martedì 19 maggio 2009

Europa multietnica - 2* parte

Tulipani e turbanti/2. Multiculturalismo pazzo. “Ascoltate pazzi freak, siamo qui per restarci, gli stranieri siete voi: convertitevi all’islam!” di Giulio Menotti

E’ stato un milionario di nome Chris Tummesen ad acquistare la casa di Pim Fortuyn perché rimanesse intatta. Con gli stemmi dei due leoni, la corona e le corna di cervo, i candelabri, il velluto rosso, i busti e gli innumerevoli ritratti. Si parla dell’ultima sigaretta di marijuana che Pim si sarebbe fumato la sera prima dell’omicidio. Era nervoso, lo aveva detto in televisione che si era creato un clima di demonizzazione contro di lui e le sue idee. E così avvenne con quei cinque colpi alla testa sparati da Volkert van der Graaf, un militante della sinistra animalista, un ragazzotto mingherlino, calvinista, capelli rasati, occhi cupi, vestito da ecologista puro, maglia lavorata a mano, sandali e calze di lana caprina. Il vegetariano assoluto, lo studente che non si sedeva su divani di pelle, che portava solo scarpe di plastica e fabbricava palloni di bamboo, “un ragazzo impaziente di cambiare il mondo”, dicono gli amici. Nel centro di Rotterdam non molto tempo fa sono apparse foto mortuarie di Geert Wilders, poste sotto un albero, con una candela a lumeggiarne la morte prossima ventura. “Rinomineremo la Euromast (torre di Rotterdam, ndr) nell’edificio per le esecuzioni con il sangue di Wilders”, hanno proclamato gli islamisti. Oggi Wilders è il politico più popolare in città. E’ lui l’erede di Fortuyn, il professore omosessuale, cattolico, ex marxista che aveva lanciato una lista per salvare il paese dall’islamizzazione. E l’aveva fatta a modo suo, mettendo assieme un’ex reginetta di bellezza, un parrucchiere, studenti, intellettuali e un uomo di affari. Al suo funerale mancava soltanto la sovrana Beatrice, perché l’addio al “divino Pim” diventasse un funerale da re. Prima lo hanno mostrificato (un ministro olandese lo chiamò “untermensch”, subuomo alla nazista), poi lo hanno idolatrato. Le prostitute di Amsterdam deposero una corona di fiori all’obelisco dei caduti in piazza Dam. L’Economist, settimanale lontano dalle tesi antislamiche di Wilders, tre mesi fa parlava di Rotterdam come di un “incubo eurabico”. Per gran parte degli olandesi che ci vivono l’islamismo è oggi un pericolo più grande del Delta Plan, il complicato sistema di dighe che previene l’inondazione, come quella che nel 1953 fece duemila morti. La pittoresca cittadina di Schiedam, attaccata a Rotterdam, è sempre stata un luogo comune nell’immaginazione olandese. Poi l’alone fiabesco è svanito, quando sui quotidiani tre anni fa è diventata la città di Farid A., l’islamista che minacciava di morte Wilders e la dissidente somala Ayaan Hirsi Ali. A Rotterdam gli avvocati musulmani vogliono cambiare anche le regole del diritto, chiedendo di poter restare seduti quando entra il giudice. Riconoscono soltanto Allah. Mohammed Enait si è appena rifiutato di alzarsi in piedi quando in aula sono entrati i magistrati. Enait ha detto che “l’islam insegna che tutti gli uomini sono uguali”. La corte di Rotterdam ha riconosciuto il diritto di Enait di rimanere seduto. “Non esiste alcun obbligo giuridico che imponga agli avvocati musulmani di alzarsi in piedi di fronte alla Corte, in quanto tale gesto è in contrasto con i dettami della fede islamica”. Enait, a capo dello studio legale Jairam Advocaten, ha spiegato che “considera tutti gli uomini pari e non ammette alcuna forma di ossequio nei confronti di alcuno”. Tutti gli uomini ma non tutte le donne. Enait è noto per il suo rifiuto di stringere la mano alle donne che