mercoledì 31 agosto 2011

Imbecilli bipartizan


Se in tutti i Paesi avanzati gli Stati promuovono la lettura, in Italia si fa di tutto per scoraggiarla. Dalla mezzanotte di oggi (ossia, dal primo settembre 2011) entrerà in vigore la legge Levi, dal nome del deputato che l’ha presentata in Parlamento, la quale fissa al 15% il tetto massimo degli sconti applicabili sul commercio online di libri. Per questo la norma è stata ribattezzata anti Amazon, in riferimento al colosso web della vendita di prodotti editoriali, che da quando è sbarcato in Italia ha rotto gli equilibri del mercato editoriale nostrano.

L’intento della legge, presentata nel 2008 dai deputati Ricardo Franco Levi (Pd) e Franco Asciutti (Pdl) e votata in modo bipartisan in Parlamento appare, quindi, evidente: difendere le case editrici e le catene di distribuzione nazionali dalla concorrenza, attraverso l’adozione di misure protezionistiche. Un provvedimento palesemente in contraddizione con i principi del libero mercato condivisi in sede Europea dal nostro Paese e tanto cari, almeno a parole, al nostro governo. A farne le spese saranno ovviamente i cittadini, o meglio quel basso numero di lettori, giudicato dalla stessa politica ad ogni rilevazione statistica come un dato negativo. Quella stessa politica ipocrita e paradossale, che come al solito quando c’è da scegliere tra gli interessi di lobby e corporazioni e quello generale sacrifica sempre la crescita sociale e culturale del nostro Paese. In quei Paesi dove la percentuale di lettori è molto più alta i cittadini scelgono le classi dirigenti con più consapevolezza, libertà, senso critico. Sarà per questo che in Italia la classe politica fa scelte opposte?

Bhe, congratulazioni ai due imbecilli che hanno partorito si tanta legge. E congratulazioni anche agli altri imbecilli che l'hanno approvata.

Arricchimenti kulturali

... e imbecillità varie sulla società multikulti e multireligiosa. Qui.


MILANO - Frustata con un filo elettrico, picchiata violentemente con schiaffi e pugni, sequestrata nella soffitta di casa perchè aveva comportamenti «troppo occidentali». È accaduto in un paesino della provincia di Pesaro dove una giovane marocchina, appena 17enne, stanca di anni di maltrattamenti da parte del padre, martedì ha tentato il suicidio. L'uomo è stato arrestato e la madre della ragazza denunciata in concorso per maltrattamenti in famiglia.

COMPORTAMENTI «OCCIDENTALI» - Il padre, un operaio di 52 anni, regolarmente residente in Italia da una decina d'anni, non tollerava quelli che considerava comportamenti «troppo occidentali» della figlia, dall'abbigliamento ai primi fidanzatini. E così, quando, circa due anni fa, scopre che la figlia si frequenta con un ragazzo connazionale, per la ragazza comincia quello che i carabinieri definiscono «un vero e proprio calvario con continue prevaricazioni ed umiliazioni da parte dei genitori». Segregata nella soffitta di casa, la giovane veniva spesso colpita violentemente con schiaffi, pugni ed un filo elettrico che fungeva da frusta. Quest'ultimo oggetto, trovato e sequestrato dai carabinieri della compagnia di Pesaro che hanno seguito il caso, era il vero incubo della ragazza. Il padre lo ha usato su di lei anche quando aveva scoperto che la figlia marinava la scuola. Spesso, quando i genitori non erano in casa, la ragazza veniva chiusa a chiave in quella soffitta «degli orrori».

IL TENTATO SUICIDIO - L'arresto dell'uomo è scattato venerdì scorso al termine di una escalation di violenze che poteva avere un epilogo davvero tragico. Il padre, tornato a casa, vede la ragazza con una maglietta a maniche corte e dopo averla afferrata per i capelli la sbatte verso una parete. La ragazza riesce però a scappare fuori dall'abitazione per le vie del paese. Rincorsa dal padre a piedi e poi in auto, ritorna a casa approfittando del fatto che il padre è andato fuori per lavoro. E qui subentra la mamma che dopo aver assistito a tutta la scena, incomincia ad insultare la figlia minacciandola ripetutamente di sbatterla fuori di casa. Il padre nel frattempo rientra a casa e la giovane si rinchiude nella soffitta. Il padre sfonda la porta e con in mano la sua «solita» frusta cerca di colpire la ragazza che si vede costretta a scappare dalla finestra. Una volta fuori grida al padre di volersi buttare. Alcuni vicini, così, avvertono i carabinieri che riescono a far desistere la ragazza. Adesso la giovane si trova in una comunità e il padre, dopo tre giorni in carcere a Villa Fastiggi, si trova ai domiciliari.

martedì 30 agosto 2011

Milanistan

... e quelli di centrodestra che protestano, si sbracciano e si indignano, non sono immuni da tutto ciò. Potevano pensarci prima perchè l'islamizzazione di ogni città, cittadina, provincia o paesino, è cominciata anche con giunte di centrodestra.


MILANO - «È una svolta della città caratterizzata dal dialogo, questo è un momento di festa di una comunità rilevante di Milano, visto che noi siamo la novità che rappresenta il dialogo e il rispetto di tutti portiamo avanti queste iniziative». Così il vicesindaco di Milano, Maria Grazia Guida, ha sintetizzato la sua (storica) presenza nel campo sportivo di via Cambini, che la locale parrocchia ha messo a disposizione della Casa della cultura islamica per la celebrazione del «Aid el-Fitr», la festa che sancisce la fine del Ramadan (terminato al tramonti di lunedì). Accompagnata da Mahmoud Asfa, direttore giordano della Casa della cultura islamica, accolta con un mazzo di fiori consegnatole da due donne arabe e da qualche centinaio di cittadini musulmani in preghiera sotto il sole cocente, il vicesindaco - con il capo coperto da un improvvisato velo fucsia - ha spiegato che la prima visita di un esponente della giunta ad una celebrazione islamica «non ha creato nella maggioranza alcuna polemica perché nella linea del dialogo lungo la quale continueremo».

