giovedì 31 maggio 2012

Sciacalli


Bisogna aiutare i terremotati. Hanno perso tutto. Casa e lavoro. Il sistema produttivo delle zone colpite è in ginocchio e il governo trova subito una soluzione come dire, "montiana" per aiutarli: aumentare le accise sulla benzina di due centesimi e rinviare a settembre, solo per i terremotati, il pagamento di quella miriade di balzelli imposti dal governo. A partire dall'Imu. Insomma, la prima risposta è stata quella di aumentare le tasse. Insomma, il terremoto devono pagarlo tutti gli italiani. Inclusi, alla fine, chi ha perso tutto. Daalle prime misure adottate dal governo si capisce che intende fare tutto tranne mettere mano alla spesa pubblica e agli sprechi. Tra gli sprechi c'è sicuramente il doppio stipendio che molti politici emiliani si portano a casa.

Doppio stipendio - La legge 267 del 2000 permette agli eletti di raddoppiare lo stipendio cumulando l'impegno da consigliere comunale o provinciale con quello che di fatto non esercita più. Nel caso di un insegnante passato in politica, per esempio, in Emilia i Comuni pagano non solo il gettone di presenza ma anche lo stipendio da professore anche se il politico in questione non ha mai messo piede in aula. E poi ci sono le banche. Che, neanche davanti a situazioni di emergenza come questa, neanche davanti alla parola solidarietà, rinuncia ad incassare le commissioni sui bonifici dei donatori. Per cui si crea l'incresciosa situazione di persone che, già sotto pressione per la pesante situazione economica, decidono di fare delle donazioni, ma si trovano costretti a dover versare anche l'obolo della commissione alle banche (soprattutto se sono diverse da quelle in cui donatore ha un conto). Ma almeno in situazioni come queste le banche, e non solo non sempre i cittadini, potrebbero mettere da parte i propri interessi.

Oh, macchè scherziamo?

Ora, in un paese normale (anomalo quando c'era B.), ad un qualunque ministro (specie di centrodestra) che avesse ammesso uno sbaglio, gli si sarebbero chieste da dovunque le dimissioni... ma in un paese ancora anomalo, con un governo non eletto, ad un ministro che ammette un grave errore, cosa gli si dovrebbe chiedere? Ah, giusto, non gli si deve chiedere niente perchè, bhe, tutti possono sbagliare, specie i ministri plurilaureati lontano miliardi di km dalla strada e dai cittadini qualunque. Ci mancherebbe!


MILANO - I conti non tornano. E dopo mesi di polemiche con i sindacati, arriva l'ammissione di Elsa Fornero. «Sugli esodati abbiamo sbagliato» ha detto il ministro del Lavoro a Focus Economia su Radio 24. «Non ho mai pensato che i professori non sbagliano mai. Ma per me sarebbe difficile non essere 'professorale' visto che lo sono stata per trent'anni e più. Questa è la mia natura, la mia professione e la cosa che amo» ha aggiunto.

TUTTI SBAGLIANO -«È vero con gli esodati abbiamo sbagliato, tutti sbagliamo. Ma una cosa che vorrei ricordare- ha precisato- è che quando abbiamo fatto la riforma delle pensioni, l'abbiamo fatta in 20 giorni perchè il paese era sull'orlo di un baratro finanziario. Questo la gente l'ha già dimenticato. Non abbiamo avuto il lusso di un tempo di riflessione più lungo perchè altri governi in precedenza si erano presi il lusso di tempi di gradualismo eccessivi e molto molto lunghi. E noi abbiamo dovuto agire in fretta».

CIFRE SBAGLIATE - «Mi hanno dato una cifra sbagliata? Non so, forse. Ma non mi metto subito ad imputare -ha concluso il ministro Fornero - Dico che è compito del governo risolvere il problema di quelli che sono più prossimi alla pensione e prendere l'impegno di cercare modalità eque per risolvere il problema di quelli che non sono compresi in questi primi 65.000».

Per il bene dei giovani...


MILANO - Il Senato ha approvato in prima lettura il disegno di Legge di Riforma del Mercato del Lavoro, che passa ora alla Camera. «È una riforma di profonda struttura, che è stata accompagnata da dibattiti intensi in tutto il Paese», ha detto presidente del Consiglio, Mario Monti, che ha partecipato alla votazione, in quanto senatore a vita. E a chi gli chiedeva se il provvedimento arriverà blindato anche alla Camera ha risposto: «A noi interessa il buon esito della riforma: faremo le valutazioni che saranno necessarie, siamo molto incoraggiati dal successo del Senato».

VOTI - Il testo, "spacchettato" in quattro emendamenti per evitare un unico e troppo corposo maxi emendamento, ha superato quattro voti di fiducia prima del voto finale. Il ddl è finalizzato a rendere più flessibile l'entrata e l'uscita dal mercato del lavoro e a creare un nuovo sistema di ammortizzatori sociali. Hanno votato a favore 231 senatori, contro 33, 9 gli astenuti. Obiettivo dell'esecutivo è che la riforma entri in vigore entro l'estate.

RIFORME - «Non è facile in un momento di crisi e in questa situazione economica e finanziaria dare fiducia, ma vogliamo che i giovani sentano che l'Italia è governata non per il plauso delle categorie ma per il loro bene». Il presidente del Consiglio, Mario Monti ha sottolineato che la riforma aiuterà anche i giovani disoccupati. E ha aggiunto: «Io credo che il governo debba guardare soprattutto le valutazioni che arrivano dagli organismi imparziali - ha aggiunto il presidente del Consiglio, Mario Monti - da ultimo ieri quello della Commissione europea, e anche l'Ocse e l'Fmi, che hanno sottolineato l'importanza di questa riforma, che va vista nel contesto delle diverse riforme, a cominciare da quella delle pensioni».

ARTICOLO 18 - Con la riforma del mercato del lavoro l'articolo 18 diventa «europeo» e non «cancella le garanzie per i lavoratori», ha dichiarato il ministro del Lavoro Elsa Fornero. «Direi che sono soddisfatta» aggiunge Fornero per la quale il provvedimento è «un tassello importante di azione a più vasto raggio di riforma che deve interessare molti altri aspetti del vivere e dell'operare nel Paese nel mondo nel lavoro e nelle attività produttive in modo che sia possibile lavorare qui e attraente investire in questo Paese».

SINDACATO - «È un pasticcio inestricabile» e il Governo ha sbagliato a blindare il testo con la fiducia. La Cgil, conferma il segretario confederale Danilo Barbi, continua la sua mobilitazione a Roma e davanti alle prefetture di molte città chiedendo che in questa fase si sostengano i redditi da lavoro e si crei occupazione. «Lanciamo un appello alle forze politiche e al Parlamento affinchè si valuti attentamente cosa si sta facendo. È proprio necessario andare avanti con questo disegno di legge?», dice il dirigente sindacale.

mercoledì 30 maggio 2012

Nel frattempo, in silenzio, fiducia quadrupla


MILANO - L'Aula del Senato ha dato voto favorevole con 246 sì e 34 no, alla questione di fiducia posta dal governo sul secondo dei quattro maxiemendamenti in cui è stato trasposto il Ddl di riforma del mercato del lavoro, nella versione approvata dalla commissione Lavoro. Il secondo maxiemendamento ricomprende gli articoli dal 22 al 40, con le misure sugli ammortizzatori sociali, con l'Aspi. La prima fiducia aveva avuto 247 voti favorevoli (e 33 contrari), un senatore si è astenuto. Il testo del primo maxiemendamento approvato con la fiducia, comprende gli articoli dall'1 al 21 del ddl, tra cui le modifiche all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.

IL GOVERNO E LA FIDUCIA - Il governo aveva deciso di porre quattro questioni di fiducia sulla riforma del mercato del lavoro all'esame dell' Aula del Senato. L'annuncio era arrivato dal ministro per i Rapporti con il Parlamento Piero Giarda presentando 4 emendamenti sostitutivi degli articoli dall'1 al 21, dal 22 al 40, dal 41 al 54, dal 55 al 77. I maxiemendamenti, ha detto Giarda, conterranno il testo «approvato dalla commissione con le sole necessarie modifiche di coordinamento normativo e alcune necessarie divisioni relative alle clausole di natura finanziaria». I quattro capitoli riguardano la flessibilità in entrata, in uscita, ammortizzatori sociali, formazione.

L'APPELLO DI FORNERO - Della riforma, «il nostro Paese ha molto bisogno per riprendere un percorso di crescita», è stato l'appello del ministro del Lavoro Elsa Fornero «Per questi motivi e non perchè lo chiedono i mercati finanziari, l'approvazione è un atto di estrema importanza», ha detto. L'obiettivo «ultimo» non è solo favorire l'occupazione «in particolare dei giovani e delle donne e ridurre stabilmente il tasso di disoccupazione strutturale» ma anche di rendere «più produttivo il lavoro». La riforma tende ad un mercato «inclusivo e dinamico» e «insieme al risanamento finanziario pubblico è la precondizione per lo sviluppo economico».

Così, tanto per...

La festa del due giugno costa una gran "paccata" di euro. La rete si è mobilitata chiedendo di annullare tale festa e di usare quei soldi per aiutare le vittime del terremoto. Il presidente della repubblica se ne frega e dice che la parata si farà "sobriamente" e in memoria delle vittime del sisma. Anche questa è vigliaccheria. I soldi della parata no ma l'aumento di due centesimi della benzina si.  Il premier evita di andare nei luoghi del sisma e decide di pranzare coi poveri di Sant'Egidio.

