insieme ai cattivoni della maggioranza un tale, stratosferico aumento dell’ennesimo privilegio di casta. Un privilegio che, vorrei ricordare, rientra in un desolante quadro di spesa regionale la quale, nel complesso, in soli 10 anni si è quasi raddoppiata, nostante l’inflazione abbia inciso solo per un 23%. Ciò dimostrebbe che, al di là del colore, ci troviamo all’interno di una crisi sistemica della politica e non, come tenderebbe a far accreditare la sinistra, ad un problema di semplice onestà e moralità della classe dirigente. La vera questione è legata proprio all’eccessiva invadenza della politica e della burocrazia nella società, la qual cosa determina un enorme flusso di danaro direttamente controllato dalla citata casta. E pensare di eliminare gli enormi sperperi che si annidano al suo interno semplicemente selezionando una classe di probi ed onesti servitori del popolo, così come continua a proporre soprattutto la sinistra, rappresenta una pericolosissima illusione. Se non si affama la “bestia” pubblica, riducendone il perimetro, l’uso dissennato dei soldi degli altri è destinato a perpetuarsi all’infinito.

Errare è umano? Non sempre...


Primavera araba potrebbe essere il nome di un drink. Uno di quelli forti, che si beve ad occhi chiusi per non pensarci più. Solo che poi il risveglio è durissimo. C’è molto su cui riflettere. Ci sono tutti i nodi che l’Occidente si è rifiutato di affrontare e che ora vengono furiosamente al pettine. Sgombrato il campo dalla falsa idea che un film semi-sconosciuto, per quanto deplorevole, possa aver scatenato l’ondata di violenza che è costata la vita all’ambasciatore Chris Stevens e ad altri innocenti (ma anche se si fosse trattato davvero di una reazione spontanea alla diffusione della pellicola ritenuta blasfema, non dovremmo porci qualche domanda?), quello che alcuni analisti chiamano risveglio arabo è l’ovvia conseguenza del vuoto di potere creatosi dopo la caduta dei vecchi regimi in Egitto, Tunisia e Libia.

Magari era proprio nel timore di scenari come questi che qualcuno aveva manifestato qualche perplessità sull’opportunità di intervenire militarmente contro Gheddafi, sentendosi accusare di simpatie filo-tiranniche e opportunismo economico, mentre i dubbi su una guerra che ha cambiato il destino della Libia erano più che giustificati, anche per le modalità con cui è stata decisa e condotta: la Francia ha lanciato l’idea, l’Europa si è accodata, l’America ha fatto il minimo indispensabile, l’opposizione della Russia è stata facilmente aggirata, l’opinione pubblica non ha obiettato più che tanto, e il pacifismo d’ordinanza non si è fatto né vedere né sentire. Un ottimo ritorno d’immagine (l’Occidente che si muove per sostenere il popolo libico nella cacciata del suo odioso dittatore) con relativo poco sforzo. Tutto bene, dunque? Proprio no. Perché la fine di Gheddafi e il sostegno incondizionato ai giovani protagonisti della primavera araba avevano un significato e un valore che è stato totalmente rinnegato all’alba delle rivolte in Siria. L’Occidente che si illude di poter intervenire a seconda delle circostanze e senza prendersi la responsabilità delle conseguenze delle sue azioni – materiali e morali – è lo stesso che è caduto dal letto la mattina dell’assalto al consolato americano di Bengasi e dell’uccisione dell’ambasciatore Stevens. È stato il totale disimpegno americano ed europeo per la repressione e la distruzione di intere città e popolazioni siriane a creare le condizioni per l’esplosione di violenza che sta infiammando i paesi arabi. Perché il messaggio è stato chiaro: l’Occidente si è schierato a favore di un non meglio specificato processo di democratizzazione, ha armato i ribelli ed è intervenuto militarmente senza preoccuparsi di gestire il passaggio dalla guerra civile ad un nuovo ordinamento.