più volte ha dichiarato di preferire con il burqa. E di burqa se ne vedono tanti a Rotterdam. Che l’Eurabia abiti ormai a Rotterdam lo ha dimostrato un caso avvenuto pochi giorni prima del nostro arrivo. Siamo andati allo Zuidplein Theatre, uno dei più prestigiosi in città, un teatro modernista, fiero di “rappresentare la diversità culturale di Rotterdam”. Sorge nella parte meridionale della città e riceve fondi del comune, guidato dal musulmano e figlio di imam Ahmed Aboutaleb. Tre settimane fa lo Zuidplein ha consentito di formare un’intera balconata riservata alle sole donne, in nome della sharia. Non accade in Pakistan o in Arabia saudita, ma nella città da cui sono partiti per gli Stati Uniti i Padri Fondatori. Qui i pellegrini puritani sbarcarono con la Speedwell, che poi scambiarono con la Mayflower. Qui è iniziata l’avventura americana. Oggi c’è la sharia legalizzata. In occasione dello spettacolo del musulmano Salaheddine Benchikhi il teatro ha accolto la sua richiesta di riservare a sole donne le prime cinque file. Salaheddine, editorialista del sito Morokko.nl, è noto per la sua opposizione all’integrazione dei musulmani. Il consiglio municipale lo ha approvato. “Secondo i nostri valori occidentali la libertà di vivere la propria vita in funzione delle proprie convinzioni è un bene prezioso”. Anche un portavoce del teatro ha difeso il regista. “E’ un gruppo difficile da far venire in teatro, per questo siamo pronti ad adattarci”. Facciamo un passo indietro. Chi è stato pronto ad adattarsi è il regista Gerrit Timmers. Le sue parole sono abbastanza sintomatiche di quella che Wilders chiama “autoislamizzazione”. Il primo caso di autocensura avvenne proprio a Rotterdam, nel dicembre 2000. Timmers, direttore del gruppo teatrale Onafhankelijk Toneel, voleva mettere in scena la vita della moglie di Maometto, Aisha. Ma l’opera venne boicottata dagli attori musulmani della compagnia quando fu evidente che sarebbero stati un bersaglio degli islamisti. “Siamo entusiasti dell’opera, ma la paura regna”, gli dissero gli attori. Il compositore, Najib Cherradi, comunicò che si sarebbe ritirato “per il bene di mia figlia”. Il quotidiano Handelsblad titolò così: “Teheran sulla Mosa”, il dolce fiume che bagna Rotterdam. “Avevo già fatto tre lavori sui marocchini e per questo volevo avere degli attori e cantanti musulmani”, ci racconta Timmers. “Poi mi dissero che era un tema pericoloso e che non potevano partecipare perché avevano ricevuto delle minacce di morte. A Rabat uscì un articolo in cui si disse che avremmo fatto la fine di Rushdie. Per me era più importante continuare il dialogo con i marocchini piuttosto che provocarli. Per questo non vedo alcun problema se i musulmani vogliono separare gli uomini dalle donne in un teatro”. Incontriamo il regista che ha portato la sharia nei teatri olandesi, Salaheddine Benchikhi. E’ giovane, moderno, orgoglioso, parla un inglese perfetto. “Io difendo la scelta di separare gli uomini dalle donne perché qui vige libertà d’espressione e di organizzazione. Se le persone non possono sedersi dove vogliono è discriminazione. Ci sono due milioni di musulmani in Olanda e vogliono che la nostra tradizione diventi pubblica, tutto si evolve. Il sindaco Aboutaleb mi ha sostenuto”. Un anno fa la città entrò in fibrillazione quando i giornali resero nota una lettera di Bouchra Ismaili, consigliere del comune di Rotterdam: “Ascoltate bene, pazzi freak, siamo qui per restarci. Siete voi gli stranieri qui, con Allah dalla mia parte non temo niente, lasciatevi dare un consiglio: convertitevi all’islam e trovate la pace”. Basta un giro per le strade della città per capire