Comunque, lo aggiungo. Meglio di lui non lo avrebbe saputo scrivere nessun'altro un post del genere. Solo che a me sale parecchio la carogna.

martedì 29 maggio 2012

Esodati


Si torna a parlare di esodati. Il presidente dell'Inps Antonio Mastrapasqua e il ministro del Lavoro Elsa Fornero tornano sulla questione e se il ministro sottolinea come siano un costo della riforma, che non riporterà però a riaprire i giochi, Mastrapasqua evidenzia la necessità di fare più di quanto annunciato. Antonio Mastrapasqua sottolinea la necessità di "trovare una soluzione che valga per tutti, non solo per il contingente" annunciato dal ministro del Lavoro Elsa Fornero - e individuato dal decreto che dovrebbe essere emanato a giorni -, che riguarda 65.000 lavoratori. Nel suo intervento alla presentazione del rapporto annuale dell'Inps alla Camera definisce la riforma varata a fine 2011 "dura, severa, equa e coraggiosa, capace di assicurare la necessaria stabilità finanziaria al sistema previdenziale italiano in questa complessa transizione". Ma fa anche presente la necessità di ragionare sulle condizioni di chi "è colto a metà del suo passaggio personale" e "non può e non deve essere dimenticato o trascurato. Deve essere assistito e garantito nei suoi diritti soggettivi. Deve essere assicurato il dovuto sostegno: è un atto di giustizia, di legalità e di democrazia". A Mastrapasqua risponde il ministro Fornero. Il decreto sugli esodati - dice - riguarderà 65mila persone, ma sarà "una soluzione parziale del problema". Dopo il decreto si dovrà ragionare con la parti sociali per risolvere "il problema delle altre categorie, alcune delle quali sono ancora al lavoro". Infatti, sottolinea, è "preferibile dare in tempi brevi una risposta a persone che vivono nell'incertezza". Per le 65mila persone che sono rimaste al lavoro sarà salvaguardato "il diritto al pensionamento secondo le vecchie regole". Per gli altri lavoratori, "difficilmente enumerabili", verranno trovate soluzioni che tengano presente "i criteri di equità e di efficienza ma senza scardinare la riforma". Critica la replica di Susanna Camusso, segretario generale della Cgil. Una soluzione in due tempi "è disprezzo nei confronti delle persone. Il ministro parla senza sapere di cosa parla perché non ci sono persone a lavoro, ma al massimo sono lavoratori in cig, in attesa di passare in mobilità, certo non a lavoro". Sull'argomento anche l'intervento della Cisl. Maurizio Petruccioli, segretario confederale, ricorda che il sindacato ha "sempre sostenuto che le risorse stanziate, così come l'individuazione delle 65.000 unità da salvaguardare fossero insufficienti soprattutto rispetto alle altre situazioni per le quali, finora, non è stata prevista alcuna risposta". E conclude: "Urgente anche l'apertura di un confronto con il ministero per definire le situazioni sulle quali intervenire, purché vi sia una risposta immediata e in tempi certi alle persone coinvolte".

lunedì 28 maggio 2012

L'islamico salto di qualità


«Ordinerete ai popoli la carità e dimenticherete voi stessi?». È il versetto richiamato nella locandina del corso di formazione rivolto ai dirigenti dei centri islamici di Milano, provincia e Brianza. Il senso è chiaro: chi guida gli altri non può essere da meno. Per questo il Coordinamento dei Centri islamici milanesi, con la collaborazione dell'Arci milanese, ha messo in piedi questa sorta di «master» per Imam e direttori di moschee: un corso di formazione in gestione del no profit: «Partecipazione, efficienza e trasparenza al servizio di Dio e della società». Alle lezioni in viale Monza hanno partecipato una trentina di allievi. Fra questi i dirigenti delle associazioni del «Caim» (il coordinamento) e di moschee dell'hinterland, come Sesto San Giovanni, Monza, Pioltello, Legnano, Macherio, Saronno. «Si tratta solo del primo passo - spiega il coordinatore Davide Piccardo - di un percorso che vogliamo proseguire». Le comunità islamiche milanesi sanno che una dirigenza qualificata è una condizione essenziale (non l'unica) che viene posta dalla politica al mondo musulmano milanese. «Ancor prima che delle aspettative degli altri - spiega Piccardo - siamo noi che intendiamo fare questo lavoro, anche perché i valori di trasparenza e democrazia appartengono alla nostra tradizione e ai messaggi del Profeta». I problemi che devono affrontare le associazioni islamiche sono quelli che ogni sodalizio conosce, con alcune complicazioni: «I nostri dirigenti - dice Piccardo - provengono spesso da altri Paesi, in cui l'associazionismo non è così sviluppato, e comunque spesso, nei loro paesi di origine, non rivestivano ruoli del genere. Per questo è indispensabile che acquisiscano una certa preparazione, anche perché le nostre associazioni sono nate in modo spontaneo e per noi è giunto il momento di un salto di qualità».

Tutti i centri delle realtà legate al Caim sono dotate di uno statuto, ma la normativa spesso diventa un rebus inestricabile: «La legge italiana è complessa, non è facile gestire un centro, e con il limite della lingua le difficoltà aumentano». Una professionalità degli «imam» - ma in realtà soprattutto dei dirigenti «laici» dei centri - serve anche a evitare fenomeni e casi di opacità nella gestione delle risorse associative: «I casi di malcostume possono esserci, come in ogni realtà - spiega Piccardo - ma indipendentemente dagli aspetti legati all'onestà, i conflitti interni possono nascere anche sulle regole, sulla loro applicazione». Alcune «moschee» non si limitano alle funzioni religiose, e organizzano una sorta di welfare state. Fornendo per esempio sussidi veri e propri ai fedeli. Esiste dunque anche il problema dei soldi. Per Piccardo è uno dei tanti: «I nostri centri non navigano nell'oro, spesso fanno fatica a pagare l'affitto». «Normalmente - spiega - i centri sono finalizzati all'attività del culto, e i contributi dei fedeli sono destinati a quello, ma spesso c'è anche una funzione di tipo più sociale, mutualistico. Per fare un solo esempio, i centri si occupano di rimpatriare le salme dei nostri fratelli defunti, spesa ingente che non tutte le famiglie possono sostenere».

Spending Rewiew


La metafora è quella del buon padre di famiglia. Il ministro Piero Giarda si appresta a sforbiciare la spesa pubblica e si affretta a chiarire che non si taglieranno i servizi ai cittadini, bensì a ridurre gli sprechi. Sprechi che nel breve periodo saranno ridotti di 100 miliardi la spesa pubblica "potenzialmente aggredibile nel breve periodo», mentre è di 300 miliardi quella che richiede un intervento al lungo periodo. Da qui devono saltar fuori risparmi di 4,2 miliardi per evitare l'aumento dell'Iva dal primo ottobre. Intervistato da Radio Vaticana, Giarda ha spiegato che si sta puntando la lente su tre tipi di spese: sprechi, inefficienze, ma anche su «interventi che facevamo prima e che oggi sono più costosi e comportano oneri che non possiamo più affrontare". Cifre notevoli visto che la spesa pubblica totale sfiora gli 800 miliardi, compresi i circa 70 per gli interessi. In settimana arriverà al Comitato interministeriale la prima relazione del commissario Enrico Bondi, che si incentrerà sulla spesa per acquisti di beni e servizi, non solo dei Ministeri, ma anche di Regioni (con la Sanità che è il grosso del budget), Enti pubblici e Comuni. L'idea di fondo è che tutti i centri di spesa acquistarino beni e servizi (compresa l'elettricità) al minor prezzo disponibile. In questo la Consip, la centrale unica di acquisti, avrebbe un ruolo fondamentale. Una Tac o una garza dovranno costare la stessa cifra sia in Calabria che in Lombardia, e una cartuccia per stampante dovrà essere pagata al miglior prezzo sia da un Ministero che dall'Inps. L'area di intervento, ha detto Giarda, è ampia: "Tutto il settore pubblico, dallo Stato fino all'ultimo dei comuni. Tutto il Paese non si è ancora adattato alle nuove condizioni"."ci sono posti o sezioni dove si annidano sprechi maggiori, è tutto il comparto che va rivisto e analizzato". "Alcuni aggiustamenti si possono fare nel breve periodo", ha detto ancora il ministro, e "la massa di spesa" che oggi è «potenzialmente aggredibile nel breve periodo ammonta a circa un centinaio di miliardi, divisa tra Stato, Enti previdenziali, Regioni ed Enti locali". Poi "se si guarda un po' più lontano la spesa su cui si può intervenire è di importi notevolmente più ampi, pari a circa 300 miliardi di euro". Entrando nel merito, secondo Giarda, i comuni e le provincie di minori dimensioni potrebbero essere accorpate per risparmiare. Tagli in vista anche per i giudici di pace che passeranno da 848 a 174, Spese per gli affitti, sistemi informatici, razionalizzazione: saranno queste le leve di risparmio nel settore istruzione. Per quanto riguarda i trasporti sarà riorganizzato il sistema che ruota intorno al ministero, dalla Motorizzazione alle autorità portuali. Il comparto sicurezza vedrà messa sotto la lente la spesa di Vigili del Fuoco e polizia che assorbe l'80% di quella del ministero dell'Interno.

Sharia


MILANO - L'ha uccisa per gelosia, ma soprattutto perchè vestiva all'occidentale. Sarebbe questo, secondo i primi riscontri dei Carabinieri e della Procura di Piacenza, il movente dell'omicidio di Kaur Balwinde, l'indiana di 27 anni strangolata dal marito, Singhj Kulbir. La ragazza, incinta di tre mesi, era scomparsa da 15 giorni dalla casa di Fiorenzuola dove viveva con il marito e un figlioletto di 5 anni. L'uomo, incensurato di 36 anni, lavora accudendo il bestiame in un'azienda agricola di Fiorenzuola d'Arda. Una quindicina di giorni fa, ha strangolato la moglie e l'ha poi gettata nel Po.

LA VITTIMA - Il cadavere della ragazza è stato trovato domenica da due ragazzi che passeggiavano su un argine a San Nazzaro, frazione di Monticelli d'Ongina. Ai carabinieri del nucleo investigativo di Piacenza e della stazione di Fiorenziola, il marito della ragazza indiana ha ammesso la gelosia per la scelta della donna di non vivere secondo i costumi indiani. E dopo un lungo interrogatorio, l'uomo ha confessato. Kaur, mamma casalinga, svolgeva anche qualche lavoretto domestico a pagamento ed era conosciuta e benvoluta dalle altre mamme con bambini che frequentavano la scuola materna di Fiorenzuola, tanto che queste ultime si erano mobilitate al momento della sua scomparsa. Anche il marito svolgeva una vita normale e tranquilla e andava spesso a prendere e accompagnare il bambino a scuola. Una coppia inserita, conosciuta da tutti, anche perchè la famiglia della vittima vive da una ventina d'anni in Toscana.

L'APPELLO - La risposta dello Stato sia pronta e severa. È l'appello lanciato da Mara Carfagna, deputato Pdl: «La risposta dello Stato italiano a un uomo che ha ucciso la moglie indiana di soli 27 anni, con un bimbo in grembo, già madre, solamente perchè voleva vestire come una qualsiasi italiana, deve essere pronta, severa e simbolica. Chi mette in discussione il diritto alla libertà ed integrità delle donne - ha aggiunto l'ex ministro per le Pari opportunità - è un nemico dell'intera società e come tale deve essere trattato».

domenica 27 maggio 2012

La fornero, i disabili, gli anziani, le assicurazioni e i prestiti

LA Fornero ci fa sapere che: "Non si può pensare che lo stato sia in grado di fornire tutto in termini di servizi e trasferimenti"... ah, e quindi le tasse che le paghiamo a fare? Insomma, vorrebbe "privatizzare la disabilità per mezzo di una assicurazione privata"... Qualche giorno fa invece parlò di "prestiti vitalizi ipotecari". Giacchè anziani e disabili non si possono allineare lungo una parete e sparagli, allora il governo non eletto decide che è meglio farli morire di stenti senza ovviamente prendersi alcuna responsabilità. Ma daltronde, anche i suicidi economici non sono di responsabilità del governo attuale, no? E ci si chiede come mai la sinistra non dica una parola contro simili orrori.