Caduti i vecchi dittatori, succeda quel che succeda. E infatti è successo. Illusasi, forse, di poter contare sul sostegno occidentale, la rivolta si è estesa fino in Siria, dove si è arrestata non tanto a causa della repressione, quanto dell’indifferenza e del realismo pavido di un’America alle prese con la campagna elettorale per le presidenziali, e di un’Europa che senza le alzate di scudi della Francia di Sarkozy non sarebbe andata nemmeno in Libia (non è curioso che Obama punti sull’immobilismo per essere rieletto mentre l’ex presidente francese abbia tentato la carta della guerra a scopo umanitario per lo stesso motivo?). Quello che resta, è la definitiva presa di coscienza da parte degli integralisti della capacità dissuasiva dell’Iran. I suoi alleati, Siria in primis, non si toccano; Hezbollah, in Libano e nella striscia di Gaza, si fa ogni giorno più minaccioso e aggressivo nei confronti di un Israele sempre più odiato, isolato e circondato, ed anche quando gli Stati Uniti vengono attaccati durissimamente con un’azione chiaramente premeditata e preparata per mesi, non a caso perpetrata nei giorni dell’anniversario dell’11 settembre, l’Occidente non trova di meglio che scagliarsi contro le presunte responsabilità di un film semi-ignoto spingendosi, per voce di qualche intellettuale europeo, ad ipotizzare l’istituzione di una nuova fattispecie di reato che punisca il presunto vilipendio al sentimento religioso islamico. E il governo americano arriva persino a scusarsi mentre le sue bandiere bruciano e le sue ambasciate vengono assaltate. Certo, Obama - il presidente meno incline alla politica estera della storia americana - ha promesso di dare la caccia e punire i responsabili della morte di Chris Stevens e dei suoi collaboratori, ha mosso uomini e mezzi, ma mostrare i muscoli e chiedere scusa è una contraddizione che non risolverà nulla. Volenti o nolenti abbiamo spianato la strada alla presa di potere degli estremisti in Libia ed Egitto mostrandoci superficiali, pavidi, inetti. Il risultato è l’esplosione di una bomba ad orologeria i cui danni non sono attualmente calcolabili e le cui conseguenze sono indecifrabili. Quel che è certo, è che i ribelli siriani che abbiamo abbandonato al proprio destino li piangeremo per molto tempo.

martedì 25 settembre 2012

La luce che si allontana... (stime di S&P)


L'agenzia di rating rivede in peggio anche le stime di crescita dell'eurozona per il 2012 a -0,8% ed invariata nel 2013. La recessione non si ferma. Anzi, si sta «intensificando». Lo dice Standard & Poor's in un rapporto. taglia ancora le stime dell'economia dell'Eurozona per il biennio 2012-2013, abbassando i valori già critici espressi a luglio scorso. Per l'anno in corso l'agenzia prevede un calo del Pil dello 0,8%, rispetto al -0,7% di luglio, e per il 2013 cancella il segno più (+0,3%) prevedendo una crescita zero. Ancora peggiori le revisioni per il Pil della Spagna con una stima per il 2013 che passa da -0,6% a -1,4%.

IN ITALIA- Quanto all'Italia, S&P parla di una «recessione più profonda» mentre non mancano i segnali preoccupanti per la Francia che viene vista «impantanata» senza nessun crescita. «Gli ultimi indicatori economici continuano a dipingere un quadro fosco per l'Europa. I dati confermano che l'area sta entrando in un nuovo periodo di recessione, dopo tre trimestri di crescita negativa o stagnante dall'ultimo trimestre del 2010. Le prospettive continuano tuttavia a variare da paese a paese», ha affermato Jean-Michel Six, capo economista di S&P per l'Europa, Medio Oriente e Africa.

(Dopo l'italia) Hollande, le banlieue e il qatar...

Un commento: "Dal Qatar arriva una pioggia di denaro che si porta via (oltre a immobili e hotel di pregio) pezzi rilevanti di aziende e banche italiane: Valentino (in toto), Unicredit ed Eni con quote rilevanti. Il Qatar è tra i primari fornitori di petrolio dell'Italia. L'Emiro del Qatar possiede Al Jazeera e non è detto possa mettere nel mirino anche emittenti nostrane in vendita. Non solo in Francia è stato sdoganato lo shopping dell'Emiro: data la fame di carta (o byte) moneta e di petrolio non occorre fare tanto gli schizzinosi. Da notare il solito trucco nel presentare i dati pro-capite: nulla viene detto sulla distribuzione del PIL e dei redditi, nella stragrande parte appannaggio della famiglia reale (poco più di 200 persone) che genera il 95% di detto PIL. La parte restante dei sudditi si dibatte tra povertà, analfabetismo, servizi non fruibili. Un ruolo importante in Qatar è svolto dall'esercito, ben armato da fornitori occidentali (Italia in primis) e protagonista di repressioni preventive in patria e sostegno ai terroristi all'estero (Siria). Quando si dice vendere l'anima..."

