sabato 30 novembre 2013

Cose buffe...

... pelosetti di casa okkupano il divano. Meowwww....

L'occidente lo distrugge...

Legnano. «Sono Dio!». Poi picchia la compagna e la figlia di lei e aggredisce i carabinieri. Il 27enne senegalese, regolare in Italia, si è svegliato in preda a un raptus di follia: bloccato a stento da cinque pattuglie

«Sono Dio. L’Occidente mi distrugge».
Parole farneticanti. Poi, al culmine della follia, ha cominciato a picchiare la convivente e la figlia usando quello che gli capitava per le mani. Quando si è trovato davanti i carabinieri ha reagito anche contro di loro, prendendoli a pugni. Un’aggressione in famiglia che poteva avere conseguenze molto più gravi quella avvenuta venerdì mattina a Legnano, in un appartamento all’angolo tra le vie Firenze e Sabotino, alla periferia della città.

TELEFONATA - L’uomo, un gigante senegalese alto circa 2 metri di 27 anni, regolare in Italia, al termine di una lite con la convivente 48enne non ha trovato di meglio da fare che colpirla, usando anche una sedia poi ha picchiato anche la figlia 17enne di lei, che in un momento di distrazione del ragazzo è riuscita a chiamare i Carabinieri della compagnia di Legnano, due dei quali sono giunti sul posto con un’ambulanza del 118. Alla vista dei militari il senegalese ha però diretto la sua furia rabbiosa verso di loro, colpendoli con calci e pugni e facendoli cadere dalle scale. Ha poi aggredito il personale medico e con un morso è riuscito a perforare il giubbotto dell’infermiere, affondando i denti fino alla carne. A questo punto i carabinieri hanno chiamato i rinforzi e solo l’arrivo di altre tre pattuglie, più due della polizia, ha consentito di fermare l’uomo.

CONTUSIONI - Convivente e figlia sono state trasportate all’ospedale di Legnano, dove sono state medicate: la donna, che ha riportato una forte contusione allo sterno, guarirà in due settimane mentre la figlia, che ha riportato la frattura del mignolo della mano destra, guarirà in un mese. In osservazione all’ospedale i due carabinieri caduti dalle scale, per trauma cranico. Non sono gravi.

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Poi, magari vogliamo anche parlare della "storia" d'amore di una 48enne con un immigrato di 27 anni?

giovedì 28 novembre 2013

Monti e lo stato di diritto


La decadenza di Berlusconi dal Senato ha "resuscitato" Mario Monti, che da tempo aveva fatto perdere le proprie tracce. In un'intervista a "Radio anch'io" il senatore a vita manifesta una malcelata soddisfazione per la cacciata del Cavaliere da Palazzo Madama. "L’Italia può avere adesso più fiducia in se stessa - dice - non perché Silvio Berlusconi ha dovuto lasciare il Senato ma perché lo ha dovuto lasciare a seguito di una serie di misure che hanno reso l’Italia oggi, più che ieri o l’altro ieri, uno Stato di diritto e che hanno dimostrato che in Italia, se si vuole, si può governare, si posso fare leggi rigorose, serie, severe, applicabili a tutti". Non è proprio un'esultanza ma ci manca poco.

Poi Monti spiazza tutti e ricorda che se la decadenza è avvenuta il merito è suo. "Vorrei dire che non è stata la sinistra, non è stato il Movimento 5 Stelle a portare a questo fatto riguardante il senatore Berlusconi: è stato un governo di grande coalizione, che io presiedevo, che, sul finire del 2011, corrispondendo alla richiesta che veniva da tutti i partiti, che non volevano presentarsi alle elezioni di quest’anno con tutti gli scandali che i cittadini vedevano, di realizzare un pacchetto anticorruzione e di un provvedimento che mettesse fuori i condannati dal Parlamento". E continua: "Quando all’estero mi si chiedeva, per tanti anni, ma come mai avete Berlusconi per la terza volta, io non esprimevo giudizi ma dicevo guardate che Berlusconi gli italiani l’hanno eletto tre volte perché diventasse presidente del Consiglio. Lui, nel bene e nel male, rappresenta molte caratteristiche degli italiani".

Poi insiste: "Anche se l’Italia rimane largamente berlusconiana, e Berlusconi non scompare dalla scena politica, la cosa acquisita ora è che evasione fiscale, abusi della politica, corruzione sono cose per le quali il sistema italiano si è attrezzato con leggi e, cosa importantissima da spiegare anche all’estero, questa legge è stata fatta applicare non solo nei confronti di una trentina di consiglieri comunali ma anche nei confronti della personalità più potente, più popolare e che aveva dato un contributo di portata storica alla vita italiana. E qui, con buona pace dei sostenitori di Berlusconi, la legge - conclude Monti - è stata uguale per tutti".

mercoledì 27 novembre 2013

Neve!

sabato 23 novembre 2013

Le palle d'acciaio e la legge di stabilità

Il presidente del consiglio: «dobbiamo avere i conti a posto». Letta: «La legge di stabilità sarà equilibrata». Il premier: «O i tedeschi si convincono che devono avere un atteggiamento di solidarietà, oppure non ne usciamo»

Sulla legge di stabilità «c’è una discussione in corso in Senato e poi ci sarà il passaggio alla Camera»; dunque «i conti si faranno alla fine, e alla fine si vedrà che è una legge di stabilità equilibrata» spiega il premier Enrico Letta, da Berlino, a chi gli chiede se sia vero che la manovra sarà più «pesante» del previsto. «Dobbiamo avere i conti a posto perché dobbiamo essere qui a dire queste cose, ma dobbiamo anche essere credibili che non le diciamo perché da noi è tutto un buco. Ecco perché i nostri conti devono essere a posto» ha detto ancora il premier.

STABILITA’ - «La stabilità politica è essenziale, se no gli impegni che si prendono non si riescono a mantenere» ha poi aggiunto Letta che poi precisa che quella dell’instabilità è anche una «fortissima» preoccupazione dei tedeschi.

GERMANIA - Per il presidente del Consiglio in ogni caso è dalla Germania che bisogna passare se si vuole far cambiare politica all’Europa. «Non so se li ho convinti ma ci provo, perché è da qui che passa tutto» ha aggiunto Letta rispondendo a chi, poco prima di lasciare Berlino, gli chiedeva se avesse convinto i tedeschi della necessità di avere meno rigore e più crescita. «O la Germania e i tedeschi si convincono che non sono soli in Europa e che devono avere un atteggiamento di solidarietà complessiva, in modo che tutta l’Europa cresca, oppure non ne usciamo» ha concluso Letta.

Sulla svendita lettiana...

Sapelli: La tecnocrazia europea vuole "svenderci" di Pietro Invernizzi

«Le privatizzazioni del governo Letta sono una mossa che può condurre a pesanti errori. Le quote di Eni non vanno vendute, ma vanno aumentate le dimensioni dell’impresa attraverso il ricorso a dei fondi d’investimento stranieri». Lo afferma Giulio Sapelli (nella foto), professore di Storia economica all’Università degli studi di Milano, aggiungendo che «pensare di ridurre un debito pubblico da 2mila miliardi con alienazioni da 12 miliardi è soltanto una presa in giro». Tra le società coinvolte dalle cessioni pubbliche non c’è solo Eni, ma anche Sace, Grandi Stazioni, Enav, Stm, Fincantieri, Cdp Reti e il gasdotto Tag.

Professor Sapelli, perché la mossa del governo Letta non la convince?
La privatizzazione di Eni è stata concepita fin dall’inizio in modo sbagliato. Eni non ha bisogno di essere privatizzata in modo classico, ma di avere un aumento del suo capitale attraverso gli investimenti dei soci stranieri. La società deve accrescere le sue dimensioni per affrontare le nuove sfide che si aprono a livello globale nel campo della ricerca “oil & gas”.

