lunedì 31 marzo 2014

La demenziale follia di madonna boldrini

La presidente della camera alla presentazione del rapporto che registra il crollo dell’afflusso turistico. «Non si può offrire servizi di lusso ai turisti e trattare male i migranti». Boldrini: «Le politiche per il turismo andrebbero pensate in modo integrato con le altre politiche»

Un’affermazione da interpretare. E che sicuramente farà discutere. «Non possiamo, senza una insopportabile contraddizione, offrire servizi di lusso ai turisti affluenti e poi trattare in modo, a volte inaccettabile i migranti che giungono in Italia dalle parti meno fortunate del mondo, spesso in condizioni disperate» afferma la presidente della Camera Laura Boldrini. «Le politiche per il turismo andrebbero pensate in modo integrato con le altre politiche rivolte all’accoglienza degli stranieri che vengono da noi per ragioni di lavoro, di studio, di cura o semplicemente alla ricerca di pace, di diritti e di sicurezza» ha aggiunto la Boldrini.

Rapporto

Boldrini, ha aperto il suo intervento alla presentazione del Rapporto 2014 di Italiadecide, «Il Grand Tour del XXI secolo - L’Italia e i suoi Territori», in corso nella sala Regina di Montecitorio. Rapporto che, come evidenziato dal Corriere in un articolo di Gian Antonio Stella, vede l’Italia aver perso in 64 anni, significative quote del turismo mondiale (dal 20% al 4,4%). Perdita di quote di mercato però che secondo il rapporto, sembrano dovute soprattutto ad un calo della qualità media dei nostri servizi al turismo. Per Boldrini invece il Paese deve dare «l’esempio concreto di una cultura dell’accoglienza che sia integrale, a 360 gradi, e che sappia misurarsi con la sfida della globalizzazione, quella sfida che porta con sé, come è ovvio, anche maggiori opportunità di circolazione delle persone, e non soltanto delle merci, dei capitali delle informazioni».

*************** 
Peccato però che i turisti paghino per gli alberghi di lusso... Meglio toglierci dai coglioni quegli stronzi danarosi turisti e tenersi la feccia nordafricana, vero signora?

mercoledì 26 marzo 2014

L'imbecille e la cittadinanza agli immigrati

Immigrazione, Grasso: "Rivedere la legge sulla cittadinanza". Dall'inizio del 2014 sono già sbarcati 15mila clandestini. Eppure il presidente del Senato loda la società multietnica: "Scuole italiane arricchite dai bei volti di ragazzi che arrivano da lontano" di Andrea Indini

Non gli importa che dall'inizio dell'anno a oggi siano già sbarcati più di 15mila clandestini sulle coste italiane. Non gli importa nemmeno che a promettere si creano aspettative che difficilmente il Belpaese riuscirà a mantenere. Eppure il presidente del Senato Piero Grasso chiede al parlamento una nuova legge di cittadinanza. Un'intrusione politica che arriva a ridosso dei maxi sbarchi dello scorso fine settimana che hanno riversato in Sicilia oltre duemila extracomunitari. "È giunto il momento di pensare a un nuovo percorso di cittadinanza - ha spiegato - le nostre norme sono fra le più severe in Europa e rischiano di escludere dai diritti migliaia di persone che con il loro lavoro onesto contribuiscono al benessere e al progresso della nostra società, che è anche la loro società".

Tutti gli annunci hanno un prezzo. Oggi l'Italia paga, infatti, le promesse del governo Letta che, anche attraverso gli annunci dell'ex ministro all'Integrazione Cecile Kienge, ha di fatto dato un segnale di speranza a migliaia di persone in fuga dal Nord Africa. Tanto che i fondi stanziati per l'operazione "Mare Nostrum" sono già finiti e la Marina Militare è costretta a mettere mano alle proprie casse. Il governo Renzi non sta certo facendo di meglio. L'emergenza immigrazione non rientra nemmeno tra gli ultimi punti del programma. Proprio per questo il segretario della Lega Nord Matteo Salvini ha annunciato, giusto ieri, che presenterà una sfiducia del ministro all'Interno Angelino Alfano. Di tutta risposta Grasso ha invitato il parlamento a mettere mano alla legge di cittadinanza per aprire la società agli immigrati. "Penso ai giovani nati nel nostro paese, che qui studiano, che parlando la nostra lingua e i nostri dialetti, che tifano o giocano nelle nostre squadre di calcio - ha aggiunto Grasso - mi sono sempre chiesto amaramente perché questi giovani combattono per la giustizia e per il futuro di un paese di cui non sono e non saranno mai cittadini, almeno finché la legge non sarà cambiata". Per il presidente del Senato, il futuro dell'Italia dipende dalla capacità di integrare i nuovi arrivati: "La sfida della costruzione di una nuova società multietnica e multiculturale deve muovere dalla scuola, che oggi è arricchita in tutta Italia dai bei volti di ragazzi che arrivano da luoghi geograficamente e culturalmente lontani".

Nel tessere le lodi della società multietnica Grasso si guarda bene dall'affrontare tutte le problematiche connesse alle ondate migratorie che nelle ultime settimane hanno ripreso a muovere contro le nostre coste. Alfano ha già fatto sapere che il governo rivedrà i tempi di permanenza dei clandestini nei Centri di identificazione ed espulsione. Il titolare del Viminale non ha indicato quali saranno i nuovi termini né se si agirà con un decreto legge o con un altro provvedimento, ma ha detto chiaramente che la normativa sarà rivista. Non solo: il governo punterà anche a "rafforzare il sistema dei richiedenti asilo" per fare in modo che "le risposte arrivino prima". Aperture che hanno messo in guardia la Lega Nord che rinfaccia al titolare del Viminale di essere il responsabile non solo della "cancellazione della Bossi-Fini" e di una "fallimentare politica sull’immigrazione", ma anche dello "svuota-carceri e dello smantellamento della politica di sicurezza". "L’incredibile accoppiata Renzi-Alfano - ha tuonato Salvini - sta riuscendo in ciò che neanche la Kyenge era riuscita a fare: riempirci di clandestini".

martedì 25 marzo 2014

Poi succede che...

... ti giri un attimo, ma proprio un attimo eh? E vedi cose di questo genere, prendi l'ipad e scatti (ridendo come una deficiente) un paio di foto...

La germania e gli extracomunitari...

Lampedusa in Berlin, il sogno dei migranti parte dalla Sicilia e si ferma a Kreuzberg. A Berlino qualche centinaio di migranti ha organizzato un presidio permanente a Oranienplatz: il nome scelto richiama esplicitamente l'isola siciliana. Il presidio, che da circa un anno occupa la piazza, critica le legislazioni europee in materia di permessi di soggiorno e, nello specifico, la politica tedesca che non sta dando risposte adeguate al problema di Stefano Tieri

Passeggiando a Kreuzberg, quartiere multietnico di Berlino storicamente legato alla presenza di giovani artisti e studenti, ci si imbatte in uno spettacolo inusuale, che qualche turista si ferma sorpreso a fotografare. Un agglomerato di baracche in lamiera occupa Oranienplatz, presenziato costantemente da qualche decina di migranti africani. Davanti al complesso di costruzioni improvvisate c’è un gazebo informativo al cui interno una cassetta raccoglie le offerte dei berlinesi solidali alla causa. C’è anche chi aiuta portando del riso, coperte o indumenti: “Fino a qualche settimana fa qui c’era la neve, faceva molto freddo”, spiega il ragazzo che raccoglie le donazioni. Sono circa 300 i profughi che stanno abitando da quasi un anno Oranienplatz. La maggior parte di loro proviene dalla Libia ed è passata attraverso Lampedusa. Vogliono ottenere il permesso di soggiorno e di lavoro in Germania, divenendo così “regolari”, per poter ricostruire la loro vita. Ma i loro desideri sono costretti a scontrarsi con la chiusura politica della Germania, paese in cui il 78% delle domande di richiesta asilo viene respinta. Per molti di loro l’inizio dei problemi è coinciso con l’intervento della Nato in Libia: “Prima che l’Europa ci bombardasse non avevo mai pensato di emigrare, lavoravo per un’azienda francese e stavo bene”, racconta il trentasettenne Issa. La sua vita da profugo è iniziata nel 2011, con lo scoppio delle rivolte contro Muammar Gheddafi e l’intervento decisivo della Nato. Sbarcato a Lampedusa, Issa è stato spedito nel Cie di Milano nel quale è rimasto per alcuni mesi. Dopo numerose traversie è arrivato infine a Berlino, dove i suoi problemi sono tutt’altro che risolti: “Sono da tre anni in Europa e non ho ancora il diritto di lavorare: com’è possibile?”.