VISITA STORICA - «Abbiamo l'onore di ricevere questa visita dopo un'attesa di 30 anni, - ha sottolineato al microfono davanti ai fedeli Mahmoud Asfa presentando il vicesindaco -. Da tempo chiediamo luoghi di culto degni e speriamo che con questa giunta il tempo sia finalmente maturo affinché si possano affermare i nostri diritti anche in vista di un Expo a cui la comunità islamica vorrebbe partecipare». Nel frattempo l'assessore alla Sicurezza Marco Granelli è andato in visita al Teatro Ciak, dove festeggiavano circa duemila fedeli legati al Centro islamico di viale Jenner. In via Cambini con la Guida è intervenuto anche Pierfrancesco Majorino che ha spiegato: «Ero qui anche l'anno scorso per dirvi che ci saremmo battuti per il rispetto e i diritti di tutti e credo che questa possa essere una stagione nuova per Milano, per creare una città aperta che non ha più paura ma che scommette sulla ricchezza delle sue componenti».

I SACERDOTI - Al campo sportivo erano presenti anche monsignor Gianfranco Bottoni, responsabile delle relazioni ecumeniche e interreligiose della Diocesi di Milano, e don Piero della Parrocchia di San Giovanni Crisostomo che ospita la festa, ed è da anni attivissimo in zona per mediare e favorire l'incontro tra le diverse comunità straniere molto numerose nella zona di via Padova. Con loro, presenza fissa da anni, l'esponente di Comunione e liberazione, Aldo Brandirali. «Non di parla di una grande moschea, noi abbiamo condiviso ciò che è già esistente, i vari luoghi nei vari quartieri - ha spiegato Guida -. Aiuteremo le comunità a trovare le soluzioni badando soprattutto che siano soluzioni in sicurezza, questo è importante». Lodando le iniziative della comunità islamica insieme alle parrocchie e alla Caritas, per bambini e famiglie, Guida ha spiegato che «è la dimostrazione che questa è una Milano in cui si parla già di nuovi milanesi».

FORFATI DEGLI ASSESSORI - In origine era previsto che vari assessori partecipassero alle iniziative per la festa della fine del Ramadan in più punti della città. Invece dopo una riunione pomeridiana è stato deciso che la sola Guida prendesse parte, intorno alle 10, in «risposta a un cortese invito», alla riunione di preghiera degli islamici di via Padova (centro allestito al campo sportivo di via Cambini). «Impegni istituzionali» dei vari assessori, è stato annunciato. Abdel Shaari, il portavoce del centro islamico di viale Jenner, ha protestato: «Via Padova sì e noi, e gli altri, un bel niente. È un chiaro dispetto».

LE POLEMICHE - L'ex vicesindaco Riccardo De Corato aveva avviato la polemica: «Non sappiamo se la Guida pregherà rivolta alla Mecca. Certo lo farà con poco più di 3 mila musulmani rispetto ai 100 mila che, secondo i responsabili di viale Jenner, risiedono a Milano». Sulla stessa linea Matteo Salvini, Lega: «In tre mesi sindaco e assessori si sono preoccupati più di islamici che di milanesi». Maria Grazia Guida non ha raccolto le provocazioni: «Non intendo rispondere, perché abbiamo un modo diverso di stare nella città». Annunciando la scelta della visita, il vicesindaco aveva dichiarato: «Ci sembra giusto testimoniare il rispetto per una ricorrenza così importante. Il dialogo è fattore di crescita».

Dettare legge in terra straniera


Lampedusa - Giornata di proteste a Lampedusa dove circa 150 immigrati tunisini, sbarcati nelle scorse settimane sull’isola, sono scappati ieri pomeriggio dal centro di prima accoglienza. In un video, diffuso da YouReporter.it, si vedono chiaramente gli uomini fuggire dalla struttura di contrada Imbriacola. Poi i tunisini si sono trovati sul molo Favaloro a manifestare, bloccandone l'entrata. Alcuni di loro chiedevano a gran voce di lasciare "al più presto" Lampedusa, senza essere impatriati. Nella notte i migranti si sono pacificamente fatti riaccompagnare all’interno del centro di accoglienza a bordo di pullman.

Sassaiola nel centro. Nel Cpa però vi sono stati poi altri disordini e un carabiniere ed un finanziere sono rimasti feriti, non gravemente, durante una fitta sassaiola. Solo in tarda notte, è tornata la calma all’interno del centro dove sono stati impegnati tutti gli uomini disponibili di carabinieri e guardia di finanza per sedare la rissa. La protesta degli immigrati è nata dopo che alcuni di essi hanno ricevuto telefonate da compagni che erano stati rimpatriati in Tunisia.

sabato 27 agosto 2011

Cineserie


Milano - L’imprenditoria cinese in Italia non sente la crisi. Alla fine del 2010 il numero di imprenditori cinesi ha superato la soglia delle 54mila unità. Rispetto al 2009, la crescita è stata dell’8,5%. Gli imprenditori italiani, sempre in questo ultimo anno di crisi, sono diminuiti dello 0,4%. Lo rileva uno studio della Cgia, l’associazione degli artigiani e delle piccole imprese. Le aziende italiane guidate da imprenditori cinesi stanno crescendo in maniera esponenziale: tra il 2002 e il 2010 la loro presenza nella nostra penisola è cresciuta del 150,7%. "Pur riconoscendo che gli imprenditori cinesi hanno alle spalle una storia millenaria di successo, in particolar modo nel commercio e nella lavorazione dei prodotti tessili - dichiara Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia - la loro forte concentrazione in alcune aree del paese sta creando non pochi problemi. Spesso queste attività si sviluppano eludendo gli obblighi fiscali e contributivi, le norme in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro e senza nessun rispetto dei più elementari diritti dei lavoratori occupati in queste realtà aziendali". Secondo la Cgia "questa forma di dumping economico ha messo fuori mercato intere filiere produttive e commerciali di casa nostra. Tuttavia è giusto sottolineare - conclude Bortolussi - che anche gli imprenditori italiani non sono immuni da responsabilità. In molte circostanze, coloro che forniscono il lavoro a questi laboratori cinesi sono committenti italiani che fanno produrre parti delle loro lavorazioni con costi molto contenuti. Se queste imprese committenti si rivolgessero a dei subfornitori italiani, questa forte riduzione dei costi di produzione non sarebbe possibile". Il maggior numero di imprenditori cinesi si trova in Lombardia (10.998). Seguono i colleghi che lavorano in Toscana (10.503) e quelli che hanno scelto il Veneto come regione in cui avviare l`impresa (6.343).

