venerdì 31 gennaio 2014

Le porcate del governo Letta

La gravissima vicenda della privatizzazione di Bankitalia di senzasoste

Tutti ricordiamo il tormentone Imu sì-Imu no, una bolla mediatica che ha accompagnato la vita politica istituzionale per metà 2013. È stato sostituto, sempre con Silvio protagonista (complimenti, anche vicino al sarcofago riesce a condizionare i nanerottoli politici di via del Nazareno) dall’altra bolla mediatica, quella della legge elettorale. Bene, immaginate che casino succederebbe se qualcuno grosso, qualcuno di importante, volesse imporre una bella patrimoniale, di quelle toste. Già, immaginate il coro dei Roberto Speranza, uno che la parte l’ha imparata presto: “irresponsabile”, “populista” etc., e i sottili distinguo dei sindacalisti gialli Camusso e Landini sulla patrimoniale. Il problema, non proprio leggerino, è che la proposta di una forte patrimoniale per l’Italia, sempre per il rigore dei conti pubblici, non l’ha avanzata qualche populista ma la Bundesbank. Eh sì. Era in prima pagina due giorni fa sulla Handelsblatt e su Die Welt, edizione online di entrambe le testate. Così, mentre le prime pagine dei giornali italiani sono rigonfie di cose inutili, la banca centrale del principale paese dell’eurozona ha chiesto per noi una bella stangata (non esiste legge elettorale che risolva il problema della rappresentanza e dei processi decisionali. Ma da prima dello scioglimento del Pci i “riformisti” hanno provato questa droga del politico detta "legge elettorale", e non hanno più smesso...). D’altronde, con un’economia paralizzata cosa credete che voglia il grande fondo estero, come garanzia, per comprare i nostri titoli? Ma i nostri patrimoni! Grandi e piccoli che siano, basta non averli alle Cayman (come lo sponsor di Renzi). Così vuole la Bundesbank. E che rapporto c’è tra queste necessità della Bundesbank e il decreto Imu-Bankitalia presentato furbescamente alla televisione e alle camere? Se qualcuno crede che le comparsate della Boldrini servano per garantire il rispetto alle istituzioni, viva il suo Nirvana e non proceda oltre nella lettura. Sennò ascolti un dettaglio. Prima di tutto mettere l’Imu nel decreto è costruire un cavallo di Troia (absit injuria verbis) per far passare tre perle:

1) L'aumento dell'acconto Ires.

2) La “sanatoria” sul gioco d’azzardo, che è un regalone a tutte le agenzie che dovevano somme astronomiche allo Stato.

3) La sterilizzazione del potere di veto del ministero dei beni culturali e (sic) del Ministero dell’Ambiente sulle dismissioni (e vai con nuovi ecomostri).

E qui arriva la perlona contenuta nel decreto Imu che prende anche il nome del gioiello, diventando decreto Imu-Bankitalia. Cosa prevede il gioiello?

1) La legittimazione della proprietà privata dell’ente che solo nominalmente resterà pubblico (nomina del governatore, vero Re Pipino della situazione)

2) L’impossibilità del potere pubblico di poter dire alcunché sulla compravendita delle quote di Bankitalia (quindi se qualcuno o qualcosa che ha interessi che non coincidono con quello nazionale prende piede in Bankitalia, il pubblico non può porre veti. Solo per questo Napolitano meriterebbe l’impeachment, altro che...)

3) Si apre legalmente la strada ad un patto di sindacato, esplicito o occulto, dove una serie di soggetti finanziari che entrano nelle banche italiane fanno cosa gli pare di Bankitalia (guarda caso tre giorni fa qualcuno ha fatto la spesa con i titoli bancari italiani che sono andati anche a -16 in una seduta).

4) Le privatizzazioni possono essere pilotate da questo patto di sindacato ormai legittimabile da questo decreto (vedi vicenda Cassa depositi e prestiti).

5) Il patto di sindacato (cioè l'insieme delle regole volte a determinare l'assetto della proprietà di una società), possibile e sostenibile da hedge fund che hanno un portafogli largo quanto il nostro Pil, può a questo punto controllare l’oro di Bankitalia a sostegno dell’euro. Proprio come desidera la Bundesbank. E ce la vedete questa nuova Bankitalia, in mano a tutti fuorché all’Italia, opporsi nel caso alla patrimoniale come desiderata dalla Bundesbank? "Ragassi" - avrebbe detto il povero Bersani - “Sciamo in Europa..”.

A questo punto anche un elettore di centrosinistra, cioè uno che in politica fa uso di droghe nemmeno tanto leggere, capisce la verità. Che la “crescita” non esiste, non ci sarà. Ma solo un periodo di estrazione di risorse da questo paese. Fino a quando non ci sarà nulla da estrarre e i nostri giovani accetteranno salari da 250 euro il mese, competitivi con l’Ucraina che spinge per entrare in Europa a costo della guerra civile, facendosi prendere per fame. in un paese dai prezzi tedeschi causa tasse e balzelli.

Tutto questo ha un nome nei manuali di concorrenza economica. Si chiama strategia del “Beggar thy neighbour”. Ovvero: porta il tuo vicino a mendicare. Ci guadagnerai un sacco. Specie se nel paese del tuo vicino ci sarà qualche servo che dà del populista e dell’irresponsabile a chi si opppone al saccheggio.

Bankitalia, una privatizzazione che incatena l'Italia all'euro

La proposta della patrimoniale della Bundesbank è all'opposto della patrimoniale "de sinistra". Si tratta semplicemente di tassare e spedire in Germania. "Prima" deportavano uomini e ricchezze e mettevano tutto nei vagoni piombati. Ora sono solo interessati alle ricchezze, ma senza disturbare il traffico ferroviario.

Altri articoli: qui e anche qui.

domenica 26 gennaio 2014

Immigrazione

Nuova protesta al Cie di Roma, Kyenge: "Vanno subito chiusi". Nuovo blitz al Cie romano di Ponte Galeria. Una protesta che la sinistra già cavalca per smantellare la Bossi-Fini e chiudere i Cie di Sergio Rame

Mentre il parlamento si prepara a dare il via libera definitivo alla norma del governo che cancella il reato di immigrazione clandestina, è scoppiata una nuova protesta nel Cie romano di Ponte Galeria. Ieri sera tredici marocchini si sono cuciti la bocca, proprio come avevano già fatto altri clandestini qualche settimana fa, per protestare contro "le condizioni e i tempi di permanenza" nel centro. Una protesta che mira a bucare l'opinione pubblica e dare il megafono a quella sinistra che vorrebbe chiudere i Cie e garantire agli extracomunitari più diritti che doveri smantellando, un passo alla volta, la legge Bossi-Fini che regola i flussi migratori.

Il garante dei Detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, ha subito cavalcato la protesta del Cie di Ponte Galeria chiedendo alla politica di mantenere le promesse. "È evidente che il tempo della  politica scorre molto più lentamente rispetto a quello di queste persone, passate dal dramma di un’immigrazione difficile a luoghi con pochissima dignità come i Cie", ha spiegato Marroni invitando il parlamento ad approvare "presto le norme necessarie" e a "porre fine a questa vergogna". La protesta delle tredici persone, che ieri sera si sono cucite la bocca, è scattata dopo che queste hanno saputo che altri connazionali, arrivati in Italia con loro, sono stati dismessi dal Cie di Caltanissetta dove si trovavano. In realtà i tredici marocchini, che provengono da Lampedusa, non possono essere dimessi perché richiedenti asilo e ancora in attesa della pronuncia della commissione competente. In nove sono, infatti, sono arrivati dalla Libia sopra a un gommone.

La dinamica della protesta iniziata ieri sera è identica a quella messa in scena pochi giorni prima di Natale. Dei tredici marocchini che si sono cuciti la bocca ben sette lo avevano fatto anche a dicembre. "I marocchini per il protrarsi della loro permanenza nel centro - ha commentato il direttore del Cie di Ponte Galeria, Vincenzo Lutrelli - si lamentano del fatto che da Natale non è cambiato nulla e dicono di aver avuto notizie da altri loro connazionali che si trovano in altri centri di uscite, mentre loro sono ancora qui". A Natale gli immigrati avevano interrotto la protesta in cambio dell’impegno a un miglioramento delle loro condizioni. Al loro caso, che aveva avuto una forte eco e aveva subito coinvolto anche altri Cie, si erano interessati il presidente della Commissione diritti umani del Senato Luigi Manconi e il deputato del Pd Khalid Chaouki. Intanto il ministro all'Integrazione Cecile Kyenge ha già annunciato che chiederà la chiusura del Cie di Gradisca. "Dobbiamo pensare sempre di più a delle politiche di integrazione, che sono lo strumento molto forte per combattere i conflitti sociali", ha commentato la Kyenge nel corso di un incontro con la presidente della Regione Debora Serracchiani. "Non si possono trattenere persone che non hanno commesso alcun reato in strutture degradate e insalubri come i Cie", ha fatto eco il vicesindaco di Roma Luigi Nieri accodandosi alla richiesta di chiudere il centri di prima accoglienza.

Non arrivare a metà mese...

Il comunista Rizzo si lamenta: "Dopo 20 anni di parlamento vivo con 4.500 euro al mese". Il 55enne Rizzo si dice ancora "marxista-leninista" ma si lamenta del vitalizio. Rivolta sul web: "Dopo 42 anni di contributi, prendo 1200 euro" di Sergio Rame

Il comunista Marco Rizzo finisce impallinato in rete. A far infuriare gli internauti alcune dichiarazioni rilasciate all'Espresso in una recente intervista. "Noi siamo marxisti-leninisti, che vogliono il socialismo", ha detto, fiero, l'ex parlamentare dei Comunisti italiani raccontando che, adesso che a soli 55 anni di trova fuori dalla politica dei palazzi romani, riesce a tirare fine mese ricevendo un vitalizio da 4.500 euro netti al mese perché ha lavorato vent'anni in parlamento.

In molti sul web hanno chiosato l'intervista di Rizzo ricordandogli l’età pensionabile degli Italiani. "Volevo semplicemente ricordarie che il sottoscritto, per poter percepire la pensione dovrà versare 42 anni di contributi e lavorare fino all’età di 64 anni - scrive Andrea Mavilla sul suo blog - mentre lei, dopo solo 20 lunghissimi anni in parlamento a 'scaldare la poltrona', percepisce una misera pensione di 4.500 euro al mese". Insomma, un trattamento a dir poco differente. "Se l’Italia fosse stata una repubblica democratica, quindi governata dal popolo - è la stoccata finale - il popolo, essendo sovrano, non avrebbe mai e poi mai permesso queste disparità di trattamento, questi privilegi a senso unico che fino ad oggi hanno contribuito negativamente sulle capacità di sviluppo del nostro Paese". Un'altra lettrice, Lucia, fa sapere al comunista Rizzo che, pur essendo donna con tre gravidanze alle spalle, potra andare in pensione intorno ai 66 anni, con oltre 46 anni di anzianità. Importo della pensione? Intorno ai 1.300 euro netti. "Secondo me - scrive Lucia - c’è qualcosa che non quadra".