Nel 2013 i profughi sbarcati via mare in Italia sono stati 42.925, di cui 14.753 sono approdati a Lampedusa. Di questi, più della metà (27.314) sono partiti dalle coste libiche. Un numero destinato a non diminuire, complice la situazione di guerra civile che sta ancora oggi vivendo la Libia, dove gli attacchi a militari e obiettivi occidentali si verificano quotidianamente: l’ultimo attentato, l’esplosione di un’autobomba, risale al 17 marzo e ha provocato la morte di almeno cinque soldati. La méta degli sbarchi è l’Italia, ma il Belpaese per molti rappresenta solamente la prima tappa del viaggio alla ricerca di lavoro e condizioni di vita più dignitose. Una terra di passaggio, da cui diventa però difficile separarsi a causa della legislazione europea: il “regolamento di Dublino” prevede infatti che il rifugiato debba richiedere lo status di perseguitato politico nel primo Paese in cui viene identificato. E, nei tempi lunghi per ottenere una risposta, non gli è consentito spostarsi. “Una volta che l’Italia ti ha preso in ‘carico’ si potrà finire nel Cara dove, teoricamente, l’accoglienza è disposta per il tempo necessario all’esame della domanda di asilo politico”, testimonia Marco Barone, avvocato ed esperto sui diritti dei migranti. Il lasso di tempo di permanenza nel Cara non dovrebbe superare i 35 giorni, ma può accadere che i tempi per avere una risposta si allunghino a dismisura, anche oltre i sei mesi: “se dopo sei mesi dalla presentazione della domanda di protezione internazionale non è ancora stata presa una decisione sul caso, il richiedente avrà diritto a ricevere un permesso di soggiorno che avrà validità di ulteriori sei mesi e che gli consentirà di lavorare regolarmente fino a che la decisione non verrà presa”. Ma, nell’attesa di ricevere questa risposta definitiva, il richiedente asilo politico “non potrà lasciare l’Italia, perché se si spostasse in un altro Paese europeo rischierebbe di soggiornare irregolarmente, nonostante abbia avviato la procedura di asilo”, conclude Marco Barone.

Se il regolamento europeo permette che si finisca in simili impasse, la politica tedesca – pressata dalla “scomoda” presenza dei profughi a Oranienplatz – si sta muovendo per cercare di arginare il problema. Tra i richiedenti asilo trenta hanno assistito, lo scorso ottobre, ai lavori parlamentari che dovrebbero portare a una soluzione legislativa del problema dell’integrazione dei rifugiati: un accesso più facile al mondo del lavoro, l’organizzazione di corsi di lingua tedesca, la semplificazione e la riduzione dei tempi della procedura per ottenere asilo. Ma la disillusione, fra di loro, è molta: “Per ora solo tante promesse e pochi fatti”, rispondono con una sola voce, parlando una lingua che oscilla fra tedesco e italiano.

La lega contro Angelino Jolie

Immigrazione, tegola su Alfano: dalla Lega mozione di sfiducia. Salvini inchioda il ministro dell'Interno: "I confini se ci sono e se hanno un senso vanno difesi". E a livello europeo prepara un'alleanza anti immigrazione di Sergio Rame

I numeri sono quanto mai allarmanti. I numeri gridano all'emergenza. I numeri parlano di oltre 15mila extracomunitari soccorsi in acque italiche dall'operazione "Mare Nostrum" che ha già definitivamente esaurito i fondi stanziati e sta mettendo mano al bilancio ordinario della Marina. È il risultato di una politica lassista nei confronti dell'immigrazione clandestina che, a suon di slogan buonisti e promesse bonarie, hanno attirato migliaia di disperati che adesso affollano i centri di prima accoglienza. Per la Lega Nord il colpevole numero uno è il ministro dell'Interno Angelino Alfano. "Gli sbarchi sono quadruplicati - ha spiegato il segretario Matteo Salvini - ha fatto tagli alla polizia, la chiusura dei commissariati, lo svuotacarceri e la cancellazione della Bossi-Fini, siamo al disastro". Per questo i lumbard presenteranno una mozione di sfiducia.

Salvini sbatte i pugni sul tavolo. E alza la voce col governo Renzi che ha messo l'emergenza immigrazione all'ultimo posto delle proprie preoccupazioni. "E se è il ministro dell’Interno di un presunto centrodestra a farlo è inaccettabile", ha tuonato oggi il segretario del Carroccio che, in conferenza stampa, ha annunciato una mozione di sfiducia per Alfano. "I confini se ci sono e se hanno un senso vanno difesi", ha ricordato. Il tema dell’immigrazione sarà anche al centro della proposta di alleanza con gli altri partiti di destra in Europa come il Front National di Marine le Pen. "Proporremo un’alleanza contro l’immigrazione di massa", ha spiegato Salvini. Insieme al capogruppo del Senato Massimo Bitonci e al responsabile Giustizia Nicola Molteni, Salvini ha illustrato le cifre dei recenti smistamenti di immigrati sbarcati in Italia e dei richiedenti asilo come rifugiati politici: "In tre giorni 1.500 persone sono arrivate nei centro di accoglienza di tutta Italia senza che i sindaci sapessero niente e la metà di loro sono scappati dopo due giorni trascorsi nei centri di accoglienza a rifocillarsi". Ma non solo: "Delle 168mila domande di diritto all’asilo presentate dal 2005 al 2012 sono stati riconosciuti come profughi solo 14mila persone, vuol dire che il 90% di quelli che sbarcano in Italia sono clandestini".

sabato 22 marzo 2014

Nuova precarietà...

Più lavoro ma precario: Hartz IV e Jobs act, i programmi che uniscono Renzi e Merkel. Dietro ai sorrisi nel primo incontro con il premier, la condivisione della cancelliera per un modello per l'impiego vicino a quello varato da Schroeder che poi pagò con un pesante travaso di voti a sinistra. La Cdu si "impossessò" di quel sistema e lo portò a compimento. Oggi la disoccupazione tedesca è ferma al 6,9%, ma su 42 milioni di lavoratori 5 hanno redditi basati sul mini-impiego di Tonino Bucci

Sorrisi, strette di mano e pose fotogeniche, meglio di così non poteva andare, almeno all’apparenza, il primo incontro da premier di Matteo Renzi con Angela Merkel. Non c’è stata nessuna provocazione, come aveva azzardato il quotidiano Die Welt alla vigilia. Nessuna prova di forza per ottenere il permesso a fare qualche debito in più per finanziare il programma anti-crisi. Non c’è stato bisogno di incrociare le armi perché Angela Merkel desse il via libera alle misure sin qui annunciate da Renzi, incluso il famoso taglio dell’Irpef per i redditi inferiori a 25000 euro lordi che fa ottanta euro in più al mese in busta paga. Dieci miliardi in più sui conti dello Stato (7 se si conta quel che resta dell’anno) che in teoria avrebbero dovuto far saltare su tutte le furie l’alleata. E invece niente. Angela Merkel non ha fatto una piega. Nessuno però ignora – men che mai la cancelliera – che la promessa di Renzi di chiudere il 2014 con un deficit al di sotto del fatidico tre per cento del Pil è un azzardo. La scommessa si gioca sulla speranza che il prodotto interno cresca quel tanto necessario a far scendere in termini percentuali il deficit. Difficile. L’effetto espansivo della riduzione delle tasse potrebbe essere molto più modesto del previsto. La spending review e i tagli alla spesa pubblica possono neutralizzare i benefici sulla domanda interna. E’ come se, momentaneamente, Angela Merkel avesse deciso di relegare ai margini quella dottrina dell’austerità, della quale è stata sinora la più intransigente paladina. Sarà un caso – o forse no – ma la cancelliera ha preferito mettere l’accento sulla riforma del mercato del lavoro. Al di là delle formali rassicurazioni a rispettare il patto di stabilità, la vera natura dell’accordo raggiunto a Berlino consiste in quello che l’economista Emiliano Brancaccio ha definito uno scambio tra un po’ meno di austerità e un po’ più di precarietà del lavoro. Da un lato, la velata disponibilità della Germania a tollerare, eventualmente, qualche punto decimale in più di deficit a fine anno; dall’altro, l’impegno dell’Italia a riformare il mercato del lavoro – nella segreta speranza che precarizzazione faccia rima con crescita. “La Germania sa bene per propria esperienza che occorre il fiato lungo per cambiare il mercato del lavoro”. Sottinteso: l’Italia segua la stessa strada dei tedeschi.

AGENDA 2010

La riforma oggi lodata da Angela Merkel, in realtà, ha visto la luce per opera del suo avversario politico e precedessore, il cancelliere socialdemocratico Gerhard Schroeder. Fu il governo di quest’ultimo, nel lontano 2002, a istituire una commissione per riformare il mercato del lavoro. Alla sua guida Schroeder mise uno dei suoi più influenti consiglieri personali, l’ex manager della Volkswagen Peter Hartz. Il quarto e ultimo stadio della legge (da cui il nome “Hartz IV”) è entrato in vigore nel 2005, come parte di un più complessivo ridisegno del welfare tedesco, la cosiddetta Agenda 2010. Le misure principali sono due. La prima è la limitazione del vecchio sussidio di disoccupazione a un massimo di due anni, trascorsi i quali subentra un contributo mensile di circa 480 euro (Arbeitslosengeld II), vincolato però all’obbligo di accettare qualsiasi lavoro venga offerto dalle agenzie di collocamento (i jobcenter), anche qualora l’impiego non corrisponda alla professionalità del lavoratore. La seconda consiste nell’aver istituzionalizzato le tipologie flessibili di contratto, a part-time, stagionali o a tempo determinato. Ma a far deflagrare il mercato del lavoro sono stati i cosiddetti minijob, contratti atipici a costo zero sul piano fiscale per gli imprenditori e con retribuzioni non superiori ai 480 euro mensili. Gli unici contributi previsti sono il minimo indispensabile da versare nelle casse della previdenza sociale, a carico dello Stato.