Il Qatar si compra anche le banlieue. Hollande firma accordi per investimenti nelle periferie. Polemiche per la crescente influenza dell’emirato di Gaia Cesare

Non bastava aver messo le mani su Louis Vuitton e Paris Saint-Germain. Non bastava essersi aggiudicati una megafetta della torta immobiliare francese, dall'imponente Concorde La Fayette agli storici e lussuosi hotel Martinez di Cannes e Hôtel du Louvre di Parigi. Dopo l'ingresso in grande stile nei magici imperi del calcio, della moda, degli immobili e dell'informazione, e dopo aver messo lo zampino su sei dei titoli del Cac-40 (l'indice della Borsa parigina), il Qatar punta ora alle banlieue. Il governo di Jean-Marc Ayrault ha concluso un progetto per la formazione di un fondo a capitale qatariota, con l'obiettivo di investire nelle periferie francesi, e che prevede anche una partecipazione dello Stato, non ancora pubblicamente quantificata. Di mezzo ci sono «almeno 100 milioni di euro», ha spiegato il ministro Montebourg. E ci sono anche i destini di alcune delle aree più disagiate di Francia - dove la disoccupazione fra i giovani sfiora il 40%, come ricorda uno dei promotori del progetto partorito da Aneld, l'associazione degli eletti locali per la diversità - e dove la forte componente musulmana - come ha sottolineato la leader del Front National Marine Le Pen, contraria all'accordo - è all'origine dell'interesse dell'emiro, un Paese straniero a cui Parigi «lascerà scegliere gli investimenti in funzione della religione di questa o quella parte della popolazione». Il Qatar porta a casa un «investimento» che all'apparenza sembra tutto a perdere: le periferie delle città francesi ormai considerate ghetti, affollate come sono di immigrati, per lo più senza lavoro, che vivono ai margini e tornano al centro del dibattito politico quando scatenano la rivolta o sotto campagna elettorale. L'accordo, però, è di reciproco interesse e non a caso - pur di scansare le critiche di «criminale inazione dei poteri pubblici» in materia di banlieue, il presidente François Hollande e il suo ministro del Rilancio produttivo, Arnaud Montebourg, si sono spinti laddove lo stesso Sarkozy non aveva osato arrivare, nonostante l'ex presidente avesse già regalato al Qatar un regime superagevolato in grado di esonerare la famiglia reale dell'emirato dalle imposte sulle plusvalenze immobiliari.