Grandi tecnici




Chiedersi quali sono i settori nei quali ci sono gli sprechi maggiori di denaro pubblico è una domanda difficilissima. Impossibile da rispondere perché l'elenco sarebbe troppo lungo. E a gettare la spugna, a non voler fare questo elenco lunghissimo, è proprio il ministro per i Rapporti con il Parlamento Piero Giarda, alle prese con la spending review. Così, pur promettendo immediati tagli alla spesa pubblica, il braccio armato del premier Mario Monti sembra brancolare nel buio. Non sono bastati sei lunghi mesi per conoscere la macchina mangia soldi? Non è bastato affidarsi a un super commissario, a un altro tecnico che dicesse ai tecnici come e dove andare a tagliare? Non sono bastati i continui annunci, le promesse e i buoni propositi a entrare con vigore nella pubblica amministrazione ed eliminare decenni di sprechi acquisiti? Sembrerebbe proprio di no. Perché, almeno per il momento, dal ministro Giarda arrivano solo promesse. Cifre, sì. Ma senza sapere gli obiettivi che verranno colpiti dal governo. In una intervista a Radio Vaticana il ministro per i Rapporti con il Parlamento ha annunciato in pompa magna che la spesa pubblica "potenzialmente aggredibile nel breve periodo" ammonta a circa 100 miliardi di euro. Cifra che sale a 300 miliardi grazie, però, a un intervento protratto nel lungo periodo.

Giarda ha spiegato che la ricerca di "risparmi e tagli agli sprechi riguarda l’intero settore pubblico dallo Stato al più piccolo dei comuni" dal momento che "l’intero Paese non si è ancora adattato alle nuove condizioni economiche". Insomma, secondo il ministro non ci sono posti o sezioni in cui ci siano sprechi maggiori: i primi 100 miliardi da tagliare interesseranno lo Stato, gli enti previdenziali, le Regioni e gli enti locali. Il ministro ha assicurato che il lavoro di revisione della spesa pubblica non sta incontrando "resistenze" da parte dei dicasteri che, proprio in questi giorni, stanno stendendo i progetti di ristrutturazione delle loro attività. La dead line è prevista per fine maggio. Poi dovrebbe, appunto, arrivare un primo elenco di tagli. Secondo Giarda il bilancio dello Stato è molto simile a quello di una famiglia che, dopo la nascita di un nuovo bambino deve "riguardare ai vizi accumulati nel passato". Questo si traduce, a livello pubblico, in un taglio degli sprechi, nella correzione delle inefficienze e nella rinuncia a interventi che non si possono più affrontare per le mutate condizioni. Ancora una volta Giarda ribadisce che l'obiettivo di Monti e del governo è quello di ridurre le tasse dei cittadini ed emettere qualche titolo di debito in meno. Fiduciosi, i cittadini aspettano con ansia i tagli e l'equità promessi dal Professore quando è arrivato a Palazzo Chigi. Per il momento, però, a fare i sacrifici sono stati sempre i soliti noti, tanto che nelle ultime settimana è montata l'ira degli italiani. Adesso il governo non può sprecare l'occasione: mantenere le promesse fatte riducendo gli sprechi e abbassando le tasse.

sabato 26 maggio 2012

Senza parole



Ci sono immagini che non richiedono commenti. Guardatevi lo stralcio dell’intervista concessa dal premier Mario Monti alla Sette. Formigli gli chiede: se lei avesse un figlio ventenne, laureato che guadagna 5 euro all’ora con un contratto da precario che cosa gli direbbe: vai via dall’Italia? Come lo convincerebbe a restare? Mario Monti resta in silenzio per 17 secondi, poi farfuglia una risposta sconclusionata, evasiva; tipica dell’accademico che non sa cosa sia la realtà, che non ha mai visto, né frequentato, né pensato a chi lavora umilmente; perché quel mondo non gli appartiene, esce dal suo radar mentale se non per ripetere le stesse regole astratte sulla flessibilità, sulla necessità di cambiare. O meglio: cambino gli altri, lui no di certo. Quanto a suo figlio, è giovanissimo ma ha già fatto una carriera brillante a Goldman Sachs, Morgan Stanley, Citigroup, Parmalat. Per meriti personali, non dubitiamo.

Con Paolo Barnard

Due post sulla puntata di ieri sera di Ultima parola. Uno qui e un altro qui. Inoltre, Barnard ha pubblicato anche questo post nel suo sito che io copio e incollo pari pari (e virtualmente ringrazio per il difficile lavoro che fa e che spero continui a fare per molto molto tempo):

Impossibile spiegare la MMT in un talk show. Il massimo che si può ottenere è di far sorgere un'ombra di dubbio negli spettatori sul fatto che ci sia qualcosa di drammaticamente storto in questo Euro. A Matrix dovetti fare la rissa, perché Vinci mi aveva bollato. Paragone... non c'è paragone con Vinci, e ho voluto ripagare la sua correttezza con altrettanta correttezza, cioè non ho voluto prendermi spazi a urli, che fra l'altro si prestano alle strumentalizzazioni contro di me facendomi passare per un violento urlatore. Unica critica a Paragone: non ha saputo contenere Colaninno che ha sproloquiato a vanvera troppo a lungo, rubando spazi a tutti. Oliviero Beha. mi ha contestato l'uso della parola criminale, come fattore che svia dalla sostanza dell'analisi di un crimine. Gli rispondo che spersonalizzare un crimine è immorale. Gli va dato un volto, e ci vuole il coraggio di farlo. Quel volto è Mario Monti qui, oggi. Come sempre io ho elencato dati, e gli altri opinioni. Ultima cosa: riguardate il mio intervento contro Monti. Non ho memoria di un altro giornalista che alla RAI abbia chiamato un presidente del Consiglio 'bugiardo e criminale' insieme, secco, netto, in faccia. Ho già scritto che gli umili non erediteranno nulla, la giustizia non esiste. Ma morire da perdenti e oltre tutto muti è troppo. Glielo si deve almeno urlare in faccia al torturatore che è un infame. Notte e grazie.

venerdì 25 maggio 2012

E dove sta la novità?


Per evitare gaffes, abbiamo rispolverato il dizionario della lingua italiana. Anzi, due. Per l’Aldo Gabrielli, Hoepli, “indottrinare” significa «insegnare i princìpi fondamentali di una dottrina, di un’ideologia, generalmente politica, specialmente in modo dogmatico». Il Sabatini Colletti è più frizzante. “Indottrinare” vuol dire «ammaestrare, istruire qualcuno specialmente per propaganda politica». Nessuno, insomma, riconosce accezioni positive. Il Pd di Roma, però, usa questo concetto senza alcun imbarazzo.

"Volontari cercasi" - Martedì alle 17.46 sulla bacheca di Facebook della federazione romana dei Democratici è infatti comparso uno strano annuncio. «A.A.A. VOLONTARI CERCASI», l’incipit, per niente originale. Sotto la spiegazione: «Per le esigenze del Dipartimento Comunicazione del PD Roma, si ricercano le seguenti figure di volontari». Vediamole: « Democratici Comunicatori Porta a Porta - età compresa fra i 16 e i 60 anni, meglio se auto o moto muniti, disponibili a frequentare un corso di indottrinamento presso la Federazione di Roma, da impiegare nei contatti “porta a porta” da Novembre 2012 ad Aprile 2013. (100 posti)». Quindi: «Democratici Comunicatori della Rete - età compresa fra i 16 e i 70 anni, dotati di computer e connessione ad Internet, buona conoscenza della rete, dei blog e dei social network, disponibili a frequentare un corso di indottrinamento presso la Federazione di Roma, da impiegare nella diffusione delle notizie relative al PD e nel contrasto della disinformazione propalata sulla Rete. (100 posti)». Infine, con rispettivamente due e tre posti a disposizione, «Programmatori Democratici Junior» e «Grafici Junior».

"Ma è uno scherzo?" - A parte le curiose differenze nel range di età dei due profili, di quel Porta a Porta maiuscolo che richiama la trasmissione di Bruno Vespa, del concetto di «disinformazione propalata», non è sfuggita ai visitatori del sito quella disponibilità richiesta «a frequentare un corso di indottrinamento» presso la Federazione. «Ma è uno scherzo?», chiede Maurizio Z., che commenta per primo. «Hanno già le divise pronte e chi si mostra refrattario all’indottrinamento rischia il campo di lavoro in Siberia!», alza il tiro Gianna C.. Stefano M., chiede di correggere il tiro: «Poi non vi meravigliate se le uniche elezioni che vince il PD sono quelle in cui il candidato leader non è del PD: parlate di indottrinamento come se fossimo nella Cina di Mao!».

"Chiamiamolo corso d'aggiornamento" - Per fugare ogni dubbio che si potesse trattare di un falso o di un errore è intervenuto direttamente l’autore dell’annuncio, che non è un vecchio nostalgico della falce e martello, ma un quarantasettenne proveniente dalla Margherita, per giunta responsabile Comunicazione del Pd romano. Gianluca Santilli non smentisce, anzi: «Vabbè, chiamalo corso di aggiornamento, chiamalo come ti pare, ma quello è», scrive.