IL BILANCIO DELLA RIFORMA

Un regalo per le imprese tedesche, che possono disporre di un esercito di manodopera a basso costo e senza vincoli giuridici, da impiegare soprattutto in occupazioni a medio-bassa qualifica. Di fatto, un aiuto di Stato alla propria impresa nazionale. Il successo delle esportazioni tedesche e soprattutto la bilancia commerciale in attivo è, in gran parte, da ricondurre a questa disponibilità di manodopera, oltre che alla solidità di un sistema industriale e di apprendistato mai smantellato. Le statistiche ufficiali ci dicono che oggi la Germania ha un tasso di disoccupazione del 6,9 per cento, che dovrebbe salire al 7,3 nell’anno in corso – comunque tra i più bassi in Europa. Quello che i sostenitori della riforma Hartz IV definiscono il Jobwunder, il miracolo tedesco dei posti di lavoro, si traduce nella cifra di 41,8 milioni di occupati nel 2013, un numero in crescita per il settimo anno consecutivo, 0,6 % in più rispetto a quello precedente. E per il 2014 gli esperti prevedono un nuovo record. I critici della riforma, però, fanno notare che all’aumento di posti non corrisponde una crescita economica. Nel 2013 il Pil tedesco è avanzato solo dello 0,4 %. Il segno che la creazione di nuovi posti di lavoro non è l’effetto della crescita economica, come comunemente s’intende, ma della semplice redistribuzione del lavoro che già c’era. Il volume complessivo di lavoro cresce infatti in misura molto ridotta, mentre la media di tempo lavorato per singolo occupato è in realtà scesa. Questo significa che dove in passato c’erano rapporti lavorativi a tempo pieno, oggi invece aumenta il lavoro precario e a part-time. La prova inequivocabile è la diffusione dei minijob che ormai riguardano all’incirca sette milioni e mezzo di tedeschi, quasi un quarto di tutti gli occupati. Per una parte di loro (2,7 milioni) si tratta di arrotondare lo stipendio. Per gli altri è pura sopravvivenza. Un “minijobber”, in un anno, può maturare al massimo una pensione di 4,45 euro al mese. La Germania oggi è spaccata in due: da un lato, gli occupati che godono di retribuzioni alte, pensioni e assistenza sanitaria di qualità; dall’altro, una fascia di lavoro precario e bassi salari che non può neppure partecipare al gettito fiscale del paese.

IL MERKELLISMO E LA CRISI DELLA SPD

La riforma si è tramutata in un boomerang per il partito che l’ha varata e in un beneficio politico per Angela Merkel. La Spd ha pagato un duro prezzo. Non solo per le divisioni interne e la spaccatura con i sindacati – tradizionalmente una roccaforte della socialdemocrazia tedesca – ma anche in termini di frantumazione del proprio elettorato e di voti persi. Il punto più basso, i socialdemocratici, l’hanno toccato nelle elezioni del 2009: appena il 23 per cento rispetto al 34,2 del 2005 e al 38,5 del 2002. Alle ultime elezioni per il Bundestag nel settembre scorso, nonostante abbia tentato di recuperare un’anima più “keynesiana”, la Spd si è fermata al 25,7. E, se non bastasse, alla sua sinistra è cresciuta la concorrenza della Linke, oggi il terzo partito tedesco con l’8,6 per cento e, non a caso, principale – se non unica – formazione a opporsi frontalmente alla riforma Hartz IV. Sull’altro versante, la Spd si è vista sovrastare dal fenomeno Merkel, alla quale gli stessi socialdemocratici hanno fornito la principale arma di stabilità di governo. La natura stessa del “merkellismo” poggia sugli effetti materiali della riforma: sul fronte esterno, la competitività e la conquista dei mercati; sul fronte interno, un modello di conservazione fondato sulla pacificazione sociale, sulla difesa del Paese dalla crisi mondiale in cambio di maggiore precarietà del lavoro e su misure politiche venate di socialdemocrazia, indirizzate a gruppi sociali specifici, come gli aiuti alle famiglie o le pensioni per le mamme. Un modello di conservatorismo sociale che Matteo Renzi si appresta ora ad applicare all’Italia in circostanze politiche analoghe. In Germania sono stati i socialdemocratici a farsi carico di attuare una riforma rivelatasi congeniale al campo politico avversario, col risultato di minare il proprio radicamento sociale. Da noi, con il Jobs Act e l’introduzione del contratto a termine di tre anni, potrebbe ripetersi la stessa storia. Il Pd rischia di immolarsi nell’illusione di poter conquistare e mantenere il potere ricorrendo alle armi dell’avversario.

L'ultimo crimine UE

Ecco l'ultimo mostro targato UE: il debt redemption fund: Mille euro l'anno per persona per venti anni di Leonardo Mazzei

E' in arrivo la maxi-tassa per l'Europa: mille euro all'anno per persona per vent'anni. L'ultimo mostro targato UE: il Debt Redemption Fund (Fondo di Redenzione del Debito). Altro che le buffonate del berluschino fiorentino! Altro che l'altra Europa dei sinistrati dalla vista corta! E' in arrivo sul binario n° 20 (anni) un trenino carico di tasse targate Europa. Ma come!? E le riduzioni dell'Irpef dell'emulo del Berluska? Roba per le urne, che le cose serie verranno subito dopo. Di cosa si tratta è presto detto. Tutti avranno notato lo strano silenzio della politica italiana sul Fiscal Compact, quasi che se lo fossero scordato, magari con la nascosta speranza di un abbuono dell'ultimo minuto, un po' come avvenne al momento dell'ingresso nell'eurozona per i famosi parametri di Maastricht. Ma mentre i politicanti italiani fingono che le priorità siano altre, a Bruxelles c'è chi lavora alacremente per dare al Fiscal Compact una forma attuativa precisa quanto atroce. Anche in questo caso, come in quello dell'italica Spending Review, sono all'opera gli "esperti": undici tecnocrati di provata fede liberista, guidati dall'ex governatrice della banca centrale austriaca, la signora Gertrude Trumpel-Gugerell. Entro marzo, costoro dovranno presentare al presidente della Commissione UE, Barroso, le proprie proposte operative. Poi arriverà la decisione politica, presumibilmente dopo il voto degli europei che di quel che si sta preparando niente devono sapere, specie se sono cittadini degli stati dell'Europa mediterranea.

Sul lavoro di questi undici taglieggiatori erano già uscite delle indiscrezioni. Ma ora che la scadenza si avvicina i rumors si fanno più precisi. Ed anche la stampa italiana, dopo le balle a iosa sui "successi" di Renzi a Berlino, comincia a scrivere qualcosa. Ha iniziato ieri l'altro Il Foglio, con il titolo «Dare soldi, vedere cammello. L'Ue fruga nelle nostre tasche». Ha proseguito ieri il Corriere della Sera che, quasi a voler bilanciare il trionfalismo filo-governativo, ha titolato: «I nuovi vincoli e quelle illusioni sul "fiscal compact"». E bravo, per una volta, il titolista del Corriere: sul Fiscal Compact sembra proprio che sia arrivato il momento di abbandonare le illusioni. Naturalmente, per chi ce le aveva. Che non è il nostro caso. Ma quale sarà la proposta degli undici, una strana squadra di calcio dove l'Italia, quasi fosse estranea al problema, non è neppure rappresentata?  Stando a quanto scrivono i due giornali italiani la proposta sarà incentrata su tre punti: Debt Redemption Fund, Eurobond, Tassa per l'Europa (anche se loro, ovviamente, non la chiameranno così).

Partiamo dal nuovo Fondo che si vorrebbe istituire, Debt Redemption Fund (DRF) secondo i più, European Redemption Fund (ERF) secondo altri, ma il nome non cambia la sostanza. In questo Fondo verrebbero fatti confluire i debiti di ogni Stato che eccedono il 60% in rapporto al pil. Per l'Italia, ad oggi circa 1.100 miliardi di euro. Oh bella! Che si sia finalmente trovato il modo di mutualizzare il debito, come sperano gli euro-entusiasti e gli euro-speranzosi di centro-sinistra-destra? A farlo credere ci sono pure gli Eurobond, che a quel punto verrebbero emessi per far fronte alla massa del debito cumulata nel nuovo Fondo. Dunque anche i tassi di interesse della quota del debito italiano andrebbero a scendere. Una vera pacchia, se non fosse per la clausola che dovrebbe garantire - in automatico - l'azzeramento del debito assorbito dal Fondo in un periodo di vent'anni. Come funzionerebbe questa clausola? Secondo i due giornali citati, con un prelievo diretto da parte del Fondo su una quota delle entrate fiscali di ciascun stato debitore. Così, giusto per non rischiare. Leggere per credere. Scrive ad esempio Antonio Pilati su Il Foglio: «In realtà l’idea degli esperti è a doppio taglio e la seconda lama fa molto male all’Italia: è infatti previsto che dal gettito fiscale degli stati partecipanti si attui ogni anno un prelievo automatico pari a 1/20 del debito apportato al Fondo. Nel progetto, le risorse raccolte dal fisco nazionale passano in via diretta, tagliando fuori le autorità degli stati debitori, alle casse del Fondo. Si tratta di un passaggio cruciale e drammatico tanto nella sostanza quanto – e ancora di più – nella forma».  