Claudia, invece, ha iniziato a lavorare a sedici anni. Dopo trentanove anni di contributi, però, è una degli esodati vittime della riforma firmata dall'ex ministro Elsa Fornero. Così all'attuale governo chiede: "Rizzo prende un vitalizio da 4500 euro e mille euro per noi esodati non si trovano proprio?". "E lei si dice comunista della linea marxista/leninista? - chiede spazientito Nino - allora se lei avesse davvero lavorato come un comunista, dopo vent'anni la sua pensione si aggirerebbe intorno ai 200/300 euro al mese".

giovedì 23 gennaio 2014

L'ennesima fiducia... per l'ennesimo imbroglio

Governo pone fiducia su dl Bankitalia. Proteste in Aula, espulso un deputato. L'annuncio del ministro Franceschini: la votazione si terrà venerdì 24 gennaio. Montano intanto le proteste al provvedimento che prevede la discussa rivalutazione di via Nazionale. Giorgia Meloni: "E' la rapina del secolo"

Il governo pone la questione di fiducia nell’Aula della Camera sul decreto Imu-Bankitalia. Lo ha formalizzato il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini, ricordando che la votazione si terrà venerdì 24 gennaio a partire dalle 11.45. Montano intanto le critiche al provvedimento che, tramite la discussa rivalutazione delle quote di via Nazionale, garantirà a Intesa e Unicredit - i due più importanti azionisti – un guadagno compreso fra i 2,7 e i 4 miliardi. Massimo Corsaro di Fdi è stato espulso dall’Aula della Camera, perché urlava il suo dissenso contro la scelta del governo di porre la fiducia sul decreto. Mentre Franceschini illustrava le ragioni che inducono il governo a porre la questione di fiducia, il deputato ha iniziato a contestare dal suo posto ad alta voce, urlando “state svendendo Bankitalia, vergognatevi”. Corsaro è stato richiamato all’ordine dalla presidenza dopo di che è stato invitato ad abbandonare l’aula, tra le proteste dei colleghi di gruppo.

Rincara la dose il presidente dei deputati di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni. “Letta privatizza Bankitalia svendendola ai suoi amici delle banche”, scrive su twitter. “E per paura degli emendamenti mette la fiducia. La rapina del secolo“. Ma le critiche al provvedimento riguardano anche gli altri partiti. Settimana scorsa il Movimento 5 Stelle ha presentato un emendamento al decreto per chiedere di annullare la discussa rivalutazione delle quote di via Nazionale, “altrimenti sarà guerra totale”. E alcuni giorni dopo la formazione politica Lista civica italiana ha lanciato una petizione rivolta al premier Enrico Letta e al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con un comunicato dal titolo: “Giù le mani dalla Banca d’Italia”.

Privatizzazioni, poste

Fabrizio Saccomanni dà il via alle danze, annunciando i primi dettagli del tanto atteso piano di privatizzazioni con cui lo Stato punta a fare cassa. “Al consiglio dei ministri di domani ci sarà il decreto privatizzazioni: si comincia con il 40% di Poste Italiane, poi vediamo”, ha detto il ministro dell’Economia parlando con i giornalisti a margine del World economic forum di Davos. Inizia così dalle Poste, che alla fine del 2013 sono state preziose per salvare con 75 milioni di euro quel che resta di Alitalia, il piano da 12 miliardi annunciato alla fine di novembre dal premier Enrico Letta, che indicava inizialmente la vendita di una quota di controllo di Sace e Grandi stazioni, poi quote non di maggioranza di Enav, Stm, Fincantieri, Cdp Reti, il gasdotto Tag e un 3% di Eni. Il viceministro allo Sviluppo economico, Antonio Catricalà, aveva già fatto sapere nei giorni scorsi che è immaginabile un periodo tra i cinque e i sei mesi per definire i dettagli della privatizzazione delle Poste, sottolineando che “le decisioni sono ormai assunte e sono relative ad una messa sul mercato non di asset ma di una quota della società”. Le intenzioni del governo sono di non cedere il controllo di Poste, con la maggioranza del capitale che dovrebbe quindi rimanere allo Stato. L’esecutivo punta così a incassare entro fine anno una cifra che, secondo stime prudenziali, è di circa 4 miliardi di euro per il 40% del gruppo.

Con il collocamento di Poste Italiane, attualmente interamente controllata dallo Stato italiano, il governo vuole replicare il modello di altre privatizzazioni dei servizi postali a livello europeo. Ultima in ordine di tempo è stata Royal Mail, le poste britanniche, che ha permesso al governo inglese di incassare 3 miliardi di sterline dalla cessione di una quota del 33%. Deutsche Post, le poste tedesche, risultano invece quotate dal 2000 con quota detenuta dallo Stato progressivamente scesa fino al 21% attuale e una capitalizzazione di mercato di oltre 31 miliardi di euro. Non mancano però le critiche al piano del governo. “Scelta Civica non è convinta di come il governo stia gestendo la privatizzazione delle Poste”, afferma un’interrogazione presentata dai senatori Linda Lanzillotta (moglie di Franco Bassanini, che è presidente della Cassa depositi e prestiti, ovvero l’ente pubblico che gestisce i risparmi postali degli italiani) e Benedetto Della Vedova, che chiede al “governo come intenda evitare che una rendita monopolistica sia trasferita ad eventuali soci privati”.

L’iter delle cessioni delle società partecipate direttamente dallo Stato prevede che le modalità siano determinate con un decreto del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm) da emanare su proposta del ministero dell’Economia (Mef) di concerto con il ministero dello Sviluppo economico. Dopo l’approvazione in consiglio dei ministri, lo schema di decreto viene trasmesso in Parlamento per il parere delle commissioni competenti. La delibera definitiva sul Dpcm ritorna in consiglio dei ministri per l’approvazione definitiva e viene pubblicata in Gazzetta ufficiale. Intanto il Mef, sulla base del primo schema del Dpcm attiverà gli studi necessari e preparerà la cosiddetta “equity story”. Sempre il dicastero dell’Economia predisporrà gli atti necessari per la presentazione al mercato. Inoltre, una volta approvato in via definitiva il Dpcm, l’operazione dovrà essere presentata alla Consob e alla Borsa. Per questo iter ci vogliono circa due mesi. Sembra invece improbabile che lo schema di Dpcm contenga accenni alla governance che potrebbe prevedere l’ingresso nel board dei dipendenti cui, sempre secondo le anticipazioni fin qui circolate, dovrebbe essere riservata una quota della società. Poste Italiane, che nel 2012 ha avuto ricavi per oltre 24 miliardi con un utile superiore al miliardo, ha 145mila dipendenti.

La frustrazione dell'incompetente Bonino

Maro': Bonino, profonda frustrazione. 'Scongiurare ricorso a legge che prevede pena morte'

DAVOS, 23 GEN
- Emma Bonino ha espresso la "profonda frustrazione" del governo per il caso maro' incontrando i ministri indiani del commercio e dell'economia a Davos. Lo si apprende da fonti della Farnesina. A loro e' stato chiesto di attivarsi perche' non si verifichi l'ipotesi su un possibile uso della legge antiterrorismo che prevede la pena di morte.

Il caso marò

Quell'inciucio Italia-India alla faccia dei nostri marò. "Panorama" pubblica la foto dell'affettuoso incontro tra l'ambasciatore italiano in India e il candidato premier indiano nazionalista Narendra Modi, lo stesso che vuole la pena di morte per i nostro marò. Sul sito dell'ambasciata "entusiasmo per i legami tra i due Paesi" di Fausto Biloslavo

A parole il governo italiano è pronto a tutto per i marò. Poi si scopre che il nostro ambasciatore in India, Daniele Mancini, va a baciare la pantofola di Narendra Modi, il candidato premier del partito nazionalista indù, che vuole la testa dei fucilieri di Marina. Lo rivela il settimanale Panorama, che pubblica la foto del caloroso incontro con tanto di scambio di fiori. Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono trattenuti in India da quasi due anni e dal gennaio scorso ospiti dell'ambasciata italiana a Delhi, in libertà su cauzione per l'accusa di aver ucciso due pescatori in servizio anti pirateria. Ora rischiano di venir processati secondo una legge che prevede la pena di morte. «Narendra Modi, il nazionalista indù che vuole la testa dei marò, potrebbe diventare il prossimo premier indiano, dopo le elezioni di maggio» scrive Panorama. «Ed il nostro ambasciatore...», si legge nel titolo del settimanale, il 24 e 25 novembre ha guidato una missione italiana nello stato indiano del Gujarat, dove Modi governa da 13 anni. «Nella prospettiva del rafforzamento della presenza economica-commerciale in India» scrive il sito della nostra ambasciata. Non si fa alcun cenno al caso dei marò, che in novembre era già impantanato. Le imbarazzanti fotografie dell'incontro sono state postate solo sul sito, che lancia la candidatura a premier del governatore del Gujarat. In uno scatto, pubblicato da Panorama in edicola, Modi consegna un mazzo di fiori al sorridente Mancini. In un'altra immagine i due sembrano scambiarsi un dono. Altri scatti mostrano la delegazione, non solo di imprenditori, attorno a un tavolone con a capo il discusso leader indù, accusato di aver istigato un pogrom contro i musulmani costato mille morti.

Sul sito di Modi, cercando «italiani», la notizia arriva dopo i tweet del candidato premier contro i marò. Il titolo per descrivere la visita non lascia dubbi: «L'inviato italiano, Daniele Mancini impressionato dal Vibrante Gujarat». Nel testo si legge che «l'ambasciatore ha espresso il suo entusiasmo per il rafforzamento del legame fra l'Italia» e il feudo di Modi. Pecunia non olet, ma anche se non risulta ufficialmente speriamo che Mancini abbia perorato la causa dei marò. «Peccato che Modi usi toni molto duri verso gli Italian marines e che il suo partito, Bjp, abbia invocato la pena di morte per i fucilieri di Marina» scrive Panorama. Il candidato premier ha contestato anche «il privilegio» della libertà provvisoria concessa ai marò. Fin dallo scorso aprile la portavoce del partito, Meenakshi Lekhi, aveva espressamente chiesto che fosse applicata la legge antipirateria (Sua Act) «per cui l'omicidio è punito solo con la pena di morte. Se i marines venissero giudicati secondo il codice penale indiano sarebbe previsto sia l'ergastolo che la pena capitale. In pratica verrebbe diluita la punizione» (le immagini sul sito www.panorama.it). Non a caso il Bjp ha chiesto e ottenuto che le indagini siano condotte dalla Nia, la polizia antiterrorismo. Ieri, l'autorevole quotidiano Times of India ha criticato il governo indiano per la confusa gestione del caso marò «sfociata in una grave crisi diplomatica con ramificazioni che si sono estese sul piano internazionale». Il governo italiano, però, parla bene, ma razzola male evitando qualsiasi ritorsione concreta sopratutto sul fronte economico. È una beffa che l'agenzia governativa Ice promuova, in gennaio e febbraio, la partecipazione a ben 5 fiere in India, compresa una nel Gujarat governato dal leader che vuole la testa dei marò. Non solo: il ministero dello Sviluppo economico ha finanziato una recente presentazione in India di tecnologie made in Italy passando sempre per il Gujarat. Sul bollettino della Farnesina si legge che puntiamo alla «costruzione di una città indo-italiana». Insomma all'Europa chiediamo di bloccare il negoziato di libero scambio Ue-India, mentre noi continuiamo, da ipocriti, a fare affari come sempre, con l'impulso governativo, alla faccia dei marò.

Piccoli favori tra amici

Levata di scudi dell’Associazione nazionale esperti infortunistica stradale (Aneis) contro la riforma della Rc Auto predisposta in fretta e furia dal governo Letta a fine 2013 con una normativa che fa acqua da tutte le parti inserita a forza nel decreto Destinazione Italia.  La protesta è arrivata per bocca del presidente dell’Associazione, Luigi Cipriano, che ha attaccato duramente il sottosegretario allo Sviluppo economico, Simona Vicari, entusiasta sostenitrice della nuova legge contenuta nel decreto in corso di conversione proprio in questi giorni. “E’ bello sapere che il sottosegretario allo Sviluppo economico, Simona Vicari, è soddisfatta di tutte le novità sull’Rc Auto introdotte, causa l’urgenza, con decreto legge – ha esordito Cipriano – E’ rassicurante sapere che finalmente i testimoni di un sinistro, non indicati nel frettoloso e spesso incompleto rapporto della Polizia intervenuta per i rilievi, non saranno ammessi ‘in questo modo mettendo uno stop alle testimonianze di comodo’ e rincuora sapere che il diritto al risarcimento decadrà in caso di richiesta presentata oltre novanta giorni dal fatto e così, finalmente, le compagnie potranno archiviare il caso in modo da evitare le denunce tardive. Insomma, giustizia è fatta”.