A spiegare meglio di ogni altro il vero obiettivo dell'emirato - un Paese il cui territorio è grande quanto quello della Corsica e il cui Pil pro capite è di 70.639 euro, più del doppio dei 31.615 euro francesi - ha pensato una fonte anonima vicina al dossier svelato da Libération: «Il Qatar è in piena strategia di conquista dell'opinione pubblica. Mostrarsi benefattori delle banlieue, è il modo dei qatarioti di farsi accettare per andare più lontano». Dove? Probabilmente nel cuore della politica francese, con cui ha sempre avuto a che fare e che ha sempre coccolato l'emiro, dai tempi di Mitterrand, che garantiva al Paese arabo il 90% delle forniture militari, passando per Chirac, che da presidente è stato a Doha nove volte, fino all'idillio vissuto con Sarkò, che ha scelto lo sceicco Hamad al Thani, a capo della monarchia, come suo principale partner diplomatico nel mondo arabo. E così fino ai giorni nostri, con il Qatar che è stato il Paese più «ricevuto» all'Eliseo dall'inizio del quinquennato di Hollande. Poco da stupirsi se si pensa che del bottino che varia fra i 15 e i 25 miliardi di euro investiti ogni anno all'estero dall'emirato, circa 800 milioni finiscano in Francia. E poco da stupirsi se si guarda alla strategia d'assalto degli sceicchi qatarioti in Francia. A cominciare dal calcio, con l'acquisto del Paris Saint Germain come trampolino di lancio per la conquista dei cuori e delle menti degli europei - e per di più nel 2022 il Campionato del mondo si svolgerà in Qatar - fino all'assalto al mercato immobiliare con l'acquisto di alberghi ed edifici che rappresentano un pezzo di storia architettonica e sociale di Francia per poi passare dal cruciale mondo dell'informazione con gli acquisti di BeIn Sport 1 e 2 sul satellitare (e Al Jazeera già in mano a Tamin Al Thani, erede al trono e uno degli uomini più ricchi del mondo) e arrivare a quello delle imprese, dove i rapporti di forza Francia-Qatar si invertono in Medio Oriente, con l'emiro arabo che nelle joint venture controlla spesso il 51% del capitale. Ma gli appetiti degli sceicchi pare siano persino più ambiziosi. E spiegano l'appoggio alle rivoluzioni arabe e ai Fratelli musulmani e quel doppio gioco con cui il Qatar mostra all'estero il suo volto pro-occidentale mentre all'interno del Medio oriente finanzia i gruppi estremisti salafiti. «Il Qatar vuole deporre le repubbliche laiche autoritarie arabe - spiega a Libération il consulente francese per la regione Karim Sader - e vuole rimpiazzarle con una sorta di real-islamismo: una borghesia islamica urbanizzata, aperta al business, tipo Ennahda in Tunisia. E incarnare così il wahabismo del Ventunesimo secolo».

Norvegia e islam...


«Era ora». Due semplici parole per chiudere qualsiasi polemica sul nascere. Re Harald V, monarca norvegese, non ha dubbi: è un bene per il Paese che a guidare il ministero alla Cultura sia una giovane donna musulmana. Hadia Tajik, 29 anni, è stata nominata venerdì scorso durante un rimpasto di governo. Sostituisce Anniken Huitfeldt che a suo volta è andata al Lavoro. «Nuovi valori, nuove forze, nuove idee», ha spiegato il primo ministro laburista Jens Stoltenberg che con un solo nome è riuscito a battere due primati: Tajik è il più giovane membro del governo nella storia norvegese e la prima fedele di Allah.

Un cambio di passo in un Paese ancora ferito dagli attentati di Oslo e Utoya del 22 luglio 2011. Settantasette vittime dell’odio razziale. Con il terrorista, Anders Breivik, che voleva combattere il processo di costruzione di una società multiculturale. La nomina di Hadia Tajik dimostra che questa evoluzione non si può fermare. Lei, il neo ministro, vuole che «tutti abbiano la possibilità di partecipare alle attività culturali. A prescindere dalla classe sociale cui appartengono, l’etnia o il sesso». Vorrebbe far emergere «le diversità culturali che vivono nel Paese». Proteggere le minoranze e le loro tradizioni. Ieri nel suo primo giorno di lavoro, non si è fermata un attimo. Appuntamenti, incontri, riunioni. E una gran voglia di fare, di cambiare per costruire, appunto, qualcosa di diverso. Chi la conosce bene, spiega che Tajik è così, «una gran lavoratrice. I suoi obiettivi sono sempre stati chiari. E ora la politica viene prima di tutto». E non a caso c’è chi la definisce «stella nascente». Simpatica, sportiva («fa jogging tutti i giorni»), affabile.

«Nessuna sa molto sulla sua vita privata. Di certo non è sposata», raccontano dal quartier generale del Dna. Molto riservata, sembra non sia mai uscita con i colleghi dopo il lavoro. I lunghi capelli neri, le incorniciano il viso dai tratti orientali. Grandi occhi neri, osservano, si soffermano e a volte incutono quasi timore. Oltre a essere molto bella, ha una grande personalità». Nata a Strand, il 18 luglio 1983, è cresciuta nella comunità pachistana. I genitori sono immigrati negli anni ’70. Parla cinque lingue. Una laurea e un master in Norvegia. Un altro all’Università di Kingston a Londra. Legge, diritti umani e giornalismo. E per cinque anni ha lavorato in alcune redazioni. Poi nel 2006 l’ingresso in politica, come consulente del ministro del Lavoro. Un incarico dopo l’altro. Dagli uffici del primo ministro fino a quelli del dicastero della Giustizia e Pubblica sicurezza. Lì nel 2009 ha emanato il suo primo provvedimento: consentire alle poliziotte musulmane di indossare lo hijab (un velo che lascia scoperto il volto). Ma anche nella civilissima Norvegia questo è stato troppo: la norma è stata subito ritirata a causa delle polemiche che si sono scatenate.