che in molti quartieri non siamo più in Olanda. E’ un pezzo di medio oriente. In alcune scuole c’è una “stanza del silenzio” dove gli alunni musulmani, in maggioranza, possono pregare cinque volte al giorno, con un poster della Mecca, il Corano e un bagno rituale prima della preghiera. Un altro consigliere musulmano del comune, Brahim Bourzik, vuol far disegnare in diversi punti della città segnali in cui inginocchiarsi in direzione della Mecca. Sylvain Ephimenco è un giornalista franco-olandese che vive a Rotterdam da dodici anni. E’ stato per vent’anni corrispondente di Libération dall’Olanda. E’ nato in Algeria, “in una casa circondata dall’esercito durante la guerra civile”, ed è fiero delle sue credenziali di sinistra. “Anche se ormai non ci credo più”, dice accogliendoci nella sua casa che si affaccia su un piccolo canale di Rotterdam. Non lontano da qui si trova la moschea al Nasr dell’imam Khalil al Moumni, che in occasione della legalizzazione del matrimonio gay definì gli omosessuali “malati peggio dei maiali”. Da fuori si vede che la moschea ha più di vent’anni, costruita dai primi immigrati marocchini. Moumni ha scritto un libercolo che gira nelle moschee olandesi, “Il cammino del musulmano”, in cui spiega che agli omosessuali si deve staccare la testa e “farla spenzolare dall’edificio più alto della città”. “Non è più Rotterdam, ma la Mecca sulla Mosa”, ci dice Ronald Sorenson, attivista conservatore della città. Accanto alla moschea al Nasr ci sediamo in un caffè per soli uomini. Davanti a noi c’è un mattatoio halal, islamico. Ephimenco è autore di tre saggi sull’Olanda e l’islam, e oggi è un famoso columnist del quotidiano cristiano di sinistra Trouw. Ha la miglior prospettiva per capire una città che, forse anche più di Amsterdam, incarna la tragedia olandese. “Non è affatto vero che Wilders raccoglie voti delle periferie, lo sanno tutti anche se non lo dicono”, ci dice l’editorialista. “Oggi Wilders viene votato da gente colta, anche se all’inizio era l’Olanda bassa dei tatuaggi. Sono tanti accademici e gente di sinistra a votarlo. Il problema sono tutti questi veli islamici. Dietro casa mia c’è un supermercato. Quando arrivai non c’era un solo velo. Oggi alla cassa ci sono soltanto donne musulmane col chador. Wilders non è Haider. Ha una posizione di destra ma anche di sinistra, è un tipico olandese. Qui ci sono anche ore in piscina per sole donne musulmane. E’ questa l’origine del voto per Wilders. Si deve fermare l’islamizzazione, la follia del teatro. A Utrecht c’è una moschea dove si danno servizi municipali separati per uomini e donne. Gli olandesi hanno paura. Wilders è contro il Frankenstein del multiculturalismo. Io che ero di sinistra, ma che oggi non sono più niente, dico che abbiamo raggiunto il limite. Ho sentito traditi gli ideali dell’illuminismo con questo apartheid volontario, nel mio cuore sento morti gli ideali d’eguaglianza di uomo e donna e la libertà d’espressione. Qui c’è una sinistra conformista e la destra ha una migliore risposta al pazzo multiculturalismo”. Lasciamo Ephimenco per andare da Tariq Ramadan. Il celebre islamista svizzero insegna alla Erasmus University di Rotterdam, ma soprattutto è consulente speciale del comune. A scovare dichiarazioni di Ramadan critiche sugli omosessuali è stata la più celebre rivista gay d’Olanda, Gay Krant, diretta da un simpatico e loquace giornalista di nome Henk Krol. In una videocassetta, Ramadan definisce l’omosessualità “una malattia, un disordine, uno squilibrio”. Nel nastro Ramadan ne ha anche per le donne, “devono tenere lo sguardo fisso a terra per strada”. Il partito di Wilders ha chiesto lo scioglimento