“In definitiva se i carrozzieri, gli avvocati, i patrocinatori stragiudiziali, i medici, i periti e l’associazione delle vittime della strada protestano energicamente, il sottosegretario Vicari difende altrettanto energicamente le norme sull’Rc Auto contenute nel decreto: almeno una persona è convinta della bontà del decreto, già, perchè anche le compagnie non ne sono più tanto convinte”, ha continuato Cipriano. “Invitiamo il sottosegretario prima della conversione in legge del decreto, a ricevere una delegazione di esperti professionisti del settore Rc Auto e rappresentanti delle vittime della strada -  conclude il presidente Aneis – al fine di acquisire maggiori conoscenze ed elementi di valutazione onde evitare interventi a strenua difesa di norme per molti aspetti incostituzionali, comunque penalizzanti soprattutto per i cittadini danneggiati e per oneste categorie di lavoratori. Norme, come da oltre un decennio siamo abituati a vedere e subire, tutte a favore della lobby delle compagnie assicuratrici“. Intanto prosegue l’iter parlamentare del decreto Destinazione Italia – giovedì 23 è il termine per la presentazione degli emendamenti -, ma finora le aperture degli esponenti del Pd sono state solo in favore della parte della normativa avversa ai carrozzieri. Nessun accenno, invece, ai danni che deriverebbero ai cittadini tutti in quanto potenziali infortunati. A tutto vantaggio delle compagnie assicurative, a partire da UnipolSai che controlla oltre il 30% del mercato e che oltre a risparmiare sui risarcimenti, può fare leva proprio sulla normativa favorevole al settore per tirare su il prezzo dei premi Rc Auto da 1,2 miliardi di euro che sta vendendo al gruppo Allianz per ottemperare alle richieste dell’Antitrust.

mercoledì 22 gennaio 2014

Su Matteo Renzi il giovane salvatore...

Al peggio non c'è mai fine di Giorgio Cattaneo

Matteo Renzi che progetta il futuro dell'Italia con Silvio Berlusconi. Renzi, cioè il Nulla elevato a insidia: oggi per il governo Letta, domani per gli italiani tutti. A cui proporrà, tra un sorrisone e l'altro, il Programma di Afflizione Definitiva messo a punto dai "padroni dell'universo" e affidato alla manovalanza tecnocratica di Bruxelles (Barroso, Van Rompuy, Schulz, Draghi) cui obbediscono mercenari e maggiordomi italici, da Letta a Saccomanni, in un tragicomico gioco delle parti secondo cui il pericolo che ci minaccia è Beppe Grillo, è la Costituzione antifascista, è la rappresentanza democratica - e non l'euro-catastrofe, non la disoccupazione a valanga che disintegra il tessuto sociale, non l'astuto Marchionne che ripiega su marchi prestigiosi come Alfa e Maserati per non dire apertamente che l'epoca delle utilitarie Fiat è finita, e che gli operai di Melfi, Pomigliano e Mirafiori, esaurita l'ultima cassa integrazione, dovranno cercarsi un altro lavoro, magari emigrando a Detroit. Ma niente paura, sul futuro dell'Italia deciderà lo storico summit convocato nella tana del Pd il fatidico 18 gennaio 2014. Renzi e Berlusconi: due tipi «la cui bocca è scollegata dagli occhi», scrive Pierfranco Pellizzetti su "Micromega". «Fateci caso, sia Silvio Berlusconi che Matteo Renzi sorridono all'insegna della massima affidabilità, ma il loro sguardo resta gelido, da gente "che non fa prigionieri"».

E se Berlusconi è il rudere vivente di vent'anni nei quali il centrosinistra ha finto di combatterlo, in realtà sdoganando la dottrina neoliberista euro-globale e smantellando il welfare - fino alla menzogna della flessibilità come leva di sviluppo, spacciata con l'aiuto di sindacati che hanno rinnegato la propria missione - la disinvoltura del sindaco di Firenze conferma una dose di cinismo che supera persino quella del Caimano: a parte la rottamazione dell'indecente legge elettorale, l'insistenza di Renzi è sullo smantellamento della Costituzione, in linea con il Ceo della Jp Morgan, Jamie Dimon, che considera "spazzatura della storia" il nostro impianto democratico così attento, almeno sulla carta, alla tutela del lavoro come diritto. Dietro alle sue false rassicurazioni, Renzi nasconde la fretta di andare velocemente alle elezioni per consolidare la sua leadership, liquidando la succursale italiana della Troika, cioè il tandem Letta-Napolitano. Il che sarebbe una buona notizia, se non fosse che il non-programma renziano - senza uno straccio idea su come superare la grande crisi - non è altro che l'applicazione dogmatica degli ordini della cupola finanziaria, quella che ci ha già imposto Mario Monti ed Elsa Fornero. Curioso, aggiunge lo stresso Pellizzetti: Renzi o non Renzi, «i leader centrosinistri - alla fin fine - corrono sempre al salvataggio di Berlusconi. Sarà perché gli sono antropologicamente affini? Guarda caso, anche D'Alema e Veltroni hanno bocca e occhi scollegati».

Prima di loro, però, e molto lontano da Roma, ci fu chi decise per tutti e all'insaputa dei più: i grandi privatizzatori occulti e i loro tecnocrati oscuri, fino ai profeti nostrani delle riforme strutturali - da Andreatta a Ciampi, da Padoa Schioppa a Bassanini - tutti ben collegati con l'establishment di Washington e di Bruxelles, irritato dall'autonomia finanziaria italiana e dalla capacità economica del Belpaese che tanto disturbava i signori di Berlino. Il Genio Fiorentino però corre veloce, grazie alla leggenda metropolitana del "nuovo che avanza". E adesso ha fretta di rottamare, in collaborazione con l'amico Silvio, soprattutto l'odiata Costituzione. «Puntano il dito contro le lungaggini del bicameralismo - protesta il grillino Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera - ma per varare il Lodo Alfano gli sono bastati otto giorni». L'obiettivo è sempre lo stesso, da anni: presidenzialismo, potere verticale. Mani libere, per scelte sbrigative truccate da "riforme", mentre tutto intorno sta crollando: l'unica vera notizia è che l'economia globalizzata della fabbrica-mondo avrà sempre meno bisogno dei lavoratori italiani, a meno che non intervenga - con una svolta radicale - la protezione dello Stato, cioè il potere pubblico che i "nuovisti" vogliono morto, perché fa da argine allo strapotere delle multinazionali.

E intanto parlano d'altro, assecondati dalla loro corte mediatica. "Sburocratizzare": lo slogan grottesco di Renzi ricorda l'invocazione crepuscolare dell'ultimo Prodi ("un po' di felicità"), pronunciata con una bonomia sospetta dall'uomo che lavorava per la Goldman Sachs e preparava i micidiali diktat della Commissione, il super-potere europeo mai eletto da nessuno. Oggi però la ricreazione è davvero finita. La verità è un iceberg, e lo schianto si sta avvicinando.

martedì 21 gennaio 2014

Oh, ma davvero?


L'allarme arriva dalla Farnesina, per bocca del ministro degli Esteri Bonino: «In milioni di rifugiati, tra donne e bambini trovano facile nascondiglio tutta una serie di altri signori. Si tratta di un problema europeo perché l'Italia è un Paese di transito e dove vanno a finire le cellule dormienti è una questione europea». L'acceno sulla questione è stato messo in commissione Esteri del Senato, davanti all quale il ministro ha definito centrale il tema della «sicurezza» in materia di immigrazione.

GINEVRA 2 - Il tema caldo è ovviamente la Siria e tutto il Medio Oriente. Dalla prima, dall'inizio della guerra civile, sono fuggiti in più di due milioni, una parte dei quali ovviamente è arrivata anche in Europa. «Non è più solo una questione tradizionale di peso tra quanti rifugiati prende ogni paese, a sud del mediterraneo ci sono milioni di persone in movimento: 1 milione in Libano, 500 mila in Giordania, 300mila in Turchia», ha proseguito il ministro. Esseri umani che vanno aiutati. Ma che in Libia trovano «un'autostrada senza controllo». Per questo gli sbarchi e la tragedia di Lampedusa sono solo la punta dell' iceberg di uno sconvolgimento di masse che si muovono e non si può pensare di risolvere delegando a un paese piuttosto che un altro. Bonino ha riferito anche degli sviluppi di Ginevra 2, il tavolo di pace per la Siria, cui l'Italia partecipa attivamente.«L'unica possibilità che abbiamo anche se sarà una strada lunga, complicata, tortuosa, con ostacoli ogni giorno», ha spiegato il ministro pochi minuti di partire alla volta della Svizzera.

Nuovi disastri...

La soluzione al problema esodati. Giovannini e il piano per gli esodati: un prestito d’onore da aziende e Stato. Il ministro del Lavoro: «Contribuzione di imprese, lavoratori e Stato, senza violare la riforma Fornero»

Il procedimento «è complesso» ha subito precisato il ministro Enrico Giovannini. Ma che gli uffici del dicastero siano a lavoro, è innegabile. La questione su cui si è messo in moto l’ex presidente Istat è cercare una soluzione per eliminare, in futuro, il problema esodati. Come? Anticipando l’assegno previdenziale rispetto all’età di pensionamento prevista dalla riforma Fornero. «Stiamo lavorando — ha puntualizzato il ministro del Lavoro a margine di una conferenza stampa all’Inail — sugli aspetti tecnici. Il procedimento è complesso. Può prevedere anche il contributo da parte delle aziende. L’idea è di avere una contribuzione da parte di tutti e tre i soggetti (lavoratore, impresa ma anche Stato, ndr) ma ci deve essere robustezza finanziaria».

IL PIANO - Il piano che ha in mente Giovannini potrebbe essere una soluzione per quella platea di italiani che, rimasti senza lavoro e senza i requisiti per la pensione, si sono trovati in una situazione di particolare gravità. Gli esodati sono stati la principale conseguenza della Riforma Fornero che alla fine del 2011 ha introdotto, tra le altre cose, un innalzamento dell’età pensionabile. I lavoratori che avevano perso il posto o si erano licenziati in vista della pensione che sarebbe scattata per loro nel 2012, si erano trovati improvvisamente con una riforma che cambiava le carte in tavola. Un pasticcio che il governo non vuole più ripetere. E per questo in futuro, esaurite tutte le soluzioni già possibili (ammortizzatori sociali, mobilità etc etc...), Giovannini sta studiando un prestito pensionistico garantito da aziende e Stato. Prestito che successivamente, una volta ricevuto il primo assegno previdenziale, dovrebbe essere restituito dal lavoratore.

IL PRESTITO - Il procedimento sembrerebbe simile, almeno in questa fase progettuale, a quello del prestito d’onore per gli studenti a cui viene concessa una linea di credito da rimborsare al primo contratto di lavoro. Doveroso l’uso del condizionale. E non solo perché, come ha spiegato Giovannini, il piano dev’essere «robusto dal punto finanziario e giuridico» (sono necessarie le risorse economiche delle aziende) ma anche perché dovrà essere accettato dalle «parti sociali». Non si tratterà comunque, ha voluto precisare il dicastero di Giovannini, di una controriforma pensionistica o di un sistema che violerà le regole della riforma Fornero.

I COMMENTI - «Ci fa piacere che il Governo stia lavorando in queste ore per elaborare una proposta robusta che eviti il formarsi di nuovi esodati — ha commentato Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro della Camera —. Adesso, che anche il governo parla di un anticipo del pensionamento rispetto agli attuali tetti, si tratta di capire nel merito quale sarà la proposta». Poi la nota del ministero. «Si ribadisce — ha fatto sapere il dicastero guidato da Giovannini — che l’ipotesi alla quale si sta lavorando non modificherebbe le regole pensionistiche attualmente esistenti, ma offrirebbe uno strumento aggiuntivo cui si accederebbe su base volontaria, con il possibile coinvolgimento delle imprese, come già avviene nei casi previsti dalla legge per le aziende di maggiori dimensioni».