Altri parassiti privilegiati


Con leggi e leggine si sono rita­gliati privilegi su privilegi. Una norma qui, un articolo là e tutto s’incastra al punto giusto. I sinda­cati dovrebbero tutelare i lavora­tori, ma in realtà sono, come ha in­­titolato un suo libro il giornalista dell’ Espresso Stefano Livadiotti, l’altra casta. Una nomenklatura che spesso si sovrappone e si con­fonde con quell­a ospitata sui ban­chi di Palazzo Madama e Monteci­torio. Nella scorsa legislatura 53 deputati e 27 senatori, per un tota­le di 80 parlamentari, provenivano dalla Triplice. Secondo Livadiotti costituiscono il terzo gruppo par­lamentare, insomma formano una lobby agguerrita quanto se non più di quella degli avvocati. E nel tempo hanno strutturato un si­stema di potere studiato fin nei dettagli. Non che non abbiano me­riti storici impo­rtantissimi nell’af­francamento di milioni di italiani, ma col tempo i sindacati hanno cambiato pelle. E anima. Basti dire che i rappresentanti dei lavoratori hanno un patrimo­nio immobiliare immenso, ma non pagano un euro di Ici. Si fa un gran parlare di questi tempi delle sanzioni di cui gode la Chiesa cat­tolica ma i sindacati non versano un centesimo. Altro che santa eva­sione. Il lucchetto è stato fabbrica­to col decreto legislativo numero 504 del 30 dicembre 1992, in pie­no governo Amato. Con quella tro­vata, i beni sono stati messi in sicu­rezza: lo Stato non può chiedere un centesimo. Peccato, perché non si tratterebbe di spiccioli. Per capirci la Cgil dice di avere 3mila sedi in giro per l’Italia. È una sorta di autocertificazione perché, al­tra prerogativa ad personam , i sin­dacati non sono tenuti a presenta­re i loro bilanci consolidati. Sfug­gono ad un’accurata radiografia e non offrono trasparenza, una mer­ce che invece richiedono punti­gliosamente agli imprenditori. Dunque, la Cgil dispone di un al­bero con 3mila foglie ma la Cisl fa anche meglio: 5mila sedi. Uno sproposito. E la Uil, per quel che se ne sa, ha concentrato le sue pro­prietà nella pancia di una spa, la Labour Uil, che possiede immobi­li per 35 milioni di euro. Lo Stato che passa al pettine le ricchezze dei contribuenti non osa avvici­narsi a questi beni. Il motivo? La legge equipara i sindacati, e in ve­rità pure i partiti, alle Onlus, le or­ganizzazioni non lucrative di utili­tà sociale. Dunque la Triplice sta sullo stesso piano degli enti che raccolgono fondi contro questa o quella malattia e s’impegnano per qualche nobile causa sociale. Insomma, niente tasse e map­pe s­fuocate perché in questa mate­ria gli obblighi non esistono. E pe­rò lo Stato ha alzato un altro ponte levatoio collegando il passato al presente con un balzo vertigino­so. Risultato: le principali sigle hanno ereditato le sedi dei sinda­cati di epoca fascista. Gli immobi­li del Ventennio sono stati asse­gnati a Cgil, Cisl Uil, Cisnal (l’at­tuale Ugl) e Cida (Confederazio­ne dei dirigenti d’azienda). Senza tasse, va da sé, come indica un’al­tra norma: la 902 del 1977. Leggi e leggine. Così un testo ad hoc , questa volta del 1991, permet­te alle associazioni riconosciute dal Cnel di poter creare i centri di assistenza fiscale. I mitici Caf. Qui i lavoratori ricevono assistenza prima di compilare la dichiarazio­ne dei redditi. Attenzione: la con­sulenza è gratuita perché, ancora una volta, è lo Stato a metterci la faccia e ad allungare la mano. Per ogni pratica compilata lo Stato versa un compenso. È un busi­ness che vale (secondo dati del 2007) 330 milioni di euro. Soldi e un trattamento di lusso. Altro capitolo, altro scivolo, altro privilegio: quello dei patronati. Ogni sindacato ha il suo. Il moti­vo? Tutelare i cittadini nel rappor­to con gli enti previdenziali. Co­me i Caf, ma sul versante pensio­nati. Questa volta la legge è la 152 del 2001. Lo Stato assegna ai patro­nati lo 0,226 dei contributi obbli­gatori incassati dall’Inps, dal­l’Inpdap e dall’Inail. Altri trecen­to e passa milioni che servono per far cassa. E per tenere in piedi la baracca. Le stime, in assenza di bi­lanci, sono approssimative ma i sindacati mantengono un appara­to di prima grandezza e hanno cir­ca 20mila dipendenti. Sono i nu­meri di una multinazionale che però si comporta come un’azien­dina con meno di 15 dipendenti. Altrove, vedi lo Statuto dei lavo­­ratori, le tute blu sono tutelate tan­t’è che Berlusconi a suo tempo aveva provato, invano, ad aprire una breccia proponendo la can­cellazione dell’articolo 18. Ma dal­le parti della Triplice valgono al­tre regole, diciamo così, più libe­ral o, se si vuole, meno restrittive. Un’altra leggina, questa volta del 1990, offre a Cgil, Cisl, Uil la possi­bilità di mandare a casa i dipen­denti senza tante questioni. In­somma, è la libertà di licenzia­mento. Una bestemmia per gene­razioni di «difensori» degli ope­rai, dei contadini e degli impiega­ti. Ma non nel sancta sanctorum dei diritti. Due pesi e due misure. Come sempre. O almeno spesso. Per non smarrire le ragioni degli ultimi si sono trasformati nei pri­mi. Creando appunto un’altra ca­sta. Ora, la Cgil di Susanna Camus­so proclama lo sciopero generale per il 6 settembre e chiama a rac­colta milioni di uomini e donne. Un appello, legittimo, ci manche­rebbe. Ma per una volta i sindaca­ti farebbero bene a guardarsi allo specchio.

venerdì 26 agosto 2011

Frattini...