Che cosa dovrebbe fare il governo? Il governo dovrebbe favorire l’investimento di grandi gruppi, merger o fondi d’investimento, per aumentare il volume di Eni e farla diventare più grande. Il problema non è cambiare la forma di proprietà privatizzando, ma aumentarne le dimensioni. Eni ha un ruolo fondamentale perché rifornisce di petrolio e di gas l’intera nazione e varrebbe quindi la pena attuare un aumento della partecipazione statale, anche se purtroppo non è possibile. 

Gas ed elettricità sono strategici per il Paese? Sì, e le liberalizzazioni dell’energia negli ultimi dieci anni hanno prodotto effetti disastrosi. Il prezzo del gas è aumentato, abbiamo un’over-supply, abbiamo avuto consolidamenti di piccole imprese che sono diventate grandi e sono ancora più dominate dalla politica di quanto non fosse un tempo.

Lei privatizzarebbe anche Ferrovie dello Stato, Poste Italiane e Anas? Privatizzare la rete ferroviaria è impossibile, si potrebbero piuttosto vendere le Grandi stazioni. Per quanto riguarda Poste Italiane, avrebbe senso privatizzarle a condizione di trasformarle in un grande gruppo di logistica. In questo momento però manca un disegno industriale, e lo documenta il fatto che sono un’entità ibrida a metà tra le poste e una banca.

E quindi? Parlare di privatizzazioni in questo momento è soltanto una concessione al pensiero dominante che ha distrutto la crescita del nostro Paese. Gli effetti delle privatizzazioni negli anni ‘90 sono stati la spartizione di un bottino e l’indebolimento del nostro settore industriale.

Le privatizzazioni attuate dal governo Letta sono sufficienti per ridurre il debito pubblico?
Cercare di fare passare un’idea di questo tipo è soltanto una presa in giro. L’Italia ha un debito pubblico da 2mila miliardi, e 12 miliardi non sono certo sufficienti a cambiare le cose. I dividendi di queste imprese partecipate dallo Stato sono molto più utili a ridurre gli squilibri di bilancio. Mi domando come si possa credere a una manovra illusionistica come quella che sta facendo il governo.

Per quale motivo il suo giudizio è così duro? Enrico Letta ha delle pesanti responsabilità storiche, perché è stato lui insieme a Pier Luigi Bersani ad attuare la liberalizzazione dell’energia elettrica e del gas, in modo errato anche dal punto di vista tecnico. Il premier ora si trova costretto a privatizzare perché da un lato è messo sotto pressione da parte di Saccomanni, che non risponde agli interessi dell’Italia ma a quelli della tecnocrazia europea. Letta non ha la forza, né il coraggio di battersi per cambiare la linea europea in politica economica, che sta producendo effetti suicidi. Non a caso Francia e Germania, che si rifiutano di applicare i diktat europei, stanno subendo una decrescita meno pesante rispetto al nostro Paese.

mercoledì 20 novembre 2013

Oh, diavolo,

Ma perché non si è mai candidato prima? Con Renzi premier avevamo risolto tutti i problemi che affliggono l'Italia e noi italiani eravamo molto più felici. 

Per la cronaca... Avevo bisogno di un po' di sano masochismo e, mi sono guardata il problem solver Renzi alla gabbia.

venerdì 15 novembre 2013

Il nuovo arrivo...

Niente, sto postando un pò meno del solito. Un pò per lo schifo che leggo e che sento, un pò perchè mi manca la voglia di postare o ragionarci su ma, più che altro perchè a casa ho un ospite che abbiamo cercato e voluto. E, insomma, è un trovatello bianco e nero di quasi 5 mesi ed è con noi da almeno un mesetto. Ci ha scombussolato un pò la routine e, visto che è ancora piccino, ha bisogno di parecchie attenzioni. Quindi, uso buona parte del mio tempo libero anche per lui lasciando indietro il blog. Ma vi leggo eh? E tornerò.

lunedì 11 novembre 2013

Un giorno a Roma


Biglietto d'ingresso...


Dralion, il palco


La porta Alchemica, Roma

sabato 9 novembre 2013

Assalto alla caserma

Erano stati fermati per un furto di rame. Taranto, in 50 assediano la caserma. Volevano liberare gli amici arrestati. Assalto alla stazione del quartiere popolare Paolo VI. I carabinieri «salvati» da polizia e guardia di finanza

TARANTO - Sembrano scene da stadio con il classico assedio alle tifoserie della squadra avversaria. Ma il luogo delle intemperanze questa volta è la cancellata di una caserma dei carabinieri. Una cinquantina di persone nella serata di ieri ha tentato di assaltare la stazione al quartiere Paolo VI di Taranto per ostacolare le operazioni di arresto di cinque giovani che erano stati sorpresi nel pomeriggio a rubare rame in un deposito del vecchio supermercato «Mongolfiera». I ladri erano stati bloccati a bordo di un furgone nel quale era stata nascosta la refurtiva. Un uomo, in particolare, avrebbe tentato di fare irruzione nella caserma entrando dal garage, ma è stato bloccato. In aiuto dei carabinieri sono intervenute pattuglie di polizia e guardia di finanza per riportare la calma tra le persone che avevano nel frattempo circondato la caserma. Ci sono stati momenti di grande tensione e la situazione è tornata alla normalità solo dopo un po' di tempo. I protagonisti del tentato assalto alla caserma sono stati tutti identificati; per alcuni di loro è scattata la denuncia.

venerdì 8 novembre 2013

E l'italia chiese scusa...

Un commento: "3500 la settimana scorsa. A questo punto è lecito pensare che nell'arco di un mese ne possono arrivare in tutto 14.000 con il valido aiuto dei nostri mezzi navali. Dato che estrapolato ad un anno arriva agevolmente a 160.000 persone. E siccome questo “esodo” non si interromperà mai si andrà avanti così anche per gli anni futuri. Non avete ancora capito cosa stanno combinando? Trattasi in prospettiva di una vera e propria estinzione, a mezzo sostituzione scientificamente predeterminata, degli autoctoni, i quali tendono a fare sempre meno figli per motivi economici, mentre dal canto loro i nuovi arrivati non hanno certo di questi problemi, vuoi per loro costume (avere molti figli è per loro una vera e propria forma di status simbol) vuoi perché appaiono sempre come nullatenenti e dunque ottengono alloggi e asili nido gratis, per non parlare dell'assistenza sanitaria, a discapito degli italiani che ovviamente pagando le tasse foraggiano questo incredibile sistema con il loro lavoro e sudore. Interrogatevi su chi sta causando questo sfacelo, e per favore, la prossima volta che andate a votare, fatelo senza il paraocchi ideologico: è il futuro dei vostri figli in gioco! Ma anche la vostra vecchiaia, che di questo passo da quella decorosa che i più ipotizzano potrebbe tramutarsi in un supplizio per le innumerevoli difficoltà che uno Stato destrutturato e caotico, com'è facile prevedere, l'Italia di questo passo diventerà."

Strage di lampedusa. Arrestato somalo che organizzò la traversata: «Stupri di massa e torture prima della tragedia». Le testimonianze dei sopravvissuti : «Prelevati nel deserto libico e sequestrati per un mese»

Quando i superstiti, oltre 100, del naufragio a Lampedusa del 3 ottobre scorso (366 vittime) lo hanno visto arrivare al centro di accoglienza di Lampedusa non riuscivano a credere ai loro occhi: si sono ritrovati l’uomo che aveva organizzato la traversata, che li aveva sequestrati, torturati, che aveva stuprato delle donne. Così hanno provato ad aggredirlo ma sono stati fermati dai responsabili del centro di accoglienza. Così è stato identificato e arrestato un giovane somalo di 24 anni, ritenuto uno degli organizzatori della traversata del barcone naufragato il 3 ottobre scorso davanti alle coste di Lampedusa. L’operazione è stata condotta dalle Squadre Mobili di Palermo ed Agrigento e dal Servizio Centrale Operativo di Roma, in esecuzione di un provvedimento emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia nell’ambito di un’inchiesta sulla tratta di migranti tra l’Africa e la Sicilia.

RICONOSCIUTO DAI SOPRAVVISSUTI - Secondo quanto spiegato dagli inquirenti, il 24enne è stato riconosciuto dai profughi eritrei sopravvissuti al naufragio . L’uomo è arrivato a Lampedusa lo scorso 25 ottobre a bordo di un barcone con circa 90 profughi subsahariani. I superstiti del naufragio del 3 ottobre lo hanno subito riconosciuto e hanno tentato di aggredirlo. Gli investigatori hanno cercato di capire cosa aveva scatenato l’attacco e hanno così ricostruito la vicenda,mostrato ai superstiti le foto segnaletiche per il riconoscimento che è avvenuto quasi subito e per l’uomo sono così scattate le manette. È accusato idi sequestro di persona, tratta di esseri umani, associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e violenza sessuale.

ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE- Si tratta di una delle prime occasioni in cui gli investigatori sono riusciti a risalire alla identità di uno dei capi della organizzazione criminale transnazionale che gestisce i flussi migratori illegali tra il corno d’Africa, il Sahara e la Libia verso le coste della Sicilia. Le vittime erano tutte eritree ed erano partite dalla Libia, dove ha base l’organizzazione di cui faceva parte, secondo gli inquirenti, il somalo. Secondo gli inquirenti, questa organizzazione lavorava secondo una schema ben preciso. I migranti venivano intercettati nel deserto e, sotto la minaccia di armi, venivano caricati su pick up e portati in un luogo di detenzione a Sebha, nel Sud della Libia. «Ciascuno di loro -hanno ricostruito i magistrati- doveva contattare i familiari all’estero e far versare su dei conti correnti, attraverso i circuiti di money transfer, una cifra tra i 3.300 e i 3.500 euro». A pagamento avvenuto i profughi venivano trasferiti sulla costa libica dove veniva preteso un’ulteriore pagamento di 1.000/1.500 dollari per il “biglietto” della traversata. Dopo il questo saldo, si attendeva di imbarcarsi su uno degli scafi in partenza verso le coste siciliane.

STUPRI DI GRUPPO - Gli inquirenti hanno ricostruito gli orrori del viaggio, le violenze dei trafficanti e gli abusi sulle donne grazie alle testimonianze dei superstiti della strage. «Siamo stati torturati e maltrattati per giorni dopo essere stati sequestrati al confine tra il Sudan e la Libia da un gruppo di somali a bordo di pick up sotto le minacce delle mitragliatrici. Arrivati in una specie di campo, alcuni di noi sono stati picchiati con manganelli e sono stati sottoposti a scariche elettriche», hanno raccontato i sopravvissuto al naufragio. Gli eritrei superstiti sono rimasti per circa un mese nel «campo di concentramento». Secondo le testimonianze 20 donne sono state violentate e stuprate . «E in alcune occasioni sono state offerte in dono -hanno detto gli inquirenti- a gruppi di paramilitari armati di mitragliatori AK-47 Kalashnikov». «Ogni sera i miliziani portavano fuori due ragazze - racconta ancora un superstite - le picchiavano e le violentavano. Una sera ne è tornata una sola, l’altra l’avevano uccisa».

giovedì 7 novembre 2013

La ue diversamente democratica

Grecia, in prigione chi si opporrà ai regolamenti Ue. Sanzioni penali di inedita severità per soffocare i sentimenti antieuropei in un Paese provatissimo di Francesco De Palo

Aria di dittatura europea in Grecia? Non bastava la troika ad imporre tagli a stipendi e pensioni, o tasse praticamente su tutto, da qualche giorno un emendamento del governo in via di approvazione da parte del Parlamento di Atene prevede fino a due anni di carcere per chi si oppone ai regolamenti Ue o alla sua politica estera. Identica pena per chi sia in disaccordo con le decisioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sull'embargo o sull'opportunità di attaccare uno Stato terzo. In un Paese praticamente governato dalla Ue viene imposta una sanzione penale pazzesca (da sei mesi a due anni di reclusione) per ogni regolamento comunitario disatteso. Come dire che, volendo semplificare la materia, se un cittadino decidesse di produrre i famosi zucchini troppo lunghi o decidesse di utilizzare reti da pesca a maglie più larghe di quelle previste dal regolamento Ue (il numero 40/2013 del consiglio del 21 gennaio 2013) finirebbe in carcere.

Il comma «a» all'art. 458 del codice penale ellenico è stato emendato lo scorso 24 ottobre così: «Ogni persona che viola intenzionalmente le sanzioni o le misure restrittive nei confronti membri o di entità o organismi o persone fisiche o giuridiche, o le decisioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite o di regolamento Ue è punibile con la reclusione per almeno sei mesi, salvo altra disposizione contenuta in più pesante pena». Gli unici a sollevare un'opposizione parlamentare a questo emendamento sono stati gli «estremi», i comunisti del Kke e i nazionalisti degli Indipendenti. «L'emendamento mira ad evitare qualsiasi reazione alla barbarie imperialista», ha detto il portavoce del Kke Thanassis Pafilis. Il deputato Notis Marias dei Greci Indipendenti ha osservato che questo accordo «criminalizza il diritto internazionale». Voci che gridano nel deserto democratico ellenico (e continentale), mentre sui blog di mezza Europa la notizia spopola. Il governo greco, ribattezzato «delle larghe intese con la troika», mira ad approvare quindi una legge-manette non solo per gli oppositori dell'Europa ma per chi semplicemente non osserva i regolamenti. E segnando un precedente pericolosissimo, inserendo di fatto nel Codice Penale ellenico il reato di opposizione all'Europeismo. E dopo i circa due milioni di euro investiti dal Parlamento europeo per bloccare blog, siti e post degli euroscettici. Se la misura votata sic et simpliciter dal governo greco (come d'altronde anche le 400 pagine del memorandum che nessun deputato ha letto per intero perché ricevuto solo un'ora prima del voto nel novembre 2012) voleva nelle intenzioni sopire i sentimenti anti euro alla vigilia delle elezioni europee, potrebbe invece sortire l'effetto opposto, dal momento che dubbi e insofferenza verso un'istituzione che non funziona e che non sana le proprie deficienze strutturali ma si fa dittatoriale, si stanno moltiplicando.

Di sicuro questo è l'ultimo step di una strategia, diversificata e avvolgente, che in Grecia intende mettere in secondo piano anche chi solo si interroga sulla bontà delle cure prescritte da Bruxelles. Ad esempio la notizia della candidatura da parte del Pse a prossimo presidente del Parlamento Europeo del numero uno delle sinistre radicali del Syriza, Alexis Tsipras, primo partito greco nei sondaggi, sarebbe vista come un tentativo di allontanare il giovane leader anti troika da Atene e «parcheggiarlo» sulla poltrona dorata di Bruxelles. Così da non dare troppi grattacapi al governo conservatori-socialisti che prosegue nella svendita di tutto ciò che ha un minimo di introito: alla voce privatizzazioni, per dirne una, dopo aver ceduto il Totocalcio (l'Opap) al singolo partecipante all'asta per una cifra complessiva corrispondente a solo un anno di fatturato, il presidente dell'ente preposto è stato fotografato sul jet privato di chi (il miliardario Melissanidis) quell'affare se l'è portato a casa. Con tanti saluti alla trasparenza e al rigore tanto caro a Frau Angela. Senza dimenticare che a un mese esatto dall'arresto dei dirigenti di Alba dorata (accusati di omicidio, corruzione, sovversione) ancora non si sa se le accuse del pm inquirenti siano fondate o meno, mentre nella capitale torna l'incubo degli anni di piombo, ma con l'ombra dei servizi deviati che altro non cercano se non la destabilizzazione continuata. Ce n'è abbastanza per essere decisamente euro indignati.

Sul lavoro

I mini-jobs all'italiana di Claudio Martini

Nella puntata di Ballarò del 22 ottobre scorso la trasmissione di Giovanni Floris fece quello che probabilmente sarà ricordato come il primo servizio giornalistico della sua storia: un'inchiesta sulla diffusione dei mini-jobs in Germania. Andatela a cercare. È molto interessante. La giornalista descrive quello dei mini-jobs come un "meccanismo infernale", una specie di "tunnel", "dal quale è difficile uscire". Il fatto è che la retribuzione prevista da tali contratti è talmente ridicola (nella maggior parte dei casi sotto i 500 euro al mese) da non garantire la sussistenza del lavoratore che la riceve; conseguentemente, per vivere, questi lavoratori hanno assoluto bisogno di percepire tutta una serie di aiuti e sussidi da parte dello Stato, che comprendono redditi di integrazione del misero salario, aiuti per il pagamento dell'affitto, buoni per il mantenimento dei figli ecc ecc.

Ma per continuare a percepire tali sussidi, il lavoratore deve dimostrare di meritarseli: in pratica, non può permettersi di rifiutare alcuna offerta di lavoro, qualsiasi essa sia, altrimenti perde il sussidio; e lo Stato, dal canto suo, può permettersi di esercitare un controllo invasivo e paternalista sui percettori dei sussidi, con un monitoraggio costante sulla situazione patrimoniale, sui movimenti di capitale, addirittura sulle abitudini di vita. Il lavoratore, che vede ridotto al minimo il suo potere contrattuale e anche un po' la sua dignità, non rappresenta più un grave costo per l'azienda. E così le imprese ricevono, di fatto, un finanziamento pubblico, tanto che il giurista Luciano Barra Caracciolo ha parlato di indebiti aiuti di Stato, che potrebbero costituire una violazione dei Trattati europei da parte della Germania. In ogni caso, questa tenaglia rappresentata dalla carota dei sussidi e dal bastone dei mini-jobs aiuta a capire cosa intendano i tedeschi per Economia Sociale di Mercato. Senza contare, poi, che i sussidi, in ultima analisi, li pagano gli stessi lavoratori, nella veste di contribuenti (le grandi imprese, dalle loro sedi a Lussemburgo e nelle Isole Cayman, salutano affettuose).

Bene, l'ultima puntata della trasmissione Piazza Pulita, su La 7 il 4 novembre, ha svelato come molti geniali imprenditori italiani abbiano riprodotto, nelle loro aziende e nei loro distretti, condizioni quasi esattamente identiche a quelle tedesche. In via informale, ovviamente.

Il trucco è abbastanza semplice. I lavoratori vengono licenziati, o meglio messi in mobilità; lo Stato, o meglio le regioni, li iscrivono nei programmi della Cassa Integrazione in deroga; i lavoratori vengono poi riassunti, ma "al nero". I lavoratori percepiscono così lo stesso stipendio di prima, magari un po' ribassato, ma stavolta senza che l'imprenditore debba versare loro i contributi sociali (il che avrà effetti devastanti sul loro trattamento pensionistico), ma posso integrare questo magro trattamento retributivo con i denari della Cassa Integrazione. L'autosufficienza dei lavoratori è garantita dallo Stato, cioè dai contribuenti, e per l'impresa si materializza un vantaggio fiscale non indifferente. Non è straordinario? È la via italiana ai mini-jobs, lastricata di furbizie e illegalità. Non a caso Lorenzo Bini Smaghi, presente nello studio della trasmissione, ha immediatamente riconosciuto le analogie sostanziali con il modello tedesco- beccandosi l'ovvia rampogna di Claudio Borghi.

Questa storia contiene diversi insegnamenti. Innanzitutto dimostra la differenza, nelle modalità pratiche di esercizio del potere, tra le élite tedesche (politiche ed economiche) e quelle italiane. Le prime dichiarano chiaramente quello che vogliono ottenere, e cercando raggiungerlo per vie legali e standardizzate. Le seconde invece non passano per la via maestra delle riforme e del cambiamento delle leggi, ma per quella della fantasia e della violazione delle regole. È questa un'importante questione antropologica. La questione politica è che, come questo caso (insieme a tanti altri) dimostra, euro e mercato unico europeo sono stati visti, dalle classi dirigenti italiane, come un ring sul quale competere con i tedeschi. Anche il mercantilismo italiano ha una sua tradizione, di cui la Legge Maroni-Biagi e la generalizzata tolleranza verso l'evasione fiscale non rappresentano che i più fulgidi esempi. Ma nel confronto con quello tedesco non c'è scampo per le nostre impres(in)e.

Civiltà nomade

La faida per il controllo dei campi nomadi dura da tempo. sette arresti. San Raffaele, maxi rissa tra famiglie rom rivali: uomo ucciso a sprangate. I capoclan dei Braidic e dei De Ragna si sono incontrati per caso e hanno chiamato i parenti armati di spranghe

I due clan rivali si sono incontrati, per puro caso, nel parcheggio dell’ospedale San Raffaele. Sono volate le prime ingiurie, poi sono arrivati i parenti armati di spranghe ed è scoppiata una maxi rissa, terminata con un uomo a terra con la testa spaccata. Sono finiti in manette in sette, tre uomini del clan Braidic (di cui uno deceduto poche ore dopo) e quattro dei De Ragna. Le due famiglie rom sono storicamente nemiche e in lotta per la supremazia nei campi nomadi milanesi, quello di via Idro e quello di via Chiesa Rossa. Un passato di faide, litigi, pestaggi, dispetti tra le donne. Il 28 gennaio nel campo nomadi c’era stata una sparatoria ed era intervenuta la polizia, che era stata presa a sassate.

LA RISSA - Lo scontro è avvenuto mercoledì mattina alle 11. Secondo quanto ricostruito dagli agenti, una ventina di esponenti dei clan rivali rom si sono incontrati per caso nel parcheggio dell’ospedale. Una delle famiglie accompagnava una donna dall’oculista, l’altra assisteva un altro parente che doveva fare una visita. Da un violento confronto verbale è partita la rissa, alla quale hanno partecipato circa una ventina di persone, alcuni avvisati tramite il cellulare e accorsi sul posto armati di bastoni. Anche una spranga del cancello è stata divelta e usata come arma. Luca Braidic, 49 anni, è finito a terra: ricoverato in prognosi riservata, è deceduto in serata. Ferito Marco De Ragna, di 46 anni.

GLI ARRESTI - Alcuni agenti di polizia in borghese hanno sentito le urla delle donne, hanno chiamato rinforzi e sono riusciti ad arrestare sette persone: oltre ai due feriti, in manette i fratelli Niko e Mirko Braidic, di 28 e 29 anni, e tre fratelli del clan rivale, Kevin, Sean e Valentino De Ragna, di 18, 22 e 27 anni. Sarebbe stato proprio il 18enne Kevin a sferrare il colpo di spranga mortale: è stato arrestato con l’accusa di tentato omicidio.

LA FAIDA - L’ultimo arresto per la storica rivalità tra i due clan risale al 23 settembre scorso, quando è finito in manette un 17enne. Le indagini della polizia , partite dalla sparatoria del 28 gennaio 2013, avevano già portato a tre arresti nei mesi scorsi; tra di loro il cosiddetto «principe» del campo, Diego Braidic, che ha svelato i retroscena di quella sparatoria. L’ondata di violenza nacque perché il clan di nomadi colpito (i De Ragna) «infastidiva» il clan aggressore (i Braidic) nella quotidianità del campo rom. False le dichiarazioni a proposito di un ragazzino che aveva messo gli occhi su una giovane di un’altra famiglia del campo: si trattava di una vera e propria faida per la supremazia, che tuttora prosegue con tragiche conseguenze.

lunedì 4 novembre 2013

Idiozie varie (politically correct) 2

La retromarcia di Guido Barilla: dopo le pubbliche scuse ai gay arrivano le iniziative sulla diversità. Le scuse non bastano. Ora il colosso di Parma ingaggia il leader mondiale Lgbt e lavora a iniziative su "inclusione e diversità" di Sergio Rame

Guido Barilla torna sui suoi passi. "Non farei mai uno spot con una famiglia omosessuale", aveva detto solo qualche settimana fa scatenando accesissime polemiche da parte della associazioni gay. Polemiche tanto fereoci da obbligare l'imprenditore a una retromarcia senza precedenti. Così, a soli due mesi di distanza, ecco la storica azienda di Parma ha annunciato due iniziative su "diversità, inclusione e responsabilità sociale". Le scuse di Guido Barilla non erano bastate. L'imprenditore era stato costretto a scusarsi per le frasi pronunciate alla Zanzara sugli spot della sua azienda. Frasi che i benpensanti avevano subito bollato come "omofobe" e che avevano spinto le comunità gay a lanciare il boicottaggio del colosso della pasta. "Sul dibattito riguardante l’evoluzione della famiglia ho molto da imparare", aveva detto Guido Barilla. Polemica chiusa? Macchè. Le scuse, si vede, non sono state sufficienti. Così, con l’obiettivo di rafforzare il proprio impegno aziendale verso la diversità, il gruppo Barilla ha avviato alcune misure concrete su diversità, inclusione e responsabilità sociale. Già in occasione delle pubbliche scuse di Guido Barilla e dell'incontro "riparatore" con le associazioni gay, il gruppo alimentare si era impegnato "a produrre proposte concrete in tempi certi, che saranno oggetto di un successivo incontro". Che oggi sono arrivate. "Diversità, inclusione e uguaglianza sono da tempo parte integrante della cultura, dei valori e del codice etico di Barilla. Questi si riflettono nelle politiche e nei benefit offerti a tutto il personale, indipendentemente da età, disabilità, sesso, razza, religione o orientamento sessuale", ha affermato oggi l’amministratore delegato Claudio Colzani. "Allo stesso tempo - ha concluso - il nostro impegno è volto a promuovere la diversità perché crediamo fermamente che sia la cosa giusta da fare". Tra le attività il nuovo "Diversity & Inclusion Board", composto da esperti esterni indipendenti che aiuteranno Barilla a stabilire obiettivi e strategie concrete per migliorare lo stato di diversità e uguaglianza tra il personale e nella cultura aziendale in merito a orientamento sessuale, parità tra i sessi, diritti dei disabili e questioni multiculturali e intergenerazionali. Tra le persone che ad oggi hanno accettato di far parte del board si annoverano David Mixner, leader mondiale della comunità Lgbt, e Alex Zanardi, medaglia d’oro alle Paraolimpiadi.

Idiozie varie

La cultura del "no a tutto" uccide pure il divertimento. Un Paese sopraffatto dal pessimismo e dagli interessi localistici, che si arrende a scelte assurde. Cori razzisti negli stadi? E noi chiudiamo gli stadi anziché i cori di Giuseppe Marino

Aveva ragione Giuliano Zincone: per risollevare l'Italia bisognerebbe cambiarne la ragione sociale iscritta nella Costituzione: «Basta con “è una Repubblica fondata sul lavoro“», e proponeva un'alternativa: «L'Italia è un granducato che promuove il divertimento. Sarebbe post moderno -, chiosava il giornalista come ci ha ricordato Il Foglio in occasione della sua scomparsa - incoraggerebbe il turismo e rilancerebbe il Carnevale di Venezia». Un sagace motto di spirito, ma non da prendere alla leggera. Perché è inutile il mantra del rilancio del turismo e ficcarlo in tutti i triti programmi politici se poi il Paese intero ha messo all'indice il divertimento, come mostra la classifica elaborata da Trip Advisor per Il Giornale. Certo, c'è la crisi a frenare la voglia di spassarsela, ma far vivere le città anche di notte non darebbe una spintarella alla nostra scassata economia? E non solo: popolare le strade quando sono buie le rende più sicure ed è un antidoto al male di vivere che ci portiamo tutti dietro come quei pesi che si legano alle caviglie per fare esercizio. Ma così esercitiamo solo quest'umore di piombo che è la vera palla al piede d'Italia. Non è un caso che sul podio delle movide più pallide Roma e Milano salgano insieme a Parigi. Quest'estate un sondaggio globale vedeva i francesi indossare la maglia nera di popolo più pessimista sui 51 sondati dalla Gallup. E la scorsa settimana Frank Bruni, italoamericano ex corrispondente dall'Italia del New York Times, ha firmato un pezzo dal titolo eloquente: «L'Italia ti spezza il cuore». Spiegava con rammarico che abbiamo l'aria di aver fatto festa per anni ed esserci risvegliato con una sbronza triste. E il sito del quotidiano si è riempito di commenti di stranieri che vivono nel nostro Paese, tutti col tono da innamorati delusi. Vogliamo riconquistarli? Cominciamo dal combattere quest'ultima sfumatura di cultura del «no» che ci soffoca, l'effetto «nimby» che, dopo il nucleare e i termovalorizzatori, ha contagiato pure la nostra vita notturna. Possibile che non ci sia via di mezzo tra orde di ubriachi che insozzano le strade e tengono sveglio chi vuol dormire e il mortorio generalizzato? La verità è che ci stiamo rassegnando all'incapacità di gestire i grandi fenomeni. Negli stadi ci sono i cori razzisti? E noi chiudiamo gli stadi anziché rinchiudere i «coristi». La nostra classe dirigente farebbe meglio a riflettere: se in Italia dovessimo chiudere tutto quel che non funziona, in tanti vorrebbero cominciare dai palazzi del potere.

La matematica diventa opinione

Sottolinea che il ministero dell’Economia e l’Istat hanno ”opinioni leggermente diverse” e che “la differenza modesta è dovuta alle attività del processo di riforma strutturale” e “alle misure sui rimborsi del debito delle pubbliche amministrazioni“. Il ministro Fabrizio Saccomanni, a Londra per l’incontro con il Cancelliere dello Scacchiere George Osborne, a differenza di quanto rilevato dall’Istituto nazionale di statistica, precisa che ”l’economia entrerà in ripresa nel quarto trimestre” di quest’anno e “l’anno prossimo”. Tuttavia, secondo l’Istat, ”la caduta congiunturale del Pil avviatasi nel terzo trimestre del 2011 dovrebbe arrestarsi nell’ultimo trimestre dell’anno in corso”. E la variazione in media d’anno risulterebbe per il 2013 ancora fortemente negativa (-1,8%). Nel 2014, il Pil aumenterebbe dello 0,7%

Secondo l’Istituto, poi, la disoccupazione continua a segnare record negativi. Dopo i dati del 31 ottobre scorso quando l’Istat ha certificato il dato peggiore dal 1977, specie riguardo i giovani, arrivano le ‘Prospettive per l’economia italiana 2013-14‘ dove si registra un’ulteriore crescita del tasso di disoccupazione che raggiungerà, secondo le stime, quota 12,1% nel 2013. Nel 2014, pur stabilizzandosi, l’aumento continuerà a causa del ritardo con il quale il mercato del lavoro segue le evoluzioni dell’economia (+12,4%). Sottolineando che il mercato del lavoro è “ancora in sofferenza”, l’Istat spiega che “nei mesi estivi la caduta dell’occupazione che ha caratterizzato la prima parte dell’anno, si è arrestata, ma la situazione del mercato del lavoro permane fortemente deteriorata“. Le previsioni dell’Istat sono quindi peggiorate rispetto a quanto contenuto nella nota precedente, diffusa a novembre (11,9% in 2013 e 12,3% in 2014), mentre risultano sostanzialmente in linea con quanto previsto dal governo nel Documento di finanza pubblica (Def): 12,2% in 2013 e 12,4% in 2014.

Per quanto riguarda il Pil, la domanda interna al netto delle scorte tornerebbe a fornire un contributo positivo (+0,4 punti percentuali) che si accompagnerebbe a un aumento marginale della domanda estera netta (+0,2 punti percentuali) e a un lieve apporto delle scorte (+0,1 punti percentuali). Il miglioramento previsto per i trimestri finali dell’anno in corso si rifletterebbe in un ritorno alla crescita delle esportazioni nel corso del 2014. In media d’anno, le vendite totali in volume aumenterebbero del 3,7%. “Le esportazioni di merci beneficerebbero di un consolidamento della crescita nelle principali economie avanzate e di un miglioramento delle condizioni di domanda nelle maggiori economie dell’area euro” spiega l’Istat. Accanto al sensibile contenimento dei prezzi all’esportazione attuato da parte delle imprese, la competitività di prezzo delle esportazioni italiane beneficerebbe sia dell’atteso indebolimento del cambio dell’euro verso il dollaro, sia degli effetti delle misure di politica economica volte al contenimento dell’incidenza degli oneri sociali sul costo del lavoro. Anche la geografia degli scambi dovrebbe operare in senso favorevole all’export del nostro Paese, che crescerebbe sostanzialmente in linea con la domanda estera di prodotti nazionali. Per il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, i dati Istat che indicano una crescita del Pil inferiore nel 2014 rispetto alle stime del governo “sono previsioni e comunque rappresentano uno stimolo per fare ancora di più, la legge di stabilità deve incoraggiare l’economia”. L’Istat, osserva il ministro, indica che “se la fiducia crescerà si arriverà a una crescita intorno all’1% quanto previsto dal governo”. “Per la prima volta – aggiunge – la legge di stabilità non taglia ma aggiunge risorse”.

Mentre, per quanto riguarda le importazioni, la riduzione nel 2013 di quelle complessive (-3,4%) rifletterebbe il marcato deterioramento delle componenti interne di domanda e la debolezza delle esportazioni (+0,3%). Gli acquisti dall’estero tornerebbero a crescere nel 2014 (+3,5%), attivati dalla ripresa delle esportazioni e dal miglioramento delle condizioni interne di domanda. Alla luce di tali andamenti, e di un’evoluzione favorevole delle ragioni di scambio, si consoliderebbe il surplus della bilancia dei beni e servizi, previsto attestarsi al 2,9% del Pil nel 2014. Date le condizioni di debolezza del mercato del lavoro, le retribuzioni per dipendente continuerebbero a mostrare una dinamica moderata (+1,4%, sia nel 2013 sia nel 2014) dovuta al blocco retributivo nel settore pubblico e alla sostanziale equiparazione tra l’andamento delle retribuzioni di fatto e quelle contrattuali. Come risultato di questi andamenti la produttività del lavoro si stabilizzerebbe nel 2013 per tornare a crescere lievemente nel 2014, mentre il costo del lavoro per unità di prodotto è previsto in rallentamento in entrambi gli anni.

Nell’anno in corso la crescita della spesa dei consumatori risulterebbe in diminuzione (-2,4%). Nel 2014, le persistenti criticità sul mercato del lavoro e la crescita limitata delle retribuzioni, impedirebbero un aumento robusto dei consumi (+0,2%). Continuerebbe l’aggiustamento dei piani di spesa delle famiglie, che, tuttavia, beneficerebbero di un moderato recupero del potere di acquisto, dovuto a un aumento del reddito disponibile associato a un incremento contenuto dei prezzi al consumo. Il miglioramento del reddito disponibile contribuirebbe anche alla prosecuzione del recupero del tasso di risparmio in atto dalla seconda metà del 2012. Nel 2014, le prospettive di una leggera ripresa del ciclo produttivo determinerebbero un recupero dei tassi di accumulazione che tornerebbero su valori positivi (+2,2%). Gli investimenti privati risentirebbero dell’allentamento delle condizioni del credito determinate anche dal pagamento dei debiti commerciali accumulati dalle amministrazioni pubbliche nei confronti delle imprese. Gli investimenti in macchine e attrezzature dovrebbero costituire la componente più dinamica, mentre il ciclo degli investimenti in costruzioni risulterebbe in lieve ripresa. Avrebbe così termine la fase di contrazione degli investimenti che ha portato nel triennio 2011-2013 a una riduzione cumulata superiore al 15%.

domenica 3 novembre 2013

Tasse? Quali tasse? Parola di Saccomanni

Legge di Stabilità, il governo assicura. «No aumento tasse, un miliardo per le famiglie». La nota del ministero dell’Economia

Riduzione delle tasse di un decimo di punto percentuale, un miliardo di euro per «ridurre l’impatto delle imposte sugli immobili» e circa un miliardo per le famiglie. È quanto sostiene il ministero dell’Economia riferendosi alla legge di Stabilità. «In merito alle valutazioni espresse da osservatori e commentatori sull’impatto fiscale della Legge di Stabilità 2014 - si legge in una nota del Mef - il ministero dell’Economia e delle Finanze ritiene opportuno ribadire alcuni dati oggettivi, già illustrati dal ministro Saccomanni in occasione dell’audizione alle Commissioni riunite 5a del Senato e V della Camera». «Per la prima volta negli ultimi anni - si legge nella nota del Mef - la manovra finanziaria riduce la pressione fiscale di un decimo di punto percentuale (da 44,3 a 44,2% del Pil) segnando una inversione di tendenza: obiettivo prioritario del Governo è di ridurre le tasse e la diminuzione della pressione fiscale sarà più marcata negli anni successivi (43,7% nel 2016, che potrebbe diminuire ulteriormente grazie alla revisione della spesa recentemente avviata)». Secondo il Tesoro, «le famiglie sono quindi tenute al riparo da significativi incrementi di imposta, sono solo parzialmente interessate dall’aumento dell’imposta di bollo su conti deposito titoli e altri strumenti finanziari e dalla revisione delle detrazioni mentre sono oggetto di sgravi fiscali (1,5 miliardi di maggiori detrazioni Irpef) e di un intervento in favore dei comuni pari a un miliardo teso a ridurre l’impatto delle imposte sugli immobili. Complessivamente le famiglie dovrebbero beneficiare di una riduzione della pressione fiscale di circa 1 miliardo di euro». «L’incremento del gettito fiscale prodotto dalla manovra finanziaria (che, ricordiamo, interviene sul quadro definito dalla legislazione vigente, quindi modifica entrate e spese già precedentemente determinate, entro gli spazi consentiti da un quadro caratterizzato da un elevato debito pubblico) nel 2014 è pari a 973 milioni», ricorda via XX Settembre. «A questo incremento di gettito - sottolinea il Mef - contribuiscono prevalentemente misure che riguardano gli intermediari finanziari (2,6 miliardi) e altre misure di carattere volontario come la rivalutazione delle partecipazioni e dei beni delle imprese».

Dei fallimenti voluti

794 milioni nel quadriennio 2013-2016 per incentivare l’assunzione di giovani «svantaggiati». Giovani, fallisce il bonus assunzioni. «Incentivi? È in crisi anche il sommerso». Doveva servire per centomila posti, sono arrivate 13 mila richieste

ROMA - «Contiamo di attivare potenzialmente 200 mila soggetti, 100 mila con la decontribuzione e 100 mila con tutte le altre misure».
Con questa previsione il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, presentò alla stampa il 26 giugno il decreto legge sul bonus assunzione giovani approvato dal Consiglio dei ministri. Cuore del provvedimento era lo stanziamento di 794 milioni di euro nel quadriennio 2013-2016 per incentivare l’assunzione di giovani tra i 18 e i 29 anni “svantaggiati”, cioè con almeno una di queste condizioni: privi di impiego da almeno sei mesi; senza un diploma di scuola media superiore o professionale; single con una o più persone a carico. Insomma, l’intervento urgente era comprensibilmente indirizzato a chi ha più bisogno di lavorare e anche le risorse erano territorialmente ripartire a favore del Mezzogiorno (500 dei 794 milioni) dove maggiore è l’emergenza occupazionale. L’incentivo per l’azienda che avesse assunto non era trascurabile: un bonus contributivo fino a 650 euro per 18 mesi (11.700 euro in tutto) per ogni giovane preso con contratto a tempo indeterminato, oppure fino a 12 mesi (7.800) in caso di stabilizzazione di un contratto a termine. Il bonus dovrebbe appunto favorire 100 mila assunzioni in tre anni. Altri 100 mila posti di lavoro verrebbero invece soprattutto dal potenziamento degli incentivi all’autoimprenditorialità e da un piano di tirocini formativi nel Sud. Finora il bottino è magro. Al 31 ottobre le domande di bonus presentate all’Inps sono solo 13.770.

Meglio di niente, certo. Ma un risultato molto inferiore alle attese, se si pensa che, nei giorni immediatamente precedenti all’apertura di quella che il governo sperava fosse una corsa al bonus, ministero e Inps ci tennero a chiarire che sarebbero state accolte le domande fino a esaurimento dei fondi: 148 milioni quelli disponibili per il 2013, sufficienti per non più di 18-20 mila assunzioni o stabilizzazioni. E dunque era il caso di sbrigarsi per non correre rischi. La corsa si aprì il primo ottobre con il cosiddetto clic day, giorno nel quale l’Inps sarebbe dovuto essere preso d’assalto dalle domande online delle aziende. Ma di richieste il primo giorno ne arrivarono “solo” 5.500. E in un mese siamo appunto arrivati a 13.770 di cui quelle confermate sono ancora meno: 9.284. Magari per la fine dell’anno le poche risorse disponibili per il 2013 si esauriranno, ma certo non ci sarà bisogno di alcun rifinanziamento, come si auspicava quando la misura fu lanciata. Un mezzo flop, insomma. O una goccia nel mare, come preferite, considerando che, per esempio, i giovani che non studiano e non lavorano sono più di due milioni e che quelli disoccupati (hanno perso un lavoro o lo cercano senza trovarlo) sono 654 mila, in aumento di 34 mila nell’ultimo anno.

Ancora una volta si conferma che, quando la crisi è nera, non basta un bonus a convincere un imprenditore ad assumere, tanto più a tempo indeterminato, spiega per esempio Paolo Agnelli, 62 anni, bergamasco, re dell’alluminio in Italia e presidente di Confimi, associazione delle piccole imprese: «Un imprenditore assume un giovane se gli serve, cioè se ha lavoro», ma se per fare questo supera la soglia dei 15 dipendenti e finisce sotto i vincoli dello Statuto dei lavoratori in materia di rapporti sindacali e licenziamenti ci pensa su due volte «perché uno con 16 dipendenti non è mica la Fiat». Se questo discorso è vero, significa che le assunzioni che comunque avvengono sarebbero state fatte anche in mancanza di incentivi. E il rischio, quindi, è che il bonus si riveli inefficace allo scopo dichiarato: creare occupazione aggiuntiva. Sarà un caso ma delle 13 mila e passa domande arrivate finora, ben 8.308 si riferiscono ad assunzioni concluse prima del clic day. La delusione è palpabile anche al ministero del Lavoro, dove il sottosegretario Carlo Dell’Aringa, con un’intervista al quotidiano «Avvenire» ha onestamente ammesso: «I primi incentivi stanziati a giugno sono stati poco utilizzati e sulle assunzioni dei giovani le imprese vanno con i piedi di piombo. Senza una ripresa dei consumi, le aziende non investono. Per questo dobbiamo cercare di dare alle famiglie qualche soldo di più da spendere». Insomma: creare domanda, consumi, cioè lavoro per le imprese che, a quel punto, assumeranno anche senza incentivi.

La crisi è talmente nera che Dell’Aringa rivela: «Abbiamo segnali sul fatto che, nel Mezzogiorno, è in crisi anche il sommerso. E se il “nero” manda a casa i lavoratori non c’è deregolamentazione o incentivo che tenga. Come dire: il rubinetto è aperto, ma il cavallo non beve». Più chiaro di così... Lo ha riscontrato anche la Fondazione studi dei consulenti del lavoro che, dopo un’indagine sul campo, ha concluso: «In assenza di nuovo lavoro risulta assolutamente privo di efficacia qualsiasi provvedimento che incentiva nuove assunzioni». Più promettente sembra la strada delle cosiddette politiche attive del lavoro. Significa: formazione e, in qualche misura, anche l’apprendistato; incrocio tra scuola e lavoro anche attraverso tirocini e stage; collocamento e ricollocamento al lavoro con percorsi individuali di assistenza e con il potenziamento e l’interconnessione delle banche dati di domanda e offerta di lavoro. In questo campo la maggiore opportunità è offerta dal programma europeo Youth Guarantee, «Garanzia Giovani», che grazie a quanto spuntato dal premier Enrico Letta a Bruxelles, metterà a disposizione dell’Italia 1,5 miliardi da spendere tra il 2014 e il 2015 per assicurare ai giovani fra 15 e 24 anni un’offerta di lavoro, apprendistato o tirocinio entro 4 mesi dalla fine del percorso scolastico o dalla perdita di una precedente occupazione. Giovannini ha incontrato giovedì le associazioni rappresentative delle imprese, dei sindacati e dei giovani. Verranno coinvolte, come è normale che sia, le Regioni, gli enti locali, scuole e università.

Il rischio, inutile nasconderselo, è che le risorse vengano disperse in una filiera di iniziative più simboliche che reali, tanto per dire: il colloquio personale è stato fatto, l’opportunità di formazione è stata offerta, e così via. Con un beneficio più per le strutture di gestione del programma che per i destinatari, i giovani. Un po’ come accade per la formazione, fatta più per i formatori che per chi cerca lavoro. C’è tutto il tempo per evitarlo. Guardando magari a modelli esteri che funzionano. E concentrando per esempio le risorse sull’apprendistato e le iniziative di alternanza tra scuola e lavoro, sulla scia di quanto previsto dal decreto legge del ministro del ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, appena approvato dalla Camera e che il Senato deve convertire in legge entro l’11 novembre.

venerdì 1 novembre 2013

Cencellieri e Ligresti...

E, così, giusto per... ricordiamo chi è Piergiorgio Peluso e dove stava fino a qualche tempo fa. Proprio qui.

Il Partito democratico interviene sulla vicenda delle telefonate tra il ministro Annamaria Cancellieri e la compagna di Salvatore Ligresti in merito alla scarcerazione della figlia Giulia, in carcere per il caso Fonsai (di cui il figlio di Cancellieri, Pier Giorgio Peluso, era il direttore generale).

DETENUTI DI SERIE A E SERIE B? - «Non c’è dubbio che si tratta di una vicenda molto delicata sulla quale è bene si faccia chiarezza a anche in tempi molto rapidi. Il ministro deve chiarire il senso di quelle parole e fugare ogni dubbio sul fatto che in Italia non ci sono detenuti di serie A e detenuti di serie B», ha commentato Danilo Leva, responsabile nazionale Giustizia del Pd: «Ci sono migliaia di detenuti che non hanno voce e che non volto - ha aggiunto - e le istituzioni devono essere vicine a tutti».

RIFERISCA ALLE CAMERE - Il Guardasigilli si sarebbe occupato delle condizioni di salute di Giulia Ligresti, l’unica ad aver patteggiato fino ad ora, che pochi giorni dopo la promessa di un interessamento sarebbe di fatto stata trasferita agli arresti domiciliari. «Io sto alla nota della procura di Torino che esclude categoricamente qualsiasi tipo di interferenza - precisa Leva - Credo che il ministro Cancellieri debba venire a riferire alle Camere, chiarendo tutti i contorni di questa vicenda, poi valuteremo con grande attenzione».

NON PRIMA DI MERCOLEDÌ - L’intervento non dovrebbe avvenire a breve: sabato Cancellieri sarà impegnata a Chianciano per il congresso dei Radicali, lunedì e martedì a Strasburgo per fare il punto sul piano da presentare entro maggio 2014 dopo la sentenza della Corte Europea che ha condannato l’Italia per trattamento inumano nelle carceri. Il ministro al momento sceglie di mantenere il silenzio sulla vicenda rimanendo ferma sulla linea già indicata giovedì con la nota ufficiale: nessuna interferenza ma soltanto un intervento «doveroso» dopo una segnalazione.

DOPO VALUTEREMO - «Siamo in una fase - ribadisce Leva - in cui in molti cercano di strumentalizzare la vicenda, piegandola anche a logiche particolari, ma per il bene del Paese, il ministro Cancellieri deve riferire all’Aula e, a seguito di quanto lei dirà, dei contenuti della sua relazione, con grande senso di responsabilità ogni forza politica dovrà fare le sue valutazioni e anche noi faremo le nostre». Ironico, via Twitter, Antonio Funiciello, membro della segreteria Pd e vicino a Matteo Renzi: «Il ministro Idem impiegò 10 giorni a dimettersi. Alfano 10 giorni per non dimettersi. Vediamo quale record batterà il ministro Cancellieri».

DIFESA DEL PDL: COME BERLUSCONI-RUBY - A difendere il ministro Cancellieri provvede il Pdl, con la deputata Jole Santelli che ribadisce la posizione del partito: «Al ministro Cancellieri solidarietà, condizionata al riconoscimento che uguale correttezza di comportamento debba essere riconosciuta al presidente Berlusconi, condannato a sette anni per condotta identica». Il riferimento è alla condanna, nel giugno scorso, dell’ex premier per concussione nell’ambito del caso Ruby. Santelli critica il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il premier Enrico Letta invitandoli a esprimere una difesa analoga a quella riservata al Guardasigilli anche nei confronti del leader del Pdl: «In Italia - conclude il sottosegretario al Lavoro - giudizio penale e giudizio morale sono dati in relazione alle condotte o ai soggetti che le compiono? Un atto di correttezza dovuto al popolo italiano».

PERSONA CORRETTA E PULITA - Intanto emerge dai verbali che Gabriella Fragni, la compagna di Salvatore Ligresti che si era rivolta al ministro, ha definito Cancellieri come persona «assolutamente corretta e pulita, che non farebbe mai nulla controcorrente o, meglio, contrario ai suoi doveri istituzionali».

PELUSO CONTRO LIGRESTI? - E anche che i pm di Torino che stanno indagando sulla vicenda hanno cercato di capire se Peluso, figlio del ministro Cancellieri, abbia avuto «l’intento di escludere l’azionista di riferimento (i Ligresti) o abbia fatto emergere lacune (e quindi falsità) relative ai bilanci degli anni precedenti».

Mercanti di carne umana...

Viaggi della morte con i soldi dell'Onu. Il Tg2: profughi libici in Tunisia si pagano la traversata verso l'Italia con il sussidio per integrarsi di Fausto Biloslavo

L'Onu finanzia i migranti per sistemarsi in Tunisia e molti di loro utilizzano i soldi per imbarcarsi sulle coste libiche verso l'Italia. Sembra assurdo, ma l'agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr) «aiuta», suo malgrado, l'arrivo dei clandestini sulle nostre coste. Lo ha rivelato un servizio del Tg2 andato in onda mercoledì sera sull'ex campo profughi di Choucha, che nel 2011 era stato allestito dall'Unhcr in Tunisia. A soli nove chilometri dal confine con la Libia di Ras Jadir accoglieva fino a 18mila profughi al giorno, in fuga dalla rivolta contro il colonnello Gheddafi bombardato dalla Nato. Lo scorso 30 giugno il campo è stato ufficialmente chiuso, anche se ci vivevano ancora circa 400 anime. A ben 262 era stata respinta la richiesta d'asilo, mentre 135 avevano lo status di rifugiato, ma nessuno li ha accolti. Per spingere i profughi rimasti dal 2011 ad integrarsi in Tunisia, le Nazioni Unite si sono inventate un programma che prevede corsi di lingua, formazione lavoro e un aiuto economico. In media 1000 dollari a testa, che possono raddoppiare in base alla composizione del nucleo familiare.

Il problema è che molti rifugiati o presunti tali, dopo aver intascato i soldi non hanno pensato nemmeno un attimo ad integrarsi e restare in Tunisia. Il piccolo gruzzolo è servito per tornare clandestinamente in Libia, attraverso la porosa frontiera nel deserto e raggiungere un punto di imbarco verso Lampedusa. Al Tg2 Samer Fahed, un palestinese di Gaza che vive ancora nel campo dismesso di Choucha, ha raccontato: «Almeno 150 rifugiati hanno preso i mille dollari e attraversato il deserto fino in Libia per imbarcarsi verso l'Italia». Il porto di partenza più vicino e noto, lungo la strada costiera, ad ovest di Tripoli, è Zuara. Un vero e proprio hub dei trafficanti di uomini, che fin dai tempi di Gheddafi imbarcavano clandestini provenienti pure dalla Tunisia. In queste ultime settimane i fatiscenti barconi trovano ad attenderli in mezzo al mare la flotta della Marina militare impegnata nell'operazione Mare nostrum. Uno slancio umanitario in soccorso dei migranti, anche se oltre la metà non ha diritto all'asilo politico e quindi a rimanere in Italia. L'aspetto paradossale è che almeno 150 siano riusciti ad imbarcarsi, negli ultimi mesi, grazie ai soldi ottenuti dall'Onu in Tunisia. Gli stessi attivisti dei diritti dei migranti, che hanno aperto un blog di protesta per i dimenticati del campo di Choucha, scrivono: «Alcuni di loro hanno firmato il modulo per l'integrazione in loco, ma utilizzato i soldi presi dall'Unhcr per pagare il passaggio clandestino sui barconi attraverso il Mediterraneo».

Nelle ultime 48 ore la Marina ha soccorso in mare e trasferito in Sicilia 317 migranti in gran parte di origine subsahariana, che rincorrono il fittizio Eldorado occidentale soprattutto per motivi economici. Non solo: un gruppo di profughi siriani ha denunciato il furto dei loro averi, compresi gioielli, a bordo delle nostre navi militari. La Marina annuncia che sono state aperte tre inchieste e ricorda che nell'operazione di trasbordo dei migranti l'ordine è effettuare «un accurato controllo operato dal team brigata Marina San Marco e dal personale femminile di bordo, avendo cura di restituire gli effetti indossati e ritenuti non pericolosi agli interessati senza operare nessuna sottrazione». Se la denuncia fosse vera sarebbe un'ignominia per un'operazione umanitaria. Se i siriani mentissero, andrebbero rispediti a casa a pedate. Ambedue le ipotesi aggiungono ulteriori punti di domanda su Mare nostrum. Soprattutto tenendo conto che dovrebbe essere la Libia ad intervenire contro l'ondata umana diretta in Europa. Mercoledì notte, per la prima volta dall'inizio di Mare nostrum, la guardia costiera di Tripoli ha tratto in salvo un barcone con 84 migranti bloccato al largo da un guasto. Tutte le persone a bordo sono state riportate in Libia nel porto di Zawia. Ieri il premier libico Alì Zeidan ha annunciato l'avvio “di un sistema elettronico di controllo dei confini con l'aiuto del know-how italiano, sia dal punto di vista tecnico che operativo”. Un contratto della Selex Es del gruppo Finmeccanica chiuso ancora con Gheddafi, ma bloccato dalla rivolta. Radar e sensori controlleranno la frontiera meridionale compresa quella con l'Algeria e la Tunisia per intercettare i clandestini, oltre che terroristi e traffici di droga o armi.