LA LEGA - L’idea del ministro ha messo in sobbuglio Lega Nord Lombardia, che ha rivendicato la paternità del progetto. «Il ministro del Lavoro Giovannini copia i provvedimenti che Regione Lombardia da mesi sta già adottando per il problema esodati — ha fatto sapere il consigliere lombardo Pietro Foroni —. Le sue dichiarazioni fanno riferimento a un prestito d’onore. Noi lo stesso provvedimento lo stiamo già discutendo da tempo e proprio una mia mozione che sta per essere discussa oggi, in consiglio regionale, obbligherà la Giunta ad attivarsi in tal senso, concedendo a qualche centinaio di lavoratori un prestito garantito dalla Regione i cui interessi verranno assorbiti dall’ente».

Via il reato di clandestinità, ringraziando Alfano...

Il governo Letta cancella il reato di clandestinità. Un emendamento del governo converte il reato in illecito amministrativo. Resta la valenza penale per i recidivi. Scaramucce tra Pd e Ncd, ma alla fine la norma passa con 182 sì di Sergio Rame

Il governo Letta cancella il reato di clandestinità. Con un blitz a Palazzo Madama il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri presenta un emendamento al ddl sulla depenalizzazione e sulla messa alla prova che converte l'immigrazione clandestina in illecito amministrativo. Emendamento che passa con 182 voti favorevoli, sedici voti contrari e sette astenuti. Alla fine il governo presenta un proprio testo per modificare le leggi che regolano l'immigrazione clandestina. "Da un lato il reato viene abrogato, dall’altro viene trasformato in illecito amministrativo", spiega Ferri in Aula. Gli immigrati che, per la prima volta, entra clandestinamente in Italia, non verrà sottoposto a procedimento penale, ma verrà espulso. Qualora dovesse rientrare, commetterebbe reato. "Nessun passo indietro - assicura il sottosegretario alla Giustizia - il governo ha semplicemente voluto specificare espressamente quanto già contenuto nella norma". Quando il governo ha provato a presentare una proposta di mediazione per tentare di ricucire le diverse posizioni di Partito democratico e Nuovo centrodestra, la seduta è stata subito sospesa per il permanere delle perplessità e consentire ai diversi capigruppo di fare il punto. "Puntiamo i piedi affinché resti la possibilità di espellere i clandestini anche nel caso in cui il reato venga cancellato", ha commentato il capogruppo del Ncd Maurizio Sacconi. "Non è facile - osservano i democrat - trovare la quadra anche da un punto di vista tecnico-formale". Nonostante le scaramucce tra alfaniani e piddini, la maggioranza approva la proposta di mediazione del governo che paassa con 182 voti favorevoli.

Ce lo chiede l'europa...

Giustizia, il ministro Cancellieri: “Oltre otto milioni di processi pendenti”. Il Guardasigilli legge alla Camera la relazione annuale sull'amministrazione della Giustizia. Su amnistia e indulto l'appello: "Ci consentirebbero di rispondere in tempi certi e celeri alle sollecitazioni del Consiglio d’Europa". In diminuzione il numero di detenuti, oltre 1000 ricorsi alla Corte europea. Il M5S al Senato presenta una mozione di sfiducia

Meno detenuti, ma ancora troppi processi. E se la riforma della geografia giudiziaria ha in qualche modo alleggerito la pressione sugli uffici giudiziari più grandi, comunque l’inefficienza del sistema giudiziario pesa sul debito pubblico. E poi l’appello su amnistia e indulto come richiesto dall’Europa. Il Guardasigilli, Anna Maria Cancellieri, alla Camera legge la relazione annuale sull’amministrazione della Giustizia e ritorna sul tema di un provvedimento più volte invocato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Intanto il M5S presenta al Senato una mozione di sfiducia.

“Oltre otto milioni di processi pendenti”. “Il funzionamento del sistema giudiziario” continua a essere secondo il ministro della Giustizia “in sofferenza” “pur a seguito dei numerosi interventi introdotti negli ultimi anni. È sotto gli occhi di tutti l’eccessivo carico di lavoro che affligge gli uffici giudiziari. Alla data del 30 giugno 2013 si contano 5.257.693 di processi pendenti in campo civile e quasi 3 milioni e mezzo in quello penale. Siamo in presenza di un fenomeno imponente di dilatazione, in termini quantitativi, ma soprattutto qualitativi, del lavoro giudiziario provocato non solo da un aumento della litigiosità nel campo civile o della attività criminale in campo penale”, ma anche dalle “trasformazioni della società“. Con la riforma della geografia giudiziaria “non solo sono state eliminate le strutture di modeste dimensioni, dove in alcuni casi era evidente la sproporzione tra il numero di persone addette all’ufficio ed il basso carico di lavoro, ma è stata anche alleggerita la pressione sugli uffici metropolitani di maggiori dimensioni, come Milano, Torino e Napoli” spiega il ministro della Giustizia. In materia penale “è necessario introdurre meccanismi di deflazione del carico giudiziario, capaci di eliminare, già in fase di indagine, gli accertamenti che, per la modestia degli interessi concretamente in gioco, non meritano il vaglio processuale”. Parallelamente, si dovranno “potenziare” i riti alternativi senza dibattimento ed “agire risolutamente sul sistema delle notificazioni degli atti giudiziari” e bisogna “realizzare una calibrata revisione del meccanismo delle impugnazioni, nella prospettiva di rafforzare la vocazione accusatoria del processo e la funzione di garanzia dei ricorsi” dice la Cancellieri aggiungendo che “razionalizzazione della spesa ed incremento di efficienza del servizio sono gli obiettivi che si intendono perseguire attraverso il completamento della procedura sulla gara unica per le intercettazioni”.

“Debito per legge Pinto ammonta a 387 milioni”. “Le inefficienze della giustizia hanno pesanti ricadute anche sul debito pubblico. I ricorsi per il riconoscimento della responsabilità dello Stato per i ritardi in materia giudiziaria, regolati dalla legge Pinto, costituiscono larga parte del contenzioso seguito dal ministero. Numero ed entità delle condanne rappresentano annualmente ancora una voce importante del passivo del bilancio della Giustizia, la cui eliminazione va posta come prioritario obiettivo – dice il ministro -. L’alto numero di condanne ed i limitati stanziamenti sul relativo capitolo di bilancio, hanno comportato un forte accumulo di arretrato del cosiddetto debito Pinto che, ad ottobre 2013, ammontava ad oltre 387 milioni di euro” aggiungendo che sono “circa 1000 i ricorsi proposti alla Corte Europea dei Diritti Umani per lamentare il pagamento ritardato degli indennizzi, che comporteranno ulteriori esborsi a carico dello Stato”.

“Risultati incoraggianti con decreto carceri, diminuiti i detenuti”. “Al 9 gennaio 2014 i detenuti in carcere erano 62.326, in progressivo decremento rispetto alla rilevazione del 4 dicembre 2013 quando il numero era di 64.056. Si registra inoltre un sostanziale dimezzamento degli ingressi mensili” spiega la Cancellieri  facendo un bilancio degli esiti del decreto carceri varato a dicembre, parlando di “primi risultati incoraggianti”. Comunque “l’insieme delle misure programmate ed in corso di attuazione non produce un’alterazione dell’equilibrio sociale, poiché non è previsto alcun automatismo nella concessione dei benefici penitenziari. Ogni decisione è assunta dal magistrato di sorveglianza – ricorda il ministro – sulla base di una valutazione positiva della personalità del detenuto”.

“Con amnistia e insulto si risponderebbe all’Europa”. “Al Parlamento resta la responsabilità di scegliere se ricorrere a quegli strumenti straordinari evocati dal Presidente della Repubblica e che certamente ci consentirebbero di rispondere in tempi certi e celeri alle sollecitazioni del Consiglio d’Europa” dice il Guardasigilli su amnistia e indulto. ”L’attuale condizione di difficoltà in cui versa il sistema giudiziario non deve far prevalere l’erronea convinzione che le cose non possano migliorare, né costituire un alibi per l’immobilismo. Tutti possiamo contribuire a far sì che l’ottimismo della volontà prevalga sul pessimismo della ragione”.

“Magistratura italiana primi posti per produttività”. “Il 2013 ha visto il ministero della Giustizia impegnato a fondo su alcuni temi fondamentali nei più delicati settori di competenza, tutti connotati da una situazione prossima all’emergenza e tutti essenziali per la corretta tutela dei diritti, soprattutto delle persone più vulnerabili” prosegue la Cancellieri. “Il sistema è in sofferenza nonostante la risposta offerta dalla magistratura italiana che l’ultimo rapporto della Commissione Ue per l’efficienza della giustizia colloca ai primi posti in termini di produttività“.

“Aumentano carichi di lavoro e spazio di azione dei magistrati: da qui traggono origine insoddisfazioni per le lentezze dei giudizi e timori che la sovraesposizione della Magistratura possa alterare il delicato equilibrio tra i poteri dello Stato” afferma il ministro. Che ricorda che è “stata realizzata la tanto attesa completa parificazione tra i figli nati nel matrimonio e i figli nati fuori del matrimonio, eliminando qualsiasi anacronistica discriminazione, anche da un punto di vista sostanziale ed ogni disparità di trattamento sul piano dei diritti e dei doveri dei genitori nei confronti dei figli”. 

“Preoccupante aumento della presenza di minori”. Sulla giustizia minorile, “si segnala un preoccupante aumento della presenza di minori con molteplici disagi e problematiche di malessere sociale correlati a fenomeni di dispersione scolastica, emarginazione e vulnerabilità sociale, disagio psichico, assunzione ed abuso di sostanze stupefacenti, reclutamento nella criminalità organizzata, immigrazione di minori non accompagnati, difficoltà di integrazione dei ‘minori stranieri di seconda generazione, formazione di bande giovanili, sfruttamento, abuso e tratta a danno di minorenni” spiega il Guardasigilli che aggiunge che “negli ultimi anni  si sta assistendo ad una sempre maggiore applicazione del collocamento in comunità, non solo quale misura cautelare, ma anche nell’ambito di altri provvedimenti giudiziari, per la sua capacità di contemperare le esigenze educative con quelle contenitive di controllo. I dati confermano inoltre l’incremento della presenza di cittadini minori stranieri, provenienti dal Nord Africa, in particolare dalla Tunisia e dall’Egitto. L’approccio trattamentale per i minori deve principalmente fondarsi sull’ascolto e l’accoglienza, quindi sul dialogo”.

M5S al Senato: “Mozione di sfiducia. Rassegni le dimissioni”. Intanto al Senato il Movimento 5 Stelle presenta una mozione di sfiducia. “Noi del M5S esprimiamo la sfiducia alla ministra della Giustizia Anna Maria Cancellieri e la invitiamo a rassegnare immediatamente le dimissioni” dichiara in Aula il capogruppo del Movimento 5 stelle Vincenzo Santangelo. “Siamo oggi a presentare nuovamente una mozione di sfiducia alla ministra della Giustizia Anna Maria Cancellieri, in quanto riteniamo che la signora abbia dimostrato nel corso del suo mandato quanto la sua attività normativa e amministrativa sia gravemente inadeguata, inopportuna e frutto di una grave incompetenza”. Intanto sono circa 547 gli emendamenti presentati dai gruppi al cosiddetto decreto Svuota carceri, in esame in commissione Giustizia alla Camera. Il termine era previsto per ieri 16 di oggi. La maggior parte degli emendamenti sono stati presentati dai partiti di opposizione, in testa M5s e Lega Nord. Il decreto è quello che introduce nuove norme sui diritti dei detenuti e sulla riduzione della popolazione carceraria.

lunedì 20 gennaio 2014

Il governo italico aspetta e... spera

Marò, la stampa indiana: "Giudicati secondo legge che prevede pena di morte". De Mistura: "Aspettiamo la Corte suprema". Giustizia indiana in stallo: ritarda ancora il processo. La Farnesina porterà il caso sul tavolo dei lavori del consiglio Affari esteri dell'Ue di Sergio Rame

C'è attesa per la decisione del governo indiano sui capi d'accusa con cui verranno processati Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i fucilieri italiani detenuti in India da ormai oltre due anni per la morte di due pescatori. Secondo la stampa indiana, il ministero dell’Interno avrebbe autorizzato l’uso della legge antipirateria (il Sua Act), che prevede fino alla pena di morte, come chiesto dalla polizia speciale che indaga sulla vicenda. Tuttavia, secondo la fonte interpellata dal Times of India, la polizia starebbe aspettando "il verdetto della Corte Suprema" sul ricorso dell’Italia prima di formalizzare le accuse. "Quello che fa fede per noi è ciò che dirà la Corte Suprema e non quello che dicono fonti generiche che appaiono sulla stampa", ha commentato l’inviato del governo Staffan de Mistura. Nel frattempo prova a muoversi l'Italia a Bruxelles: il ministro degli Esteri Emma Bonino porterà il caso sul tavolo dei lavori del consiglio Affari esteri, che vedrà riuniti a Bruxelles i capi delle diplomazie dei 28 Paesi Ue.