Nello stesso anno è stata eletta in Parlamento per la sezione di Oslo. «Fa parte di tante commissioni: la principale è quella sul welfare». Neanche a dirlo c’è quella dell’integrazione. «Non direi sia stata una nomina inaspettata», dicono ancora dal partito. Di certo c’è qualcuno che potrebbe dire «calcolata». A un anno dalle prossime elezioni, Stoltenberg ha portato al governo una rappresentante della più grande comunità etnico-religiosa del Paese. Secondo le ultime statistiche a disposizione (dati del 2009), ci sono almeno 160mila musulmani che vivono in Norvegia, su poco meno di 5 milioni di abitanti, il 3,2 per cento della popolazione. Non stupisce che ad affrontare il nodo sulla rappresentanza delle seconde generazioni sia proprio il governo di Oslo. Le quote rose sono superate. «Nessuna legge impone che il numero dei ministeri debba essere diviso in egual misura tra uomini e donne. È consuetudine sia così», spiega Pia Gulbranvsen, nello staff del primo ministro. Ma la nomina di Tajik ha un sapore diverso. Più che altro di apertura. Il partito di opposizione non ha criticato questa scelta, «perché sanno quanto questa donna vale come politico». Certo, alcuni gruppi di estrema destra come il Sian (Stop the Islamization of Norway), ha protestato e, su internet, ha gridato al grande complotto. Post denigratori e commenti infamanti. Insulti sul colore della pelle, sulla religione e la paura dell’Islam che si trasforma in odio. «Non è così per la maggior parte dei norvegesi». Anzi, c’è chi, come re Harald, non ha dubbi: «It was about time». Cioè, «era ora».

lunedì 24 settembre 2012

Lavaggi del cervello... l'effetto monti e le liberalizzazioni


Effetto Monti, l’Italia è più aperta al mercato. L’indice di liberalizzazione del nostro Paese sale a quota 52%, tre punti in più rispetto al 49% di un anno fa. Lo dice il rapporto 2012 dell’Istituto Bruno Leoni (Ibl), che verrà presentato oggi a Milano, a Palazzo Durini, e che pubblichiamo in anteprima. Vuol dire che poco più della metà del mercato italiano è considerato oggi aperto alla concorrenza. Non è molto, ma è un avanzamento come non si vedeva dal 2009 (passò dal 47% al 49%). Migliora l’indice delle autostrade e degli ordini professionali, peggiora quello dei servizi finanziari (la Borsa), restano fermi treni e mercato del lavoro.

IL METODO - Il dato nazionale del 52% è la media dell’indice assegnato da Ibl, su valutazioni qualitative e quantitative del grado di concentrazione del mercato, ai diversi settori, dal gas alle telecomunicazioni. A sua volta quest’indice settoriale è misurato in rapporto a un’ipotetica «base 100» dei Paesi ritenuti a liberalizzazione (e privatizzazione) più alta, presi a riferimento: in testa la Gran Bretagna. Fu lo stesso Ibl a presentare a Palazzo Chigi, in gennaio, lo studio «Liberalizzare e crescere - Dieci proposte al governo Monti». «Sono ancora attuali — dice Alberto Mingardi, direttore generale dell’istituto —. Questo esecutivo sulle liberalizzazioni ha fatto più dei precedenti, ma l’elenco dei passi da muovere è ancora lungo». È scettico Mingardi, per esempio, sul ruolo della Cassa depositi e prestiti presieduta da Franco Bassanini, separata nella gestione ma controllata dal Tesoro e sempre più presente nell’economia italiana, dalla rete gas di Snam alla banda larga di Metroweb, l’ultima partita aperta (con ventilato scorporo della rete di Telecom): «Potenzialmente la Cassa è nelle mani di un decisore politico, può avere derive di statalizzazione, essere pericolosa per la libertà economica». Come dire, per ora è gestita (quasi) come un ente privato, con attenzione al conto economico, domani chissà (per esempio, se escono dall’azionariato, com’è ora possibile, le fondazioni bancarie, o un nuovo governo dà indirizzi diversi).