della giunta e la cacciata dell’islamista ginevrino, che invece si è visto raddoppiare l’ingaggio per altri due anni. Questo accadeva mentre al di là dell’oceano l’Amministrazione Obama confermava il divieto d’ingresso a Ramadan nel territorio degli Stati Uniti. Fra i nastri in possesso di Krol ve ne è uno in cui Ramadan dice alle donne: “Allah ha una regola importante: se cerchi di attrarre l’attenzione attraverso l’uso del profumo, attraverso il tuo aspetto o i tuoi gesti, non sei nella direzione spirituale corretta”. “Quando venne ucciso Pim fu uno shock per tutti perché un uomo venne assassinato per quello che diceva”, ci dice Krol. “Non era più il mio paese quello. Sto ancora pensando di lasciare l’Olanda, ma dove potrei andare? Io sono orgoglioso del matrimonio civile olandese che non fa discriminazione. Mi sono battuto per sedici anni. E ora c’è un gruppo che vuole portarci via tutto questo. Qui siamo stati critici di tutto, dalla chiesa cattolica a quella protestante. Ma quando abbiamo mosso critiche all’islam ci hanno risposto: ‘Avete paura dei musulmani, state creando nuovi nemici!’”. Secondo Ephimenco, è la strada il segreto del successo di Wilders. “A Rotterdam ci sono tre moschee enormi, una è la più grande d’Europa. Ci sono sempre più veli islamici e un impulso islamista dalle moschee. Conosco tanti che hanno lasciato il centro e vanno nella periferia ricca e bianca. Il mio quartiere è povero e nero. E’ una questione di identità, nelle strade non si parla più olandese, ma arabo e turco”. Incontriamo l’erede di Fortuyn per la rubrica sul quotidiano Elsevier, Bart Jan Spruyt, è un giovane e aitante intellettuale protestante, fondatore della Edmund Burke Society, ma soprattutto l’autore della Dichiarazione di indipendenza di Wilders, di cui è stato storico collaboratore. “Qui un immigrato non ha bisogno di lottare, studiare, lavorare, può vivere a spese dello stato”, dice Spruyt al Foglio. “Abbiamo finito per creare una società parallela. I musulmani sono maggioranza in molti quartieri e chiedono la sharia. Due giorni fa ad Amsterdam un gruppo di marocchini mi ha fermato e detto: ‘Qui non vendiamo formaggio’. Non era più Olanda. Il nostro uso della libertà ha finito per ripercuotersi contro di noi, è un processo di autoislamizzazione, gran parte del lavoro lo abbiamo fatto noi”. Bart era grande amico di Fortuyn. “Pim disse ciò che la gente sapeva da decenni. Attaccò l’establishment e i giornalisti. Ci fu un grande sollievo popolare quando scese in politica, lo chiamavano il ‘cavaliere bianco’. L’ultima volta che parlai con lui, una settimana prima che fosse ucciso, mi disse di avere una missione. La sua uccisione non fu il gesto di un folle solitario e ho sempre pensato che fosse molto strano il modo in cui presero l’assassino. Lo paragonavano sempre a Hitler. Nel febbraio 2001 Pim annunciò che avrebbe voluto cambiare il primo articolo della Costituzione sulla discriminazione perché a suo dire, e aveva ragione, uccide la libertà di espressione. Il giorno dopo nelle chiese olandesi, perlopiù vuote e usate per incontri pubblici, venne letto il diario di Anne Frank come monito contro Fortuyn. Pim era veramente cattolico, più di quanto noi pensiamo, nei suoi libri parlava della società senza padre, senza valori, vuota, nichilista”. Spruyt spiega così la vita di Wilders. “A casa sua è come essere in una banca e quando sono con Geert non so mai dove ci stia portando la polizia. A volte, quando guardiamo dalla finestra e gli chiedo: ‘Dove siamo?’, Geert risponde: ‘Non lo so’. C’era un laghetto vicino a una di queste case sicure. Gli chiesi: ‘Perché non fai due passi con tua moglie?’