I quadri del Pci - Discorso finito. Certo, rispetto a trenta anni fa, gli indottrinandi sono fortunati: la Federazione romana è dietro l’angolo. Un tempo, invece, il Partito Comunista italiano, se decideva di investire su un “quadro”, poteva spedirlo anche molto lontano. Le tre scuole del Pci dove si sono formate migliaia di dirigenti comunisti, infatti, erano ad Albinea in Emilia Romagna, a Faggeto Lario sul lago di Como, e ai Castelli romani, a Frattocchie. Certo, ai tempi i docenti erano di altissimo livello e, spesso, l’ “indottrinamento” era in realtà soprattutto istruzione di personale politico che frequentemente veniva dalle fabbriche e non aveva potuto studiare. Adesso, invece, temiamo si tratti solo di propaganda. Comunque sia, dopo un florilegio di critiche e sbertucciamenti, i commenti al “post” sono scomparsi. Ma l’annuncio no. E la Rete, come si sa, conserva tutto.

di Paolo Emilio Russo

giovedì 24 maggio 2012

E se lo dice lui... c'è da crederci


Sulla Grecia può succedere di tutto, gli Eurobond si faranno ma non subito, anche perché c'è ancora da convincere la Germania. E' la crisi finanziaria dell'Unione Europea il tema forte dei primi interventi del premier italiano Mario Monti a PiazzaPulita, il programma di La7 condotto da Corrado Formigli. L'esordio è tutto sul vertice Ue di mercoledì sera, in apparenza inconcludente, che ha attirato sui leader continentali molte critiche. "La mia valutazione è che si è fatto qualche importante passo avanti - commenta il professore -. Forse meno di quanto nella situazione attuale è necessario, ma più di quanto può apparire dai formali comunicati diffusi a fine vertice". Innanzitutto, gli eurobond. "Sono più numerosi quelli che si sono pronunciati a favore che quelli che si sono pronunciati contro", anche se il tempo di realizzazione "non sarà qualche mese, sarà di più". Per la collettivizzazione dei debiti nazionali, infatti, "occorre anche il consenso della Germania in particolare, che qualcosa significa". La linea d'azione italiana, per questo, non può essere quella di picchiare il pugno sul tavolo ma la persuasione. "Anche perché - è la battuta di Monti - a Bruxelles quel pugno rimbalzerebbe...". Comunque, annuncia, le decisioni grosse arriveranno al vertice del 28 giugno.

Grecia a rischio - L'altro capitolo è la Grecia. "E' certamente possibile il salvataggio - spiega il premier -. Può succedere di tutto ma l’esito positivo, per la Grecia ma anche per tutti, è il più probabile". Ottimismo cauto, dunque. Anche per l'Italia, che ora a detta del prof conta di più. "Non abbiamo più lezioni da ricevere. Siamo diventati attori compartecipi del destino dell’Europa e in grado di spingere tutti nella direzione del bene collettivo, Germania compresa". Il paragone, obbligato, è con il governo Silvio Berlusconi. "Il momento di maggior umiliazione, immagino, è stato il vertice di ottobre quando ci volevano obbligare a mettere sotto tutela dell'Ue i nostri conti e le nostre manovre". Un po' come la Grecia oggi. "Ma è un pericolo ormai scampato, credo. Ma a ottobre 2011 c'era il rischio di non poter pagare le pensioni, gli stipendi pubblici. Per fortuna c'è stato il presidente Napolitano, che ha rifiutato il ritorno alle urne e ha preferito un governo di ampia maggioranza. Ecco, la Grecia non ha avuto Napolitano".


L'ultima promessa di Mario Monti: otto miliardi per provare a risolvere il dramma della disoccupazione giovanile. Reduce dal vertice Ue a Bruxelles e incassata "l'accelerazione" sugli Eurobond, il premier incontra il Forum Nazionale dei giovani e parla soprattutto di lavoro, nel giorno in cui lo scontro sul ddl di riforma è ancora al centro di polemiche feroci tra governo e parti sociali e all’interno dello stesso esecutivo, con le parole del ministro del Welfare Elsa Fornero e la replica stizzita del collega della Pubblica amministrazione Patroni Griffi sul licenziamento degli statali. Monti sprona i ragazzi a "rischiare, a mettersi in gioco", a "sfidare l'autorità" e ad avere un "sogno in tasca che è il più bello e il più forte degli incentivi". Belle parole, ma in concreto la realtà è durissima.

Riforma del merito - E così ecco gli annunci: in Consiglio dei ministri si discuterà della 'riforma del merito', concedendo incentivi, borse di studio e tasse più basse per gli studenti più bravi. "Siate più disponibili a cambiare più lavori - ripete il premier riproponendo in chiave diversa il concetto sulla 'noia' del posto fisso che mesi fa scatenò polemiche e critiche - accettando i cambiamenti che saprete procurarvi come un arricchimento della personalità e non come una punizione. E' importante che viaggiate quando ne avete l’opportunità per sentirvi cittadini d’Europa". Sempre che i genitori, già in crisi, riescano a pagare loro i soggiorni all'estero. Monti snocciola cifre, dati e percentuali. E annuncia: "In Italia il 29% dei fondi strutturali per il 2007-2013, più di 8 miliardi di euro, sono potenzialmente destinabili alla lotta alla disoccupazione giovanile. Sono 460mila i ragazzi che in Europa (128mila in Italia) potrebbero beneficiare di questo piano di riallocazione dei giovani a livello europeo".

Lo "spreco" di Draghi - Citando le parole di mercoeldì del Capo dello Stato Napolitano, il premier esorta i giovani ad "aprire porte e finestre se non vi fanno entrare". Quindi risponde, senza citarlo direttamente, anche al governatore della Bce Mario Draghi, che ha parlato di "spreco" riferendosi alla disoccupazione giovanile in Europa. "Il governo sta rispondendo con le riforme". Riforme, come quella del mercato del lavoro, che favoriscono "una distribuzione più equa delle risorse, estendendo le garanzie a tutti. Vi renderà liberi di scegliere il lavoro che volete", perché ha "l'obiettivo di spostare la tutela del singolo posto a quella della singola persona". Certo, ammette il premier, il provvedimento del governo non ha incassato le lodi delle parti sociali, anzi ha scontentato tutti. Ma è "quasi normale che tutte le parti sociali abbiano trovato non ottimale la riforma del lavoro - dice - abbiamo seguito obiettivi di flex security seguendo le indicazioni di organismi, come l’Ocse e l’Fmi, che non hanno a cuore interessi di categoria, ma interessi generali. Tanto i sindacati quanto le imprese sono portatori di interessi particolari, ma noi abbiamo fatto l’interesse generale. E sono più contento del sì di Commissione europea e Ocse che dei dubbi espressi dalle organizzazioni sindacali e datoriali".

La signora anticasta


ROMA - La fotografia è del settimanale Chi , il commento, a mo' di didascalia, del sito Dagospia che la ripubblica: «Nel regno della casa low cost la senatrice del Pd acquista padelle antiaderenti e uno stendibiancheria. Consultandosi con i suoi bodyguard. Anna Finocchiaro, all'Ikea con tanto di sacca gialla, cerca tra gli scaffali, confrontando prezzi e consistenza delle pentole. In alto, con le guardie del corpo prima dell'uscita». In altre parole il capogruppo del Pd al Senato è stata ripresa mentre fa la spesa da Ikea, aiutata dalle sue guardie del corpo che le spingono il carrello pieno di acquisti. E, sempre Dagospia , si chiede: «D'accordo, trascinare il carrello riempiendolo di padelle antiaderenti e pentole, alla caccia di uno stendibiancheria, può essere anche faticoso per una signora come la senatrice Finocchiaro. Ma, con i venti gelidi che da tempo stanno investendo la casta politica, fra grilli e cavallette, la battagliera esponente del Pd aveva proprio bisogno di utilizzare le braccia dei suoi tre uomini di scorta come servizievoli domestici?». Lo stesso fanno in molti su twitter prendendosela con la capogruppo, inventano persino l'hastag #finocchiarovergogna, c'è chi propone di toglierle la scorta. Interviene anche il vicedirettore di Rai2, Gianluigi Paragone: «La foto di Finocchiaro all'Ikea, che tratta gli uomini di scorta come inservienti, è un'offesa». Risponde, sempre su twitter, la diretta interessata: «Avere la scorta per me non è un piacere. Mi è stata imposta e nonostante ciò provo a fare una vita normale, anche da Ikea». Ed anche la sua risposta viene ritwittata.

mercoledì 23 maggio 2012

Riforma del lavoro


Entro il 2016 gli uomini e le donne dovranno ricevere, a parità di ruolo, lo stesso stipendio. È l’impegno assunto dal governo tecnico in commissione Lavoro a Palazzo Madama, accogliendo un ordine del giorno dell'Italia dei Valori che è è stato approvato all’unanimità nell’ambito dell’esame del disegno di legge sul mercato del lavoro. "Mi scuso per il ritardo né elegante né istituzionale ma le cose in Senato sono complicate e i tempi non sono decisi dai ministri", ha commentato il ministro del Welfare Elsa Fornero spiegando che la riforma è molto attesa. "Non è miracolistica - ha continuato la titolare del Welfare - ma un tassello di un piano più ampio per instradare l’Italia su sentieri più virtuosi di benessere e coesione sociale". Adesso i lavori vanno avanti. Il governo dovrà emanare dei decreti per consentire la partecipazioni dei lavoratori agli utili dell’azienda. L'emendamento prevede una serie di principi e criteri direttivi per l’applicazione della norma tra cui l’istituzione di organi di sorveglianza a cui anche i lavoratori dovranno partecipare e con stessi diritti e obblighi, nel caso di imprese oltre i 300 unità di personale, e la previsione dell’accesso privilegiato dei lavoratori dipendenti al possesso di azioni, quote del capitale dell’impresa, o diritti di opzione sulle stesse, direttamente o mediante la costituzione di fondazioni. Il Senato ha dato il via libera all’emendamento al ddl lavoro che ripristina l’esenzione dai ticket sanitari per i disoccupati a basso reddito e i loro familiari. La commissione Lavoro ha confermato così la volontà del governo di correggere quello che era stato definito un refuso, vale a dire la cancellazione dell’esenzione nel testo della riforma del lavoro uscito da Palazzo Madama.

Sui preti pedofili... i vescovi non sono pubblici ufficiali...


Non deve stupire che nelle nuove «Linee guida» sulla pedofilia che la Conferenza episcopale italiana ha approvato nelle scorse ore durante l'annuale assemblea generale in corso a Roma non è contemplato per i vescovi l'obbligo di denuncia alla magistratura del prete sospettato di pedofilia. La Chiesa cattolica, infatti, si è semplicemente adeguata alla legge italiana: nei Paesi dove quest'obbligo è previsto per legge - non è il caso dell'Italia - esso viene recepito nelle «Linee guida» della Chiesa locale, mentre laddove l'obbligo non esiste non viene inserito. Certo, eccezioni ce ne sono. Tra queste l'Irlanda dove, nonostante non vi sia l'obbligo di denuncia, i vescovi hanno voluto inserire la norma. Troppo grande è stato lo scandalo pubblico della pedofilia nel clero perché la chiesa irlandese non desse un segnale forte. Per tutto il 2010 e anche per il 2011 i vescovi locali sono stati messi sul banco degli imputati da parte dell'opinione pubblica indignata dal fatto che i preti colpevoli al posto di essere denunciati sono stati semplicemente spostati di diocesi in diocesi.