... l'ennesimo imbecille di governo che inventa idiozie mentre la nato ha ammazzato circa 20 mila persone. E nel caos Lampedusa c'è stata lo stesso a causa dei "profughi" tunisini ed egiziani che non avevano alcun bisogno di scappare dalle loro terre. SOLO dopo l'attacco della fantastica e demokratica NATO ci sono state (giustamente) le fughe dalla libia... ma non certo dei libici che Gheddafi spingeva sui barconi. Consiglio a Frattini di tacere o di tornarsene sulle nevi coi suoi amati sci. Ma perchè continuiamo a fare figure simili? E' la nato a dover essere processata all'aja per crimini contro l'umanità.


Tripoli - Se nella capitale libica continuano gli spari e gli scontri tra lealisti e ribelli, l'attenzione sembra spostarsi a Sirte, città natale di Muammar Gheddafi. Qui infatti il raìs sarebbe intanto stato localizzato, secondo fonti dell’Eliseo vicine a Nicolas Sarkozy. Il colonnello libico, finora introvabile, sarebbe stato visto nella sua città, ormai uno dei pochi bastioni di resistenza del regime, dove i tornado della Raf hanno bombardato con missili ad alta precisione un vasto bunker. "Non è questione di trovare Gheddafi - ha però detto il ministro della Difesa britannico Liam Fox - ma di assicurare che il regime non abbia la capacità di continuare la guerra contro il popolo libico".

Gli ordini "orribili" del raìs. E il ministro degli Esteri, Franco Frattini svela alcuni degli inquietanti piani di Gheddafi. Ordini "terribili" impartiti dal raìs e dal suo governo durante la guerra. Sono i messaggi "delle autorità del governo libico che davano ordini di mascherare cadaveri militari con abiti civili per fare cadere colpe loro sulla Nato. E poi abbiamo le prove degli ordini dati dal governo di Gheddafi per trasformare Lampedusa in un inferno: Mettete sui barconi migliaia di disperati e gettate l’isola nel caos. Abbiamo le prove e non possiamo fare finta di nulla".

Frattini: "Gheddafi processato all'Aja". Anche per questo Frattini torna a chiedere un processo davanti la Corte penale internazionale dell’Aja, perché si possa "giudicare Gheddafi, suo figlio, il capo dei servizi segreti libici per crimini contro l’umanità". È necessario processare l’ex leader libico all’Aia prima che a Tripoli "perché è chiaro che sono delitti enormemente più gravi di ogni altro delitto per cui i libici vorranno eventualmente processare Gheddafi e la sua famiglia", ha spiegato Frattini. Il processo presso la Cpi "non è in alternativa", ha proseguito: "Si tratta di reati che vengono per primi perché hanno toccato il cuore dell’intera umanità. Sappiamo di 20.000, forse più, civili che sono stati trucidati dalle truppe su ordine diretto di Gheddafi e dei suoi diretti collaboratori". Poi assicura: "E' prevista una attività di formazione con istruttori militari e civili, in particolare per la guardia costiera e la polizia marittima libica che si dovrà ricostituire. Analogamente si procederà a un programma formativo nel settore medico. L'Italia vuole partecipare al processo di ricostruzione con la formazione e con tante altre cose, ma non partecipa ad azioni militari di combattimento su terra".