. Lui mi disse: ‘Potrei, ma ci vorrebbero tre ore per preparare tutto’. Ora capirete perché Wilders sa di avere una missione. Come Fortuyn, anche Geert oggi ha due alternative: il successo in Olanda o l’esilio in America o in Israele”. Chris Ripke è un’artista noto in città. Il suo studio è vicino a una moschea in Insuindestraat. Scioccato dall’omicidio Van Gogh per mano di un islamista olandese, Chris decise di dipingere un angelo sul muro del suo studio e il comandamento biblico “Non uccidere” (“Gij zult niet doden”). I vicini nella moschea trovarono il testo “offensivo” e chiamarono l’allora sindaco di Rotterdam, il liberale Ivo Opstelten. Il sindaco ordinò alla polizia di cancellare il dipinto perché “razzista”. Wim Nottroth, un giornalista televisivo, si piazzò di fronte in segno di protesta. La polizia lo arrestò. E il filmato venne distrutto. Ephimenco fece lo stesso nella sua finestra. “Ci misi un grande telo bianco con il comandamento biblico. Vennero i fotografi e la radio. Se non si può più scrivere ‘non uccidere’ in questo paese, allora vuol dire che siamo tutti in prigione. E’ come l’apartheid, i bianchi vivono con i bianchi e i neri con i neri. C’è un grande freddo. L’islamismo vuole cambiare la struttura del paese”. Per Sylvain parte del problema è la decristianizzazione della società. “Quando arrivai qui, negli anni Sessanta, la religione stava morendo, un fatto unico in Europa, una collettiva decristianizzazione. Poi i musulmani hanno riportato la religione al centro della vita sociale. Aiutati dall’élite anticristiana. Quando venni qui ero giovane e pensai: ‘Ecco il paradiso’. Poi vidi che c’era qualcosa che non andava, a scuola le mie figlie erano incoraggiate a parlare francese. Una follia. Oggi è lo stesso con i marocchini. Ma guai allora a criticare l’integrazione, ti davano del fascista”. Ephimenco conosceva Fortuyn. “Ho capito tante cose quando disse di voler entrare in politica. Ci fu un odio incredibile contro di lui e mi ha fatto pensare che la verità della famosa tolleranza era falsa, la sinistra era rabbiosa contro un uomo di destra che raccoglieva i voti del popolo. In Olanda l’industria dell’antirazzismo è fortissima e c’è una cultura di violenza verbale che non ammette diversità. Fortuyn era un uomo di cuore ed è stato un martire della parola libera, ma alla sinistra non va perché il martirio deve essere progressista. Il proiettile era di sinistra ma il martire era di destra. L’assassino, Volkert van der Graaf, faceva parte di una organizzazione più grande, era stato aiutato da altri che sapevano quello che stava per fare”. Anche Sylvain sta pensando di lasciare la città. “Arrivai a Rotterdam per una storia d’amore, sono legato alla città. Ma se le cose continuano così, me ne vado”. Usciamo per un giro fra i quartieri islamizzati. A Oude Westen si vedono soltanto arabi, donne velate da capo a piedi, negozi di alimentari etnici, ristoranti islamici e shopping center di musica araba. “Dieci anni fa non c’erano tutti questi veli”, dice Sylvain. Dietro casa sua, una verdeggiante zona borghese con case a due piani, c’è un quartiere islamizzato. Ovunque insegne musulmane. “Guarda quante bandiere turche, lì c’è una chiesa importante, ma è vuota, non ci va più nessuno”. Al centro di una piazza sorge una moschea con scritte in arabo. “Era una chiesa prima”. Non lontano da qui c’è il più bel monumento di Rotterdam. E’ una piccola statua in granito di Pim Fortuyn. Sotto la testa lucente in bronzo, la bocca che accenna l’ultimo discorso a favore della libertà di parola, c’è scritto “loquendi libertatem custodiamus”. Ogni giorno qualcuno depone dei fiori.

0 commenti: