sabato 30 agosto 2014

La troika ringrazia

Renzi: missione compiuta! di Eugenio Orso

1. Renzi imposto all’Italia

Sì. Missione compiuta o in via di rapido compimento per il pericoloso guitto mediatico-subpolitico fiorentino. Il governo Renzi, collaborazionista della troika, sta raggiungendo uno dopo l’altro i suoi veri obiettivi nel paese, pur con qualche relativa difficoltà e qualche ritardo sulla tabella di marcia. Mi riferisco agli obiettivi non dichiarati, opposti alle promesse renziano-piddine fatte agli italiani. Per la buona riuscita dell’operazione e per imporsi nel paese, il terzo, piccolo Quisling in ordine di apparizione – dopo il “capostipite” Monti e il transitorio Letta – ha potuto godere di molti, importanti sostegni. Una maggioranza, creata ad hoc, nel principale partito euroservo e filo-atlantista italiano, ossia il pd. L’appoggio determinante dei suoi padroni (troika, grande capitale finanziario, unione europoide, usa, mercati&investitori). La visibilità offertagli dall’apparato ideologico-massmediatico e un certo sostegno della cosiddetta stampa internazionale. Il consenso di massa abbondantemente idiotizzato, estorto con slogan e false promesse. Renzi è stato subdolamente imposto all’Italia da un complesso di forze ultraliberiste, legate alla dimensione finanziaria, che usa come arma, per il controllo politico del paese e delle sue fatiscenti istituzioni, il partito democratico, inteso come serbatoio inesauribile di pedissequi che seguono fedelmente il padrone sopranazionale e di imbroglioni subpolitici, che ingannano con grande abilità la popolazione. Anche se il suddetto ha “vinto le primarie” e ha fatto fare al pd il pieno dei voti nelle europee di maggio, possiamo affermare che si è affermato con l’inganno e la manipolazione, non solo mediatica. Con Monti, Letta, Renzi, siamo entrati nella fase finale dell’”operazione Britannia”, simbolicamente pianificata nel 1992 durante la breve gita sul panfilo della corona britannica, cioè stiamo arrivando rapidamente alla “soluzione finale” del problema Italia nell’economia globalista. Il cerchio non si chiuderà con Renzi, che farà una parte significativa del lavoro per “normalizzare” in senso ultraliberista e globalista il paese, trattenendolo grazie alla sua “popolarità” e alla sua immagine truffaldina. Dopo di lui, ci sarà probabilmente un governo-troika guidato dal “liquidatore finale”, non di origine subpolitica, ma squisitamente “tecnica”, che porterà l’opera a definitivo compimento con modi spicci. 

2. Come Monti e più di Monti

Renzi trionfa, spaccia i risultati delle elezioni europee per risultati di elezioni nazionali, al fine di legittimarsi furbescamente con oltre il 40% dei consensi, e le opposizioni nel parlamento liberaldemocratico mostrano tutta la loro vergognosa inconsistenza, nonché l’assenza di vere alternative al programma piddino. Che poi è semplicemente il programma imposto nel 2011 dalla troika, con la bce a dettare le linee di politica strategica per il terzetto (5 agosto 2011, Francoforte/Roma, lettera Trichet-Draghi). Nonostante lo jobs act annunciato e gli 80 euro erogati (ma non a tutti), il cambiamento in cui Renzi pare indaffarato vuol dire, sotto la superficie degli annunci e delle elemosine elettorali, inderogabile impegno “per condizioni di bilancio sostenibili e per le riforme strutturali” (esattamente come prescrivono nella loro lettera Trichet e Draghi). Naturalmente la “sostenibilità” dei bilanci pubblici è legata alle dinamiche neocapitalistico-finanziarie, che dominano l’eurolager imponendo tagli lineari alla spesa, e le riforme strutturali vanno contro lavoratori e pensionati. Quel che è peggio, è che una parte rilevante, in questo caso decisiva, della popolazione italiana segue a ruota, come un branco di pecore, e scambia Renzi per una specie di salvatore del paese, così come è accaduto, all’inizio, con il primo Quisling “mandato” d’autorità dai poteri esterni, ossia Mario Monti, che l’apparato ideologico, subpolitico e massmediatico al gran completo vendeva, appunto, come il “salvatore”.

Per imporsi e ottenere gli “splendidi” risultati concreti ai quali, poi, accenneremo, continuando sulla strada di Monti, con l’acquiescenza del rieletto Napolitano (basista istituzionale) e il favore della stampa, Matteo Renzi ha potuto contare segretamente su tutto il pd. Anche se l’apparato del partito collaborazionista ha finto un’opposizione interna al bulletto fiorentino, per trattenere voti e tessere di eventuali scontenti e per simulare pluralismo, ne ha segretamente favorito l’ascesa, a partire dalla vergognosa sceneggiata delle primarie per la segreteria nazionale (8 dicembre 2013, Renzi contro Cuperlo), in cui il vincitore era predeterminato. Poi l’escalation renziana è stata rapida, perché la situazione e la troika lo imponevano. Letta era da mettere da parte, da archiviare nel breve, per evitare fastidiosi problemi elettorali e di consenso. Con l’insipido, burocratico e poco “telegenico” Enrico Letta ancora al governo, i migliori collaborazionisti del grande capitale finanziario, in Italia, avrebbero rischiato di perdere la presa sul paese. Urgeva un nuovo esecutivo emanazione dei poteri forti esterni, il terzo dalla fine del 2011, che continuasse con determinazione l’”opera”, iniziata da Mario Monti, di privatizzazione completa e di definitivo annichilimento di questo paese.

Il punto centrale, per capire la strada seguita dai tre governi di Quisling non eletti che si sono succeduti in Italia, è la diabolica combinazione fra trattati europei, da rispettare fino in fondo, senza inopportune concessioni alla “flessibilità”, e l’ormai arcinota lettera della bce del 5 agosto 2011, che delineava le linee strategiche del programma. Il vero programma politico del governo collaborazionista piddino-renziano, tenuto conto di quanto precede, è di facile individuazione, e così i risultati concreti ai quali si tende.

Nonostante le sparate propagandistiche di Renzi, che millanta di voler sfruttare la flessibilità concessa dalle regole europee, la ferrea norma del rapporto del 3% fra deficit e pil è rispettata in modo maniacale, anche se la motivazione renziana è che si fa così per se stessi, perché è giusto e “non perché lo dice la Merkel”. Infatti, secondo l’abile parolaio e saltimbanco del capitale finanziario, “Dobbiamo rispettare tutti gli impegni, compreso il 3% del rapporto deficit-Pil, e non perché lo dice la Merkel ma perché è giusto.” Renzi continua sulla strada di Monti e anche le sue dichiarazioni lo rivelano, perché Monti aveva dichiarato, nel giugno del 2012, qualcosa di simile, ad uso e consumo propagandistico interno: “La Merkel dice che l’Italia ce la fa, ma l’Italia ce la fa non perché lo dice la Merkel”. I trattati europei non si discutono, ma si applicano a qualsiasi costo, e questo Renzi l’ha ben presente, esattamente come Mario Monti. Se violasse questa regola, imposta dai padroni che lo tengono al guinzaglio (e gli gettano l’osso da spolpare sotto il tavolo), salterebbe il banco, cioè il sistema di potere neocapitalistico in Europa chiamato unione europea. Addio moneta comune e strumenti di dominazione elitisti. Si tratterebbe allora – e qui sta l’inghippo – “di utilizzare tutti i margini e le flessibilità già previsti dall’attuale Patto di stabilità e crescita”. Ciò vorrebbe dire, secondo Renzi e i suoi compari, escludere dal computo del 3% alcune voci. Come? Non conteggiando nel deficit il cofinaziamento dei fondi strutturali europei (i 43 miliardi aggiunti da Roma fra il 2014 e il 2020, qualche miliardino del tutto insufficiente ogni anno) e altre, sparute, spese per investimenti. Davanti alla drammatica crisi che sta attraversando il paese è chiaro che la “flessibilità”, secondo Renzi insita nei trattati europei, anche se sfruttata appieno non costituirebbe che un palliativo, perché per uscire dal circolo vizioso della crisi strutturale neocapitalistica è necessario cambiare radicalmente le politiche economiche, riacquisendo la piena sovranità monetaria, uscendo dall’unione europoide e stracciando i trattati-capestro imposti al paese. Purtroppo, con Renzi e il pd saldamente al potere, non solo ciò non potrà accadere, ma seguiremo la stessa direzione di marcia dell’esecutivo Monti, fino alla fine.

Anche se il famigerato “pareggio strutturale di bilancio”, che comporterà sofferenze aggiuntive per milioni di italiani, potrà subire qualche ritardo – una semplice modulazione dei tempi, secondo il bieco Padoan all’economia – la strada è segnata e da questa non si può deviare. Si tratterà, in pratica, di soddisfare i bisogni finanziari della pubblica amministrazione massacrando ancor di più la popolazione, con tagli indiscriminati alla spesa pubblica e sociale e/o con ulteriori aggravi della pressione fiscale su famiglie e imprese. Renzi, pur tuonando contro il rigore contabile fine a se stesso, e invocando con la foga di un attore professionista “la crescita”, rispetterà fino in fondo il fiscal compact, che prevede la riduzione forzata del debito pubblico eccedente il 60% del pil, nell’arco temporale di un ventennio. Quanto sarà pesante la ruberia elitista del fiscal compact, dal 2015? C’è chi dice 7 miliardi l’anno, e chi ipotizza, più realisticamente, oltre 35 miliardi, se non proprio 50 con il peggiorare del pil. C’è da mettere in conto anche lo spettro incombente del cosiddetto european redemption fund, per costringere gli stati indebitati e privi di sovranità come l’Italia, ridotti a “saldi da fine stagione”, a conferire nel fondo i loro averi patrimoniali, a garanzia del rientro dal debito per la parte eccedente il 60% del pil. In pratica, dentro la camicia di forza europoide dei trattati imposti e delle politiche del rigore selvaggio, si venderanno gli asset italiani – privatizzazione automatica! – per ridurre il debito pubblico nelle proporzioni volute con il prodotto.

3. L’Italia affonda, ma Renzi porta a compimento la sua missione

E’ soltanto un caso, ma leggo or ora sull’Ansa del primo sciopero a catena dei lavoratori di Eataly in Firenze. L’amichetto faccendiere di Renzi, quell’Oscar Farinetti che incassa col cibo italiano (alti cibi) e pontifica stronzate, fingendo di creare lavoro, vorrebbe non rinnovare i contratti precari a termine di molti giovani, riducendo alla metà il personale. Giovani precari (e non precari) tutti in strada. Nella notizia di agenzia, si aggiunge che lo store fiorentino è stato inaugurato alla fine dello scorso anno, da Farinetti in persona, con la partecipazione dell’allora sindaco Matteo Renzi. Qualcuno afferma addirittura che Farinetti è un consigliere di Renzi, forse non “accademico” come lo fu Ichino sulle questioni del lavoro, ma comunque ascoltato. Infatti, Farinetti consiglia al suo compare che ha fatto carriera di tirare ancora “due o tre bastonate grosse”. Ad esempio concedendo uno sgravio fiscale “potente” alle imprese, ma solo a quelle che esportano e vendono all’estero, per invogliare a esportare di più (che si fotta il mercato interno!), poi mettere un tetto alle pensioni (i pensionati sono un peso, non servono, per loro niente ottanta euro!) e abolire le regioni autonome (che non si provino a erogare troppi stipendi e a dare troppo lavoro alla plebe!). Lo sciopero a Eataly, proclamato per scongiurare i licenziamenti a tappeto dell’insulso e arrogante Farinetti, pur essendo un caso, ha un certo valore simbolico. Rappresenta la reale condizione del lavoro, non soltanto giovanile in Italia, nonostante le menzogne renziano-piddine e la cortina fumogena delle annunciate riforme.

Mentre Grillo – ormai in completo marasma? – invoca il ritorno dei Rolling Stones per una grande manifestazione al Circo Massimo(!) e i suoi parlamentari manifestano simpatia e comprensione nei confronti dello stato islamico, Renzi porta a compimento l’”opera” per la quale è stato ingaggiato dalle élite neocapitaliste occidentali. E’ solo questione di tempo, ma le privatizzazioni procederanno, come raccomandato nel 2011 per lettera dalla bce: “È necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala.” Fine del cosiddetto socialismo dei comuni, servizi pubblici che diventano privati a caro prezzo per tutti. Di recente, l’operazione “spending review” ha messo non a caso in rilievo l’antieconomicità di molte partecipate dagli enti locali, almeno una su quattro con un rendimento negativo rispetto al r.o.e. (reddito netto aziendale / capitale proprio). Altro punto cruciale del programma della bce per l’Italia è il seguente: “C’è anche l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione.” Anche qui siamo a buon punto ma Renzi continuerà l’opera. “Dovrebbe essere adottata una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti”, è un elemento programmatico bce che si lega al precedente, e la revisione renziana è già cominciata con il decreto Poletti, poi ci sarà il jobs act o qualche altra porcata simile per eseguire gli ordini del padrone. La bce avrebbe voluto il pareggio di bilancio in tempi più brevi ma Renzi, che difende tutti i trattati-capestro europoidi pur invocando maggiore flessibilità, intende arrivarci quanto prima. Si impone la revisione del sistema pensionistico, alla quale ci ha già pensato il governo Monti con la riforma Fornero creando gli “esodati”, e il taglio dei costi del pubblico impiego, se necessario, voluntas bce/troika, riducendo gli stipendi al pubblico impiego. Nessun problema, fra congelamento degli aumenti contrattuali e blocco del turnover, ampiamenti praticati dai governi collaborazionisti della troika, quello di Renzi compreso. La revisione dell’amministrazione pubblica per assecondare le esigenze delle imprese, raccomandata da Francoforte, è un “cavallo di battaglia” renziano. Il vero programma di Renzi e del pd fa dunque riferimento alle sezioni 1, 2 e 3 della citata missiva e da quella linea, socialmente genocida, non ci si scosta.

Quali sono i veri effetti del programma politico applicato all’Italia da Monti in poi? Oggi sono ben visibili e i media non possono nasconderli. Deflazione già arrivata, disoccupazione in aumento, con mille disoccupati in più ogni giorno di luglio, emorragia di produzione industriale (40% in meno dall’inizio della crisi?), consumi interni in calo, pressione fiscale altissima che aumenterà ancora. Se Monti ha ammesso di aver distrutto il mercato interno, cosa dovrà ammetterà, alla fine, Renzi? Tuttavia sta portando a termine la sua missione, perché sono proprio questi gli effetti voluti dalla troika per sottomettere (e saccheggiare) definitivamente questo paese. Anche gli ottanta euro hanno raggiunto i loro veri scopi, pur non avendo avuto il ben che minimo impatto positivo sui consumi nazionali (e di prodotti nazionali). Hanno portato consenso alle europee, ingannando ancora una volta il popolo bue, preda dei collaborazionisti pd. Renzi non arriverà al 2018, come ama dichiarare, così come il suo compare euroservo Hollande, amico della mafia corsa e della classe globale dominate, potrebbe non arrivare alle presidenziali francesi del 2017. Dopo Renzi ci sarà un governo dichiaratamente “troikista”, imposto in una situazione drammatica e guidato da un “tecnico” senza scrupoli (e senza l’assillo dei quozienti elettorali), ma naturalmente appoggiato dal pd. A quel punto, se non proprio oggi, Renzi potrà ben dire: missione compiuta!

Le mutande in faccia di Marchionne

 Su una sola cosa ha ragione 'sto furbone e ladro di Marchionne, sul fatto che la scenetta col carretto dei gelati, poteva risparmiarsela. Ma tant'è.

Marchionne: “Italia tutta da ricostruire. Ho incoraggiato Renzi a proseguire riforme”. L'amministratore delegato della Fiat, parlando al Meeting di Rimini, ha detto che il premier ha "un compito arduo e ingrato" e non deve "curarsi degli attacchi". Ma i precedenti non fanno ben sperare: fino ad ora "risultati concreti se ne sono visti molto pochi, compromessi tanti". Sugli stabilimenti italiani ribadisce: "Non ne chiuderemo nessuno, ci accolliamo i costi". Renzi incontra Landini? "Buona fortuna, non sono geloso"

“Con questi livelli di disoccupazione la situazione si aggraverà. L’Italia non può più aspettare”. Parola di Sergio Marchionne. L’amministratore delegato della Fiat, intervenuto al Meeting di Rimini, ha detto che il Paese vive una “recessione prolungata” e “abbiamo bisogno di riforme e trasformazioni strutturali” per riportarlo a un “livello competitivo”. L’Italia, per ora, “non sembra capace di reagire”. Il manager ha però espresso “massima fiducia nel governo” e ha speso parole di sostegno per il premier Matteo Renzi: “Il presidente Renzi ha di fronte un ruolo arduo e ingrato. Appare coraggioso e determinato a fare le riforme e io l’ho incoraggiato a proseguire l’intento riformatore senza curarsi degli attacchi”. Nessun trattamento di favore, comunque: ”La gente che si impegna nel fare le cose di qualunque colore è la benvenuta. Appoggio anche lui come ho appoggiato Letta e Monti. Se la sua agenda è di riforme e spingere il Paese avanti sono il primo ad appoggiarlo”.

Finora “risultati pochi, compromessi tanti” – Resta il fatto che i precedenti non fanno ben sperare: “Fino ad ora chi ha guidato il Paese si è scontrato con un muro di gomma”. Sono state fatte “gare al ribasso per toccare meno gli interessi e il sistema ha conservato se stesso”. Così, alla fine, “risultati concreti se ne sono visti molto pochi, compromessi tanti”. Dunque, è la conclusione, “saremo i primi a salutare le riforme se arriveranno, ma non possiamo riporre fiducia in un sistema che appare immobile”. “Dobbiamo avere la consapevolezza che abbiamo di fronte una Italia tutta da ricostruire”. Fatta la diagnosi, ecco la ricetta: serve una “nuova fase di ricostruzione rilancio nazionale”. Le risorse per farlo, come “le qualità umane e culturali”, non mancano. Lo Sblocca Italia? “Un buon inizio ma c’è ancora molto da fare. Bisogna andare avanti”.

“Basta ironie su gelati e barchette” – Marchionne ha anche commentato la copertina dell’Economist, a cui Renzi ha ribattuto mangiando un gelato nel cortile di Palazzo Chigi: Non sopporto più di vedere gente con il gelato, barchette e cavolate. Da italiano non lo voglio più sentire. Voglio essere orgoglioso di essere italiano, di dire che siamo veramente bravi come gli altri, perché lo siamo. Abbiamo 80mila persone che non hanno paura di impegnarsi con la sfida globale. Non ho capito perché non possa farlo il Paese”. L’uscita del settimanale britannico? “Sentirsi dare da qualcuno del gelataio non fa piacere, se lo dicono a me, non mi fa piacere”. E comunque “il gelato lo hanno dato a tutti quanti noi e non ha niente a che vedere con Renzi”. Quanto alla reazione, “sono scelte sue personali, io avrei ignorato tutto. Di vignette contro di me ne escono tante, non le ho mai inseguite”.

“Vent’anni di finte riforme”
per colpa di “destra e sinistra, e imprenditori”. Ironia su Landini - “Abbiamo passato vent’anni a far finta di fare riforme sociali”, è il giudizio del manager che ha orchestrato le nozze tra il Lingotto e Chrysler. “Non abbiamo neppure approfittato dell’adesione all’euro, con cui potevamo finanziare le riforme”. “Abbiamo solo alimentato una dialettica distruttiva che ha indebolito le istituzioni, così gli investitori non arrivano, i salari si erodono e il tenore di vita cala”. E “quando dico noi, dico tutti. Destra e sinistra, e imprenditori”. Ma, naturalmente, anche il sindacato. Alla richiesta di un commento sull’incontro tra il premier e il segretario della Fiom Maurizio Landini la risposta di Marchionne è stata: ”Renzi incontra Landini? Good luck, non sono geloso”.

“Nessuna chiusura in Italia, ci accolliamo i costi di una realtà in perdita” – Quanto alla presenza di Fiat in Italia e alle prospettive che si apriranno dopo la fusione con il gruppo automobilistico di Detroit, Marchionne ha ribadito: “Non intendiamo chiudere nessuno stabilimento in Italia, accollandoci tutti i costi di una realtà operativa in perdita“. Come è noto Fiat intende “rivedere in modo radicale” la sua strategia puntando sull’alto di gamma, e su questo fronte il nostro Paese può essere la base per la diffusione di veicoli in tutto il mondo.

“Fiat dimostra che quando la concorrenza ti considera morto ti puoi rialzare” – La Fiat che si appresta a spostare la sede legale in Olanda va dunque vista come un modello per il Paese? Marchionne sembra pensarla così. “Non per fare i presuntuosi”, ma “per dimostrare che anche in situazioni disperate, anche quando la concorrenza ti considera morto, ti puoi rialzare”. “Quando abbiamo deciso di intrecciare il nostro destino con Chrysler, un’azienda in bancarotta, ci siamo giocati tutto: credibilità, reputazione e io personalmente anche la carriera”, ha ricordato Marchionne. “Invece di temporeggiare come tutti i nostri concorrenti, ci siamo mossi e siamo andati negli Usa”. All’epoca “in pochi credevano alla fusione con Chrysler, nonostante l’entusiasmo dei media”. Quindi “abbiamo rischiato di evidenziare in modo chiaro la fragilità della Fiat, senza nemmeno la sicurezza di una poltrona su cui atterrare se il progetto fosse fallito”. E anche in Italia, “se avessimo aspettato le condizioni di un sistema competitivo, non avremmo fatto assolutamente nulla”. Invece, ha rivendicato l’amministratore delegato, “abbiamo deciso di assumerci la nostra parte di rischio e responsabilità, abbiamo fatto delle scelte coraggiose di rottura con il passato, compresa quella di uscire da Confindustria per stabilire un rapporto negoziale diretto”. ”Siamo andati avanti, incuranti delle accuse e degli sgambetti, e da quasi 5 anni che stiamo progettando la rete industriale” in Italia. Questa, secondo il manager, è la lezione che il Paese dovrebbe trarne: “Non possiamo più aspettare che vengano modificate le regole, che la gente ci segua, che troviamo accordi, che troviamo soluzioni per tutte le poltrone disponibili. A me non interessa un cavolo”.

venerdì 29 agosto 2014

Partecipate? Accantoniamole, vah...

 Alcuni commenti: "E' completamente dissociato dalla realtà".

"Ed ecco a voi il telepresidente del consiglio che vi annuncia in diretta tutte le iniziative del governo: buone intenzioni, nel migliore dei casi, di cui è lastricato il pavimento dell'inferno, a cui non seguono i decreti attuativi senza per questo dare spiegazioni di sorta. Il cittadino teledipendente ode, approva e dimentica, il paese affonda e Renzie sorride e fa le battute che ha letto su topolino... sempre in tv".

"Così diceva Renzi il 23 luglio all'inaugurazione dell'autostrada Brebemi: "Noi possiamo mettere in campo una operazione sulle infrastrutture che puo’ liberare da settembre 43 MILIARDI DI EURO. Soldi pompati nell’economia italiana soltanto con la rimozione di ostacoli”. Chiaro? dai 43 miliardi promesse da Renzi per le infrastrutture siamo scesi a 3,8 miliardi! Questo spara annunci ridicoli che i media riportano a gran voce ma che poi fanno cadere nel dimenticatoio evitando di ricordarli".

""I lavori di ristrutturazione in casa si potranno fare senza chiedere l'autorizzazione edilizia". Un condono praticamente..."

"inoltre i 3,8 erano già stati messi in conto da governi precedenti"

"Vai Bomba, esagera! Racconta agli italiani che saremo i primi ad arrivare su Marte."

"Non era una riforma al mese... il cavallo di battaglia del premier?"

"Bravo Renzi, visto che di cemento a deturpare coste e paesaggi ce n'era poco, hai pensato bene di metterne dell'altro... capisco, ai palazzinari va dato il bocconcino; intanto scuole fatiscenti e ferrovie per pendolari da terzo mondo possono aspettare. Ormai abbiamo capito l'andazzo: promettere mari e monti e continuare con la solita solfa. Dammi retta, autorottamati."

Sblocca Italia, 3,8 miliardi per i cantieri. Slittano i tagli alle partecipate. Risorse destinate alle "opere cantierabili da subito", tra cui l'Alta velocità Napoli Bari e la ferrovia Palermo-Messina. Padoan non si sbilancia sull'ammontare complessivo di fondi mobilitati. Per la banda larga defiscalizzazione al 50% ma solo nelle aree a fallimento di mercato, cioè dove senza incentivi l’investimento privato non sarebbe redditizio. I lavori di ristrutturazione in casa si potranno fare senza chiedere l'autorizzazione edilizia. Slitta alla legge di Stabilità la sforbiciata chiesta da Cottarelli

Come da anticipazioni del ministro Maurizio Lupi, il decreto Sblocca Italia uscito dal Consiglio dei ministri venerdì sera è più che altro uno “sblocca burocrazia”. Tradotto: le risorse messe in campo dai 50 articoli sono ridotte all’osso. Per le infrastrutture il governo di Matteo Renzi è riuscito a trovare, raschiando il fondo del barile (Fondo sviluppo e coesione e fondo revoche), solo 3,8 miliardi. Ben lontano dai 43 evocati da Renzi all’inizio di agosto, cifra che peraltro nessuno in conferenza stampa ha ricordato. Anzi, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan a precisa domanda ha risposto: “Non lo so”, anche se “riteniamo possano essere significative”. Zero euro sono destinati alla banda larga, per la quale è prevista solo la defiscalizzazione al 50% (alla vigilia si ipotizzavano sgravi fino al 70%) degli investimenti nelle “aree bianche” a fallimento di mercato, dove cioè senza incentivi non sarebbe redditizio l’investimento privato. E salta la prima sforbiciata alle partecipate degli enti locali, contenuta nel piano presentato dal commissario alla spending review Carlo Cottarelli il 7 agosto e prevista nelle bozze circolate in questi giorni: tutto rimandato alla Legge di stabilità, spiega Lupi. Così come la proroga dell’ecobonus del 65% per le riqualificazioni energetiche, su cui però, ha garantito Renzi, il governo ”si impegna”. Stesso discorso per l’incentivo fiscale destinato a chi compra casa per affittarla a canone concordato. Ok definitivo, invece, al gasdotto Tap, che sarà ratificato a Baku (Azerbaijan) il 20 settembre. Infine c’è il ddl delega per il nuovo codice degli appalti: “Avremo le stesse regole in Italia come nel resto d’Europa: l’Italia ha il vezzo di ‘irrobustire’, e peggiorare, la normativa Ue. Siamo noi che abbiamo inserito troppe norme, con danno economico e mancanza di chiarezza”, ha spiegato il premier. Che ha anche promesso la conferma del bonus degli 80 euro “per i prossimi anni per undici milioni di italiani”.

Dieci mesi di tempo per far partire i cantieri delle opere finanziate - I 3,8 miliardi sono destinati alle “opere cantierabili da subito”, tra cui l’Alta velocita-Alta capacità Napoli Bari per cui, dice Lupi, “sono stati già stanziati 4,4 miliardi” su 6,7 di valore totale, e la ferrovia Palermo-Messina. I cantieri di entrambe le opere, è la “grande novità”, dovranno però partire entro l’1 novembre 2015 “pena la perdita del finanziamento”. Come già annunciato, l’ad del gruppo Fs Michele Mario Elia viene nominato commissario straordinario per supervisionare e, nei piani, velocizzare la realizzazione. Tra le opere che potranno usufruire di queste risorse anche la “linea C della metro a Roma, il completamento del passante ferroviario di Torino, la metrotranvia di Firenze, la metro di Napoli”. Sempre all’articolo 1 è previsto lo sblocco degli investimenti già stanziati per gli aeroporti di interesse nazionale, cioè Malpensa, Fiumicino, Firenze, Genova e Salerno, ”che per ‘n’ problemi vedono l’impossibilità di partire nella realizzazione”. L’intervento, secondo Lupi, vale “circa 4 miliardi”, anche se Renzi aveva parlato di 4,6.

Padoan non si sbilancia sulle risorse mobilitate: “Significative” – Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha commentato il contenuto del decreto dicendo che “stimola gli investimenti pubblici e privati, e lo fa sia mobilizzando risorse sia cambiando le regole e semplificandole”. Ma non si è sbilanciato sull’ammontare di risorse private che saranno mobilitate grazie al provvedimento: “Non lo so, ma riteniamo che possano essere significative”, è stata la sua risposta a un giornalista in conferenza stampa. Quanto all’impatto netto sulla finanza pubblica, “è pari a zero” perché gli interventi “sono a piena coperture, quindi non stiamo peggiorando la finanza pubblica”.

Spazio alle priorità dei sindaci“Le 1.617 mail ricevute dai sindaci”, ha detto ancora il presidente del Consiglio, “ricevono risposta”. Il riferimento è alle priorità indicate dai primi cittadini, che hanno chiesto soprattutto, ha spiegato Renzi, “‘Dammi spazio nel patto di stabilità’, e diciamo sì. ‘Dammi denari’, e se riesco te li do subito. ‘Aiutami perché ho la sovrintendenza che blocca dei lavori’. e ci impegniamo a convocare una conferenza dei servizi per sbloccare la situazione”.

Per le ristrutturazioni in casa solo comunicazione edilizia – Chi vuole fare lavori di ristrutturazione in casa non dovrà richiedere l’autorizzazione edilizia: sarà sufficiente una semplice “comunicazione edilizia all’amministrazione” e “immediatamente il cittadino ha il diritto di fare tutti i lavori che vuole in casa propria”.

Favorito l’accesso alle defiscalizzazioni per investimenti in project financing – Viene poi allargata la possibilità di accedere a defiscalizzazioni Irap e Ires per gli investimenti in infrastrutture previsti da contratti di partenariato pubblico privato e project financing. Cioè le opere pagate da privati che in cambio ottengono la gestione del progetto, con relativi incassi, per un certo numero di anni. “Abbiamo abbassato da 200 a 50 milioni il tetto per cui opere strategiche vi possono accedere”, ha spiegato Lupi.

Renzi a Baku per il via libera al Tap – Il 20 settembre Renzi sarà a Baku, in Azerbaijan, per il via libera al Trans adriatic pipeline (Tap), che è stato definitivamente sbloccato dal Cdm. Il gasdotto da 10 miliardi di metri cubi, che dalla fine del 2019 trasporterà il gas azero in Italia approdando in Puglia, dovrebbe servire per far fronte a problemi di approvvigionamento del gas russo. Ma cittadini e enti locali del Salento sono contrari all’approdo in provincia di Lecce.

Modifiche alle norme sulla Cdp – Renzi ha anche annunciato “modifiche alle norme della Cassa depositi e prestiti che a questo punto è dotata di regole come quelle degli altri Paesi europei”. “Estensione della garanzia per investimenti alle imprese”, il titolo della relativa slide. Padoan non ha spiegato molto di più, limitandosi a parlare di una “estensione del perimetro di azione” della Cassa “sia dal punto di vista della dotazione sia per quanto riguarda i settori d’intervento”. Cambiare le regole, ha sottolineato il ministro, non è irrilevante, come dimostra il successo dei minibond, che hanno raccolto sottoscrizioni per 1 miliardo in due mesi dopo l’intervento con il dl Competitività. Con lo Sblocca Italia, ha confermato il ministro, arriveranno anche nuove misure per la finanza per la crescita per facilitare l’emissione dei project bond. E si punta poi a “facilitare l’attività delle società immobiliari quotate anche per valorizzare il patrimonio immobiliare pubblico”.

Sostegno al made in Italy – Dal Cdm esce anche un pacchetto per il sostegno al made in Italy con particolare attenzione all’agroalimentare, al marchio unico e al contrasto all’Italian sounding) con cui si punta, ha spiegato il ministro dello Sviluppo Federica Guidi, a “un aumento di un punto del pil nel triennio 2015-2017″. Il piano prevede un pacchetto di “iniziative legate al supporto per l’internazionalizzazione”, in particolare delle pmi. “Il nostro obiettivo è di avere altre 20mila imprese esportatrici” rispetto al bacino attuale di 70.000 aziende che vendono oltre i confini nazionali. Il che dovrebbe fruttare “50 miliardi di export in più nei tre anni”.

Deflazione

Italia in deflazione, prima volta dal 1959. Disoccupazione luglio: 12,6%. Cancellata la flessione del mese di giugno. 3,22 milioni senza lavoro di Lucio Di Marzo

Torna a salire a luglio la disoccupazione, che tocca il 12,6%, in rialzo di 0,3 punti percentuali sul mese precedente e di 0,5 punti su base annua, cancellando la flessione segnalata a giugno e riportando il tasso ai livelli di maggio, di poco sotto i massimi storici. Per contro cala il tasso di disoccupazione nella fascia d'età tra i 15 e i 24 anni, al momento pari al 42,9% e dunque in calo di 0,8 punti percentuali su base mensile, tuttavia in rialzo nel confronto sui dodici mesi. 705mila under-25, secondo l'Istat, sono attualmente in cerca di lavoro. I dati rilevati mostrano una grande differenza tra le diverse aree d'Italia. Se si considera soltanto il Meridione, la disoccupazione è al 20,3%, in rialzo di 0,5 punti. Il numero degli occupati rispetto a giugno è sceso dello 0,2%, calando di 35 mila unità. Se si volesse fare una media, è come se ogni giorni mille persone avessero perso il loro posto di lavoro. La riduzione vale anche su base annua, dove fa segnare un -0,3% (71mila unità). Per la prima volta dal settembre del 1959, l'Italia ad agosto è entrata in deflazione. L'Istat ricorda che allora la variazione dei prezzi risultò negativa dell'1,1%, in una fase di 7 mesi di tassi negativi.

Se ne parla (a dire il vero da un bel pò) anche su Icebergfinanza.

martedì 26 agosto 2014

Si ha bisogno di cretini

Padoan: "ci siamo tutti sbagliati". No, tutti no di Maurizio Blondet

Grande il Ministro Pier Carlo Padoan: «Ci siamo tutti sbagliati. Intendo organizzazioni internazionali, Governi e via di seguito. Tutti prevedevamo una crescita maggiore per quest’anno nella zona euro e nessuno fino ad ora ci ha visto giusto». È recidivo: il 12 febbraio scorso, quando era ancora l’economista-capo dell’OCSE (l’organizzazione dei Paesi più industrializzati, grande ente sovrannazionale di imposizione delle politiche economiche), ammise candidamente che l’OCSE – cioè lui – avevano sbagliato totalmente le proiezioni, e per conseguenza avevano imposta all’Europa in recessione una cura che aveva aggravato la malattia. E ciò dal 2008 ad oggi. Questa cura era l’austerità, di cui Padoan («uomo di sinistra», dalemiano) è stato sostenitore dalla prima ora, non a caso proveniva dal Fondo Monetario. Ha fatto l’ammissione in un rapporto sulla crisi dell’eurozona (1) definito «post mortem» (non manca di umorismo macabro): «Il ripetuto aggravarsi della crisi del debito sovrano dell’area euro ci ha preso di sorpresa, per via del contraccolpo più forte di quanto ci si aspettava tra la debolezza bancaria e sovrana», disse. Traduciamo dalla neolingua: il Padoan, come tutti gli economisti internazionali impiegati negli enti sovrannazionali, adottò come vangelo il teorema Reinhart-Rogoff (due economisti di Harvard) secondo cui un debito superiore al 90% del Pil comprometterebbe irrimediabilmente il tasso di crescita di ogni economia; dunque austerità, rientrare dal debito, stringere la cinghia, svalutare i salari... peccato che un dottorando del Massachusetts, Thomas Herndon, abbia poi scoperto che i calcoli operati da Reinhart & Rogoff per dimostrare la loro teoria, erano inficiati da scelte metodologiche discutibili, e – inoltre – «da un banale errore sul foglio Excel».

Come adepto del dogma Reinhart-Rogoff, Padoan da capo-economista OCSE ne accettava un corollario fondamentale: si poteva tagliare la spesa pubblica senza paura di provocare depressione, perché un euro di taglio provocava «solo» un arretramento del Pil di 0,5 euro. Invece, come scoprì (anche lui con ritardo) nientemeno che il capo-economista del Fondo monetario, Olivier Blanchard, un euro di taglio della spesa provocava una perdita sul Pil non di 0,5 bensì di 1,5 euro: un effetto negativo tre volte superiore. Blanchard pubblicò il suo studio nel 2013. Padoan non ne prese atto. Nell’aprile 2013, in una intervista al Wall Street Journal, dichiarava: «Il consolidamento fiscale sta producendo risultati, il dolore sta producendo risultati». È stato dunque per lui – capirai, era il capo-economista OCSE – che abbiamo applicato (dal 2008 ad oggi, per sei anni) le politiche rovinose, le quali hanno aggravato il male e ridotto alla rovina economica il paese; anzi i Paesi, visto che adesso persino la Germania è a crescita zero, tutta l’eurozona è -0,2, sottozero.

Non basta, Padoan allora confessò: ci ha indotto in errore, soprattutto, la «ripetuta assunzione che la crisi dell’euro si sarebbe dissolta col tempo»: insomma che la malattia si sarebbe curata da sé, senza far niente. Sùbito dopo quest’ammissione, Padoan è stato messo a fare il nostro ministro dell’economia, dove ha continuato a ripetere lo stesso errore. E intanto è passato un altro anno, anzi più, da quando Blanchard aveva scritto che si trattava di uno sbaglio, e grave. Il bello di Padoan è che riconosce, ogni tanto, di aver sbagliato, di essere una schiappa in economia e di fare previsioni errate sulla nostra pelle collettiva. Il brutto è che dice: «Tutti abbiamo sbagliato». Eh no. Altri non sbagliavano. Per dirne uno, l’economista Jacques Sapir ad esempio, già nell’ottobre 2012 (2) spiegava che i metodi di calcolo neo-liberisti su cui basavano le ricette austeritarie, metodi in cui Padoan credeva, «non poggiano su nessuna base seria».

Già allora prevedeva che, obbedendo ai diktat degli economisti sovrannazionali, «la politica scelta dal Governo Hollande conduce il Paese ad una impasse e lo affonderà in una grave recessione, però senza raggiungere gli obbiettivi di deficit che s’era fissato», il leggendario 3% del Pil. Adesso, l’impasse prevista da Sapir si realizza, la Francia è a crescita zero (0), il suo deficit supera il 4% e dovrà chiedere per pietà a Berlino di chiudere un occhio... cosa che Berlino non concederà, perché se già non voleva pagare il vantaggio del «suo» euro quando ci guadagnava, sarà ancora meno disposto adesso che sta rallentando con le sue eccezionali esportazioni... La Germania perderà anche la terza guerra europea, e per lo stesso motivo: la tirchieria.

Che dico Sapir? Bastava leggere sul Telegraph il giornalista Ambrose Evans-Pritchard, che ha previsto benissimo tutto quel che è successo all’eurozona e sta succedendo. Quanto ai blogger senza titoli né cattedre accademiche né stipendio dell’OCSE, quelli che hanno previsto prima e meglio di Padoan sono legione: da Paolo Barnard agli amici di Scenari Economici, da Gustinicchi (uno del 5 Stelle) a ignoti che scrivono con pseudonimi pazzerelli (GPG Imperatrice Oscura, Joe Black, Minonea), tutti sapevano e prevedevano esattamente – per dire – che l’euro ci stava rovinando, de-industrializzando, facendo sì che la Germania rubasse quote di mercato all’industria italiana.

Se posso aggiungermi, modestamente, anch’io sono in grado di pronunciare la detestabile frase: «Ve l’avevo detto!». Giusto per elencare un po’ di titoli a caso da EFFEDIEFFE:

«Sull’euro, pensare l’impensabile Conviene anche all’Italia cominciare a pensare a sé stessa, e a concepire l’impensabile: ossia a fare default sul suo debito, e simultaneamente ad uscire dall’euro»: data, 29 gennaio 2009. Capite? Cinque anni fa.

«Salvano l’euro distruggendo gli europei. E forse nemmeno l’euro», è del 12 gennaio 2011.

«Fuori Berlino dall’euro,e presto!», lo gridavo nel luglio 2011, quando la situazione italiana non era ancora del tutto compromessa.

«Ora il mal d’euro attacca la Francia» sono stato capace di prevederlo il 3 novembre 2012.

«L’UE, prigione dei popoli», datato 18 gennaio 2012. Non continuo perché non finirei più, i lettori lo sanno quanto li ho annoiati con le mie analisi economiche e le mie critiche all’eurocrazia.

Voglio dire: no ministro Padoan, non ci siamo sbagliati «tutti». Anzi persino il sottoscritto ha avuto più ragione di lei. S’è sbagliato lei. Il motivo per cui al posto di Padoan non c’è, poniamo, un Sapir, né l’OCSE apre le sue porte a un Paolo Barnard (che sicuramente farebbe meglio), non è banale come sembra. Indica che quasi tutte le persone senza potere sono in grado, applicandosi, di scoprire la verità. Per questo non l’OCSE, il FMI, la UE non ne ha bisogno: appunto perché sono tante, e se gli occorre possono prenderne a mazzi con pochi soldi. La merce rara sul mercato, quella che veramente sono disposti a pagare bene al Fondo Monetario, alla BCE o a Bruxelles, sono quelli che non si permettono di avere idee. Il vantaggio competitivo di questi tipi umani alla Padoan, alla Draghi o alla Schioppa, consiste in un preciso abito mentale: di fronte a un’idea, non si domandano «sarà vera»? Sarà la soluzione? Quel che si domandano è, anzitutto, questo: è consona al potere? Qualunque potere, il Sistema, Berlino, Francoforte, la Loggia, chiamatelo come volete. E siccome sono bravissimi a valutare le verità che il Sistema non accetta, non si permettono di proporle anzitempo. Anzi: si vietano addirittura di pensarle, di albergarle nella mente.

Solo per questa loro abilità essi sono tanto pregiati, pagati e elevati essi stessi – cooptati – a posti di potere. È il potere che, in questa fase storica, esclude l’intelligenza. Il che comporta che le misure economiche necessarie ed urgenti arrivino sistematicamente in ritardo; e che questi ritardati (ritardatari) provochino errori tragici e comici, come quelli di Padoan all’OCSE; o come quelli di Claude Trichet che, capo della Banca Centrale Europea, aumentò i tassi proprio all’inizio della crisi recessiva, quando doveva abbassarli; o come Steinmeyer della Bundesbank, che continua ad ordinarci «austerità e compiti a casa». Ma al Sistema (Loggia, Berlino, chiamatelo come volete) importa poco, perché mica sono loro a soffrire dei loro errori: sono i popoli, le società, i sudditi.

Si potrebbe fare della filosofia su questa realtà, per cui il potere apprezza, promuove e valuta molto alti i cretini, almeno questo genere di cretini che volontariamente non arrivano mai troppo presto alla verità, perché nuoce alla carriera. La vecchia propaganda a favore della democrazia diceva che l’elezione avrebbe garantito l’arrivo al potere dei migliori, invece di figli di re che potevano essere dei subnormali... Lo stesso si dice, o insinua, oggi che la democrazia non serve più al Sistema, della tecnocrazia: il potere dei competenti, economisti, banchieri, è preferibile a quello dei «rappresentanti del popolo» ignoranti e pressapochisti. Il risultato sono i Barroso, i Van Rompuy, i Trichet, i Padoan, i Monti e i Draghi. Credete che Draghi sia intelligente? Ma sono mesi che il Telegraph (per dirne uno) segnala il rischio di deflazione, e lui dice che tutto è a posto. Anzi, persino il sottoscritto ha spiegato che Draghi dovrebbe essere tenuto, dagli statuti della BCE stessi, a fare inflazione (entro il 3%) aumentando la massa monetaria, mentre lui la tiene apposta – perché così vuole Berlino – in continua diminuzione, strangolando tutta l’economia dell’eurozona.

Ma Draghi lo fa apposta? (3) , scrivevo il 29 febbraio 2012: «Perché Draghi – così generoso con le sue banche – insiste con una politica deflazionista, mentre siamo già in piena deflazione?». Il primo aprile di quest’anno, 2014, son tornato a scrivere: «Draghi obbedisca (agli statuti della BCE)», spiegando «L’Italia può ingiungere alla Banca Centrale Europea, a Draghi e al suo Comitato centrale, di stampare euro per portare l’inflazione al 2%. (...) Sono gli stessi statuti sacri ed inviolabili della BCE che le danno il compito di modulare la massa monetaria, in modo da tenere il tasso d’inflazione «attorno al 2%» (che può essere anche poco meno del 3). Ebbene, a febbraio l’inflazione nell’eurozona è stata dello 0,7. La stessa BCE prevede che non sarà, a fine anno, che dell’1,5%, ed è ottimista...».

Nulla, nessun effetto naturalmente. Finché, sei mesi dopo, il 17 agosto, parlando alla BBC, il ministro Padoan dice, con grande autorità: «Tutti gli attori in campo facciano la loro parte, anche la BCE; il che significaportare l'inflazione nuovamente vicina al 2%». E tutti i media ad applaudire: vedi, ecco che la canta chiara a Draghi, eco un decisionista, uno con le palle e le idee... Vi aspettate che adesso mi metta a piagnucolare: «Ma l’avevo detto prima io...»? No, nient’affatto. Conosco i miei difetti, quelli che mi hanno impedito di far carriera: avere ragione in anticipo. Mai commettere questo errore, insegnatelo ai vostri figli. Quello, scoprire l’evidenza e vedere il problema e la soluzione, lo sanno fare quasi tutti, se si applicano. Ad essere raro e prezioso è la capacità di aver ragione con sei mesi di ritardo – ossia esattamente quando il potere ha deciso che sì, stavolta la BCE deve stampare un po’, riportare l’inflazione al 2%. Né prima né dopo. È di cretini che si ha bisogno, nei piani alti del potere.

NOTE

1    http://www.ft.com/cms/s/0/a4b1e3aa-9320-11e3-8ea7-00144feab7de.html#axzz3AkapUWVX
2    http://russeurope.hypotheses.org/300
3    http://www.effedieffe.com/index.php?option=com_content&task=view&id=76008&Itemid=141

giovedì 21 agosto 2014

Bruxelles, Bruges, Bruxelles, andata e ritorno

15/20° di giorno e 8/11° di notte. I piumini 100 grammi hanno fatto il loro sporco lavoro e il tempo, in parte è stato molto clemente... considerato che in belgio, ci hanno assicurato, piove quasi sempre. Dicono che Bruges o Brugge, sia la Venezia del Nord. Oddio, non farei proprio un paragone simile perchè sono già molto diverse architettonicamente e quindi non paragonabili secondo me. Ma, inutile disquisire sul cosa è Bruges. Bisogna vederla e basta. La prima cosa che abbiamo visto uscendo dalla stazione, sono state le tre torri. Imponenti e bellissime. E poi, abbiamo visto tutto il resto compresi i mulini a vento. Postare qualche foto non sarà semplice e non so nemmeno da dove cominciare. L'errore madornale di questa vacanza, è stato il passaggio a Bruxelles all'arrivo e alla partenza. Dovevamo arrivare direttamente a Bruges e basta. Ma gli errori, piccoli, si possono fare, no?

Durante la navigazione (immagine con filtri)


Il markt


Il Belfort (la torre con 47 campane)


I tetti


Vista da un ponte


Uno dei quattro mulini a vento (immagine con filtri)


Cattedrale di San Salvatore (immagine con filtri)


Lungo i canali (immagine con filtri)


Mercato del pesce (immagine con filtri)


Una cioccolateria (immagine con filtri)


Chiaroscuro


Beijnhof (immagine con filtri)


Beijnhof


Chiesa di Nostra Signora

giovedì 14 agosto 2014

Swoshhh...

... 5 giorni per andare e tornare. 5 giorni per andare a zonzo in belgio tra Bruxelles, Gant e Bruges. Una piccolissima vacanza. E dunque, buon ferragosto a tutti!

lunedì 11 agosto 2014

Senigallia Summer Jamboree 2014

... finalmente vestita per la prima volta come una rockabilly pinup. Un caldo soffocante e un casino di gente. Senigallia non si aspettava probabilmente tanto pienone e nemmeno io. Meglio così.

Prima di partire...stavo imitando (per chi non avesse capito) la pinup di questo poster


Una coppia


Quando si è carine davvero


Prove

Famigliola rockabilly


Ballare lo swing


Luci di senigallia

sabato 9 agosto 2014

L'italia e fonzie renzie

La troika e il Mostro di Firenze. La vecchia sta morendo di fame, di sete e di malattia, ma il suo nipotino, detto il Mostro di Firenze - nel senso latino di monstrum, prodigio -, gli sta ricamando un bel golfino con le iniziali (di lui) di Marcello Veneziani

La vecchia sta morendo di fame, di sete e di malattia, ma il suo nipotino, detto il Mostro di Firenze - nel senso latino di monstrum, prodigio -, gli sta ricamando un bel golfino con le iniziali (di lui). Questa è l'impressione della gente riguardo alla riforma del Senato. Non si coglie il nesso tra i guai della vecchia Italia e la riforma renziana. Quasi tutti gli italiani si augurano che abbia ragione lui, sperano che stia prendendo larga la curva per farla meglio. Ma quasi tutti pensano che il Paese sia finito, si tratta solo di vedere come va a finire. È inutile menarsela e girare intorno, è questo il pensiero recondito degli italiani, che a volte traspare. Lo avverto girando l'Italia d'agosto a presentare libri da nord a sud. Ciascuno pensa a una soluzione ma non ha il coraggio di dirla perché è drastica: si chiama dittatura o dominazione straniera. Ogni italiano ha la sua troika in mente, come Scalfari, del resto.

Qualcuno con pieni poteri, anche a tempo, anche col voto, ma pieni poteri, in grado di nominare trenta tiranni per tirare su il Paese a schiaffi in ogni settore cruciale. O un invasore, una potenza straniera, che espliciti il nostro destino di colonia e ci governi in modo tosto, senza mediazioni, paralisi e veti incrociati. Questo è il retropensiero degli italiani, di quelli che votavano a destra, a sinistra e perfino dc. Grillo fu solo un aperitivo. Non lo dicono, a volte lo temono perché l'unico freno a quel pensiero è che arrivano sempre le dittature degli altri, mai quella che vuoi tu.

Dell'italia che non tutela gli italiani

Crolla l'imprenditoria italiana, festeggiano gli immigrati cinesi. Tra il 2012 e il 2013 le imprese straneiere sono aumentate del 3,1%. Al top sono i marocchini: sono più di 72mila. Ma il vero boom è dei cinesi di Franco Grilli

Almeno una parte dell’imprenditoria del nostro Paese sembra non aver conosciuto la crisi economica. Le imprese guidate da stranieri, che tra il 2012 e il 2013 sono aumentate del 3,1%, hanno toccato in valore assoluto quota 708.317. Quelle condotte da cinesi, in particolar modo, hanno addirittura registrato un vero e proprio boom: sono aumentate del 6,1% superando di poco la soglia delle 66mila unità. Niente a che vedere con lo sconfortante risultato conseguito dalle imprese italiane che, purtroppo, sono diminuite dell’1,6%.

Quello tracciato dall'Ufficio studi della Cgia di Mestre è uno studio drammatico che segna tutto il malessere dell'imprenditoria strozzata dall'eccessiva pressione fiscale e dai svilenti gangli della burocrazia statale. E, in questo panorama, gli imprenditori stranieri hanno la meglio. Degli oltre 708mila imprenditori stranieri presenti nel nostro Paese, il Marocco è il Paese di provenienza che ne conta il maggior numero: 72.014. Segue la Romania, con 67.266 e, subito dopo, la Cina, con 66.050. Quest’ultima etnia ha "stuzzicato" l’interesse degli analisti della Cgia che hanno poi lavorato all'approfondimento. Rispetto al 2008 le attività economiche cinesi presenti in Italia sono aumentate addirittura del 42,9% contro un incremento medio dell’imprenditoria straniera che si è attestata al 23,1%. I settori maggiormente interessati dalla presenza degli imprenditori provenienti dall'Impero celeste sono il commercio con quasi 24.050 attività, il manifatturiero con poco più di 18.2000 imprese e la ristorazione-alberghi e bar con oltre 13.700 attività. Ancora contenuta, ma con un trend di crescita molto importante, è la presenza di imprenditori cinesi nel settore dei servizi alla persona: parrucchieri, estetiste e centri massaggi. Il numero totale è di poco superiore alle 3.400 unità, ma tra il 2012 ed il 2013 l’aumento è stato esponenziale (+34%).

"Sebbene in alcune aree del Paese esistano delle sacche di illegalità che alimentano il lavoro nero e il mercato della contraffazione - dichiara il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi - non dobbiamo dimenticare che i migranti cinesi si sono sempre contraddistinti per una forte vocazione alle attività di business. I cinesi, infatti, nel momento in cui lasciano il Paese d’origine, sono tra i migranti più abili nell’impiegare le reti etniche per realizzare il loro progetto migratorio che si realizza con l’apertura di un’attività economica". La vocazione imprenditoriale degli immigrati cinesi è, infatti, fortissima. Se l’incidenza degli imprenditori stranieri sul totale dei residenti stranieri presenti in Italia è pari al 14,4%, quelli cinesi sono addirittura il 29,6%: su oltre 223mila cinesi residenti in Italia, ben 66mila guidano un’attività economica. La Lombardia, con oltre 14mila attività, è la regione più popolata da aziende guidate da imprenditoriali cinesi. Seguono la Toscana, con poco più di 11.800 attività, il Veneto, con quasi ottomila e l’Emilia Romagna, con oltre 6.800. In queste quattro Regioni si concentra oltre il 60% del totale degli imprenditori cinesi presenti nel nostro Paese. Lo scorso anno, infine, si è verificato un forte calo delle rimesse: l’ammontare complessivo delle somme di denaro inviate verso la Cina dagli immigrati cinesi presenti in Italia è stato di 1,10 miliardi di euro. Meno della metà dell’importo registrato nel 2012 (2,67 miliardi di euro). "Da sempre - conclude Bortolussi - le principali aree di provenienza dei migranti cinesi sono le province del Sud Est del paese: Zhejiang, Fujian, Guangdong e Hainan. Per queste persone, la ricerca del successo si trasforma in una specie di debito morale nei confronti della famiglia allargata e degli amici che da sempre costituiscono un sostegno irrinunciabile per chi vuole emigrare. Non è un caso che nonostante la contrazione registrata nel 2013, l’etnia cinese continui ad essere al primo posto nel flusso di rimesse verso il Paese d’origine".

venerdì 8 agosto 2014

Qualche foto

Una famiglia ben inserita in italia

Perugia, mutilazioni dei genitali alle figlie di 4 e 10 anni. Coniugi nigeriani accusati di concorso in lesioni personali: "Infibulazione fatta all'estero" di Sergio Rame

Due bimbe di quattro e dieci anni sono state sottoposte all'infibulazione. La mutilazione dei genitali è stata decisa dai genitori, entrambi di origine nigeriana ma residenti in un piccolo centro della provincia di Perugia, che per questo sono stati messi agli arresti domiciliari dai carabinieri. Concorso in lesioni personali aggravate il reato ipotizzato a loro carico. L’indagine coordinata dal sostituto procuratore perugino Massimo Casucci sta ancora cercando di delineare i contorni della vicenda.

I due coniugi hanno ammesso con gli investigatori di avere sottoposto le figlie alla pratica nel corso di un viaggio in Nigeria. Sono stati però arrestati in quanto le bambine sono nate e residenti in Italia. "La legge numero sette del 9 gennaio del 2006 - hanno ricordato gli stessi investigatori - ha infatti introdotto un articolo specifico per le pratiche di mutilazioni degli organi genitali femminili". Prevedendo la reclusione da quattro a 12 anni per chiunque in assenza di esigenze terapeutiche la cagiona. Gli accertamenti dei carabinieri del comando provinciale di Perugia, guidato dal colonnello Angelo Cuneo, sono stati avviati dopo una normale visita delle figlie della coppia del medico di una Asl fuori dall’Umbria. È stato lui ad accorgersi delle mutilazioni e a rivolgersi ai servizi sociali che a loro volta hanno allertato i militari.

Secondo gli investigatori, i coniugi sono "sicuramente soggetti a condizionamento geografico-culturale". I due risiedono comunque regolarmente in provincia di Perugia dove lavorano. Entrambi sono risultati incensurati. Una famiglia "ben inserita" nel territorio sociale e integrata con esso. Tra i particolari ancora da chiarire quando sia stata praticata l’infibulazione. Per questo le indagini continuano "con il massimo impegno" per arrivare a chi ha materialmente eseguito la pratica. Anche se, come detto, questo è avvenuto all’estero. "L’infibulazione è di fatto la peggior forma di mutilazione del corpo femminile", ha spiegato Saverio Arena, ginecologo dell’ ospedale di Perugia. La donna viene generalmente sottoposta alla pratica "da piccola e poi così presentata al futuro marito". "Il danno è una forte menomazione della donna - ha spiegato ancora il dottor Arena - e ad essa si associa una grande compromissione della sensazione di piacere".

Il criminale


Se metti in acqua diciotto barche con buchi sotto la chiglia e queste iniziano ad affondare, mi sembra ridicolo che tutti puntino lo sguardo su quella che affonda più in fretta, piuttosto che considerare il fatto che sono state tutte costruite da incompetenti, ed è il cantiere cialtrone che va chiuso. Mario Draghi regge il cantiere Eurozona dove tutti, e tutto, sta affondando, ma gli viene comodo imbrogliare i media e il pubblico puntando il dito sulla barca Italia che affonda un po’ più delle altre. La crescita dell’Eurozona, dopo 14 anni di gran promesse, è pietosa, non riesce mai a superare quel triste zero virgola, mentre la Gran Bretagna cresce come basilico al sole; la deflazione europea è fuori controllo, cioè i prezzi crollano di minuto in minuto perché non c’è domanda, e tutti i gran proclami di Draghi per frenare questa valanga sono stati accolti dai mercati e dai consumatori come ridicolaggini, fra l’altro disoneste perché tutte tese solo a favorire speculazioni finanziarie; le cosiddette “riforme” tanto invocate da Draghi come pozione magica di salvezza, non hanno salvato nessuno dei Paesi che le hanno fatte: Finlandia (ottavo mese a crescita zero), Olanda (terza recessione dal 2009), Francia (record disoccupazione e crollo immobiliare + manifatturiero storici), Belgio (consumi a tasso negativo, crescita 0, commissariato dalla UE) e Germania (crollo ordini industriali a -4%, PIL in calo, stipendi stagnanti da 10 anni, il suo calo di domanda interna deprime tutto l’export europeo). Poi le gloriose riforme di Draghi e dell’Eurozona hanno infilato nella calza della Befana anche il più alto tasso di disoccupazione europea dalla nascita dell’euro (Eurostat). Vi basta? Ah! Dimenticavo, le banche, proprio quelle regolamentate da Mario Draghi che oggi dispensa ricette severe su come curarci. Bé, la maggioranza delle banche europee sono marce, ma veramente, cioè di fatto fallite. Leggete bene:

A) La Bank of International Settlements ci dice in un rapporto che “le banche in Europa non sono riuscite a rimediare alla loro catastrofica esposizione a prestiti che saranno inesigibili perché gli indebitati sono al collasso”. E  il collasso è proprio opera della Troika di Draghi e delle sue Austerità, come ormai ammettono anche Goldman Sachs e gli Hedge Funds.

B) Reuters ci dice che le stesse banche europee con buchi contabili che si vedono dalla Luna, hanno prestato 3.000 miliardi di dollari ai Mercati Emergenti, e che sarà difficile che li riavranno indietro… Poi indovinate a chi, per questo motivo, le medesime banche diranno no al mutuo o al finanziamento? A voi, a voi, e infatti registriamo il più alto declino nei prestiti bancari alle famiglie dal 2008.

C) Il 90% dello strombazzato calo dello spread e degli interessi sui titoli di Stato dei Paesi come Spagna, Irlanda o Italia, ci dice uno studio di Bloomberg, non è dovuto a reali progressi dell’economia di quegli Stati, ma ai trucchi speculativi di Mario Draghi alla BCE. Quindi aria fritta, che Renzi oggi usa per infinocchiare i soliti poveri italiani.

D) E gran finale, il Financial Times ci informa che le banche più fallite di tutta l’Europa non sono quelle spagnole o italiane, ma quelle tedesche.

Ora, mi si perdoni se a fronte di questo sfacelo mi sento di scrivere all’esimio Draghi un plateale “stattene zitto”. Chi legge la stampa finanziaria internazionale sa che Mario Draghi è costantemente citato come il peggior governatore di Banca Centrale della Storia. Ci si chieda: perché l’Italia della metà degli anni ’90 – che non  faceva la riforme di Draghi, che non strisciava supina di fronte a Bruxelles, che usava la spesa pubblica molto ma molto più di oggi… perché veniva definita da Standard & Poor’s come “economia leader d’Europa”? Allora Mario, che ci rispondi? Avevamo l’Eurozona allora? No. Avevamo invece il triplo della spesa pubblica di oggi, che come i veri economisti sanno è l’attivo di tutto il settore privato di cittadini e aziende. Oggi la folle dittatura delle Austerità  ha stroncato la spesa pubblica, e stroncati affondiamo. Tutto qui.

martedì 5 agosto 2014

Alfano, l'imam e israele

Angelino Alfano... Che eroe! Espelle un imam che in Italia ha osato predicare contro Israele non curandosi di tutti gli altri imam e non che sputano contro gli italiani e devastano l'Italia mentre, continua ad andarli a raccogliere con la sua folle operazione mare nostrum.

domenica 3 agosto 2014

Ringraziando Alfano-Letta-Renzi

Un articolo su Ebola.

Immigrazione, rivolta nel Cie di Pian del Lago. In sessanta tentano la fuga. Nel Cie in provincia di Caltanissetta sassi e bottiglie contro la polizia, mentre 60 migranti provavano a scappare con una corda di lenzuola appesa alla recinzione. A Ragusa arrestati i sette scafisti responsabili dello sbarco a Pozzallo di 250 profughi

Circa sessanta immigrati hanno tentato la fuga e hanno dato vita a una sassaiola nei confronti delle forze dell’ordine. E’ successo al Centro di identificazione ed espulsione di Pian del Lago, a Caltanissetta, nella struttura che ospita 90 migranti. Intorno alle 3  - secondo quanto ricostruito dalla polizia – il gruppo di migranti si è diretto verso la recinzione, e ha issato una corda realizzata con lenzuola sull’estremità superiore. Nel frattempo altri migranti hanno lanciato mattoni, infissi e bottiglie contro polizia, carabinieri e militari dell’esercito a guardia della struttura. Altri ospiti, invece, dopo aver sfondato la porta della cucina, hanno preso l’estintore e lo hanno usato contro le forze dell’ordine. Negli scontri sono rimasti feriti tre carabinieri, due militari dell’esercito e due poliziotti. La contestazione è stata fermata con i lacrimogeni.

A Ragusa, invece, sono stati arrestati i sette scafisti egiziani accusati dello sbarco dei 295 migranti, tra i quali 100 minori, approdati giovedì sera nel porto di Pozzallo. L’identificazione è stata resa possibile dalle testimonianza dei migranti, ai quali gli scafisti avevano fatto giurare sul Corano di non rivelare la loro identità una volta giunti in Italia. Secondo quanto riportano le stesse testimonianze i sette egiziani, minacciando i genitori, si sono fatti consegnare i figli per fingere di fare parte del gruppo di profughi siriani in viaggio. A tradirli è stato il pianto dei bambini che ha insospettito la polizia. I migranti hanno raccontato di essere partiti da una piccola spiaggia egiziana a bordo di lance di piccole dimensioni a gruppi di 25 per essere Poi trasferiti su un peschereccio più grande. Il viaggio sarebbe costato 3000 dollari a persona. Uno dei testimoni siriani che ha contribuito all’identificazione ha riferito che “tramite Facebook, e precisamente su una pagina dedicata ai rifugiati siriani nel mondo” aveva saputo “della possibilità di raggiungere l’Europa, illegalmente”.

I pasticci dell'autustico bimbominkia

Dl Pubblica amministrazione, su coperture la Ragioneria dà ragione a Cottarelli. I tecnici del ministero dell'Economia hanno espresso rilievi sulla norma per salvaguardare 4mila esodati della scuola, la cosiddetta "quota 96" criticata dal commissario alla spending review perché le risorse vengono individuate in risparmi di spesa ancora da conseguire. "La disposizione risulta scoperta in termini di fabbisogno ed indebitamento netto". Brunetta attacca: "Riforma bocciata, occorre cambiare il testo e rimandarlo alla Camera". Ma il decreto va convertito entro il 24 agosto

Problemi in vista per il decreto Madia sulla riforma della Pubblica amministrazione. La commissione Affari costituzionali del Senato ha terminato sabato la discussione sul testo approvato dalla Camera con la fiducia, e domenica pomeriggio scadono i termini per la presentazione degli emendamenti. Ma il governo deve fare i conti con pesanti rilievi della Ragioneria generale dello Stato sulle coperture. Uno schiaffo per Matteo Renzi, perché i tecnici del ministero dell’Economia hanno espresso dubbi proprio sui punti oggetto, due giorni fa, delle critiche del commissario per la spending review Carlo Cottarelli. In particolare la cosiddetta “quota 96", cioè il via libera al pensionamento di 4mila insegnanti che hanno raggiunto 61 anni d’età e 35 di servizio o 60 anni d’età e 36 di servizio e la cui uscita è stata bloccata dalla riforma Fornero. Ma non solo: “Sono finite nel mirino del Mef anche le disposizioni sul pensionamento d’ufficio a 68 anni dei professori universitari, la cancellazione delle penalizzazioni introdotte dalla legge Fornero per le uscite anticipate dal lavoro e i benefici alle vittime di atti di terrorismo”, attaccano Renato Brunetta, presidente dei deputati di Forza Italia, e Rocco Palese, capogruppo azzurro in commissione Bilancio. In effetti la Ragioneria, nella nota tecnica inviata al Senato, scrive che il pensionamento d’ufficio dei professori universitari determina “oneri non quantificati né coperti, in termini di anticipazione della corresponsione dei trattamenti di pensione e di fine servizio”.

Quanto alle coperture previste per la salvaguardia degli esodati della scuola, la quantificazione “non è sufficiente a coprire i possibili effetti finanziari che possono derivare dal superamento del limite delle 4mila unità” previste dal provvedimento. Per di più il testo del ministro Madia, come aveva fatto notare Cottarelli, individua le risorse “nella spending review”, cioè in risparmi ancora da conseguire, e in “accantonamenti di spesa previsti dalla legge di Stabilità 2014″. Abbastanza per far dire ai tecnici che “la disposizione risulta scoperta in termini di fabbisogno ed indebitamento netto”. Non solo: per la cancellazione dei disincentivi introdotti dalla legge Fornero per le uscite anticipate dal lavoro, la relazione tecnica al decreto legge Madia stima uscite di un milione per 2014, tre milioni per il 2015 e 7 milioni per il 2016. I conti rivisti dalla Ragioneria prevedono al contrario 5 milioni per il 2014, 15 per il 2015 e 35 per il 2016. Infine, secondo i tecnici del Tesoro è “sottostimata” la quantificazione di un milione di euro dal 2014 per i benefici alle vittime di atti di terrorismo.

Secondo Brunetta “la Ragioneria boccia la riforma” e “adesso occorrerà cambiare nuovamente il testo, trovare le coperture necessarie per i provvedimenti contenuti nel decreto, approvarlo al Senato e rimandarlo, per un nuovo passaggio, alla Camera”. Non la pensa così il relatore al dl Giorgio Pagliari (Pd), che ha evidenziato come il passaggio sia “delicato” e i tempi siano “stretti”: il dl va convertito entro il 24 agosto e dovrebbe approdare in aula a Palazzo Madama entro mercoledì. “Non credo in questa fase di presentare emendamenti”, ha detto quindi Pagliari, ma si “valuteranno quelli che arrivano dai diversi senatori”.

Risarcimenti ai detenuti

A parte il fatto che il provvedimento è stato ottenuto con l'ennesima fiducia ma, l'autistico bimbominkia, pochi giorni fa aveva annunciato che con tutta probabilità, gli 80 euro da elargire a partite iva e pensionati non ci sarebbero stati e poi, trova (e ancora non si sa dove... aumenti accise benzina e sigarette?) i soldi da dare per risarcire i detenuti che in carcere sono stati... male...

E Matteo dà la mancia anche ai detenuti. Arriva il risarcimento di 8 euro per i carcerati. Insorge la Lega: "Indulto mascherato" di Anna Maria Greco

Roma - Otto euro di risarcimento per ogni giorno trascorso in carcere in «condizioni disumane». Con il voto di fiducia (il numero 17) il Senato converte in legge il decreto sul sistema penitenziario che, oltre agli indennizzi per i detenuti, contiene una stretta sulle misure cautelari, un aumento del numero di magistrati di sorveglianza e agenti penitenziari, interventi che riguardano il settore minorile. Il testo, già approvato dalla Camera, completa il pacchetto di norme per affrontare il sovraffollamento delle celle, che ha portato alla condanna dell'Italia da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo, con la sentenza «Torreggiani».

Il governo tira un sospiro di sollievo dopo i 162 sì a palazzo Madama (39 no ed un astenuto) e il ministro della Giustizia Andrea Orlando invita a riflettere su quanto avrebbe pesato per il nostro Paese una nuova condanna per violazione dei diritti umani, proprio quando si apriva il semestre di turno di presidenza dell'Ue. Ma le polemiche non mancano, anche per il nuovo ricorso al voto di fiducia. La Lega che accusa l'esecutivo di stare «dalla parte di Caino», il M5S vede nel decreto solo un «indulto mascherato» e anche qualcuno del Pd parlano di norma «perfettibile», di migliori soluzioni da trovare nell'ambito di quella «riforma organica della giustizia» di cui parla Orlando, ora che l'emergenza è stata tamponata e continua a diminuire il numero dei detenuti: scesi a 54.414 quando a giugno erano oltre 58mila e la capienza sarebbe di 49.402 posti. Ai senatori del Carroccio, che distribuiscono finte banconote da 8 euro e ai grillini che protestano, il Guardasigilli risponde che è ingiusto parlare di «paghetta» ai detenuti, che non ci sono amnistie striscianti e che deve diminuire «il tasso di propaganda» per affrontare insieme i gravi problemi del settore. Oltre ai soldi per chi è già fuori sono previsti sconti di pena per i detenuti : se la pena è ancora da espiare è previsto un abbuono di un giorno ogni 10 passati in celle sovraffollate. Fino al 2016 per i risarcimenti saranno disponibili 20,3 milioni di euro.

C'è poi il divieto del carcere per chi va incontro ad una pena non superiore ai 3 anni: il giudice, per esigenze cautelari, potrà applicare solo gli arresti domiciliari, salvo che manchi un luogo idoneo. Ma vengono esclusi gli accusati di delitti ad alta pericolosità sociale, come mafia e terrorismo, rapina ed estorsione, furto in abitazione, stalking e maltrattamenti in famiglia e ribadito il divieto assoluto di carcere preventivo e domiciliari nei processi che si chiuderanno con la sospensione condizionale della pena. Quanto ai minori, le norme di favore sui provvedimenti restrittivi si estendono a chi non ha ancora 25 anni, mentre oggi era 21. Sempre che il giudice non ritenga gli interessati socialmente pericolosi. Non sarà più necessaria la scorta per chi lascia il carcere e va ai domiciliari, salvo esigenze processuali o di sicurezza. Se l'organico dei magistrati di sorveglianza è scoperto di oltre il 20 per cento, il Csm in via eccezionale destinerà a questo ruolo anche i giudici di prima nomina. È anticipata al 31 luglio la scadenza del commissario straordinario per l'edilizia penitenziaria. Gli agenti penitenziari aumentano di 204 unità, con meno ispettori e più agenti. Per due anni vietati comandi e distacchi del personale Dap presso altri ministeri o amministrazioni pubbliche.