PUNTI DI VISTA - L’Indice delle liberalizzazioni del Bruno Leoni resta comunque dal 2007 un riferimento per misurare il superamento dei monopoli. E l’edizione 2012 arriva, fra l’altro, proprio mentre è attesa, a giorni, la segnalazione dell’Antitrust al governo sugli interventi ancora necessari per aprire e modernizzare i mercati. In agosto Antonio Catricalà, sottosegretario alla presidenza del consiglio ed ex presidente dell’Autorità della concorrenza, ha chiesto all’Authority oggi guidata da Giovanni Pitruzzella di presentare a governo e Parlamento un memorandum sulle misure da prendere, anche in vista della Legge sulla concorrenza che dovrebbe essere varata entro la prossima primavera. Il documento potrebbe essere consegnato già questa settimana.

APERTURE - Dei 16 settori analizzati dall’Istituto Bruno Leoni, ben 11 risultano più aperti al mercato rispetto al settembre 2011, i due terzi; solo tre sono più chiusi e tre stabili. «Miglioramenti riconducibili ai provvedimenti contenuti nei decreti del governo Monti, che segna una discontinuità — dice Carlo Stagnaro, direttore ricerche di Ibl, che ha curato l’indagine —. Dal Salva Italia, che ha interessato i professionisti e razionalizzato il ruolo dell’Anas, al Cresci Italia, che ha fra l’altro introdotto l’Autorità dei trasporti» (bloccata, però: vedi altro articolo). Aumenta molto, difatti, l’indice di liberalizzazione degli Ordini professionali, dal 47% al 52% (cinque punti, il riferimento è al Regno Unito), «in primo luogo per l’apertura alle società di capitale», dice Stagnaro; e, soprattutto, quello delle autostrade, dal 28% al 40%, addirittura 12 punti (e il parametro qui è la Spagna di Abertis, la rivale di Autostrade): «Per maggiore certezza delle regole e risoluzione del conflitto d’interesse con l’Anas», commenta l’analista. Scendono, invece la Borsa (dal 69% al 66%, il confronto è con la Svizzera), per la Consob ritenuta «controllata da Parlamento e governo, con poco potere d’intervento» e la scarsa contendibilità delle quotate; la tivù (dal 62% al 61%, confronto con la Spagna), per «l’ambiguità della Rai, che riscuote il canone e ha un tetto alla raccolta pubblicitaria, andrebbero tolti entrambi: in Spagna il ruolo del soggetto pubblico è stato meglio definito»; infine il fisco, passato dal 48% al 47% per la «pressione sui cittadini ancora troppo elevata».

NORME - Restano poi fermi, rispetto a 12 mesi fa, il mercato del lavoro, stabile per Ibl a quota 60% nonostante la Legge Fornero («Nella sostanza per ora non soddisfa nessuno») e i trasporti ferroviari, bloccati al 36% malgrado l’ingresso della Ntv di Luca di Montezemolo nell’Alta velocità contro Ferrovie dello Stato (vedi altro articolo), e qui pesa il fallimento di Arenaways: «Restano norme anticompetitive sui trasporti locali», dice Stagnaro. Autostrade a parte («Abbiamo voluto dare un’apertura di credito», concede Ibl: e l’amministratore delegato di Atlantia, Giovann i Castellucci, sarà alla presentazione dell’Indice oggi), i trasporti restano insomma la spina nel fianco. L’opportunità Snam Il mercato più liberalizzato in Italia in base all’Indice Ibl resta comunque quello elettrico con il 77% (cinque punti in più del 2011); quello meno, l’acqua con il 19% (come l’anno scorso). Stabili in classifica al 12esimo posto le telecomunicazioni: salgono dal 42% al 45% perché «aumentano i passaggi degli utente da un fornitore all’altro», ma «se Telecom e Metroweb si accordano sul cablaggio la concorrenza diminuirà», dice Stagnaro. Passa invece dal sesto al quarto posto il gas naturale con il 64% (era al 62%). «Lo scorporo di Snam dall’Eni può portare a una maggiore competizione, come fu nell’elettrico con la separazione di Terna dall’Enel», dice Stagnaro. Eppure Snam è stata rilevata proprio dalla Cassa depositi e prestiti, e la quotata Terna fa capo alla stessa Cassa per il 30 per cento.