Il processo rallenta ancora. In una breve seduta, durata appena una decina di minuti, la Corte suprema ha, infatti, chiesto al governo di Nuova Delhi di trovare una soluzione entro due settimane in modo da "riconciliare il conflitto di opinione all’interno dell’amministrazione". Quindi, hanno rinviato l’udienza al 3 febbraio. "Lo scorso gennaio la Corte Suprema aveva ordinato la costituzione di un tribunale speciale che doveva riunirsi su base quotidiana, ma dopo un anno non sono stati neppure presentati i capi di imputazione". Nell’illustrare il ricorso davanti al tribunale numero 4, l’avvocato Mukul Rohatgi, che guida il team legale dei marò, non usa certo mezzi termini per denunciare i gravi ritardi della giustizia indiana. Ricordando che sono passati quasi due anni dall’arresto dei due militari italiani, Rohatgi ha fatto presente che la polizia speciale Nia si è rivolta a un tribunale diverso da quello che era stato stabilito lo scorso anno per trattare il caso.

L’attorney feneral Goolam E. Vahanvati, che invece rappresenta legalmente il governo, ha replicato ammettendo che "esiste un conflitto di opinione all’interno dell’amministrazione". Vahanvati si riferisce alle divergenze emerse tra ministero degli Esteri e quello degli Interni sull’applicazione della Sua Act da parte della polizia incaricata di condurre le indagini. Di fronte alle pressioni del team legale italiano, Vahanvati ha ammesso di "avere bisogno di più tempo per conciliare le posizioni". Il giudice B. S. Chauhan, che presiedeva la sezione insieme al collega J. Chelameswar, ha accolto l’obiezione e ha chiesto al governo di ripresentarsi il 3 febbraio con una soluzione. "Ce la farete entro questo tempo?", ha domandato Chauhan sorridendo. "Faremo del nostro meglio...", ha risposto Vahanvati.

La Farnesina chiede all'India di "mantenere le promesse" riguardo al fatto che il processo ai due militari del reggimento San Marco non rientra nei casi che prevedono la pena capitale. "Se così non fosse - ha avvertito la Bonino - tutte le opzioni sarebbero sul tavolo per la diplomazia italiana". Il vicepresidente della Commissione Ue Antonio Tajani, del resto, lo ha detto chiaramente: "Qualora l’India dovesse far ricorso alla legge anti-terrorismo, l’Ue sarebbe costretta a interrompere le trattative per gli accordi per libero scambio e anche a sospendere le facilitazioni tariffarie in atto". "I valori dell’Ue - ha spiegato Tajani - non possono essere barattati con il business, per noi è fondamentale la tutela dei diritti umani e l’Ue ha anche ricevuto il Premio Nobel per la Pace proprio per questo". Non solo. La Bonino ha anche fatto cenno alla possibilità di ostacolare in tutte le sedi le ambizioni di New Delhi per un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Nei giorni scorsi il governo italiano ha chiesto che, a due anni ormai dalla morte dei due pescatori indiani, siano presentati subito i capi d’imputazione contro Latorre e Girone escludendo il ricorso alla Sua Act, la legge antiterrorismo che prevede la pena di morte in caso di omicidio, oppure che si permetta loro di tornare a casa in attesa del processo. A livello internazionale, la Farnesina ha deciso di muoversi facendo pressing sull'Unione europea e portando le carte del processo sul tavolo dei 28 ministri degli Esteri in occasione del primo Consiglio dell’anno. Le Camere hanno deciso di inviare una delegazione per manifestare vicinanza e sostegno ai marò.

Come poteva finire?

Perizia, Kabobo incompatibile con carcere. Ghanese uccise tre persone a picconate a Milano

MILANO, 20 GEN
- Le condizioni di salute mentale di Adam Kabobo, il ghanese che ha ucciso tre passanti a colpi di piccone a Milano nel maggio scorsi, sono incompatibili con il carcere e deve essere trasferito da S.Vittore a un ospedale psichiatrico giudiziario. Lo ha accertato una perizia disposta dal tribunale del Riesame di Milano, che sulla base della perizia dovra' decidere quali provvedimenti prendere.

domenica 19 gennaio 2014

Se ne accorgono solo ora?

Siria, pacifisti denunciano: "L'Italia sta con chi appoggia i terroristi"

Lettera aperta al ministro degli Esteri Emma Bonino: "No all'ambiguità e alla politica delle armi, il nostro Paese esca dal gruppo Amici della Siria". Come può l’Italia far parte di un gruppo che fornisce appoggio logistico e militare a gruppi terroristici? Se lo chiedono Rete NoWar – Roma e il Comitato contro la guerra – Milano: i due gruppi pacifisti hanno inviato una lettera aperta al ministro degli Esteri Emma Bonino chiedendo che il nostro Paese esca da “Amici della Siria”, il raggruppamento che fu fondato, nel febbraio 2012, dall’ex presidente francese Sarkozy. Gli undici paesi membri, che nei giorni scorsi hanno fatto appello all’opposizione siriana perché non disertino la conferenza di pace di Ginevra (22 gennaio), piuttosto che impegnarsi per la fine della guerra nello stato arabo, sono proprio quelli che alimentano il conflitto civile che insanguina la Siria da tre anni – denuncia Peacelink - attraverso l’invio di armi e di formazioni terroristiche.

Nella lettera i pacifisti si chiedono il motivo per il quale i membri degli Amici della Siria non spendono “neanche una parola per condannare quel che è sotto gli occhi di tutti, ovvero che la guerra in Siria è alimentata dall’afflusso, da paesi terzi, di armi, denaro e combattenti, in genere jihadisti”. Chiedono inoltre al ministro perché i morti vengono attribuiti tutti ad Assad: “Non sa che la maggior parte di quei morti – 130mila stimati - fanno parte dell’esercito siriano, e che fra il 40 % stimato dei civili, molti sono caduti vittima di azioni armate dell’opposizione o sono morti tra i due fuochi?”. La tesi che si vuole sostenere è forse quella del “regime che stermina il proprio popolo”, al fine di portare più armi in Siria. E questo a discapito della protesta pacifista. Appare inoltre singolare come i membri degli Amici della Siria sono “proprio quelli che hanno più volte silurato i tentativi di pace operati dall’Onu”. Il loro scopo reale sarebbe quello di “imporre un nuovo regime in Siria con le armi, e non con il consenso popolare”. Interpellata il ministro Bonino perché faccia chiarezza sulla questione, e perché si affronti seriamente il dramma dei profughi favorendo inoltre l’accoglienza alle opposizioni siriane non violente, per la Rete NoWar “sarebbe ora di porre fine a questa indecenza”. E l’Italia, facendo parte di Amici della Siria, non può legittimare la “distinzione aberrante” fatta di recente tra al qaedisti buoni e quelli cattivi.

sabato 18 gennaio 2014

E senza chiedere permesso...


Una “bomba” tossica, estremamente pericolosa per l'ambiente, minaccia la salute pubblica e l'economia dei paesi del Mediterraneo centrale, ma anche tutto il mare Mediterraneo, inteso come un mare chiuso e già seriamente contaminato. L'arsenale chimico della Siria inizialmente era destinato a essere neutralizzato in Albania ma, dopo le forti proteste pubbliche in quel paese e nonostante i generosi benefici contributivi offerti dagli americani, il governo è stato costretto a declinare “l'offerta”, e così questo arsenale sarà distrutto nella zona di mare ad ovest di Creta, con la connivenza delle autorità greche, italiane e maltesi. L'allarme è dato dagli scienziati di Democritos (N.d.T. Centro Nazionale di Ricerca Scientifica) di Atene e del Politecnico di Creta, che parlano di “completa distruzione dell'ecosistema e del turismo”.  Secondo il collaboratore scientifico di Democritos ed ex presidente dell'Unione dei Chimici Greci, Nikos Katsaros, "se una tale neutralizzazione delle armi chimiche verrà effettuata tramite il processo di idrolisi, si può parlare di uno scenario da incubo. Si tratta di un metodo estremamente pericoloso, con conseguenze imprevedibili per l'ambiente mediterraneo e i popoli vicini. Questi effetti saranno la necrosi completa dell'ambiente interessato e l'inquinamento marino tra il mare Libico ed il mare di Creta. Il pesce sarà avvelenato dalla contaminazione, così come la popolazione che lo consumerà". Da notare inoltre che il punto del mare prescelto è all'incirca lo stesso usato per l'inabissamento di sostanze tossiche gestite in passato dalla mafia ( http://www.haniotika-nea.gr/media/2014/01/224.jpg ). Solitamente le sostanze chimiche vengono distrutte tramite combustione in aree specifiche dotate di opportune infrastrutture. Queste aree esistono da tempo e svolgono questo tipo di operazioni negli Stati Uniti, in Germania, Francia, Russia, Cina ed altri paesi da molti anni. In questo caso però, trattandosi di un problema politico, nessuno vuole assumersi la responsabilità. Così ricorrono al metodo di idrolisi in mare aperto, nonostante, per ammissione indiretta degli americani stessi, questo metodo sia particolarmente pericoloso: infatti, il mare Mediterraneo è stato scelto proprio perché chiuso. Negli oceani la contaminazione ci sarebbe stata lo stesso, ma la dissoluzione delle sostanze sarebbe stata agevolata dalla più grande quantità d'acqua. In un mare aperto però la possibilità di onde marine di grande altezza e quindi di incidenti è sostanzialmente maggiore. Di un grave rischio parla il professor Evangelos Gidarakos del Politecnico di Creta, che ha lanciato l'allarme alle autorità greche, le quali appaiono in disparte in questo processo. "Queste sostanze chimiche sono miscele di sostanze pericolose e tossiche, che non sono in grado di essere inattivate in modo da non causare danni agli organismi viventi solo con questo metodo", sottolinea. “Questa zona tra l'Adriatico e il Mediterraneo era diventata 'un cimitero di prodotti chimici' dalla mafia italiana, che aveva immerso in un periodo di 20 anni circa 30 navi cariche di vari tipi di sostanze e rifiuti chimici, come è stato rivelato in questi ultimi anni”. Secondo annunci ufficiali, le armi chimiche, dopo essere trasportate dalla Siria, saranno caricate in Italia nel recipiente di titanio della nave americana Cape Ray e saranno distrutte col processo di idrolisi in acque internazionali tra l'Italia e la Grecia, nel tratto di mare tra Malta - Libia - Creta. La procedura per la distruzione dell'arsenale chimico della Siria dovrebbe durare circa tre mesi. Non vengono forniti ulteriori dettagli. Il professor Gidarakos però ha molti dubbi. “L'armamento chimico della Siria consiste di due parti”, dice. “Esistono 1.250 tonnellate di armamenti 'principali' come i gas sarin e i gas mostarda ed altre 1.230 tonnellate di sostanze precursori che sono utilizzate per la fabbricazione delle armi vere e proprie. Queste sostanze, principalmente composti chimici di cloro e fluoro, sono di per sé altamente velenose e tossiche. E poi esiste una gamma di altre sostanze acquistate dalla Siria dopo l'embargo per cui sono sia di provenienza sia di natura ignota. Anche prendendo per buone le 1.500 tonnellate ufficialmente dichiarate, non credo che tutto possa essere concluso in soli tre mesi. Ci vorrà probabilmente il triplo di questo tempo, sempre che non succedano degli spiacevoli imprevisti”. Il professor Gidarakos sostiene che l'idrolisi di tutto questo quantitativo pericoloso produrrà una terza componente tossica che sarà formata direttamente nelle acque marine. Perché l'idrolisi non è più un processo relativamente sicuro come nel passato (p. es. durante la neutralizzazione delle armi chimiche della 2a Guerra Mondiale al largo del Giappone) in quanto oggi l'idrolisi produce anche degli scarti in forma liquida, cosa che non succedeva nel passato. Aggiunge inoltre che si sarebbe aspettato un comportamento più responsabile da parte dell'Organizzazione per il Divieto delle Armi Chimiche, un'organizzazione direttamente coinvolta in questa faccenda, che pochi mesi fa aveva fortemente sconsigliato la neutralizzazione di tali sostanze in alto mare. “Tutta questa storia ricorda molto un'operazione militare ed ha poco di scientifico”, conclude. Intanto qui cominciano a circolare le varie “voci”. C'è persino chi parla della reale possibilità di condizioni che "non permetteranno a chiunque di nuotare" nelle spiagge di Creta per (almeno) i prossimi 5 anni. Catastrofisti, certo. E il primo che ci rimette, oltre al turismo, è il morale del già martoriato popolo greco. Ma, pensandoci bene, chi gli può garantire il contrario?

Un corrispondente volontario dalla Grecia

venerdì 17 gennaio 2014

Così, tanto per...

Continuano a giocare. Dopo aver preteso e ottenuto l'audizione della De Girolamo in aula. Stamattina in aula ad ascoltarla non c'era NESSUNO. Non è che per caso... Ma dico per caso, potete risparmiarvi e risparmiarci queste vostre figure di merda? Poi, perché mai il movimento 5stelle ha presentato la mozione di sfiducia contro la De Girolamo e per lo strano comportamento della Cancellieri con la Ligresti non lo ha fatto?

Peggio dei ragazzini. Uno dice che sono stati 11 mesi di fallimenti (e non serviva certo lui a farcelo capire... Infondo, noi italici non siamo mica tutti scemi), l'altro, dice che in sette mesi, qualcosa ha fatto. Se intendeva dire che ha proseguito nella distruzione dell'Italia cominciata da monti, allora ha ragione. E, in tutto questo, il presidente della repubblica che fa? Tace. Fossi in lui, mi scaverei la fossa con le mani e mi ci infilerei per vergognarmi di 'sto schifo che ho fatto. Ma io non sono il presidente della repubblica... Io ho un cervello.

mercoledì 15 gennaio 2014

Ma vah?

Financial Times contro la Troika: “Trio di burocrati non eletti amministra zona euro”. Il quotidiano economico certifica l'insuccesso dell'organismo internazionale e scrive che con le sue scelte ha contribuito "al crescente populismo e soprattutto al sentimento di xenofobia" di Francesco De Palo

Dal fallimento delle élite industriali e politiche a quello del memorandum per Grecia e Paesi Piigs. Il Financial Times, in un fondo che ripercorre la storia del Vecchio Continente a un secolo esatto dalla prima guerra mondiale, certifica l’insuccesso della troika. Definita “un trio di burocrati non eletti che amministra la zona euro portando ad un aumento dell’estrema destra”. E sottolinea i tre “buchi neri” del mondo moderno. In primis la mancata comprensione delle conseguenze della liberalizzazione finanziaria. Rassicurati da fantasie fasulle, i mercati finanziari non solo hanno autorizzato ma anche incoraggiato la grande scommessa sul prolungamento del debito. Le élite che guida la politica non è riuscita ad apprezzare i rischi di un fallimento sistemico, osserva il quotidiano economico. Per cui le economie sono crollate, la disoccupazione è aumentata, il debito è esploso. In secondo luogo l’ineguale distribuzione dei guadagni derivanti dalla crescita economica che favorisce la plutocrazia: ovvero l’emersione di un’economia globalizzata e di una nuova élite economica i cui membri sono diventati sempre più distanti dai Paesi che li hanno prodotti. Durante questo processo, il collante che lega ogni democrazia, cioè la nozione di cittadinanza, scrive il Ft, si è indebolito. Con la conseguenza che l’ineguale distribuzione dei guadagni derivanti dalla crescita economica ha migliorato solo le tasche dei più ricchi, con ormai prossimo l’inizio di un deterioramento a lungo termine. Infine il terzo neo delle élite: il funzionamento dell’euro e i problemi connessi creati.

Le difficoltà delle economie colpite dalla crisi è evidente: grande recessione, disoccupazione altissima, migrazioni di massa e accumulo di debito pesante. Tuttavia è il disordine costituzionale della zona euro a essere poco conosciuto. Ed ecco l’attacco alla troika: all’interno della zona euro, scrive il quotidiano finanziario, la potenza è concentrata nelle mani dei governi dei Paesi creditori, in particolare la Germania, con un trio di burocrati non eletti, la Commissione europea, la Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale. I popoli dei Paesi colpiti non hanno alcuna influenza su di loro. I politici che sono responsabili non sono perseguibili e “questo divorzio tra responsabilità di qualsiasi nozione e governance democratica” produce una crisi non solo economica ma “costituzionale”.

E conclude che questi tre fallimenti sono sufficienti a sollevare dubbi circa le élite, che portano con queste scelte al crescente populismo e soprattutto al sentimento di xenofobia. Intanto in Grecia sulla lista Lagarde, l’elenco degli illustri evasori ellenici che hanno portato in Svizzera circa 50 miliardi di euro, si registra una seduta del capo della criminalità finanziaria, Stelios Stassinopoulos, dinanzi alla commissione Istituzioni e trasparenza della Camera. In cui ha riferito che su 1700 file ne sono stati analizzati solo 266. L’ammontare totale di evasione è di 54 miliardi di euro, c’è perfino un cieco totale che ha portato via 10 milioni di euro. Quattro sono parenti dell’ex ministro delle finanze Georgios Papaconstantinou (che nei giorni scorsi ha detto “non sarò il solo a pagare”) con transazioni per totali sei milioni e trecento milioni.), oltre ad altri 3,7 milioni relativi a due nuovi volti. Ma Stassinopoulos, citando il segreto bancario, non ha dato prova di questi nuovi nomi. In attesa di giudizio anche Kostas Vaxevanis, il giornalista che per primo pubblicò la lista in Grecia nell’ottobre del 2012 e che per questo fu arrestato e processato per direttissima.

martedì 14 gennaio 2014

Musetti furbi...

Debito pubblico italiano e salvastati ue

Nuovo record del debito pubblico: pesa il sostegno ai fondi Ue "salva Stati". Sull'ennesimo incremento pesa il sostegno finanziario ai paesi dell’area dell’euro. Dal 2010 il contributo italiano è stato oltre i 55 miliardi di Sergio Rame

Il governo dei record. Negativi, ovviamente. Mentre il premier Enrico Letta si trova in Messico per siglare importanti accordi, la Banca d'Italia certifica un nuovo fallimento dell'esecutivo in carica. Lo scorso novembre il debito della macchina statale è, infatti, aumentato di 18,7 miliardi: raggiunge così un nuovo massimo storico superando i 2.104 miliardi di euro. A questo si aggiunge il dato negativo delle entrate tributarie che, nei primi undici mesi del 2013, sono in marginale calo. Nonostante il governo Letta abbia inasprito la pressione fiscale, le entrate si sono attestato sopra i 339 miliardi di euro, contro i 340,7 miliardi registrati nello stesso periodo del 2012. Secondo gli analisti di via Nazionale l’aumento del debito pubblico è riconducibile principalmente al fabbisogno del mese (6,9 miliardi) e all’aumento a 11,5 miliardi delle disponibilità liquide del Tesoro che hanno raggiunto 59 miliardi. "Come negli anni passati - fanno notare dalla Banca d'Italia - nel mese di dicembre è molto probabile che il debito si sia fortemente ridotto, riflettendo un consistente avanzo e il netto calo delle disponibilità liquide del Tesoro, tornate a fine anno poco al di sopra del livello di fine 2012". Nei primi undici mesi del l’incremento del debito a 114,6 miliardi di euro ha riflesso principalmente il fabbisogno delle amministrazioni pubbliche, che si aggira intorno ai 90,2 miliardi, e l’aumento delle disponibilità liquide del Tesoro che, invece, si attesta sui 24,6 miliardi. Per quanto riguarda il fabbisogno, gli analisti di via Nazionale hanno fatto presente che ha inciso per 12,8 miliardi il sostegno finanziario ai Paesi dell'Eurozona. "In particolare - si legge nel report - la quota di competenza dell’Italia dei prestiti erogati dall’European Financial Stability Facility è stata pari a 6,7 miliardi". I versamenti della terza e quarta tranche della sottoscrizione del capitale dell'European Stability Mechanism (Esm), effettuati nei mesi di aprile e ottobre, sono stati complessivamente pari a 5,7 miliardi. Dal 2010 il contributo italiano al sostegno finanziario ai Paesi dell’Eurotower è stato pari a 55,1 miliardi, di cui 33,6 miliardi riguardanti la quota dell’Italia dei prestiti dell’European Financial Stability Facility (Efsf), 11,5 riguardanti la sottoscrizione del capitale dell’Esm e 10 miliardi relativi ai prestiti bilaterali in favore della Grecia (la cui erogazione è terminata alla fine del 2011).

E buonanotte

Marò, l’Italia presenta ricorso alla Corte suprema dell’India. Si punta a scongiurare l’uso di una legge antiterrorismo

Di fronte al rinvio del governo indiano della presentazione dei capi di accusa per i due marò, l’Italia ha deciso di presentare un ricorso alla Corte Suprema indiana. Lo scrive l’Ansa. La «petition» - si è appreso - punta a «scongiurare l’uso di una legge antiterrorismo». Il ricorso si propone di sollecitare una presa di posizione della massima corte per ricordare agli investigatori ed al governo indiani che la legge che New Delhi utilizza per reprimere la pirateria marittima (SUA Act) non è fra gli strumenti (codici, leggi e convenzioni) specificate dallo stesso massimo tribunale nelle sue sentenze del 18 giugno e 26 aprile 2013 per condurre l’inchiesta e processare i due Fucilieri di Marina italiani. Una eventuale introduzione di questa legge, ha sostenuto la fonte, «cambierebbe radicalmente lo scenario del processo, perché si tratta di uno strumento antiterrorismo», inapplicabile a personale militare italiano imbarcato in funzioni di lotta alla pirateria. Il SUA Act, approvata nel 2002, capovolge l’onere della prova sull’imputato, si estende in acque internazionali e, soprattutto, prevede una richiesta automatica di pena capitale.

LA MISSIONE - I due marò italiani sono stati arrestati ventuno mesi fa, con l’accusa di aver sparato a due pescatori indiani al largo del Kerala, uccidendoli. L’accelerazione disposta da Roma è stata decisa per mettere fine all’impasse che allunga a dismisura la prospettiva di rientro in Italia dei due marò e scongiurare qualsiasi tentativo di introdurre lo spettro della pena di morte. Dopo le pressioni esercitate sui vertici dell’Unione europea, il Parlamento potrebbe inviare una missione in India: al Senato è in corso una riunione dei presidenti delle Commissioni esteri e Difesa di Senato e Camera, Pier Ferdinando Casini e Fabrizio Cicchitto, Nicola Latorre ed Elio Vito, per valutare l’invio di una delegazione parlamentare in India per verificare la situazione di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre.

venerdì 10 gennaio 2014

L'incapacità italiana

 E già che ci siamo, parliamo anche delle forze armate italiane... letteralmente smantellate e relegate ad essere "forze militari umanitarie". Qui.

I fucilieri detenuti. Marò, torna il rischio della pena di morte. L’India: la decisione entro 2-3 giorni. Riunione a Palazzo Chigi. De Mistura: «Inaccettabile se New Delhi applicasse la legge antipirateria»

Il governo indiano non ha ancora deciso se consentire alla Nia di procedere contro i due maro’ in base al «Sua Act», la speciale legge marittima che prevede la pena di morte in caso di omicidio, ma lo farà «in due o tre giorni». Lo ha reso noto il ministro dell’Interno indiano, Sushil Kumar Shinde, all’indomani del vertice di governo a tre (insieme ai colleghi titolari di Esteri, Salman Khurshid e Giustizia, Kapil Sibal) proprio sulla delicata questione.

L’IPOTESI CONDANNA - «C’erano molti problemi da discutere», ha detto il ministro nel corso del suo incontro mensile con la stampa, rispondendo a una precisa domanda sul tema, «e per quanto riguarda la questione dei due militari italiani, una decisione sarà presa in due o tre giorni». Secondo le indiscrezioni che circolano sulla stampa indiana, la Nia potrebbe chiedere la pena di morte ma poi potrebbe rinunciarci, chiamando in causa l’impegno del governo indiano con l’Italia a non applicarla.

DE MISTURA: «PENA DI MORTE INACCETTABILE» - Se l’India decidesse di ricorrere al `Sua Act´, la legge antipirateria che prevede anche la pena di morte, sarebbe «inaccettabile» e «noi nel caso prenderemmo le nostre contromisure». Lo ha detto ai microfoni di Rainews l’inviato del governo per il caso dei maro’, Staffan De Mistura.

RIUNIONE GOVERNO - Il ministro degli Esteri, Emma Bonino, si riunirà alle 16,30 a Palazzo Chigi con il presidente del Consiglio, Enrico Letta, per esaminare gli ultimi sviluppi in India sul caso dei due maro’. Lo ha annunciato lei stessa ai giornalisti a margine della conferenza stampa sull’Ibac alla Farnesina, spiegando che «al termine dell’incontro verrà diffuso un comunicato stampa».

giovedì 9 gennaio 2014

Il jobs act che piace alla ue...

Lavoro, il Jobs Act di Renzi stoppato da Giovannini. Ma Bruxelles lo promuove. Il ministro del Lavoro parla di una proposta "non nuova" e che "va dettagliata meglio". Sulla stessa linea Zanonato, che pone "il problema delle coperture". Al contrario, il commissario Ue per il Lavoro, Laszlo Andor, parla di idee che rappresentano "un nuovo programma" e sembrano "andare nella direzione auspicata dall’Unione in questi anni". La Cisl si dice convinta del piano, più cauta la Cgil

Bocciato da Roma, promosso da Bruxelles. Il Jobs Act di Renzi, a poche ore dalla sua pubblicazione, incassa la diffidenza del governo Letta. “La proposta di Renzi sulla natura dei contratti e le tutele ad essi collegati non è nuova, ma va dettagliata meglio“, è il commento del ministro del Lavoro Enrico Giovannini. A preoccupare l’esecutivo, in particolare, è la mancanza di risorse: se Giovannini parla di “investimenti consistenti”, il titolare dello Sviluppo Economico Flavio Zanonato spiega che “c’è il problema della copertura“. Al contrario, il commissario Ue per il Lavoro, Laszlo Andor, parla di idee che rappresentano “un nuovo programma” e sembrano “andare nella direzione auspicata dall’Ue in questi anni”. E anche i sindacati sembrano aprire al progetto del segretario Pd. La Cisl si dice convinta dalla proposta del sindaco di Firenze, mentre la Cgil ci va più cauta: “Ci saremmo aspettati una maggiore ambizione, ma è già importante che il tema del lavoro sia tornato al centro del dibattito politico”. Un dibattito che i Cinque Stelle vogliano si sposti in Parlamento. “Renzi e Letta giocano d’azzardo sulla pelle degli italiani”, ha attaccato il capogruppo M5S alla Camera Federico D’Incà. “Basta con gli annunci televisivi e le bufale, vengano a discutere le proposte in Aula“. Ma al di là del luogo della discussione, rimane il problema più urgente: dove trovare la copertura finanziaria. “Molte delle proposte presentate dal segretario Pd in questa lista prevedono investimenti consistenti“, ha spiegato il ministro Giovannini. Che ha proseguito spiegando come “noi adesso abbiamo ogni trimestre circa 400mila assunzioni a tempo indeterminato e circa 1 milione e 600mila a tempo determinato. Allora riuscire a trasformare contratti precari in contratti di più lunga durata è un obiettivo assolutamente condivisibile, che però in un momento di grande incertezza come questo molte imprese siano disponibili ad andare in questa direzione è un fatto fa verificare“.

“Nel passato – ha concluso il ministro in un intervento a Radio 1 – vi sono state due proposte contrapposte: una dei professori Boeri e Garibaldi nella quale l’azienda può più facilmente interrompere un rapporto di lavoro all’inizio attraverso un indennizzo monetario, per poi invece con il passare degli anni lavorati tornare per il lavoratore a una situazione standard, quella protetta dall’articolo 18; una proposta invece del professore Ichino in cui l’articolo 18 entra in campo solo dopo molti anni. Quindi bisogna capire di cosa si sta parlando“. Sulla stessa linea il collega titolare dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato. “I punti che il segretario del Pd Matteo Renzi ha presentato nel Jobs Act sono condivisibili, ma c’è il problema delle coperture“, ha commentato il ministro.”I punti sono tutti sollevati in modo corretto, ma bisogna risolvere un problema non banale che è quello delle coperture. Sulle idee del da farsi c’è sintonia, ma, ad esempio, per ridurre del 10% il costo dell’energia bisogna trovare 4,2 miliardi“, ha spiegato. E se i ministri ci vanno con i piedi di piombo, Laszlo Andor non nasconde la sua soddisfazione. Secondo il commissario, in Italia bisogna ”rendere il mercato del lavoro più dinamico ed inclusivo, affrontando i temi delicati della disoccupazione giovanile e dell’occupazione delle donne”. Tra le questioni che incidono di più sulla situazione italiana il commissario Ue sottolinea: “L’eccessiva segmentazione del mercato del lavoro”, “il gap generazionale tra le persone colpite dalla disoccupazione”. Quindi Andor ribadisce come il Job Act “stia andando nella direzione sostenuta dall’Ue nell’ultimo periodo” anche se “aspettiamo i dettagli”.

Nel dibattito si inseriscono anche i sindacati. Una prima apertura arriva da Raffaele Bonanni, segretario della Cisl. “Siamo tendenzialmente favorevoli perché l’idea di dare forza ad un solo contratto eliminando tutti i contratti civetta, tipo le false partite Iva che servono solo a pagare meno i giovani, ci convince“, dice. “Certo dobbiamo parlarne ancora molto tra di noi ma tendenzialmente lo vediamo con molto favore”, ribadisce avvertendo però che non bastano le sole regole a sbloccare il mercato del lavoro, serve invece “una buona economia”. “La classe dirigente parla di occupazione ma l’unico sforzo che ha fatto è regolare solo le norme senza preoccuparsi di favorire gli investimenti. E questo produce un corto circuito pericoloso. Senza rimuovere gli ostacoli per attrarrre investimenti non avremo nessun lavoro”, ha spiegato ancora. Nel dibattito si inserisce anche il segretario della Cgil Susanna Camusso, che ha iniziato a vedere le proposte “del cosiddetto job act: avremmo sperato in una maggior ambizione, a partire ad esempio dalla creazione del lavoro o dalle risorse, penso alla patrimoniale, ma è già importante che il tema del lavoro sia tornato al centro”. In particolare, la leader sindacale considera una novità importante “che si dica esplicitamente che bisogna ridurre le forme del lavoro“. E ha sottolineato: “Finora lo dicevamo solamente noi. Credo che questa sia materia sulla quale si potrà sicuramente discutere”.

Così l'italia riparte, parola di fonzie renzi


Dalla semplificazione delle norme sul lavoro alla riduzione delle varie forme contrattuali «che ora sono oltre 40». E poi: un’«Agenzia unica federale» che coordini e indirizzi i centri per l’impiego, la formazione e l’erogazione degli ammortizzatori sociali e una legge sulla rappresentatività sindacale che disciplini la presenza dei lavoratori nei Cda delle grandi aziende. Sono alcune delle proposte contenute nella eNews di Matteo Renzi a proposito del «Jobs Act» che verrà illustrato nella direzione del Partito Democratico del 16 gennaio (LEGGI IL TESTO INTEGRALE). Un pacchetto di proposte che possono dare «una spinta agli investitori stranieri. E anche agli italiani». Tutto da realizzare in 8 mesi, con la presentazione «di un codice del lavoro che racchiuda e semplifichi tutte le regole attualmente esistenti e sia ben comprensibile anche all’estero».

IL PIANO PER IL LAVORO - «Il Pd crede possibile che il Jobs Act sia uno strumento per aiutare il Paese a ripartire» scrive il leader dem in una prima bozza del suo piano per il lavoro. Tra le idee, quella dell’assegno universale per chi perde il posto di lavoro, anche per chi oggi non ne avrebbe diritto, con l’obbligo di seguire un corso di formazione professionale e di non rifiutare più di una nuova proposta di lavoro.

DIBATTITO APERTO - E ancora, il dibattito è aperto: «Qui c’è un sommario, con le prime azioni concrete, formulato insieme ai ragazzi della segreteria a partire da Marianna, che si occupa di lavoro, e di Filippo, che è responsabile economia. Nella prossima settimana lo arricchiremo con le osservazioni ricevute e lo discuteremo nella direzione del Pd del 16 gennaio. Nessuno si senta escluso - è l’invito di Renzi -, è un documento aperto, politico, che diventerà entro un mese un vero e proprio documento tecnico».

ASSEGNO UNIVERSALE - Il segretario Pd parla di «processo verso un contratto di inserimento a tempo indeterminato a tutele crescenti» e propone un «assegno universale per chi perde il posto di lavoro, anche per chi oggi non ne avrebbe diritto, con l’obbligo di seguire un corso di formazione professionale e di non rifiutare più di una nuova proposta di lavoro».

STOP A STRAPOTERE BUROCRAZIA - «Un dipendente pubblico è a tempo indeterminato se vince concorso. Un dirigente no. Stop allo strapotere delle burocrazie ministeriali»
scrive Renzi.

IRAP GIU’ DEL 10 PER CENTO - «Chi produce lavoro paga di meno, chi si muove in ambito finanziario paga di più - è la proposta illustrata nella enews - consentendo una riduzione del 10% dell’Irap per le aziende. Segnale di equità oltre che concreto aiuto a chi investe».

«CREARE POSTI DI LAVORO» - L’obiettivo, spiega Renzi, «è creare posti di lavoro, rendendo semplice il sistema, incentivando voglia di investire dei nostri imprenditori, attraendo capitali stranieri», «basta ideologie e mettiamoci sotto». «Il dislivello tra aziende italiane e europee è insostenibile e pesa sulla produttività - continua il leader del Pd -. Il primo segnale è ridurre del 10% il costo per le aziende, soprattutto per le piccole imprese che sono quelle che soffrono di più». Per quanto riguarda la tassazione «chi produce lavoro paga di meno, chi si muove in ambito finanziario paga di più, consentendo una riduzione del 10% dell’IRAP per le aziende. Segnale di equità oltre che concreto aiuto a chi investe».

«FATTURAZIONE ELETTRONICA» - Renzi ha parlato anche «fatturazione elettronica, pagamenti elettronici, investimenti sulla rete», «eliminazione dell’obbligo di iscrizione alle Camere di Commercio. Piccolo risparmio per le aziende, ma segnale contro ogni corporazioni», e «funzioni delle Camere assegnate a Enti territoriali pubblici». Inoltre «eliminazione della figura del dirigente a tempo indeterminato nel settore pubblico. Un dipendente pubblico è a tempo indeterminato se vince concorso. Un dirigente no. Stop allo strapotere delle burocrazie ministeriali».