Strettamente personale, dei viaggi

Si parlava di viaggi, tra me e Nico. Io amo viaggiare. Mia madre amava viaggiare ma per tutta una serie di motivi, non ha potuto farlo e quindi, spingeva me a fare ciò che lei non poteva fare. E comunque, viaggiava anche lei coi miei occhi tanto che, ogni volta che tornavo e le raccontavo ciò che avevo visto, lei era felice per me ed era come se avesse fatto il viaggio con me. Mio padre odia viaggiare perchè, chiaramente lo ha fatto solo per lavoro. Il mio compagno ama viaggiare ma ha sempre la riserva della spesa. Io, quando viaggio, non mi risparmio perchè penso sempre che ne valga la pena. Certo, non sono il tipo da viaggio scomodo, raffazonato, rimediato, in tenda, in camper, in ostello o in alberghetto-topaia. No, no, non mi vergogno a dirlo. Se deve essere viaggio esotico, allora preferisco il resort a 5 stelle o se deve essere un viaggio all'avventura, che sia un buon albergo o un simpatico bed & breakfast. Non credo nelle offerte fortunate perchè in quelle offerte, ci sono cascati in tanti e se ne sono lamentati. Visto che non amo i motori, i gioielli, gli abiti firmati o la tecnologia, preferisco spendere quei quattro soldi che guadagno facendo viaggi. Dove sono stata in questi anni? Bhe, un pò dappertutto. Ho fatto una due-settimane da discotecara incallita a Salous (nei pressi di Tarragona) in spagna con circa 14 amici. Poi, sono passata per Fuerteventura per vedere se le spiaggie erano belle... Poi, quando amavo il medio oriente, sono stata a Djerba, dopodichè, ho fatto il viaggio che sognavo da quando ero ragazzina, ovvero, una settimana in giro per lo Sri-Lanka passando per le terre delle tigri Tamil e poi riposandomi su un candido e soleggiato atollo delle maldive. Poi, m'è presa la fissa per Capo Verde e ci sono andata girando anche con un grosso quad e impolverandomi tutta da capo a piedi. Dopodichè, ho avuto bisogno di andare a vedere come erano le mauritius... in realtà, volevo controllare che fine avessero fatto i dodo ma quando sono arrivata io, non c'erano già più. I mauritiani dicono che se li sono mangiati gli olandesi... o forse i francesi o gli inglesi... lì, esiste davvero un miscuglio di razze, civiltà ed etnie e pare che convivano bene tra di loro. Io non ci credo. Comunque, è fantastico anche lì. Poi, vabbè, sono stata un paio di volte a parigi e la seconda mi sono vista anche disneyland con gli addobbi natalizi. E poi, finalmente sono stata in irlanda, taaaanti km macinati in macchina con altri due amici dormendo ogni sera in un posto diverso. Diciamo che in irlanda ci ho lasciato il cuore. E infatti, ci sono tornata anche per una seconda volta... si, si, lo so che è da pazzi ma tanto, prima o poi ci torno ancora. Non demordo. Ora, sono quasi tre anni di stop. Causa il mio licenziamento, il suo licenziamento... altri problemi più gravi ma sto riprendendo una certa, diciamo, stabilità che mi permette (si spera) di pensare al prossimo viaggio che forse sarà fuori stagione. Le mete sono tante... ed è difficile scegliere ma al momento giusto, faremo la scelta giusta. Per ora le mete sono essenzialmente tre; Seychelles (e concluderei il trittico di isole da fiaba), Tahilandia, magari facendo il giro del triangolo d'oro, oppure ad Orlando solo per qualche giorno, direttamente a Disneyland per poi passare per Hogwarts (ancora un parco giochi, ovvero, la londra sotterranea di Harry Potter, per intenderci). Oppure, scegliere qualcosa a corto raggio eh ma anche qui... la scelta è altrettanto difficile: Bretagna e Normandia, Scozia, Bruges o ritorno in irlanda ma stavolta in irlanda del nord. Ecco, e questi sono i miei sogni che vanno al di là del sogno di un lavoro definitivo. Per le Fidji e la polinesia, rimando alla mia prossima vita di miliardaria...

giovedì 25 agosto 2011

Nel frattempo...

... la premiata ditta imbecilli (francia, gran bretagna e italia) capitanata dal premio nobel per la pace (l'abbronzato d'oltreoceano), ha fatto in libia circa ventimila morti e ha dato possibilità al terrorismo islamico di insediarsi al posto di Gheddafi. E adesso, bisogna in qualche modo ripagare il disastro creato... poi, se l'italia farà parte della libia fondamentalista... non è dato di sapere. Ma i 350 milioni di euro bisogna sborsarli. Ripetiamo parte di questo articolo che ho postato qualche giorno fa: "E la cosiddetta «Dichiarazione costituzionale» presentata dal governo transitorio giovedì scorso ne è la conferma. Un documento in 37 articoli il quale sancisce, tra l’altro, che «l’islam è la religione e la sharia la principale fonte legislativa»." E basterebbe solo questo per prendere atto dell'errore madornale della cacciata di Gheddafi.


MILANO - Fondi di stato libici sbloccati dalle banche italiane e una tranche di 350 milioni di euro pronti da consegnare al nuovo stato libico per far fronte all'emergenza. È quanto ha garantito il premier Silvio Berlusconi al presidente del Consiglio nazionale transitorio libico Muhamad Jibril, dopo l'incontro di giovedì in prefettura a Milano Al vertice ha partecipato anche l'amministratore delegato di Eni Paolo Scaroni.

SBLOCCATI I FONDI DI STATO - Una prima tranche di 350 milioni di fondi di stato libici «scongelati» dalle banche italiane per sopperire all'emergenza (raccolta di armi e corpi dalle strade e servizi principali per la popolazione) la creazione di un comitato d'accordo tra i due Governi (leader sarà Franco Frattini) . E ancora la fornitura gratuita da parte dell'Eni di gas e carburanti alla popolazione libica, mentre verrà garantito un supporto nella formazione e nella sanità, nonchè nell'addestramento militare. È quanto accordato tra Silvio Berlusconi e il primo ministro del Cnt libico Muhamad Jibril. «La battaglia di Tripoli è ancora in corso - ha detto Jibril - ma la Libia deve pensare al suo futuro. E gestire l'emergenza: abbiamo bisogno di un aiuto urgente, ci sono persone che non ricevono uno stipendio da mesi. Nel caso in cui il Cnt non riuscisse a fornire i servizi base e a pagare gli stipendi, si andrebbe in contro al fallimento del Consiglio transitorio e quindi all'intero processo di stabilizzazione del Paese». Per quanto riguarda l'addestramento delle forze di sicurezza libiche, il ministro degli Esteri Franco Frattini ha dichiarato: «Da due mesi è a Bengasi un team di militari italiani, con scopi di addestramento - ha detto ai microfoni di Radio 24 - abbiamo mandato già 15-20 militari italiani per l'addestramento tecnico di alcune unità di forze armate libiche, ma pensiamo di estenderlo anche alla polizia, con particolare riferimento alla polizia di frontiera e alla guardia costiera libica».

H24 LA RICOSTRUZIONE - Il primo ministro del Consiglio nazionale transitorio libico ha elencato le priorità che dovrà affrontare nelle prossime settimane, per rimettere in piedi un Paese devastato da sei mesi di guerra civili e 42 anni di dittatura: «Le nostre priorità sono riportare l'ordine, avviare un sistema di giustizia, avviare i primi passi per la costruzione di un esercito nazionale. Nel mese prossimo speriamo di poter riaprire le scuole e fornire assistenza con cure trattamenti alle persone ferite, che ora si trovano distribuite in vari ospedali tra Tunisia, Italia e Grecia». Jibril ha parlato anche di infrastrutture: «Dobbiamo ricostruire le nostre centrali elettriche e tutte quelle strutture e infrastrutture che sono state distrutte. Ma per fare tutto ciò dobbiamo disporre dei necessari soldi. E il governo transitorio, che mercoledì si è trasferito da Bengasi a Tripoli, non dispone dei mezzi finanziari necessari per erogare questi servizi». Infine il neo leader libico ringrazia l'Italia: «Avete protetto i nostri civili, ora la nostra speranza è che gli italiani svolgano un ruolo ancora più importante nel prendersi cura dei civili».