Ieri il segretario della Cei monsignor Mariano Crociata ha invece spiegato che la Chiesa italiana non può «chiedere al vescovo di diventare un pubblico ufficiale». E ancora: «Non possiamo chiedergli di prendere l'iniziativa» di denunciare un caso di abusi su minore commesso da uno dei suoi preti di cui fosse venuto a conoscenza perché «contrasta con l'ordinamento», anche se naturalmente «non gli viene impedito». Ma attenzione: il fatto che non gli venga impedito non significa che il vescovo possa infrangere il segreto confessionale. Per la Chiesa in nessun caso i peccati confessati nel sacramento penitenziale possono essere denunciati. I vescovi, in sostanza, possono denunciare il prete colpevole solo se sono venuti a conoscenza dei suoi misfatti fuori dal confessionale. Perché il segreto del confessionale non può essere infranto? Nel XIII secolo fu il chierico inglese Tommaso di Chobham a spiegarne in un Manuale il motivo: «Il sigillo della confessione deve essere segreto perché lì il confessore siede come Dio e non come uomo». Dunque nessun obbligo di denuncia, ma cooperazione sì. Ha detto, infatti, Crociata: se per gli illeciti commessi da membri del clero «sono in atto indagini o è aperto un procedimento penale secondo il diritto dello Stato, risulterà importante la cooperazione del vescovo con le autorità civili, nell'ambito delle rispettive competenze e nel rispetto della normativa concordataria e civile».

Crociata ha ieri spiegato che le linee guida della Cei hanno avuto «un passaggio informale ma autorevole» dalla Congregazione per la Dottrina della fede, che «ha preso atto che la Conferenza episcopale italiana ha recepito debitamente» quanto richiesto dal Vaticano nel 2010, quando una Lettera Circolare dell'ex-Sant'Uffizio aveva chiesto a tutte le conferenze episcopali del mondo di dotarsi di linee guida per affrontare in modo adeguato i casi di abuso. Quando poco dopo essere stato eletto al soglio di Pietro Benedetto XVI nominò prefetto della Dottrina della fede l'americano William Joseph Levada lo fece anche per la sua competenza in materia di pedofilia. Negli Stati Uniti aveva vissuto in prima persona il problema tanto che nel nel 2006 fu chiamato a testimoniare a San Francisco in merito ad abusi commessi da alcuni preti quando, prima del 1995, era vescovo a Portland. Sono 135 i casi di pedofilia tra il clero in Italia che riguardano il periodo 2000-2011 e che sono emersi nell'ambito di una ricognizione effettuata dalla stessa Cei in vista della pubblicazione delle linee guida. «Di questi casi - ha spiegato ancora Crociata - 77 sono le denunce che risultano alla magistratura, 22 sono stati condannati in primo grado, 17 in secondo, 21 hanno patteggiato, 12 i casi archiviati, 5 assolti».

martedì 22 maggio 2012

La domanda... e si parla di aumentare la benzina


ROMA - C'è una data da segnare sul calendario dei tempi difficili che attendono l'Emilia Romagna. È il 28 agosto di quest'anno, quando scadrà lo stato d'emergenza che sarà deciso oggi dal Consiglio dei ministri e che, con la riforma della Protezione civile appena approvata, non può durare più di 100 giorni. Fino ad allora toccherà allo Stato coprire i costi del terremoto di domenica. Ma nelle prime settimane, dice l'esperienza, c'è spazio per i soccorsi, per gli interventi urgenti, al massimo per la messa in sicurezza. Scaduti i 100 giorni, senza alcuna possibilità di proroga, la palla passerà alle Regioni. Toccherà all'Emilia Romagna, dunque, pagarsi la ricostruzione? La risposta, in realtà, è un punto interrogativo. La riforma della Protezione civile è ambigua: dice che suonato il gong dei 100 giorni lo Stato si chiama fuori, ma poi sulla fase due non spiega quasi nulla. In prima fila c'è la Regione perché ha in mano la «tassa della sfortuna» nella sua nuova versione facoltativa, con la possibilità di alzare fino a 5 centesimi le accise sulla benzina. Ma è difficile che una leva del genere basti per ricostruire case, ospedali, uffici e tutto quello che viene giù quando la terra trema. Il vero obiettivo del governo è infatti un altro, e cioè spostare il costo della ricostruzione dalle casse pubbliche, anche loro in un certo senso terremotate, al settore privato. Per questo la riforma fa un primo passo, introducendo su base volontaria le assicurazioni anticalamità sulle case. Ma il sistema non è ancora pronto, e stavolta Stato e Regione si divideranno le spese per gli interventi di lungo periodo. Come dice il sottosegretario Antonio Catricalà «passati i 100 giorni lo Stato non abbandonerà l'Emilia». Il percorso, però, è tracciato. Oggi, dice Catricalà, «il governo valuterà tutte le richieste degli enti locali, coinvolti nel sisma come il rinvio dei pagamenti, di tributi e dei contributi e la derogabilità al patto di stabilità. Faremo tutto ciò che è necessario fare, tutto quello che è possibile fare».

Appena due mesi fa, alla Camera, è stato il capo del dipartimento Franco Gabrielli a indicare chiaramente l'obiettivo finale: «Credo che un'assicurazione obbligatoria sia uno strumento utile e rappresenti anche una forma di equità». Nelle prime bozze del decreto si parlava di polizze obbligatorie, non facoltative. Ma poi, visto che sulla casa sta già arrivando l'Imu, il governo ha preferito frenare. Adesso per far partire il sistema ci vuole, entro 90 giorni, un regolamento che stabilisca i dettagli e anche la deducibilità delle polizze dalle tasse in modo da favorirne la diffusione. A quel punto, in caso di calamità, le case assicurate saranno ricostruite dalle compagnie private mentre a tutte le altre continuerà a pensare la Regione o lo Stato. Anche il comunicato che sarà diffuso dopo il Consiglio dei ministri di oggi preciserà che questa novità non riguarda il terremoto di domenica perché il regolamento ancora non c'è. Ma lo scenario fa discutere, specie a sinistra. Dal Pd Rosi Bindi chiede al governo di «cambiare questa stranezza», mentre l'ex sottosegretario all'Interno Ettore Rosato avverte che «bisogna spiegare bene che cosa succede dopo quei 100 giorni, che forse sono pure troppo pochi». Le stime dicono che il costo medio di una polizza anticalamità sarebbe di 100 euro l'anno. Ma con differenze enormi. Ecco cosa osservò l'allora sottosegretario alla Protezione civile Franco Barberi: «Le assicurazioni farebbero pagare prezzi altissimi nelle zone a rischio per non andare gambe all'aria come avvenuto a molte compagnie della California». Era il 1998, a parlare di assicurazione era stato Romano Prodi, e da allora tutti i governi ci hanno provato per poi fare marcia indietro. Anzi, Prodi non fu nemmeno il primo. Nel 1993 toccò al governo Ciampi, con il sottosegretario Vito Riggio aprire verso una proposta che finanziava l'assicurazione aggiungendo l'1 per mille all'Ici. Adesso il consiglio degli architetti propone di usare un pezzo dell'Imu per risarcire i danni. Cambiano i nomi, ma siamo sempre lì.

Lorenzo Salvia

Risorse alla conquista


Sotto la tettoia di legno si sono radunati in una quindicina, quattro famiglie che abitano lungo via Einstein a Massa Finalese. Due tavoli uniti, seggiole pieghevoli, in un angolo la griglia per la carne, su uno sgabello la macchina per il caffè espresso. In una vaschetta di plastica nuota un pesce rosso, unico sopravvissuto dell’acquario mandato in frantumi dalle scosse. Per terra un boccione d’acqua dal quale grandi e bambini si tengono a distanza: è il loro personalissimo sismografo. La superficie che s’increspa è il segnale dell’ennesima scossa. E ieri la terra non ha smesso di tremare. Davanti, lungo la strada, sono parcheggiati i loro giacigli. Auto dai vetri appannati piene di coperte, piumini, maglioni, peluche. Una felpa pende dallo specchietto retrovisore. Una bimba mostra un bernoccolo rosso sulla fronte: «Sono caduta correndo giù dalle scale». Gli adulti fanno il conto delle industrie inagibili, sarebbero oltre cinquemila i posti di lavoro a rischio. Poco distante, di un capannone è rimasta soltanto la facciata fronte strada e lungo un canale di bonifica l’ex salumificio Bellentani, una lunga costruzione in mattoni abbandonata da fine anni ’70, è un rudere irto di travi spezzate che spuntano dalle macerie. Siccome sono costretti a stare a casa, meglio organizzarsi. Uno pensa a dove recuperare una piattaforma per sistemare le tegole, un altro raccoglie gli ordini per la spesa in uno dei rari supermercati aperti in zona: bisogna ripristinare le scorte, il cibo comincia a scarseggiare. È la vita dello sfollato. In paese la gente perde ore davanti alla camionetta rossa dove i vigili del fuoco raccolgono le segnalazioni di verifiche urgenti. Piove a dirotto e fa freddo. Il sole si è fatto largo soltanto dopo le due del pomeriggio. La vita tra auto e tettoia è dura. Ma nessuno pensa a trovare riparo nella tendopoli allestita nel campo sportivo. Succede a Massa Finalese come in tutti i centri colpiti dal sisma. Meglio dormire in macchina piuttosto che nel pantano.

Gli ingressi delle tendopoli sono presidiati da stranieri. Nigeriani, marocchini, egiziani, slavi, tantissime donne velate. Gli uomini si appoggiano alle auto, le donne cercano di farsi largo e conquistare le tende. Anche il terremoto ha la sua burocrazia. Chi vuole un posto al coperto deve presentarsi alle roulotte-anagrafe del comune con i documenti, compilare moduli e dimostrare di abitare in una casa inagibile. Precedenza ad anziani, disabili e famiglie con bambini, poi tutti gli altri. Se l’abitazione non ha lesioni, gli abitanti devono tenersi la paura e rassegnarsi all’auto. Ma anziani e handicappati vengono tenuti dai parenti in casa, se è agibile, oppure in macchina. «Non lascerei mai i miei genitori soli in questi momenti», dice una signora davanti a una gelateria di Sant’Agostino. Così la precedenza nelle prenotazioni delle tende va alle mamme con bambini. Che sono tutte, o quasi, straniere. Da Sant’Agostino a Finale Emilia, le tendopoli ospitano pressoché solo immigrati. Arrivano con i piccini in braccio e abitano in edifici rurali danneggiati. I più fortunati dispongono di tende blu con luce e riscaldamento, per gli altri è questione di pazientare qualche altra ora.