Alessandra Puato

Sulla sovranità, sull'ostilità, sulla crescita e sul salvataggio


"Gli italiani pur sottoposti a un trattamento incisivo e pesante di misure, stanno dimostrando di non essere particolarmente ostili a coloro che hanno dovuto persuaderli di farlo nel loro interesse di lungo periodo". Ne è convinto il premier Mario Monti, intervenendo alla conferenza dell’Ocse.Insomma, nonostante l'aumento delle tasse, la pressione fiscale arrivata a livelli record, l'aumento della disoccupazione e la crisi economica che attanaglia le imprese, il presidente del Consiglio è certo che nonostante le misure pesanti gli italiani non siano ostili all'operato del suo governo. Inoltre, secondo il capo del governo, "grazie all’azione di questi mesi l’Italia si è tolta dalla lista dei paesi che rappresentavano un problema per la stabilità dell’area euro". E soprattutto, senza il decreto Salva-Italia, "avremmo perso sovranità".

"Mantenere il rigore": Come aveva già detto giorni fa, Monti vede la luce. "Siamo determinati a fare scelte nel breve periodo per guardare a obiettivi a lungo periodo, è stata una scommessa sull’Italia, sulla sua capacità di reagire, di cambiare rotta, di costruire un futuro di crescita". Ma i tempi della crescita devono ancora arrivare, perché, come ha ammesso il Professore, "è troppo presto per abbandonare il rigore, va sempre mantenuto".

"Non abbiamo prospettiva elettorale": Comunque sia, "il 2013 sarà un anno in crescita", non con un pil dal segno più, ma "un anno con profilo ascendente", nonostante "il motore dell’economia si avvierà lentamente", ha spiegato Monti. Che poi è tornato a smentire ipotesi di una continuazione del suo governo. "Noi non abbiamo come prospettiva quella elettorale" ha affermato il premier che poi ha smentito tuttavia "il teorema di Juncker" secondo cui chi fa riforme strutturali fa bene al suo Paese ma poi perde le elezioni. "Questo teorema in realtà è smentito dal suo stesso autore, il primo ministro lussemburghese che è in carica dal 1995. Ci sono stati altri casi che smentiscono questo teorema. Poi ci siamo che non abbiamo una prospettiva elettorale", ha chiosato il bocconiano. Che poi, parlando delle riforme fatte dall'esecutivo, ha annunciato che "l’azione realizzata in questi mesi produrrà nei prossimi 10 anni un aumento di 4 punti percentuali del Pil".

"Nessun aiuto a Fiat": Poi, parlando dell'incontro avuto con i vertici Fiat, il premier ha spiegato che si è trattato di un "incontro lungo, approfondito, dianalisi delle tendenze, delle strategie, non è stata chiesta cassa integrazione in deroga, non sono state chieste concessioni finanziarie e non sarebbero state accolte, il governo non si è impegnato a dare aiuti finanziari alla Fiat ma a salvaguardare la Fiat in Italia e il suo patrimonio di ricerca".

Corruzione: Infine, il premier, parlando delle misure contro la corruzione, ha affermato che "l'inerzia di una parte politica è comprensibile ma non scusabile", assicurando comunque che ci "sarà un pacchetto equilibrato sulla giustizia".

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Inoltre, sull'immobilità sociale - Infine, uno sguardo ai giovani e ai cosiddetti outsider. «L'Italia è uno tra i Paesi osservati dall'Ocse caratterizzato da un'alta immobilità sociale - dice Monti -: i figli rimangono nella stessa categoria sociale dei genitori, rimangono in casa con i genitori, e spesso finiscono per fare lo stesso lavoro dei loro genitori». Quindi sottolinea: «Abbiamo sempre cercato di tenere ben presenti, nella nostra azione, le esigenze dei giovani e degli outsider».

... che lavori fanno i figli di questi grandi geni, moralizzatori e pensatori italiani?