PRIMA IL GAS DEL PETROLIO - Privilegiare la ripresa della produzione di gas rispetto a quella di petrolio. Lo ha riferito Paolo Scaroni, ad del gruppo Eni, a margine dell'incontro tra Berlusconi e Jibril: «Noi - ha spiegato il manager - privilegiamo la ripartenza del gas perchè, mentre non esistono problemi di sicurezza dell'approvvigionamento per quanto riguarda il petrolio, affrontare invece l'inverno con una delle fonti tradizionali ferma, devo dire la verità, non mi piace per niente». Il gas libico, continua Scaroni, pesa per «il 10-12% dei nostri consumi e confermiamo che possiamo vivere senza le forniture di gas della Libia. Però non è che le altri fronti ci diano totale tranquillità». Scaroni si è detto preoccupato per la situazione dell'ordine pubblico nel paese nordafricano perchè lì «tutti hanno un'arma». L'accordo che l'Eni firmerà il prossimo lunedì a Bengasi con il Cnt conterrà la fornitura da parte della società italiana di benzina e gasolio alla «nuova» Libia, con pagamenti in petrolio quando i campi di estrazione saranno nuovamente funzionanti. Lo ha affermato l'amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, parlando con i giornalisti alla conclusione dell'incontro tra Berlusconi e Jibril. Nel memorandum d'intesa dovrebbe essere anche contenuto un intervento dei tecnici Eni per studiare la ripartenza di alcuni campi petroliferi in Cirenaica.

Ben Hur live

Bhe, a dire il vero, aspettavo questo musical da almeno un anno. Poi, delle date di roma non s'è saputo più niente. Ormai mi ero anche dimenticata che comunque la tournèè andava avanti lo stesso. Non sono amante dell'antica roma ma sono amante dei musical suggestivi. Notre dame de Paris e Romeo e Giulietta li ho visti dal vivo circa millemila volte, ho fatto salti mortali per Le cirque du soleil... e anche se i biglietti costano tanto, ne vale sempre la pena. E finalmente, dicevo, l'antica roma arriva a roma, appunto. Devo ancora prenotare i biglietti ma questa è cosa piuttosto irrilevante. Il musical resta a roma fino a fine novembre. Vale la pena? Io dico di si...

mercoledì 24 agosto 2011

Arricchimenti culturali


FIRENZE - Aggredita in pieno centro alle 9 del mattino. E' accaduto a Firenze, in una delle vie centrali della città. Un marocchino di 28 anni ha gettato a terra la sua ragazza per strada poi le è salito sopra a cavalcioni e le ha puntato un coltello alla gola. A bloccarlo sono stati i carabinieri, che sono riusciti ad arrestarlo dopo una breve lotta: sia i militari sia l'uomo, marocchino di 28 anni, hanno riportato qualche ferita. Solo qualche graffio per la ragazza. Il marocchino, che doveva essere agli arresti domiciliari perché ricercato, ha infatti minacciato con un coltello la sua fidanzata con la quale aveva trascorso la serata. Stamattina, una volta usciti dal bar, le ha detto: «Guarda cosa succede ora…». A quel punto le ha puntato il coltello alla gola in mezzo alla strada e di fronte agli occhi di numerosi testimoni che in quel momento si trovavano in via Pisana, a Firenze. Sono stati loro a dare l’allarme chiamando il 112.

Una volta arrivati sul posto i carabinieri hanno immobilizzato l’uomo, che però ha reagito. I due militari hanno riportato ferite al torace e alle mani, ma alla fine sono riusciti ad arrestare il marocchino, con un precedente di polizia per tentato omicidio, che è stato condotto a Sollicciano. I militari, coordinati dal pm di turno Tommaso Coletta, hanno anche sequestrato il coltello. Adesso si indaga per capire quale sia il movente dell’aggressione: secondo una prima ricostruzione l’uomo, 28 anni, era sotto effetto della droga quando ha agito. I due si conoscono da tempo, tanto che lui era ricercato dalla Procura di Prato proprio per lesioni personale nei confronti della ragazza che aveva, evidentemente, continuato a frequentare.

Ad Arezzo, invece, la scorsa notte una chiamata al 113 ha segnalato un uomo con una pistola che stava discutendo con una ragazza, in un vicolo del centro storico. Al loro arrivo, gli agenti hanno trovato una pistola semiautomatica carica infilata nella cintura dell'uomo, un ventenne aretino, che non ha opposto resistenza al controllo. In base a quanto ricostruito, i due stavano litigando perchè lui non si è rassegnato alla fine della loro storia. La donna ha comunque dichiarato di non essere stata nè minacciata con l'arma nè aggredita. Il ventenne è stato denunciato per porto abusivo di armi - ha solo la licenza di porto di fucile per uso tiro a volo - e la pistola è stata sequestrata.

Simone Innocenti

In mano dei fondamentalisti


Che regni il caos è naturale, che i media veicolati alimentino la confusione è comprensibile, ma che sia poco chiaro chi comandi davvero e su quale strada spingerà la Libia è decisamente allarmante. Mentre infuria ancora la battaglia a Tripoli, come in altre località del Paese, sono in molti a domandarsi quanto sia affidabile la leadership dei rivoltosi o, meglio, dei nuovi padroni della Libia. È inevitabile che l’Occidente tratti con loro, ma a dar retta ad annunci e proclami non è che ispirino incondizionata fiducia. A partire dall’ultimo preoccupante episodio, quello di Seif el Islam, il figlio di Gheddafi, del quale è stata data con enfasi la notizia dell’arresto. Peccato che poche ore dopo il rampollo del Colonnello si sia presentato ai giornalisti lanciando minacce a destra e a manca: «La mia cattura? Solo menzogne. Mio padre è a Tripoli e noi controlliamo la capitale. Stiamo spezzando la schiena ai ribelli». Niente di grave, nulla cambia nelle sorti del conflitto, ma un conto è la propaganda, altra cosa è far la figura dei fessi in diretta mondiale.