E così pure Riccardo Puglisi sul Corriere della Sera: «L'aspetto gravoso per l'Italia è che la commissione sta anche pensando ad un prelievo automatico annuo dalle entrate fiscali di ciascuno stato per un importo pari ad un ventesimo del debito pubblico trasferito al fondo stesso. Il rientro verso il 60 percento avverrebbe in modo meccanico, forse con un eccesso di cessione di sovranità». «Forse con un eccesso di cessione di sovranità», impagabile Corriere! Adesso non possiamo sapere con esattezza come andrà a finire, ed è probabile che la patata bollente verrà affrontata solo dopo le elezioni europee. Ma la direzione di marcia è chiara. La linea dell'austerity non solo non è cambiata, ma ci si appresta ad un suo drammatico rilancio, del resto in perfetta coerenza con i contenuti del Fiscal Compact, noti ormai da due anni. Per l'Italia si tratterebbe di un prelievo forzoso - in automatico, appunto - di 55 miliardi di euro all'anno per vent'anni. Cioè, per parafrase lo spaccone di Palazzo Chigi, di mille euro a persona (compresi vecchi e bambini) all'anno, per vent'anni. Per una famiglia media di tre persone, 60mila euro di tasse da versare all'Europa.

Naturalmente si può dubitare che si possa arrivare a tanto. Ma sta di fatto che questa è l'ipotesi sulla quale l'Unione Europea - quella vera, non quella immaginata a forza di Spinelli - sta lavorando. Magari questa ipotesi estrema verrà limata ed abbellita, ma il punto di partenza è questo. E sinceramente non ci sembra neppure così strano, considerata sia la natura oligarchica dell'UE, che il dominio incontrastato della Germania al suo interno. E' la logica del sistema dell'euro e della distruzione di ogni sovranità degli stati che in questo sistema sono destinati a soccombere. Tra questi il più importante è l'Italia. E forse sarà proprio nel nostro paese che si svolgerà la battaglia decisiva. Ma ora, per favore, che nessuno venga a dire che non si conoscono i termini del problema. Il sistema dell'euro, tanto antidemocratico quanto antipopolare, procede imperterrito per la sua strada. Le classi popolari hanno davanti 20 anni (venti) di stenti, miseria e disoccupazione. O ci si batte per il recupero della sovranità nazionale, inclusa quella monetaria, o sarà inutile - peggio, ipocrita - venire a lamentarsi della catastrofe sociale che ci attende. Lo diciamo ormai da anni, ma il poco encomiabile lavoro degli undici esperti (vedi la scheda in fondo all'articolo per capire chi sono davvero questi taglieggiatori), ha almeno il merito di togliere ogni ragionevole dubbio. Gli eurocrati non si fidano proprio dei singoli stati, dunque basta con i vincoli da rispettare e/o sanzionare. Meglio, molto meglio, mettere direttamente le mani nel gettito fiscale di ogni stato da "redimere". Questa è la novità. Ed è una novità che si commenta da sola.

PS - Che ieri, in questo quadro, il presidente del consiglio abbia definito anacronistico il parametro del 3% nel rapporto debito/pil può solo far sorridere. Anacronistico? Probabilmente sì, ma per l'UE esattamente nel senso opposto a quel che Renzi vorrebbe. Per lorsignori il vincolo del 3% è acqua fresca, ben presto il Fiscal Compact esigerà vincoli ben più stringenti: questa volta non semplici percentuali, sulle quali magari discutere, bensì denaro sonante attinto direttamente con una ben definita Tassa per l'Europa.

Chi sono gli undici taglieggiatori:

Gertrude Tumpel-Gugerell - Ex banchiera centrale austriaca, famosa per le operazioni speculative che misero in difficoltà la banca, è ora nel CdA di Commerzbank.

Agnés Bénassy-Quéré - Economista e docente presso diverse università francesi, ha lavorato al ministero delle finanze di Parigi.

Vitor Bento - Ex banchiere centrale del Portogallo, vicino al Partito Socialdemocratico di quel paese (centrodestra).

Graham Bishop - Consulente finanziario di altissimo livello, ultraliberista della prima ora, è stato membro influente della commissione che, negli anni '90, preparò il passaggio all'euro.

Claudia Buch - Tedesca su posizioni liberiste. Esperta di mercati finanziari.

Leonardus Lex Hoogduin - Economista olandese, è stato advisor della Banca dei Regolamenti Internazionali.

Jan Mazak - Giudice slovacco. E' stato avvocato generale presso la Corte europea di giustizia di Lussemburgo.

Belén Romana - Ex direttore del Tesoro spagnolo, attualmente amministratore delegato della Sareb, la "bad bank" cui sono stati conferiti gli asset tossici del settore immobiliare iberico.

Ingrida Simonyte - Ex ministro delle finanze della Lituania

Vesa Vihriala - Membro dell'Associazione degli industriali finlandesi (poteva mancare la Finlandia?), ex advisor di Olli Rehn.

Beatrice Weder di Mauro - Questa economista, che ha lavorato in passato per il Fondo Monetario Internazionale, è oggi nel board della ThyssenKrupp ed in quello di Hoffman-La Roche.

domenica 16 marzo 2014

Col cucchiaio di legno...


Che uno si chiede perchè le cose non funzionano... perchè la squadra riesce sempre a perdere così clamorosamente. Dicono che non ci sono grandi ricambi generazionali. Però, noi tifosi ci siamo sempre e comunque. Ci abbiamo sperato anche se non ci credevamo. Abbiamo urlato con quanto fiato avevamo in gola ma niente. E dopo due anni, abbiamo vinto di nuovo il cucchiaio di legno. Oltre 73 mila persone allo stadio. E' evidente che la sei nazioni comincia a smuovere qualcosa. Tutti ce la mettono tutta, anche i giocatori... ma sbagliano paurosamente. Ma è comunque sempre bello esserci. Perchè è divertimento e folclore allo stato puro.

giovedì 13 marzo 2014

I sindacati festeggiano il pentolaio...

Governo Renzi, la promessa: 1000 euro in più (ma per vincere le europee). Il premier ammette: "Per il primo di aprile non ja famo". Nonostante una notte di insistenza con i tecnici, i soldi in busta paga arriveranno a maggio, dopo il voto di Wanda Marra

“Vi potrei dire che le tasse le tagliamo dal primo maggio, perché dire il primo aprile sembrava un pesce d’aprile. “Però vi dico la verità: ’Non ja famo”. Un Matteo Renzi, istrionico, energico e di sfondamento risponde così a chi in conferenza stampa gli chiede perché non taglia l’Irpef dal primo aprile, come aveva annunciato. “Volevo farlo, ma sono stato respinto con perdite. Non ci sono i tempi tecnici, bisogna modificare le buste paga”. E però: “Sono 20 anni che si annuncia di abbassare le tasse, uno le abbassa e fateci pure le pulci…”. Al di là delle pulci, il problema è (elettoralmente) serio e il presidente del Consiglio lo sa benissimo. Mille euro in più all’anno in busta paga per 10 milioni di lavoratori sono un annuncio a effetto, una promessa mirabolante. E anche una misura evidentemente portatrice di voti e di consensi. E cosa cambia dal primo aprile al primo maggio? Che il 25 maggio ci sono le europee, il primo vero test elettorale del premier-segretario. Che si gioca tutto: se va bene, è ossigeno per il governo e per il suo futuro. Se no, è l’inizio della fine. Per essere una vittoria il Pd deve prendere dal 30 per cento in su (Bersani alle politiche arrivò al 25,4%, guai ad andare sotto). Gli stipendi arrivano al 27 del mese: dunque, primo maggio significa in realtà 27, come ammette lo stesso Matteo. “A chi ha dubbi suggerisco di aspettare il 27 maggio per vedere santommasianamente se i denari ci sono”. Non a caso mentre ieri Renzi lavorava sui dossier economici, Lorenzo Guerini, il portavoce della segreteria (in questo momento il segretario in pectore) stava al Nazareno a lavorare sul Pd: prima di tutto, proprio le liste per le europee. E poi, questioni locali, in generale gestione del potere renziano.

Renzi in conferenza stampa recupera la sua forza persuasiva. Però viene da 24 ore difficili. La cabina di regia a Palazzo Chigi (oltre a Renzi, anche il Sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Del Rio e uno dei consiglieri economici, Yoram Gutgeld) è stata sveglia tutta la notte tra martedì e mercoledì. Motivo, proprio la ricerca delle coperture per il taglio dell’Irpef. Renzi ha insistito, si è arrabbiato, ha spinto per riuscire a portare a casa la misura nella data desiderata. Ma la struttura del ministero dell’Economia, la ragioneria di Stato, gli ha detto di no. Non si fa in tempo, punto e basta. In preda al nervosismo, martedì sera lo stesso premier rilasciava interviste a tutto spiano per dire che lui i soldi ce li ha. Pure la mattinata di ieri non è stata delle più rilassate: sul voto finale alla legge elettorale temeva di andare sotto e mandava messaggi per tutto il dibattito ai fedelissimi. L’Aula stavolta non l’ha tradito. Subito un tweet: “Grazie alle deputate e ai deputati. Hanno dimostrato che possiamo davvero cambiare l’Italia. Politica 1~Disfattismo 0. Questa è #laSvoltabuona”. In serata la rivendicazione: “A dispetto dei gufi l’Italicum è passato con 200 voti di scarto”. Ed è “una rivoluzione per l’Italia”.