Pochissimi italiani hanno scelto le tendopoli. Preferiscono arrangiarsi anche per farsi da mangiare o sistemare i tetti pericolanti. Le operazioni di controllo sulla staticità degli edifici potrebbero durare settimane e il fai-da-te non ha alternative. Il numero degli sfollati è cresciuto rispetto alle prime stime di circa tremila persone. Ieri erano quasi il doppio: tremila in provincia di Modena, 1.500 nel Ferrarese e il resto tra le province di Bologna e Mantova. Entro oggi dovrebbe essere completato l’allestimento dei campi di prima accoglienza sotto il coordinamento della Regione Emilia Romagna e la collaborazione di altre cinque regioni (Umbria, Marche, Trentino, Friuli Venezia Giulia, Toscana). I volontari coinvolti sono un migliaio. Prima di montare le tende occorre eliminare il pantano, e decine di camion fanno la spola da una tendopoli all’altra scaricando ghiaino. Tra domenica e ieri la gran parte delle popolazioni senza tetto ha dormito in auto. I posti tenda erano ancora pochi e comunque tanti hanno preferito non allontanarsi troppo dalle proprie abitazioni. La casa, la famiglia, i parenti più bisognosi. Il terremoto ha costretto la gente d’Emilia a rifare ordine tra le loro priorità.

Monti e i terremotati


Prima i fischi, poi le urla e gli insulti. È un'accoglienza gelida quella riservata dagli abitanti di Sant'Agostino, il paese del Ferrarese che ha pagato il maggior tributo di vittime nel terremoto di sabato notte, al presidente del Consiglio Mario Monti. Al suo arrivo, il premier è stato contestato da alcuni cittadini che lo hanno accolto gridando: "Vergogna, ladri, potevi stare a casa". Ma già nel pomeriggio il Consiglio dei ministri ha deliberato lo stato di emergenza per i territori delle province di Bologna, Modena, Ferrara e Mantova colpiti dal terremoto. Subito a disposizione ci saranno 50 milioni di euro del Fondo per la Protezione Civile, appositamente rifinanziato. Una dura protesta contro le nuove tasse imposte dal governo tecnico, una selva di fischi contro la reintroduzione dell'Imu sulla prima casa. Gli sfollati di Sant'Agostino interpretano il disagio degli italiani per la crescente pressione fiscale e attaccano duramente il presidente del Consiglio. Non sono in molti, ma abbastanza per farsi sentire. Volano i fischi, volano gli insulti. Al suo arrivo a Sant’Agostino, insieme al presidente della Regione Emilia Romagna Vasco Errani, al capo della Protezione civile Franco Gabrielli e al questore di Ferrara Luigi Mauriello, Monti ha scambiato alcune parole col sindaco Fabrizio Toselli proprio di fronte al municipio sventrato dal violento terremoto. Prima di iniziare l'incontro insieme agli altri sindaci della zona colpita dal sisma e ai tecnici, il presidente del Consiglio è stato curamente contestato dai cittadini di Sant’Agostino. "Siamo semplici cittadini - hanno spiegato alcuni presenti - ma siamo decisi a far sentire la propria voce in un momento difficile in cui, oltre alla paura per il terremoto si sente anche disagio per le tante tasse".

Negli occhi degli sfollati lo spettro dell'Imu e il rischio che le spese della ricostruzione del dopo terremoto vadano a pesare sugli stessi contribuenti. Il clima è teso. E non soltanto perché il terremoto di sabato notte ha lasciato a terra sette corpi senza vita. La gente è esasperata. "Poteva stare a casa, è venuto perchè questo è un circo mediatico", ha spiegato una signora in piazza per contestare il presidente del Consiglio. "Abbiamo tanti problemi, c’è rabbia e paura - ha spiegato un altro contestatore - da uno Stato ci si aspetta quello che lo Stato dovrebbe fare: fischiamo per esprimere il nostro malcontento". Nonostante le contestazioni Monti ha spiegato che con la visita di oggi ha voluto portare "il senso di vicinanza del governo" alla popolazione "così colpita negli affetti e anche nella sua attività quotidiana". Il presidente del Consiglio, che oggi pomeriggio ha firmato lo stato di emergenza, ha lodato "l’ottimo sistema di collaborazione tra le diverse strutture" e "la grandissima voglia di riprendere al più presto la vita normale da parte della popolazione colpita". Nel pomeriggio, poi, il Consiglio dei ministri ha deliberato lo stato di emergenza (che durerà sessanta giorni) mettendo subito a disposizione 50 milioni e rinviando il pagamento dell’Imu sugli immobili e gli stabilimenti industriali che saranno dichiarati inagibili. Il governo ha inoltre iniziato l’esame di un intervento che consenta ai Comuni colpiti un allentamento del patto di stabilità interno.

Leggerezze

A pochi giorni dalla mia prenotazione per andarmene in scozia (pfff, una settimana solo >.< e in culo alla crisi lo stesso), scopro che Ken Loach sta presentando il suo nuovo film... ambientato a Glasgow ed Edimburgo, peccato che non si sappia ancora quando e se uscirà in italia. Tra parentesi, io amo i films dolceamari e drammatici di Loach. Comunque, il film narra la storia di un giovane padre che vuole riscattare la sua vita dopo la galera e dare una vita migliore a suo figlio. Ed in questo, verrà aiutato da alcuni suoi amici molto stravaganti che lo porteranno ad una distilleria di whiskey.

Sacri pulpiti


Il cardinale Angelo Bagnasco dà una mano a Mario Monti e bacchetta i partiti che sembrano volersi «ritrarre» dal sostegno al governo. Il presidente della Cei ha aperto in Vaticano l'assemblea generale di primavera - il «parlamentino» dei vescovi italiani - con una prolusione che, in una fase di incertezza segnata dalla crisi dell'euro, dal terremoto in Emilia-Romagna e dall'attentato di Brindisi, pungola il mondo politico. È «importante» che le riforme «necessarie» siano «ora completate col massimo dell'equità e del consenso», ha detto Bagnasco all'assise. «Stupisce l'incertezza dei partiti che, dopo una fase di intelligente comprensione delle difficoltà in cui versava il Paese, ma anche delle loro dirette responsabilità, paiono a momenti volersi come ritrarre», ha scandito l'arcivescovo di Genova. «Non ci sarebbe di peggio che lasciare incompiuta un'azione costata realmente molti sacrifici agli italiani». Se nei mesi scorsi la Cei si era distinta dalla Santa Sede per un sostegno meno entusiastico al governo, ora Bagnasco è netto: «Si doveva cambiare. Si deve cambiare. Di qui l'iniziativa governativa di messa in salvo del Paese, in grado di scongiurare il peggio». Quanto ai partiti, l'astensione delle Amministrative è «un messaggio chiaro da prendere sul serio» e - quasi un cenno a Beppe Grillo - i risultati «non possono incentivare involuzioni del quadro della responsabilità politica, n´ demagogie e furbizie, grossolane o sottili». Soprattutto, sono i partiti a non doversi lasciare andare a «latrocinio» e «pratiche corruttive» che li porta a essere considerati «traditori della politica».

lunedì 21 maggio 2012

Marò ai tempi del governo bocconiano


La capitale indiana: "Normale prassi". E viene negata la libertà su cauzione ai nostri marò: ci prendono in giro. Una raffica di sonori schiaffoni all’Italia giungono dalle autorità indiane alle quali Roma non sembra in grado di replicare a dovere. Al rinvio del trasferimento dei due militari italiani in una struttura diversa dal carcere e alle accuse infamanti di omicidio, tentato omicidio e associazione a delinquere (con in più il richiamo a una convenzione internazionale contro il terrorismo) nei confronti si Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, l’Italia ha risposto venerdì richiamando a Roma «per consultazioni» l’ambasciatore a Nuova Delhi. Alla sberla rifilataci ieri, con il tribunale di Kollam che ha respinto la seconda istanza di libertà su cauzione, la Farnesina ha risposto convocando l’ambasciatore indiano a Roma al quale è stato ribadito che i capi d’accusa sono inaccettabili e che la giurisdizione del caso spetta all’Italia poiché l’incidente è avvenuto in acque internazionali. A fare la ramanzina all’ambasciatore Debabrata Saha non è stato il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, che ha lasciato l’incombenza al direttore generale competente per le questioni asiatiche Giandomenico Magliano e al vice capo di Gabinetto, Andrea Tiriticco. Le reazioni di Roma non sembrano però impensierire gli indiani. Il quotidiano The Hindu ha registrato qualche irritazione al ministero degli Esteri di Nuova Delhi ma è stato smentito dal portavoce del ministero che ha parlato di «speculazioni della stampa» definendo il richiamo di ambasciatori per consultazioni «prassi non inusuale» per la quale «non c’è la necessità di reagire».

Il rientro a Roma dell’ambasciatore Giacomo Sanfelice è invece «un atto importante e giustificato» per il sottosegretario agli Esteri Staffan De Mistura che ha ricordato le iniziative assunte dall’Italia da quando è scoppiata la crisi con l’India. Iniziative che hanno sortito scarsi effetti considerato che, come raccontano fonti giornalistiche indiane, la libertà su cauzione è stata negata a Latorre e Girone con la motivazione che se «fossero rimessi in libertà e dovessero lasciare l’India, sarebbe difficile assicurare la loro presenza al momento del processo». Il giudice P.D. Rajan ha osservato che «non sono sufficienti» le assicurazioni fornite dal governo italiano e quindi «non c’è uno scenario appropriato per concedere in questa fase la libertà dietro cauzione». Dichiarazioni che confermano come sia compromesso il rapporto di fiducia e cooperazione con l’Italia sul quale si è basata invece in questi tre mesi l’iniziativa di Roma. «Non siamo sorpresi, ma proviamo un ulteriore disappunto» ha commentato De Mistura ribadendo che «rinnoveremo la richiesta a una istanza più alta, e se fosse necessario fino alla Corte suprema dove riteniamo che ci sia uno spazio maggiore per presentare i nostri argomenti a favore dei marò e delle garanzie per loro necessarie». Dopo aver incontrato Latorre e Girone in carcere, De Mistura ha aggiunto che i due militari sono a conoscenza delle notizie riguardanti i capi di accusa presentati contro di loro dalla polizia del Kerala ma non sono demoralizzati perché «hanno percepito il senso della ferma risposta italiana».

di Gianandrea Gaiani

Usura bancaria


Occhi puntati pure su Bankitalia: le sue circolari consentirebbero l’applicazione di interessi illegali. Una offensiva (per ora) silenziosa. Da Nord a Sud, i giudici stanno per scatenare una vera e propria guerra contro le banche. Due piccole procure, Bergamo e Trani, grazie alle denunce di alcuni imprenditori coraggiosi, stanno ficcando il naso nel sistema creditizio del Paese. E hanno accesso un faro sui meccanismi che regolano l’applicazione degli interessi sui prestiti alle imprese, sugli scoperti di conto corrente e sugli affidamenti. Meccanismi diabolici che farebbero scattare tagliole micidiali sui costi dei finanziamenti, spesso mettendo in ginocchio le imprese. Fatto sta che dalla Lombardia alla Puglia, insomma, due procure sembrano viaggiare in un inedito tandem. Una specie di rivolta contro il mondo del credito. In un momento in cui il denaro allo sportello viene erogato col contagocce e, stando alle denunce degli imprenditori, pagato a caro prezzo. Con commissioni addirittura fuori legge: usura e truffa i reati al centro delle indagini, secondo le carte delle procure che Libero ha potuto visionare. Non è la prima volta, per la verità, che un pubblico ministero apre le ostilità contro le aziende di credito. Tant’è che alcuni big bancari, in passato, sono stati già condannati. Tuttavia, l’affondo, stavolta, potrebbe andare al cuore del problema. Vale a dire i sistemi di calcolo che consentono agli istituti di praticare tassi da cravattari. Ecco perché al centro delle verifiche dei piemme sono finite le circolari della Banca d’Italia, l’autorità di supervisione del sistema finanziario. L’istituto di via Nazionale in passato è stato tirato in ballo in alcune vicende giudiziarie e le verifiche si concentrarono sulla presunta omessa vigilanza. Le condanne non hanno mai sfiorato i vertici di palazzo Koch.

Bankitalia non emerge direttamente nelle carte della procura di Trani, che si è mossa sulla base della denuncia dell’imprenditore Antonino De Masi, non nuovo a queste azioni rumorose. Mentre gli inquirenti di Bergamo fanno preciso riferimento al ruolo di via Nazionale. Bankitalia è tirata in ballo esplicitamente dal giudice per le indagini preliminari (il documento è dello scorso 14 maggio). Il gip Giovanni Petillo, che ha respinto una richiesta di archiviazione e nel suo provvedimento cita anche le carte della procura, sostiene che tra «coloro che potrebbero essere chiamati a rispondere del reato» ci sarebbero «anche coloro che si rapportano con la Banca d’Italia ed hanno partecipato alle decisioni dell’istituto di diritto pubblico nel corso degli anni, quali rappresentanti dell’azionariato e coloro che hanno arbitrariamente nel corso degli anni escluso dalle istruzioni della Banca d’Italia voci di costo decisive, in patente violazione della legge n. 108/1996», cioè le norme sull’usura. In pratica, ci troveremmo di fronte a omissioni volontarie dalle formulette sulle soglie d’usura che, all’atto pratico, consentirebbero l’applicazione di interessi illegali.

Un passaggio assai rilevante - potenzialmente destinato ad aprire uno squarcio nel mercato del credito - quello del tribunale di Bergamo. Che chiede, nei fatti, al pubblico ministero un supplemento di indagini anche per fare luce sui soggetti eventualmente da coinvolgere. Nelle prime valutazioni del piemme mancherebbe l’elemento del dolo, cioè uno dei presupposti per accertare la sussistenza di un reato, quello di usura nel caso oggetto delle indagini. La faccenda, a Bergamo, va avanti dal 2010. E si fonda, tra altro, sui calcoli eseguiti da un commercialista di Roma secondo cui, come si legge nelle carte del gip, «l’istituto bancario aveva applicato» su due conti correnti «tassi usurari superando la soglia stabilita trimestralmente dal ministero dell’Economia». Dall’Italia settentrionale al Mezzogiorno, come accennato, il quadro non è poi troppo diverso. Per una volta, insomma, l’Italia è unita. Se non fosse che, oltre all’ipotesi del reato di usura, il pubblico ministero di Trani, stando a due documenti dell’11 e del 14 maggio, sta indagando anche per truffa. Il che, probabilmente, rende la situazione potenzialmente più grave.

Il sostituto procuratore incaricato che sta portando avanti il dossier è Michele Ruggiero. Uno che non ha paura di mettersi contro i colossi della finanza. Non a caso, è lo stesso Ruggiero ad aver avviato le indagini contro le tre agenzie di rating (Fitch, Moody’s e Standard & Poor’s) e che lo scorso gennaio ha portato a “sfilare” in procura a Trani, oltre ai rappresentanti delle tre “sorelle americane”, financo il presidente della Consob, Giuseppe Vegas. Una maxi inchiesta, quella sulle società Usa, che ruota attorno all’ipotesi «dell’esistenza di un accordo di cartello» tra le agenzie di rating «ai danni dei cittadini e dei risparmiatori italiani». Nel mirino era finito il declassamento del nostro Paese. Il taglio del giudizio sui conti pubblici italiani, cioè, verrebbe concordato a tavolino per favorire la speculazione. Insomma, un fascicolo pesantissimo. E lo potrebbe diventare pure quello contro le banche italiane aperto sulla base della denuncia di De Masi. Denuncia che finora non ha portato all’iscrizione di nessuna persona nel registro degli indagati. E chissà che la crisi e la recessione non provochi un’accelerazione dell’inchiesta.

di Francesco De Dominicis

Terremoti e tempismi


Roma - Da quattro giorni è tutto pubblicato in Gazzetta ufficiale: le ristrutturazione dei fabbricati colpiti da calamità naturali non saranno più a carico dello Stato. Sarà il privato a dover pagare i danni, stipulando polizze assicurative che comprendano anche il risarcimento delle disgrazie, come prevede il nuovo decreto legge di riforma della Protezione Civile, in vigore dal 17 maggio. Lo Stato non ha più il dovere di aiutare i suoi cittadini se la natura si abbatte su un territorio.

Gli abitanti delle provincie di Modena, Reggio Emilia, Ferrara, e delle zone più colpite dal terremoto di ieri potrebbero essere gli ultimi cittadini danneggiati a non rischiare questa beffa. Il decreto prevede infatti «un regime transitorio anche a fini sperimentali» e la necessità di emanare un regolamento entro 90 giorni dalla pubblicazione del testo, con agevolazioni fiscali per chi si assicura contro le calamità. Ma il sisma che ha spaventato tutta l’Italia del Nord riapre la polemica, proprio perché è arrivato in coincidenza con la nuova norma che penalizza le vittime di eventi non calcolabili. E l’accenno alla sperimentazione per le polizze non salva invece le zone colpite da una possibile tassa sulle disgrazie da applicare alla benzina, prevista dallo stesso decreto. «Se lo Stato non è più in grado di aiutare chi perde la casa in un terremoto - attacca l’Italia dei Valori con Stefano Pedica - Monti farebbe bene a non parlare più di equità. Chiedere oggi a un povero cittadino di stipulare una polizza per le catastrofi naturali è a dir poco vergognoso». La Coldiretti calcola che 400mila forme di grana sono andate distrutte dopo la grande scossa di sabato notte, e i danni, solo nell’agricoltura, supererebbero già i 50 milioni. E qui si apre una nuova questione: come pagare i danni in generale, non solo agli edifici dei privati. L’Emilia potrebbe rischiare, questo sì, un aumento della benzina. È infatti questa la seconda novità (già utilizzata in passato) del decreto numero 59 del 15 maggio appena pubblicato, che già aveva scatenato polemiche nelle scorse settimane. La norma prevede che per le calamità si debba attingere al fondo di Protezione Civile, e che, se il denaro non dovesse bastare, si prelevino soldi dal fondo calamità impreviste. Proprio per ripianare le risorse prelevate, sia lo Stato che le Regioni hanno la facoltà di aumentare le accise sulla benzina per un massimo di 5 cent per litro.

L’ipotesi non è improbabile, se si calcola che nel 2012 lo Stato ha destinato al fondo di Protezione Civile poco più di 100mila euro (115.403.419) e che è stato necessario ricorrere al fondo calamità impreviste in almeno tre occasioni. Al dipartimento guidato da Franco Gabrielli sono stati assegnati complessivamente per l’anno in corso 1 miliardo e 670milioni di euro, ma la maggior parte di questi fondi sono destinati al «pagamento delle rate dei mutui» per le calamità passate. Lo scorso anno le risorse della protezione Civile non sono bastate, e il fondo spese impreviste è stato ampiamente utilizzato. Anche per altre emergenze, soprattutto per l’immigrazione clandestina. Il fondo si è infatti prosciugato di 495 milioni di euro. Per l’alluvione in Liguria lo Stato ha prelevato 65 milioni. È immaginabile quindi che anche quest’anno i soldi della Protezione Civile non bastino, si metta mano al fondo speciale per le calamità, e si debba quindi necessariamente tassare la benzina, così come prevede il nuovo decreto del governo Monti. In un modo o nell’altro, saranno quindi i cittadini a dover sempre pagare per i danni provocati dalla natura.

sabato 19 maggio 2012

Sul come rubare case (di proprietà) agli anziani


Aziende, istituti di credito e finanziarie si apprestano a partire all’attacco di uno dei più vasti mercati disponibili: le case degli anziani. Il pericolo che si corre è quello di finire nelle fauci di chi eroga i prestiti vitalizi ipotecari: una sorta di “esproprio coatto”, ma legale, dell’immobile in cambio di pochi soldi. Lo stato ha sempre meno risorse per l’assistenza, il carovita incalza, e allora, per assicurarsi un’esistenza dignitosa ai nonni non resta altro che impegnare l’unico bene disponibile, frutto di una vita di lavoro. Uno scenario che comincia ad affacciarsi anche in Italia, dove 8,5 mln di famiglie sopra i 65 anni sono titolari di un patrimonio immobiliare di 900 mld di euro, ma su di loro incombe il rischio di finire intrappolati in un contratto che nasconde furbizie, trucchi, clausole penalizzanti, come ha scoperto l’Osservatorio della Terza Età in una recente indagine.

A far scattare la corsa all’unico bene ancora disponibile per i pensionati è stata la norma della Finanziaria sul prestito vitalizio ipotecario, a metà strada fra un prestito personale e il classico mutuo ipotecario, che consente “finanziamenti a medio e lungo termine con capitalizzazione annuale di interessi e spese, e rimborso integrale in unica soluzione alla scadenza, assistiti da ipoteca di primo grado su immobili residenziali, riservati a persone fisiche con età superiore ai 65 anni compiuti.” Il prodotto, peraltro già presente sul mercato, offre la possibilità di ottenere una somma variabile fra il 20 ed il 50% del valore dell’immobile di proprietà, lasciando agli eredi il compito di restituirla, con i dovuti interessi e spese. La percentuale della somma erogata, rispetto al valore del bene “casa”, è in funzione dell’età del richiedente: più si è in là con gli anni e maggiore sarà l’importo ottenibile. A prima vista sembrerebbe una nuova forma di credito per 8 milioni di anziani con casa, da utilizzare per curarsi, aiutare i figli, ecc., ma se si approfondisce la materia ci si accorge che lo scenario è inquietante.

L’OTE ha, infatti, rilevato che esso rappresenta un “eccellente affare” per gli operatori del settore, che si candidano ad acquisire una cospicua fetta di patrimonio immobiliare italiano, erogando in media somme per circa un terzo del valore della casa, remunerate con tassi variabili (oggi tra il 6 e il 6,5%), e con spese fisse determinate da una serie di clausole e di condizioni capestro. Una grande speculazione che si abbatterà come una scure sugli eredi, che corrono il rischio di perdere il bene patrimoniale, perché impossibilitati a risarcire una somma enormemente superiore a quella erogata. L’esperienza italiana, anche se alle prime battute, ha ben mutuato l’esempio degli altri paesi, soprattutto anglosassoni, in tema di sottrazione “legale” degli immobili. Sul mercato si possono già ottenere “anticipi” sul valore della casa, partendo dai 65 anni in su. Quello che molti italiani non sanno è che dopo la firma del contratto l’immobile diventa, di fatto, di proprietà della banca, perché sarà vietato sub affittarla, ristrutturarla, adibirla a sede di una attività imprenditoriale propria, e nemmeno si potrà cambiare domicilio o residenza. L’anziano, fino alla sua morte, praticamente non potrà più disporre a suo piacimento dell’immobile, né compiere qualsiasi atto di disponibilità, mentre la parte finanziatrice può modificare le condizioni economiche del contratto, in qualunque momento in ragione di incrementi di costi legati a variazioni di legge o di regolamenti. Praticamente un “nodo scorsoio” che si stringe anno dopo anno.

Dopo l’aspetto “normativo”, l’OTE ha osservato la parte finanziaria, che contiene “fuochi pirotecnici” degni della migliore tradizione. Nel momento in cui viene erogato un prestito vitalizio ipotecario, ad esempio, di 55 mila euro, bisognerà sottrarre circa il 20% di oneri fissi (spese notarili, rogito, perizie, assicurazione, spese banca, ecc.), che riducono a 45 mila euro la somma effettivamente consegnata nelle mani del pensionato. Dopo dieci anni, ammesso che i tassi di interesse non abbiano subito variazioni, chi eredita il bene immobile dovrà restituire ben 98 mila euro, a cui vanno aggiunti altri 5-6 mila euro, e forse più, già pagati annualmente (rinnovo polizza assicurativa, spese registrazione,invio estratti conto, ecc). Quindi, a conti fatti, si ottengono 45 mila euro e se ne versa un importo pari a due volte e mezzo. Un bell’affare, ovviamente per chi presta i soldi e aspetta la dipartita del vecchietto per entrare in possesso della casa. Una prospettiva che potrebbe essere evitata solo con il pagamento del “riscatto” finale da parte dei familiari, che deve avvenire entro dodici mesi. Come l’esperienza anglosassone insegna, però, in molti casi questo non avviene e l’eredità sfuma.

“Uno scenario del genere ci preoccupa” afferma Roberto Messina, Segretario generale dell’Osservatorio della terza età. “Non si può tacere – sottolinea - sulle implicazioni sociali e i potenziali pericoli che questo strumento finanziario possa determinare nella situazione patrimoniale degli anziani e nei conflitti potenziali con gli eredi. Come dire – conclude Messina – lo Stato prima non riesce ad assolvere alle sue funzioni e poi getta milioni di cittadini nelle fauci delle banche, delle assicurazioni e delle società finanziarie. Forse era il caso di affidare ad una società pubblica la gestione di questo strumento, in maniera da ridurre drasticamente gli oneri e gli interessi per chi ricorre al prestito. Mi auguro che si riesca a mettere a fuoco tutti questi aspetti per tutelare gli anziani, che in questo caso sono la parte debole. Ai nonni, invece, voglio dire che, in caso di bisogno, possono ricorrere anche alla vendita della nuda proprietà o ad un mutuo acceso dai familiari giovani, garantito con la casa: entrambe le soluzioni sono di gran lunga meno onerose del prestito vitalizio ipotecario, ma soprattutto permettono di mantenere sempre la disponibilità dell’immobile comprato con i sacrifici di un’intera vita”.

venerdì 18 maggio 2012

Game of thrones

Su quello che (non) ho, un bel post qui. Piccola premessa, posto il link perchè l'articolo è bellissimo. No, non guardo quei due zombie tenuti in piedi da lautissimi compensi. Entrambi, dirò, che mi danno i brividi (anche se io sono macabra e coi brividi ci sguazzo, ma diciamo che ci sono brividi e brividi e il macabro è ben altra cosa) e mi fanno parecchio schifo. E, saranno pure sottigliezze ma... lo pseudo-scrittore (che, giuro, ho provato a leggerlo il suo gomorra, anni fa, e dopo le prime tre pagine, l'ho restituito a chi me l'ha gentilmente prestato), dicono che in un monologo abbia copiato dei passaggi non suoi e non ne abbia manco citato l'autore. E potrebbe anche essere recidivo... o peggio, immanicato forte dentro certi ambienti. E niente, io, ieri sera invece mi sono rivista le prime due puntate della seconda serie di questo minifilm e, giuro, questo vale davvero la pena di vederselo dalla prima all'ultima puntata di ogni serie. Prima serie qui. Seconda serie qui.


Imu


ROMA - Nessuna tassa è bella. Ma se ce n'è una che nasce male, con proprio tutte le caratteristiche per farsi odiare, è la nuova Imu. I sindaci, che sono pronti a manifestare in piazza a Venezia il 24 maggio, non hanno dubbi. L'Imu, dicono, è una tassa che non ha niente a che vedere con la finanza locale, visto che serve solo per ridurre il deficit, mentre ai Comuni rischiano di arrivare addirittura 2,5 miliardi in meno rispetto a quanto incassavano con la vecchia Ici. Oltre che poco trasparente, insistono i sindaci, l'Imu è pure una tassa ingiusta, perché colpirà più duramente i Comuni che fin qui hanno fatto i salti mortali per tenere bassa l'Ici o quelli che applicavano delle agevolazioni, che ora dovrebbero essere finanziate una seconda volta. E, soprattutto, sarà una tassa salatissima per i cittadini. Secondo i calcoli che saranno presentati oggi a Frascati dall'Ifel, l'istituto di ricerca dell'Anci, l'Associazione dei Comuni italiani, le stime di gettito del governo sono esagerate: mancherebbero all'appello almeno 2,2 miliardi di euro. Così, per centrare l'obiettivo di bilancio e rimanere sul sentiero che porterà all'agognato pareggio nel 2013, nel corso dell'estate potrebbe esserci la necessità di alzare le aliquote. Un altro uno per mille in più sia sulla prima casa che sugli altri immobili. A meno di non produrre un buco nel bilancio pubblico di 8-900 milioni di euro, ed un nuovo taglio alle risorse dei sindaci, sul 2012, di 1,3 miliardi. Che si aggiungerebbe a quello di 2,5 stabilito dal salva Italia e a quello di 1,4 miliardi deciso ad agosto del 2011 dal governo Berlusconi. Senza contare i 7,9 miliardi di risparmi imposti dalle manovre degli anni scorsi.

Una situazione che i sindaci ritengono insostenibile. I meccanismi «perversi» dell'Imu, insieme al cordone sempre più stretto del Patto di Stabilità, stanno strangolando la finanza locale. Se ancora si può parlare di finanza "locale": i Comuni con l'Imu avranno 2,4 miliardi in più rispetto all'Ici 2010, ma subiranno un taglio dei trasferimenti e del fondo di riequilibrio di 5 miliardi di euro. Così, sottolinea lo studio dell'Ifel, lo Stato incassa 13 miliardi in più, e i sindaci perdono quasi il 30% del gettito garantito dalla vecchia Ici. Per cui, se vorranno avere le stesse risorse di prima, dovranno alzare le aliquote dell'Imu. I cittadini, insomma, dovranno pagare più tasse per ottenere gli stessi servizi. Tasse che saranno, per giunta, tanto più alte rispetto al passato, quanto in passato erano più basse rispetto alla media. In un Comune che aveva l'aliquota Ici al 4 per mille i cittadini pagheranno tre volte tanto, mentre in un municipio che l'aveva al 7 per mille l'aumento sarà molto più contenuto (e in entrambi i casi le risorse a disposizione del Comune restano identiche). E siccome la perequazione «perversa» garantisce ai Comuni il gettito attuale, a prescindere dal regime preesistente dell'Ici, saranno ancor più penalizzati i sindaci che adottavano regimi di agevolazione per gli affitti, o le fasce deboli. Per reinserirli, ora, il Comune dovrà trovare una nuova copertura. In pratica, se li finanzierà due volte. Finita qui? Magari. C'è sempre il problema del gettito, che secondo l'Ifel non sarebbe sufficiente a garantire i risultati attesi sul fronte della finanza pubblica. Le stime dell'Economia sono fondate sui dati catastali, quelle dell'Ifel sono proiezioni sulle basi imponibili Ici (le stesse dell'Imu) fatte dopo 1.200 sondaggi presso i municipi. E divergono un bel po'. Quelle del governo sono in media del 15% più alte di quelle dei Comuni. In regioni come Toscana, Emilia Romagna, Marche e Liguria le stime del Mef superano quelle dei Comuni del 20%, ma ci sono regioni come la Basilicata, la Sardegna e il Molise, dove addirittura succede il contrario. Consapevole del rischio, il governo ha già messo in cantiere una verifica del gettito sulla base dell'acconto Imu di giugno. Secondo l'Ifel si rischia di avere un minor gettito dall'imposta tra 1,9 e 2,5 miliardi di euro. Fossero 2,2 miliardi, peserebbero per 400 milioni sui Comuni e 800 sullo Stato, e per recuperare il buco, servirebbe un aumento delle aliquote Imu piuttosto forte. L'un per mille in più sulle aliquote base, che passerebbero dallo 0,4 allo 0,5% per l'abitazione principale e dallo 0,76 allo 0,86% per tutti gli altri immobili.

Mario Sensini