Ma chi sono i leader della rivolta e che credibilità hanno? I loro nomi sono impronunciabili ma è bene ricordarli: Mahmoud Jibril, capo del governo provvisorio, Mustafa Abdel Jalil, presidente del Cnt (Consiglio nazionale transitorio), Abdul Hafiz Ghoga, vice di Jalil e portavoce del Cnt, Ali Tarhouni, ministro delle Finanze e del Petrolio, Suleiman Mahmoud, comandante dell’esercito ribelle, ai quali si aggiunge Abdessalam Jalloud, l’ex braccio destro di Gheddafi che ha cambiato bandiera quattro giorni fa, riparando in Italia. Tolti Ghoga e Tarhouni, gli altri sono tutti membri emeriti del vecchio regime che hanno defezionato, chi prima chi dopo. E se mai il Colonnello dovesse finire alla sbarra del Tribunale penale internazionale per i suoi crimini passati, i suoi ex complici, oggi ribelli, non sfigurerebbero al suo fianco. Ci sarebbe da ridere, se non fossimo così allarmati, sul dopo Gheddafi. Se la situazione resta tale, e la leadership anche, va a finire che a guidare il nuovo regime saranno gli uomini del vecchio regime. Nessuno fa pronostici, ma non è da escludere. Bisognerà però fare i conti anche con le tribù dell’Ovest, per la maggior parte berbere, protagoniste pure loro della conquista di Tripoli. Il loro contributo è stato importante, ma la loro rappresentanza politica non ha molto peso, visto che il governo transitorio è monopolizzato da ribelli della Cirenaica.

Ma sono loro a comandare davvero? Per ora hanno in mano il pallino, ma la componente islamista della rivolta, in quest’ultima fase della guerra, si è rivelata la più efficace e competitiva. A Zawiyah come a Tripoli, nelle manifestazioni di giubilo per la conquista delle città si è sentito urlare «Allah Akhbar» in piazza. Tutti i report di analisti militari sono concordi: i miliziani islamici sono meglio addestrati e più combattivi degli altri ribelli, e lo hanno dimostrato in più occasioni. Chi sono? Gli integralisti perseguitati dal regime di Gheddafi negli anni Novanta, che hanno deciso di abbandonare il Paese e andare a combattere in Iraq e in Afghanistan, al fianco di Al Qaida e talebani. Ora sono tornati, veterani di due guerre, con uno scopo ben preciso: avere un ruolo determinante nel futuro della Libia. E la cosiddetta «Dichiarazione costituzionale» presentata dal governo transitorio giovedì scorso ne è la conferma. Un documento in 37 articoli il quale sancisce, tra l’altro, che «l’islam è la religione e la sharia la principale fonte legislativa». Un successo integralista che fa tremare i vari Jibril e Jalil, i quali hanno già lanciato l’altolà ai fondamentalisti, temendo che, dopo aver dato la caccia agli ultimi fedelissimi del regime, regolino poi i conti con i compagni di rivolta. Bel colpo, male che vada avremo un nuovo Iraq alle porte di casa. Oppure una repubblica islamica. O entrambi.

martedì 23 agosto 2011

Leggi e magistrature italiche


«È chiaro. Si sta avverando quello che Oriana Fallaci aveva già previsto: la trasformazione dell’Europa in Eurabia. L’invasione degli immigrati ci sta schiacciando. Si sottraggono alle nostre leggi fondamentali. Non possiamo restare a guardare in silenzio. Io almeno non lo farò». Daniela Santanché è furiosa. Davanti al caso del senegalese bigamo che è riuscito a portare in Italia la seconda moglie, il sottosegretario all’Attuazione del programma ha intenzione di dare battaglia.

Corriamo il rischio di bigamia anche in Italia? «Ma non scherziamo. Qui ci sono i diritti fondamentali delle nostra civiltà da difendere, ci sono i diritti delle donne. Il matrimonio è fondato sull’unione tra uomo e donna. È un concetto da difendere con le unghie e con i denti».

È preoccupata? «Altroché. Qui di fatto si è aperto alla bigamia. Ma quello che mi terrorizza è l’atteggiamento di certi italiani, a partire dai sindaci di sinistra come Pisapia che vuole mettere una moschea in ogni quartiere di Milano. La tolleranza deve andare di pari passo con il rispetto delle leggi. Chi non rispetta la nostra Costituzione deve andarsene».


Ma come è stato possibile? «È chiaro che questo senegalese è stato furbo a sfruttare un buco del sistema. Una distrazione prima da parte del Comune e poi dell’ufficio immigrazione. E lui ha provato a prendere in giro queste regole. È inammissibile».

Eppure lui ha chiesto e ottenuto il ricongiungimento famigliare. Che la nostra legge prevede. «Ecco appunto. Tocchiamo un altro tasto dolente. A parte che c’è un’incongruenza di fondo. Se nel suo Paese può sposare fino a quattro donne che facciamo le accogliamo tutte? Chi può stabilire quale delle tante far venire? Rischieremmo di trovarci davanti ad un califfato di fatto dove le leggi verrebbero messe da parte. Ripeto: questa è una deriva pericolosissima. Io mi batterò affinché il ricongiungimento venga sospeso».

Vuole cancellare il ricongiungimento famigliare? «Sì, non possiamo più permettercelo».

Colpa della crisi? «Anche. In un momento di grave difficoltà non possiamo più pagare per tutte le miserie del mondo. Il finto buonismo deve lasciare spazio ad un realismo evidente: i mezzi finanziari scarseggiano. Basta pagare pensioni e sanità alle numerose famiglie di immigrati che hanno chiesto e ottenuto il ricongiungimento famigliare».