Il Pd gli ha messo i bastoni tra le ruote, l’ha fatto penare, annuncia battaglia a Palazzo Madama? Renzi alza il tiro. E butta lì la promessa/minaccia: “Se non passa la fine del bicameralismo perfetto non finisce solo il governo, ma considero chiusa la mia esperienza politica”. Insomma, o me o il Senato. Come i perfetti giocatori di poker, ancora una volta il presidente del Consiglio la mette giù durissima: si fa come dico lui. “Io ascolto tutti, ma siamo noi che decidiamo”. Per adesso la riforma del Senato è una bozza. Nei prossimi 15 giorni verrà sottoposta a tutti, poi diventerà un disegno di legge. Anche qui, guai in arrivo: Renzi si dovrà sedere al tavolo con tutti, con i gruppi di maggioranza, ma anche con Fi. Forse di nuovo con lo stesso Berlusconi: nel patto del Nazareno fu siglato nel dettaglio l’accordo sulla legge elettorale. Adesso bisognerà fare lo stesso con il Senato. Sempre più difficile. Ma la specialità di Renzi è proprio spingere le situazioni fino al punto di rottura, arrivare fino al ciglio del burrone.

Raccontano che ieri in Cdm c’è stata qualche alzata di ciglia. E che Padoan ha fatto qualche puntualizzazione sulle coperture. Ma alla fine Renzi ha strappato l’approvazione politica al suo piano (si è fatto votare la sua relazione, un inedito). E ha persino incassato qualche apertura inaspettata. Come la nemica Camusso che plaude al taglio delle tasse sul lavoro. E si scambia di ruolo con Landini, che avverte: “I sindacati vanno ascoltati”. Per dirla con Del Rio: “Una rivoluzione”. E gli altri ministri? “Uniti nella lotta”. Nel suo mercoledì, Il leone non ha dato la zampata, ma il ruggito s’è sentito forte e chiaro.

Il pentolaio magico


Come per la più classica delle televendite, dopo grandi promesse i dubbi sorgono nel momento in cui si affronta la cruda realtà dei numeri. Nella sua esposizione delle coperture, con grande confusione e approssimazione, Renzi tratta indistintamente operazioni che comportano risparmi strutturali, come alcune delle voci della spending review; entrate una tantum, come quella dell’Iva derivante dal pagamento dei debiti della P.A. o la vendita delle auto blu; entrate aleatorie come il risparmio sugli interessi del debito e operazioni che comportano l’aumento del deficit e di conseguenza del debito pubblico. Anche sul versante della tempistica sembrano più scadenze dettate dalla campagna elettorale delle europee che non dal buonsenso. Qualcuno, ad esempio, avverta il presidente Renzi che la legge consente alle imprese di posticipare di più di un anno il versamento dell’Iva dovuta pagando solo una piccola maggiorazione. Ipotesi in questo periodo di crisi tutt’altro che trascurabile. Purtroppo i comportamenti spregiudicati da prima Repubblica ai quali ci sta abituando il presidente del Consiglio ci fanno venire il sospetto che Renzi, fino alla prossima tornata elettorale, non presterà alcuna attenzione alle reali coperture delle operazioni che vuole mettere in piedi. E che solo dal giorno dopo comincerà a occuparsi delle casse vuote dello Stato e di un debito pubblico aumentato. [Giorgia Meloni]

mercoledì 12 marzo 2014

La prima blindatura di renzie

Governo Renzi, primo voto di fiducia sul decreto missioni all’estero. La richiesta del ministro per i Rapporti con il Parlamento Boschi a 20 giorni dal via libera del Parlamento all’esecutivo. Il provvedimento sarebbe scaduto lunedì

A 20 giorni dal via libera del Parlamento all’esecutivo, scatta già la prima fiducia per il governo Renzi, annunciata alla Camera dal ministro per i Rapporti con il Parlamento. Maria Elena Boschi ha comunicato all’aula l’apposizione della fiducia sul ddl di conversione del decreto 2/2014, che contiene la proroga delle missioni militari italiane all’estero, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostengo ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione nel testo approvato dal Senato. In seguito all’apposizione della questione di fiducia, è convocata per le 16 la conferenza dei capigruppo: dovrà stabilire il prosieguo dei lavori parlamentari. In base alle intese tra i gruppi, comunque alle 15 si terrà il question time: normalmente, quando il governo pone la fiducia tutte le attività parlamentari vengono sospese fino al voto, a meno di un accordo tra i gruppi, come in questo caso. E’ stato il Pd a chiedere la sospensione anticipata della discussione generale sul decreto missioni. “Ci sono 110 iscritti a parlare, per 50 ore di dibattito – ha detto Ettore Rosato, vicecapogruppo democratico a Montecitorio – ma il decreto scade lunedì prossimo ed è essenziale convertilo per tempo”.

Toh, la Cancellieri non ha detto tutto...

Cancellieri indagata per le telefonate ai Ligresti. La procura: “Ha mentito ai pm”. Il reato contestato dalla procura di Roma all'ex ministro della Giustizia è false dichiarazioni a pubblico ministero. L'avvocato: "Già richiesta l'archiviazione". Sarà comunque il gip a decidere se chiudere definitivamente la vicenda oppure ordinare nuove indagini

Annamaria Cancellieri è indagata per le telefonate con Antonino Ligresti, fratello di Salvatore, arrestato dalla procura di Torino nell’ambito dell’inchiesta su Fonsai insieme alle figlie Giulia e Jonella. Il reato contestato dalla procura di Roma all’ex ministro della Giustizia, secondo quanto riportato da diversi quotidiani, è false dichiarazioni a pubblico ministero. I tabulati telefonici del ministro, la cui acquisizione è stata disposta dal procuratore capo della Capitale Giuseppe Pignatone, hanno evidenziato una serie di incongruenze nelle dichiarazioni rese dell’ex Guardasigilli al procuratore aggiunto di Torino, Vittorio Nessi, sulle telefonate intercorse con Antonino nei giorni in cui pendeva la richiesta dei domiciliari per Giulia Ligresti. Due, in particolare, le dichiarazioni contestate. La prima riguarda una telefonata del 19 agosto; nella sua testimonianza la Cancelleri aveva sottolineato di aver risposto ad una telefonata di Ligresti, mentre i tabulati telefonici dimostrano che sia stata proprio l’ex ministro ad effettuare la chiamata, durata sei minuti.

La seconda imprecisione è invece legata a un contatto del 21 agosto. L’ex Guardasigilli, che era stata salvata sotto il governo di Enrico Letta, aveva dichiarato al procuratore di aver sentito Ligresti che le “aveva inviato un sms”; i dati telefonici confermano il messaggio, ma evidenziano anche una telefonata fatta dall’utenza fissa della Cancellieri verso lo stesso Ligresti, particolare omesso dall’ex ministro. Omissioni e imprecisioni poi smentite dagli atti anche nei rapporti con il marito del Guardasigilli, Sebastiano Peluso. Adesso la palla passa al giudice per le indagini preliminari, che dovrà decidere se c’è la presenza di reato. “È già davanti al gip la richiesta di archiviazione firmata dal procuratore della Repubblica Giuseppe Pignatone sulla posizione dell’ex ministro Annamaria Cancellieri”, afferma intanto il suo difensore, l’avvocato Franco Coppi, commentando la notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati. “Quando si danno le notizie – conclude il penalista -, sarebbe bene che venissero riferite in modo esatto e nei termini reali”. Sarà comunque il giudice per le indagini preliminari a decidere se archiviare l’indagine oppure ordinare nuovi accertamenti.

lunedì 10 marzo 2014

Bubù sette! Mimetizzazioni non riuscite...

Col solito cappello in mano...

Padoan a Bruxelles assicura: "Cuneo con tagli alla spesa". Il ministro dell'Economia all'Eurogruppo per illustrare il programma del governo Renzi: "Effetti significativi in 2-3 anni" di Chiara Sarra

Pier Carlo Padoan è volato a Bruxelles e ha illustrato all'Eurogruppo il programma del nuovo governo, aggiungendo che si tratta di un piano i cui effetti potranno essere visti solo tra qualche tempo. "Bisogna cominciare subito", ha detto, "I risultati saranno crescenti nel tempo e probabilmente veramente significativi nel giro di 2-3 anni". "Il programma è basato su aggiustamenti strutturali improntati su orizzonti temporali di medio termine cioè l’orizzonte che si è posto il governo", ha spiegato il ministro dell’Economia alla fine del vertice, aggiungendo che per quanto riguarda il cuneo fiscale l'ipotesi è quella di coprire la sua riduazione "in modo permanente da tagli di spesa". Una condizione - dice - "importante per garantire la sostenibilità di bilancio". Parlando della ripresa e delle stime sul pil (riviste al ribasso dall'Europa nei giorni scorsi) Padoan ha poi sottolineato che "i numeri che abbiamo sott’occhio sono più vicini a quelli della Commissione di quanto non fossero in passato". "Il mio atteggiamento è di esser prudente, preferisco tenermi basso", ha precisato, "L’Italia viene in Europa per fare delle cose non per chiedere dei favori. Alcuni degli squilibri sono ben noti a tutti da tempo e sono impedimenti alla crescita. Il governo saprà comunque dare una risposta adeguata nel rispetto dei vincoli assegnati". Per quanto riguarda poi i debiti delle Pa con le imprese, il ministro ha assicurato che il governo "sta lavorando ad uno strumento legislativo che colleghi il completamento del processo di pagamento al riassetto permanente del sistema, per evitare che l’accumulo si ripresenti". Il provvedimento potrebbe arrivare sul tavolo dell'esecutivo già nel Cdm di mercoledì.

Voci di corridoio dicono che...

Nuove tasse per 6 miliardi, ce lo chiede l'europa. Ma dopo le europee: prima prenderanno i voti dei gonzi che credono nel pd, poi bastoneranno tutti con una nuova manovra di Francesco Bonazzi

“Non è prevista alcuna manovra correttiva”, dicono alle agenzie di stampa fonti di Palazzo Chigi. Per una smentita destinata a durare qualche mese, quattro paroline ufficiose sono più che sufficienti. In realtà, al Tesoro come alla Ragioneria generale, sono in molti a essere convinti che a luglio il governo Renzi sarà “costretto” a farla eccome, una manovra straordinaria. La si farà “perché ce lo ha chiesto l’Europa” e naturalmente sarà “imprevista”. Del resto anche i conti della legge di stabilità sfornata da Gelatina Saccomanni, fino all’altro ieri, tornavano perfettamente. E quei 4-6 miliardi che evidentemente mancavano all’appello già per il 2014 sembravano una fissa di Olli Rehn, il commissario Ue agli affari economici e monetari, e di qualche libero pensatore isolato. Nel saluto che oggi Pier Carlo Padoan ha rivolto ai dirigenti generali dell’Economia (agenzie a ranghi ridotti e inviti ristretti per ragioni di riservatezza) la parola “manovra” non è ovviamente risuonata. Anche se i convenuti nella Sala della maggioranza – l’appuntamento era fissato per le 11 e 30 – al momento di incrociare i bicchieri non parlavano d’altro. Già, perché a differenza della cerimonia di addio di Saccodanni, per il quale molti si attendono una consegna del Tapiro di Striscia la notizia in tempi rapidi, stamani c’era da bere. Anche se nessuno dei presenti è in grado di confermare che Lurch Cottarelli abbia effettivamente brindato.

Del resto è proprio dalla spending review che Padoan adesso si aspetta 5 miliardi di euro, che sono due in più di quelli previsti prudenzialmente da Lettanipote, ma uno in meno di quelli che Cottarelli è convinto di poter portare a casa. E poi ci sarebbero le cosiddette privatizzazioni, alle quali il precedente premier credeva molto, a cominciare dal 4% di Eni e dal 40% di Poste, ma sulle quali ci sono al momento fortissime perplessità del Rottam’attore fiorentino. Un vero dilemma, quello delle privatizzazioni, perché lo staff di Padoan, che è di marca lettian-dalemiana, sa perfettamente che il momento dei mercati è favorevole e che c’è liquidità estera in arrivo sulla Penisola. Ma se il quadro di finanza pubblica peggiora, rischia di cambiare bruscamente anche quello dei mercati. In ogni caso la manovra correttiva che Bruxelles implicitamente ci ha chiesto non si può certo fare prima del 25 maggio, quando si andrà a votare per il parlamento europeo. Il rischio, per Renzi e per il Pd, è di prendere una stangata memorabile alla prima verifica popolare. Ma soprattutto c’è un rischio per Bruxelles e per la stabilità dell’eurozona, perché nuova austerità sarebbe un regalo favoloso per i partiti anti-moneta unica.

Più facile dunque ipotizzare una serie di palliativi fino a maggio. Poi un richiamo concordato di Bruxelles al governo italiano. Quindi una manovra correttiva a luglio. Il tutto nella speranza che nei prossimi mesi le agenzie di rating risparmino l’Italia. Se il quadro è questo, c’è da accogliere con la giusta comprensione l’appello “alla coesione, al lavoro in team e alla riservatezza” che il ministro Padoan ha rivolto ai vertici dell’Economia questa mattina. Il lavoro di squadra prossimo venturo si priverà tuttavia, con molta probabilità, dell’apporto del direttore generale delle Finanze, Fabrizia La Pecorella. A lei sarebbero state addossate parte delle colpe della saga Imu, saga che di fatto ha poi lasciato ai box Er Gelatina ben più del buco (negato) nei conti. Quasi certo, al suo posto, l’arrivo dall’Abi di un’altra donna, Laura Zaccaria. Nel segno di quel connubio “banche&sinistra” che non è solo una fissa di Silvio Berlusconi.

La pena sbagliata

Condannato a 3 anni e 4 mesi il pirata che investì e uccise Beatrice. La sedicenne era stata travolta nel luglio scorso mentre viaggiava in bicicletta in una strada di Gorgonzola. Deluso il padre Nerio Papetti: «La pena non è giusta»

È stato condannato a 3 anni e 4 mesi di reclusione Gabardi El Habib, il pirata della strada che il 10 luglio scorso travolse e uccise a Gorgonzola (Milano) Beatrice Papetti, una ragazza di 16 anni che era in sella alla sua bicicletta. Lo ha deciso il gup di Milano Simone Luerti al termine del processo in abbreviato e a 8 mesi mesi di distanza dalla morte della giovane. Nessuna attenuante all’imputato che si era costituito alle forze dell’ordine dopo una settimana. Era accusato di omicidio colposo e omissione di soccorso. Il giudice ha disposto anche la sospensione della patente per 3 anni a carico del marocchino e ha stabilito che il risarcimento a favore dei familiari, difesi dall’avvocato Domenico Musicco, dovrà essere quantificato in sede civile. Il pm Laura Pedio, titolare dell’inchiesta che aveva portato all’arresto del marocchino che si era presentato ai carabinieri dopo una settimana, aveva chiesto la condanna a 4 anni e 8 mesi.

«La pena non è giusta»: «La pena non è giusta - ha spiegato il padre della ragazza, Nerio Papetti - ma questa è la legge italiana. Sono abbastanza soddisfatto, anche se noi chiedevamo di più. Comunque rispetto a quel che si sente in giro, di condanne a un anno e 6 mesi per omicidio colposo, va bene così». Il fatto che l’imputato, ha aggiunto, «venga a chiedere scusa il giorno del processo, fa capire che le scuse non sono autentiche, anche se il suo avvocato ci ha detto che erano mesi che pensava di farlo». Secondo Nerio Papetti, inoltre, «il cerchio si stava stringendo, questo non è costituirsi, ha solo anticipato di un quarto d’ora quello che sarebbe successo».

«Segnale positivo»: Per l’avvocato Musicco, anche presidente dell’Associazione vittime di incidenti della strada e sul lavoro, la condanna di oggi è un «segnale positivo perché c’è una pena effettiva, anche se speravamo fosse applicata la pena chiesta dal pm, che riteniamo adeguata». Le pene per questi fatti «in ogni caso - ha spiegato il legale - non sono quelle che ci sarebbero se venisse finalmente introdotto l’omicidio stradale. Noi - ha concluso - abbiamo depositato una proposta di legge al Ministero dei Trasporti che prevede pene da 6 anni a 16 anni per omicidio stradale». Il marocchino, tra l’altro, qualche giorno dopo l’arresto aveva ottenuto i domiciliari. La difesa dell’uomo aveva presentato anche un’istanza di patteggiamento ad una pena attorno ai due anni, che era stata respinta dal gup.

Adam Kabobo e la schizofrenia paranoide...

Uccise i passanti col machete, Kabobo rischia 20 anni di cella: "sconto" per la semi infermità. Lo scorso 11 maggio ha ucciso con un machete tre passanti. Il pm chiede vent’anni di carcereapplicando lo "sconto" della seminfermità mentale di Sergio Rame

Il pm di Milano Isidoro Palma ha chiesto vent'anni di reclusione e altri sei di ospedale psichiatrico giudiziario come misura di sicurezza per Adam Mada Kabobo, il ghanese che lo scorso 11 maggio ha ucciso con un machete tre passanti. Uno dei possibili moventi del triplice omicidio sarebbe stato "il rancore verso la società" del ghanese che si sentiva escluso. Kabobo avrebbe, infatti, agito con lucidità e con una "finalità depredatoria". Non a caso, dopo aver ucciso la 21enne Daniela Carella, Alessandro Carolé (40 anni) e Ermanno Masini (64 anni), gli ha anche rubato i cellulari. Nel processo con rito abbreviato davanti al gup di Milano Manuela Scudieri, il pm Palma ha chiesto di condannare a vent’anni di carcere Kabobo applicando lo "sconto" della seminfermità mentale. Dopo aver espiato la pena, tuttavia, è stato chiesto che il ghanese passi sei anni in una casa di cura e custodia come misura di sicurezza. Nella scorsa udienza il giudice aveva rigettato la richiesta della difesa di un supplemento di perizia psichiatrica dopo che una perizia, disposta in fase di indagini e depositata lo scorso ottobre, aveva riconosciuto che Kabobo non era totalmente incapace di intendere e di volere ma soltanto semi infermo di mente. L'immigrato soffrirebbe, infatti, di una forma di "schizofrenia paranoide". Nelle scorse settimane il tribunale del Riesame si era, infatti, opposto al trasferimento di Kabobo in un’ospedale psichiatrico giudiziario.

sabato 8 marzo 2014

Decreto bankitalia

Decreto Bankitalia, dopo la Commissione Ue anche l’Esma chiede chiarimenti. L’indicazione che potrebbe arrivare alle banche, a pochi giorni dalla pubblicazione dei risultati, sarebbe quella di non considerare nel conto economico la plusvalenza che deriva dalla rivalutazione miliardaria delle quote di via Nazionale

Dopo la Commissione europea, anche l’Esma (European securities and markets authority), ovvero l’organismo che riunisce i regolatori di mercato dei 27 Paesi Ue, accende un faro sulla rivalutazione miliardaria delle quote della Banca d’Italia detenute dalle principali banche italiane, approvata con un decreto dalla Camera alla fine di gennaio. A quanto apprende l’agenzia di stampa Adnkronos, l’interpretazione dell’Autorità avrebbe già spinto la Consob a sollevare il problema con Bankitalia e Tesoro. L’indicazione, non ancora ufficiale, che potrebbe arrivare alle banche, a pochi giorni dalla pubblicazione dei risultati, sarebbe quella di non far transitare la plusvalenza che deriva dalla rivalutazione della quota nel conto economico. Le conseguenze sarebbero consistenti sia per la chiusura dei bilanci 2013, a partire da quelli di Intesa Sanpaolo e Unicredit che hanno le partecipazioni maggiori, sia per il gettito fiscale che deriva dalla rivalutazione delle quote detenute anche da tutte le altre banche in Bankitalia. Il Banco Popolare, peraltro, ha già approvato i conti 2013 e iscritto in bilancio la plusvalenza post rivalutazione.

Nel caso in cui la Consob si trovasse costretta a intervenire, l’unica strada per risolvere definitivamente la questione sarebbe un nuovo intervento legislativo che consenta di recuperare l’impostazione originaria, con una sostanziale compensazione tra i benefici patrimoniali per le banche e l’imposizione fiscale che deriva dalla rivalutazione delle quote. Se così fosse, le banche intanto dovrebbero rivedere i criteri di contabilizzazione per i loro bilanci e spingere perché si arrivi a una soluzione definitiva prima della tornata di assemblee che saranno chiamate ad approvare i bilanci 2013. Il decreto Imu-Bankitalia era già diventato un caso europeo alla fine di febbraio, quando il Commissario Ue per la concorrenza aveva inviato al ministero dell’Economia una lettera con una richiesta di chiarimento, per capire se dietro la rivalutazione miliardaria del capitale sociale della Banca centrale – il relativo decreto aveva scatenato la bagarre in Parlamento per la quale sono stati puniti in sede disciplinare 24 deputati, tra i quali 22 del’M5S – si nascondesse un aiuto di Stato mascherato perché fortemente limitato dalle norme dell’Unione europea.

Renzie e il taglio irpef

Renzi taglia 10 miliardi di Irpef. Avrà fatto bene i conti? Mercoledì il decreto sul taglio dell'Irpef: 80 euro in più in busta paga alle famiglie che guadagnano fino a 25mila euro all'anno. Slitta, per ora, il taglio dell'Irap alle imprese di Raffaello Binelli

Renzi vuole dare subito un segnale al Paese con una una sforbiciata alle tasse: 10 miliardi di Irpef, quasi 80 euro in più in busta paga per chi guadagna fino a 25mila euro all'anno. Mercoledì sarà approvato il decreto. La copertura? Per metà dalla spending review e per l'altro 50% da entrate una tantum. Intanto da fonti governative trapela che l'idea di concentrare il taglio fiscale solo sull’Irpef allo stato attuale è "solo un’ipotesi". Il premier preferirebbe questa soluzione ad un eventuale taglio del carico fiscale che pesa sulle imprese. Ma pare sia per il momento accantonata l'idea di convogliare i 10 miliardi tutti sul taglio dell'Irap delle imprese. Il premier vorrebbe farlo ma i soldi (per fare entrambe le cose, riduzione dell'Irap e taglio del cuneo fiscale) per ora non ci sono. Vedremo più avanti. Quando si era sparsa la voce che il governo avrebbe voluto destinare i 10 miliardi al taglio dell'Irap (il cui gettito complessivo è di 35 miliardi), i sindacati si erano innervositi. Ora sul taglio dell'Irpef, deciso da Palazzo Chigi, si registra il plauso di Raffaele Bonanni (Cisl): "Sono molto contento. È la nostra proposta per sostenere i consumi delle famiglie più povere. Oltretutto per adesso dare soldi alle imprese che sono senza commesse sarebbe un buco nell’acqua". Stessa soddisfazione viene espressa da Luigi Angeletti (Uil): "Se fossero confermate le indiscrezioni sul taglio di 10 miliardi di Irpef, finalmente avremmo un presidente del consiglio che mantiene la sua parola. Gli consigliamo di metterli in busta paga tutti in un’unica soluzione".

Cos'è che ha spinto Renzi a cambiare idea? Fondamentalmente i dati sul crollo dei consumi degli ultimi mesi: alla recessione si è aggiunta la deflazione, una diminuzione del livello generale dei prezzi. E la spirale negativa porta l'economia del Paese sempre più giù. Occorre intervenire subito, quindi, prima che sia troppo tardi. Il governo ha in programma un provvedimento per sbloccare in modo definitivo il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione da parte dello Stato. Sarà possibile grazie ai soldi della Cassa depositi e prestiti. Ma Renzi e il ministro dell'Economia Padoan avranno fatto bene i conti? DI deci miliardi messi subito sul tavolo per far respirare le famiglie più bisognose non sono tantissimo ma comunque sono importanti. Ma da dove arrivano? Cinque-sei miliardi dalla spending review (ma 3 sono già stati utilizzati dalla legge di Stabilità). La parte restante dovrebbe arrivare dal rientro dei capitali (l'accordo con la Svizzera è vicino). Ma dall'Europa è arrivato subito lo stop: impossibile usare i fondi Ue per ridurre la pressione fiscale sul lavoro. Si potrebbe raggirare in qualche modo, ma la Commissione Ue non vuole sentirne parlare.

La Ccgia fa i conti: In Italia il cuneo fiscale ammonta a 296,4 miliardi di euro: 161,47 miliardi gravano sulle spalle dei datori di lavoro (pari al 54,47% del totale), gli altri 134,97 (pari al 45,53% del totale) sono a carico dei lavoratori dipendenti. La stima è della Cgia di Mestre che sottolinea come di questi 296,4 miliardi, 280,67 sono riconducibili al peso dell’Irpef, delle addizionali comunali/regionali Irpef e dei contributi previdenziali; gli altri 15,77 miliardi all’Irap.

martedì 4 marzo 2014

Perseverare è diabolico... ma perseverano ancora

Ecco i risultati di Kyenge, Boldrini & Co.: triplicati gli sbarchi di immigrati. Le promesse del governo Letta hanno aperto le porte all'Africa: nel 2013 sono sbarcati in Italia oltre 43mila clandestini di Sergio Rame

I numeri non mentono. A distanza di un anno possiamo quantificare i danni degli slogan buonisti del presidente della Camera Laura Boldrini, delle promesse di ius soli e cittadinanza facile dell'ex ministro all'Integrazione Cecile Kyenge e, più in generale, della politica lassista dell'Unione europea. La grande maggioranza dei flussi migratori via mare si dirige verso l’Italia: nel 2013 sono sbarcati in Italia oltre 43mila clandestini, più del triplo rispetto al 2012.

In occasione del Panel di alto livello dedicato alla protezione dei diritti umani degli immigrati, organizzato a Ginevra nell’ambito della sessione del Consiglio dei Diritti Umani, su iniziativa del gruppo africano alle Nazioni Unite, il sottosegretario agli Affari esteri Benedetto Della Vedova ha rimesso al centro del dibattito politico l'emergenza immigrazione che, col boom degli sbarchi, ha riportato l'Italia al centro di un'imponente ondata migratoria. Nel 2013 sono, infatti, arrivati sulle nostre coste più del triplo degli immigrati rispetto al 2012. Dei 43mila stranieri arrivati nel Belpaese lo scorso anno due terzi sono richiedenti asilo. Nello stesso anno, le altre rotte migratorie verso l’Europa risultavano stabili (quella orientale) o in diminuzione (quella occidentale). "L’Italia è divenuta un esempio per quanto riguarda le operazioni umanitarie in mare", ha spiegato Della Vedova evidenziando che "nel 2013 sono stati compiuti salvataggi a 281 imbarcazioni" portando in salvo più di 30mila immigrati. Con l’operazione "Mare Nostrum", lanciata dopo la tragedia di Lampedusa , dal 18 ottobre a fine gennaio sono stati soccorsi più di seimila extracomunitari in 45 operazioni finalizzate a sorvegliare i confini marittimi. "Le migrazioni sono un fenomeno globale, che va gestito appunto a livello globale - ha continuato Della Vedova - per questo l’Italia ha deciso di dedicare alle migrazioni una priorità nell’ambito della prossima presidenza dell’Ue".

Nel 2014 la situazione non è certo migliorata. Dall’inizio dell’anno al 3 marzo sono stati soccorsi altri 5.611 immigrati. Nel corso di un’audizione davanti al Comitato Schengen, il direttore generale dell’immigrazione del Viminale, Giovanni Pinto, spiega che le zone di provenienza vanno dal deserto sahariano all’Africa occidentale: "Tutti utilizzano esclusivamente la Libia come base di partenza. La presenza di stranieri di aree geografiche così diverse dimostra che siamo in presenza di organizzazioni criminali sempre più sofisticate". Il un nuovo periodo di instabilità che ha investito rende a Viminale e Farnesina più difficile instaurare un rapporto di collaborazione. "Attualmente in Libia ci sono tra i 700mila e gli 800mila stranieri che potenzialmente potrebbero partire verso l’Europa - avverte Pinto - in materia di accoglienza i posti a nostra disposizione sono esauriti e le risorse sono ridotte". Il Viminale sta comunque valutando l'ipotesi di trovare altri seimila posti ampliando, tra gli altri, il Centro di Mineo.

sabato 1 marzo 2014

Disse: "abbasserò le tasse"...

Tasi, stangata da un miliardo per le imprese italiane. I sindaci potranno aumentare la Tasi fino all’11,4 per mille. Anche gli immobili della Chiesa dovranno pagare. Durissimo colpo per le imprese di Sergio Rame

E Tasi fu. Il governo Renzi parte dalla casa. E parte con una stangata, la solita a cui ci avevano abituati gli ex premier Mario Monti e Enrico Letta. Nel primo Consiglio dei ministri il premier Matteo Renzi traduce in un decreto legge l’accordo coi Comuni sulla tassa sui servizi indivisibili come l’illuminazione pubblica. I sindaci potranno alzare l’aliquota di un altro 0,8 per mille sulla prima casa, passando dal 2,5 al 3,3 per mille, oppure sulle seconde case, salendo dal 10,6 all’11,4 per mille. Una vera e propria mazzata che andrà a colpire privati cittadini e imprese indistintamente. Per queste ultime si profila una stangata di almeno un miliardo di euro. Secondo un’analisi della Cgia di Mestre, con l’aliquota base all’uno per mille, solo sui capannoni, è previsto un aumento di quasi 650 milioni di euro entrate fiscali. La Tasi costerà alle imprese italiane almeno un miliardo di euro.

"È deludente e preoccupante che il  primo Consiglio dei ministri del governo Renzi cominci sulla linea sbagliata del governo Letta-Alfano", commenta Daniele Capezzone, presidente della commissione Finanze della Camera. Con un'allarmante soluzione di continuità, la stangata di Letta non viene interrotta nemmeno da Renzi. Altro che rinnovamento, si va avanti sulla strada delle tasse. E, a questo giro, a pagare saranno davvero tutti. A rimetterci maggiormente saranno le imprese, già stremate dall'eccessiva pressione fiscale e da una crisi economica che non accenna a diminuire. Le imprese italiane dovranno sborsare almeno un miliardo di euro. L’importo, che la Cgia ritiene addirittura sottostimato, è stato calcolato applicando l’aliquota base dell’1 per mille. Sulla base delle decisioni prese ieridal governo, però, l’aliquota massima Imu più Tasi sulle abitazioni diverse da quella principale e sugli immobili strumentali potrà arrivare all’11,4 per mille. "Se teniamo conto che l’aliquota Imu media applicata a livello nazionale nel 2012 (il dato 2013 non è ancora disponibile) sugli immobili destinati ad uso produttivo è stata del 9,33 per mille, si deduce che l’aliquota Tasi del 2,07 per mille costituisce, nel nostro secondo caso, la soglia massima applicabile agli immobili strumentali - spiega il segretario della Cgia di Mestre Giuseppe Bortolussi - corrisponde alla differenza tra l’11,4 per mille e il 9,33 mille". In questa seconda simulazione l’aumento potrebbe superare addirittura i due miliardi di euro. È chiaro chesi tratta di un caso limite puramente teorico. Un dato, però, è certo: il prelievo della Tasi su negozi, uffici e capannoni supererà il miliardo di euro.

Anche gli immobili della Chiesa dovranno far fronte alla nuova tassa sui servizi. Faranno eccezione solo circa venticinque immobili capitolini "protetti" dai Patti lateranensi, dalla Basilica di Santa Maria Maggiore all’Università Gregoriana, dal Palazzo della Cancelleria, dove ci sono gli uffici della Rota, alla Basilica di San Paolo. Fuori da Roma, esentato dalla tassa anche il Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, la residenza estiva dei Papi. Tutti gli altri pagheranno, secondo quanto si evince dal comunicato diramato da Palazzo Chigi, e questa sarebbe una novità assoluta. Perché si includerebbero per la prima volta nella tassazione degli immobili anche i luoghi strettamente dedicati al culto o alle attività no profit all’interno delle strutture ecclesiastiche. "Ma nel passato la tassa era sul patrimonio, non sui servizi, come invece è la Tasi", ha spiegato il sottosegretario al Tesoro Pier Paolo Baretta ai microfoni dell'Ansa. Nel caso di immobili della Chiesa che svolgano attività commerciale, secondo quanto si apprende, alla Tasi si dovrebbe sommare anche l’Imu. Per gli immobili "misti", in parte dedicati al culto e in parte dedicati alle attività commerciali, si dovrebbe pagare la Tasi più l’Imu per la quota di immobile che fa profitto.

Garanzia giovani, immigrati e carcerati...

Il piano per il lavoro di Renzi? Mille euro a tutti i disoccupati. Il Jobs act è in dirittura d'arrivo: sussidio di disoccupazione anche per i precari. Una misura da 8,8 miliardi di euro. Dubbi sulla copertura economica di Andrea Indini

"Noi vogliamo partire immediatamente con la 'Garanzia Giovani'. Era già stata predisposta, va rifinita ma in un paio di settimane siamo in grado di presentarla". Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti coglie al volo l'accelerata data ieri dal premier Matteo Renzi dopo aver visionato gli allarmanti dati sulla disoccupazione e si butta anima e corpo sul Jobs Act. La riforma del mercato del lavoro è quasi pronta. E Repubblica già ne anticipa i contenuti, a partire dal sussidio di disoccupazione che sarà esteso anche ai lavoratori precari. "La platea dei potenziali beneficiari - spiega Filippo Taddei, responsabile economia del Pd, alla Stampa - si allargherebbe di oltre trecentomila lavoratori attualmente sprovvisti di una vera protezione dalla disoccupazione".

"Per noi lasciare una persona senza niente da fare è una condanna senza nessun tribunale che ti abbia condannato - spiega Poletti a margine della conferenza di Libera in Campidoglio - essere inutili a sè e agli altri è per noi la peggiore delle condanne". L'obiettivo del governo Renzi è piuttosto chiaro: "Moltiplicare le opportunità e fare in modo che ogni cittadino abbia la possibilità di avere qualcosa da fare e questo vale per i disoccupati, per i carcerati, per gli immigrati". Una strada che, però, rischia di costare tanto, troppo, alle casse dello Stato. Per il momento non c'è niente di concreto, ma i rumors parlano di un piano imponente e tutt'altro che a costo zero. Insieme allo sblocco dei debiti della pubblica amministrazione, agli interventi sull'edilizia scolastica e al taglio del cuneo fiscale Renzi vuole stare una sferzata all'occupazione. per farlo si prepara a introdurre un sussidio di disoccupazione universale che andrà sotto il nome di Naspi. L'assegno, ipotizzato dal politologo Stefano Sacchi, andrà a tutti i disoccupati, anche ai collaboratori a progetto che l'ex ministro Elsa Fornero aveva invece deciso di escludere. Insomma, la platea si allarga a dismisura: sotto l'ombrello statale finiranno, dunque, 1,2 milioni di disoccupati fino ad oggi esclusi. Tant'è che in molti hanno iniziato a storcere il naso sulle coperture economiche. Dallo staff di Renzi fanno sapere che il suissidio di disoccupazione universale costerà 1,6 miliardi in più rispetto a quanto sborsa oggi lo Stato: 8,8 miliardi di euro che dovrebbero essere finanziati con uno spostamento di risorse dalla Cig in deroga.

"In 15 giorni immaginiamo di dover mettere in campo la proposta sul lavoro che è molto urgente - ha spiegato Renzi - ci viene chiesta non solo dalle istituzioni internazionali ma da quel 12 per cento di giovani e cinquantenni che hanno perso lavoro e non riescono a ritrovarlo". Le 56 pagine del Jobs act già pronte dovranno ora essere discusse e mediate con gli alleati. Il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano preme per alleggerire i vincoli sulle assunzioni. Tra i punti del piano economico c'è anche la riduzione dei contratti e il passaggio a un contratto unico. In realtà sono ben poche le pagine del documento dedicate alle regole del mercato del lavoro: il vero nodo sono le norme fiscali. E la vera partita, appunto, giocata sarà sulle coperture. A preoccupare maggiormente è appunto l'assegno universale di disoccupazione che dovrebbe aggirarsi intorno ai 1.100-1.200 euro al mese con "l'obbligo di seguire un corso di formazione" e di "non rifiutare più di una proposta di impiego". Non solo. Il Naspi durerà un anno per i lavoratori dipendenti e sei mesi per i contratti atipici. "L'attuale tutela Aspi (il minisussidio garantito dalla riforma Fornero, ndr) - assicura Taddei - può essere  esteso ai lavoratori a progetto e allungata nella copertura con una spesa comparabile alla somma dell’Aspi e della cassa integrazione".