«SEMPLIFICAZIONE AMMINISTRATIVA» - A questo si collega «la semplificazione amministrativa sulla procedura di spesa pubblica sia per i residui ancora aperti (al Ministero dell’Ambiente circa 1 miliardo di euro sarebbe a disposizione immediatamente) sia per le strutture demaniali sul modello che vale oggi per gli interventi militari. I Sindaci decidono destinazioni, parere in 60 giorni di tutti i soggetti interessati, e poi nessuno può interrompere il processo. Obbligo di certezza della tempistica nel procedimento amministrativo, sia in sede di Conferenza dei servizi che di valutazione di impatto ambientale. Eliminazione della sospensiva nel giudizio amministrativo».

PROPOSTE PER SETTE SETTORI - Il Jobs Act prevede un piano industriale specifico per sette diversi settori: cultura, turismo, agricoltura e cibo, made in Italy, Ict, green economy, nuovo welfare ed edilizia. Per ciascun ambito, spiega Renzi, saranno indicate delle singole azioni operative e concrete necessarie a creare posti di lavoro.

La ripresa di Saccomanni

Disoccupazione, due milioni di richieste. Record di giovani senza lavoro: 41,6%. In totale sono 659mila gli under 24 disoccupati. Considerando tutte le fasce d'età, la percentuale dei senza impiego si attesta al 12,7%. E le ore di cassa integrazione tornano a superare il miliardo

La disoccupazione continua a crescere, battendo un record dopo l’altro. La categoria più colpita resta quella dei giovani, dove la percentuale dei senza lavoro è al massimo dall’inizio delle serie storiche, ovvero dal 1977. Il tasso rilevato dai dati provvisori dell’Istat tra gli under 24 ha toccato il 41,6%, in aumento di 0,2 punti rispetto a ottobre e di quattro punti rispetto a novembre 2012. Ma non sono solo i più giovani a soffrire la mancanza di lavoro: i dati Inps parlano di una marcata crescita (+32,5%) delle domande di disoccupazione rispetto al 2012. Tra gennaio e novembre 2013, all’istituto di previdenza sono state presentate quasi due milioni di richieste (per la precisione 1.949.570). Ed è record anche per il tasso di disoccupazione generale, che a novembre si attesta al 12,7%: il dato è in crescita rispetto al 12,5% di ottobre, mentre si registra un aumento di 1,4 punti su base annua. Il quadro non è più rassicurante sul fronte della cassa integrazione. Nel 2013 le ore autorizzate hanno abbondantemente superato il miliardo (1.075 milioni), anche se hanno registrato un leggero calo dell’1,36% sul 2012. A dicembre, in particolare, le ore autorizzate sono state 85,9 milioni (-0,7% su dicembre 2012). Il lieve calo è totalmente imputabile agli interventi di cassa integrazione ordinaria e in deroga, calate rispettivamente del -9,4% (da 26,1 milioni a 23,6 milioni di ore autorizzate) e del -16,7% (a 22,4 milioni di ore). La cassa integrazione straordinaria, sottolinea l’Inps, fa invece segnare un aumento del +18,8% raggiungendo i 40 milioni di ore.

Tornando alla disoccupazione, i giovani alla ricerca di un posto sono 659mila, con un aumento di 23mila unità rispetto a novembre 2012: l’incidenza dei senza lavoro sull’intera popolazione in questa fascia di età è pari all’11 per cento. Il numero di inattivi, ovvero tutti coloro senza un impiego e quindi anche chi ha rinunciato a cercarlo, compresi tra i 15 e i 24 anni raggiunge i 4,4 milioni, in aumento dell’1,9% (+81 mila) rispetto a novembre 2012. Il tasso di inattività dei giovani è pari al 73,7%, in crescita di 0,2 punti percentuali rispetto a ottobre e di 1,7 punti nei 12 mesi. L’Istat precisa poi che a novembre 2013 erano occupati 924mila giovani tra i 15 e i 24 anni in calo dell’1,3% rispetto al mese precedente (-12 mila) e del 12,4% su base annua (-131 mila). Considerando invece tutte le fasce di età, i disoccupati a novembre erano 3 milioni 254 mila, in aumento di 57mila unità rispetto a ottobre (+1,8%) e di 351 mila unità rispetto a novembre 2012 (+12,1%). La crescita tendenziale della disoccupazione è molto più consistente per gli uomini (+17,2%) che per le donne (+6,1%). Il tasso di disoccupazione è pari al 12,7%, al top dal 1977, anno di inizio delle serie storiche trimestrali. A novembre gli occupati erano 22 milioni 292mila, in calo dello 0,2% rispetto a ottobre (-55mila) e del 2% su base annua (-448mila): il tasso di occupazione si attesta nel mese al 55,4%, diminuendo di 0,1 punti percentuali in termini congiunturali e di un punto rispetto a novembre 2012. Il dato tra gli uomini è diminuito più rapidamente di quello femminile (-0,3 punti su mese e meno 1,7 punti su novembre 2012).

Per quanto riguarda l’Eurozona, infine, il tasso di disoccupazione si è attestato al 12,1% nel mese di novembre. Lo rileva Eurostat, precisando che il tasso, corretto per gli effetti di stagione, è fermo dallo scorso aprile. Il dato è in linea con le attese. A novembre resta stabile anche la disoccupazione nell’Ue a 28 Paesi, che rimane al 10,9% da maggio. La disoccupazione, a novembre 2012, si era posizionata all’11,8% nell’Eurozona e al 10,8% nel complesso dell’Ue. Nello scorso novembre il tasso di disoccupazione giovanile era pari al 24,2% nell’area della moneta unica, in crescita dal 23,9% di un anno prima, mentre nell’Ue a 28 era al 23,6%, in aumento dal 23,4% di novembre 2012.

martedì 7 gennaio 2014

L'innovativo buffoncello Renzie...

Job Act: Renzi prepara l’attacco finale al lavoro di Eugenio Orso

I suoi padroni gongoleranno. I crucchi che contemplano esclusivamente il loro interesse – altro che Europa dei popoli! – gli diranno “Wunderbar, kleine italienische”, ossia meraviglioso, piccolo italiano! Sottinteso servo italiano. Insomma, le oligarchie tutte, del denaro, della finanza e dell’eurozona plaudiranno. Chi? Ma naturalmente lui, il pericoloso buffone emergente della sub-politica nazionale, all’anagrafe Matteo Renzi, esternante durante l’inaugurazione, nella “sua” Firenze, di Pitti immagine Uomo. Per ora c’è solo l’annuncio trionfale di Renzi, ma a giorni seguirà lo Job Act, chiamato così in (neo)lingua esotica, per sottolineare meglio la totale subalternità italiana all’occidente neocapitalistico e il liberal-liberismo che anima la marionetta Renzi. Sembra che questo obbrobrio, sicuramente pensato contro il lavoro stabile e ancora tutelato – con la scusa di creare occupazione per chi non l’ha e di estendere le garanzie ai precari – sarà articolato su tre semplici punti e non avrà come “cuore” la riforma dell’articolo 18 (dello statuto dei lavoratori del 1970). Ostacolo “ideologico” quest’ultimo, secondo Matteo, alle necessarie riforme del mercato del lavoro (e contro i lavoratori) che non si fermeranno nel dopo Monti e Fornero.

Come d’abitudine, esternando all’inaugurazione fiorentina di Pitti, il sindaco di Firenze/segretario del pd non ha detto nulla di veramente concreto, entrando a corpo morto nel dettaglio tecnico (forse per non sciupare la sorpresa?), ma si è riempito la bocca di slogan, banalità, di frasi fatte, di dichiarazioni generiche e inconsistenti sul piano pratico. Alcuni esempi? Contrastare il costo della burocrazia per evitare le delocalizzazioni industriali, in Austria e altrove (sopprimendo posti di lavoro nel pubblico e mantenendo alto il tasso di disoccupazione?). Cominciare dal Made in Italy che è una scontata parola d’ordine (ma esisterà ancora il Made in Italy nel futuro?). Avere attenzione per il tema dell’innovazione (Quale? Di prodotto o di processo?). Mettere chi fa impresa in condizioni di poterla fare (Renzi abbasserà veramente le imposte, le tasse e i contributi, i costi dell’energia?).

Quel che conta – e lo vedremo quando l’imbroglione-capo piddino presenterà i tre punti dello Job Act – è che dietro “il costo della burocrazia” vi sono centinaia di migliaia di posti nel settore pubblico a rischio, e non è per niente certo che una contrazione dell’impiego pubblico eviterà ulteriori delocalizzazioni industriali. Semplicemente contribuirà a mantenere alto il tasso di disoccupazione, da un lato, e dall’altro, risparmiando sulla “macchina dello stato”, libererà ancora risorse per il grande capitale finanziario. Del quale Renzi, con Letta, Napolitano e il resto del pd, è fedele servitore. L’esaltazione sloganistica del Made in Italy, da rilanciare, non tiene conto che un paio di finanzieri francesi (e non solo loro) sta facendo incetta di marchi italiani del lusso, della moda, del bello. La svendita continuerà, nonostante l’annuncio renziano, come tributo all’apertura definitiva al mercato. Per quanto riguarda la mitica “innovazione”, credo che si tratti di aria fritta. Anche nel caso di una diminuzione del costo della burocrazia, dei costi dell’energia, e persino delle tasse, le risorse in più a disposizione delle imprese nazionali superstiti non finanzieranno “innovazione”, ma semplicemente alimenteranno i profitti, le speculazioni finanziarie e i consumi “di prestigio” di pochi. Mettere chi fa impresa in condizioni di farla, poi, sembra una battuta, un vuoto slogan da campagna elettorale al quale gli italiani dovrebbero essere ormai abituati. E’ facile prevedere che pareggio di bilancio imposto e recepito in costituzione, la strenua “difesa dell’euro” e il rispetto del 3% massimo nel rapporto deficit/pil, non consentiranno abbattimenti di imposte e tasse e significativi sgravi in termini di contributi. Tagli alla spesa pubblica e aumenti fiscali – iva, irpef regionale e comunale, nuove e crescenti imposte locali, sulle immondizie e sulla casa – sono prevedibili anche nei prossimi anni. In queste condizioni, con queste politiche economiche imposte dalla bce, dai crucchi e dal fmi, si può mettere chi fa impresa in condizioni di farla – e di assumere qualcuno – solo precarizzando ulteriormente e sottopagando il lavoro.

Per Renzi, il mondo del lavoro è spaccato, diviso fra chi è garantito (e il neo capoccia piddino freme per colpire le garanzie) e chi le garanzie non le ha mai avute. Segnatamente i precari, buona parte dei contratti stipulati in questi ultimi anni. Ricordiamo che i precari sono stati generati proprio dalle normative del sistema che ha “prodotto” Renzi e che Matteo serve. Il disegno renziano è chiaro e non è nuovo. Mettere i precari contro gli stabilizzati, cioè i “vecchi” lavoratori a tempo indeterminato, illudendoli che saranno stabilizzati anche loro e che in futuro godranno di maggiori tutele. Vedremo se la proposta finale di Renzi – o di chi per lui – assomiglierà a uno spolvero del cosiddetto “contratto di lavoro leggero”, con minori tutele per tutti e con paghe d’ingresso ridotte all’osso. In pratica, l’idea potrebbe essere quella di “spalmare” le tutele su un numero più grande di lavoratori, riducendole drasticamente per tutti e mettendo fine a quello che è stato chiamato il doppio mercato del lavoro. Naturalmente andando a ribasso, in quanto a garanzie per il posto di lavoro e retribuzioni. Per ora basti questo. Quando uscirà il tanto atteso (e temuto) Job Act renziano potremmo essere più precisi … e ancor più ferocemente critici.