E allora che fare? «Io parlerò subito con il ministro Maroni, per chiarire e per fare in modo che questi «incidenti» non succedano più. Ma lancio anche una sfida alle donne di sinistra e chiedo: se non ora quando? Se non iniziamo ora a difendere i diritti delle donne, allora quando? Forse aspettiamo che arrivi il califfato?».

lunedì 22 agosto 2011

Ricongiungimenti familiari e bigamia. In senegal? No, in italia


Treviso - La poligamia non è legale in Italia, ma un senegalese è riuscito ugualmente a portare nel Paese entrambe le sue mogli. In un primo momento l'uomo, giunto in Italia a lavorare nel trevigiano, ne ha portata solo una (la seconda) che si è ritenuta la favorita. Ma grazie ai ricongiungimenti familiari, il 45enne - in Veneto da una decina di anni, residente a Treviso e perfettamente inserito - ha portato in casa anche l’altra moglie e la prima, sentendosi "tradita", carte alla mano ha fatto emergere la storia di bigamia.

Nessuna denuncia. Dalla seconda moglie l'uomo ha avuto anche due gemelline che hanno otto anni e sono regolarmente riconosciute e inserite con la loro mamma nel nucleo familiare. Dalla prima moglie - quella arrivata solo da poco in Italia - ha avuto due figli maschi di 15 e 16 anni. La moglie più giovane però, non ha ha retto all’affronto di vedersi in casa una "concorrente" e si è rivolta alla Questura. Ora sarà l'ufficio stranieri a dover dirimere la vicenda dal punto di vista legale.L’uomo intanto, non rischia denunce perchè le due procedure di ricongiungimento risultano lecite.

L'ennesimo, inutile e dispendioso partitino

Prima, un pò di notizie riguardanti il tizio dal doppio cognome e le sue grandiose imprese finora, qui. E lui dovrebbe essere il primo a tacere sull'argomento "fallimenti". Concordo con Calderoli, Montezemolo è una delle tante "scorregge dell'umanità"... italica.


Roma - Un vero e proprio «programma di governo»: è lui stesso a definire così, nei colloqui privati, quel piano in dieci punti che la sua Fondazione Italia Futura ha lanciato in questi giorni come alternativa alla manovra tremontiana. Una definizione che la dice lunga sulle intenzioni, o almeno sui sogni, di Luca Cordero di Montezemolo. Il quale ieri, protagonista della kermesse di Cortina Incontra e poi intervistato da Sky, ha cominciato a scoprire - sia pur timidamente e tra mille condizionali- qualche carta. «Può anche essere che fra qui a un anno e mezzo ci possa essere un’offerta politica nuova», ha detto.

Preannunciando poi quale sarà la sua campagna d’autunno: «Da settembre Italia Futura praticherà una grande spinta sulla modifica della legge elettorale chiedendo una mobilitazione dei cittadini. Su questo punto ci giochiamo il nostro futuro». Segue bocciatura in toto della politica attuale («La classe dirigente che ha operato negli ultimi 15 anni ha fallito»), e de profundis del berlusconismo: «Siamo alla fine di un ciclo politico, che era partito con presunzioni di grandi rivoluzioni liberali. Ho il rammarico - ha aggiunto - di vedere che chi ha avuto a disposizione la fiducia di moltissimi italiani non è riuscito a cambiare e modernizzare il paese». Più che una discesa in campo sembra, come dicono i casiniani che da tempo guardano con crescente impazienza agli stop&go del presidente della Ferrari, un collocarsi «en réserve de la République». In attesa di capire quando e come si arriverà alle prossime elezioni politiche. Che lui non vede a breve termine: anzi, dice, il governo deve andare avanti e «fare il necessario» e l’opposizione «collaborare» e smetterla di «fare tutto in contrapposizione alla maggioranza». La bocciatura della destra quanto della sinistra lascia intendere che l’intenzione è quella di accreditarsi come homo novus, capace di fare quel che gli smidollati che fin qui han governato non hanno saputo fare. Ad esempio sulle pensioni: «Tagliarle è fondamentale», dice, ed è «triste che triste che opposizione e maggioranza discutano di cose che si dovevano fare in questi 15 anni quando entrambe sono state al governo».

Il programma economico glielo ha cucinato un economista di rango come Nicola Rossi, fuoriuscito dal Pd a causa del basso tasso di liberalismo di quel partito. E già questo (oltre al merito, a cominciare dalle pensioni a 67 anni) lo rende indigesto per il centrosinistra. Le reazioni alla lenzuolata di proposte montezemoliane fanno capire qual è, a grandi linee, il versante su cui la sua offerta politica si orienta. Qualche applauso dal Terzo Polo, freddo silenzio dal Pd (solo dalla «destra» lettiana arriva l’apertura di Francesco Boccia sulla proposta di tassare i grandi patrimoni); qualche consenso dal Pdl anche se il segretario Alfano stoppa sulla «odiosa» patrimoniale. La scomunica più netta arriva dalla sinistra estrema di Paolo Ferrero: «Più a destra di Berlusconi», tuona.

E poi c’è la Lega, che copre Montezemolo di insulti da trivio («Una scoreggia dell’umanità», dice, col suo tipico aplomb ministeriale, Calderoli) e che vede in lui il simbolo di quei «poteri forti», come i «cornuti» del Corriere della Sera,che denunciano la crisi del Carroccio e il suo corporativismo in difesa dello status quo sulle pensioni; e premono per staccare la Lega (che secondo Montezemolo «sembra il Prc del governo Prodi») dal Pdl. Intanto, il patron Ferrari vede l’annuncio di un possibile piano di dismissioni da parte del governo come una propria «vittoria»: «Sono stato il primo a proporlo», rivendica in privato. In attesa di coglierne altre più succose. Forse.

Strage di Bologna


Bologna -  Scricchiolano le certezze sulla strage di Bologna e l’impressione è quella di una verità per troppi anni congelata. Se è stato dimostrato che la pista palestinese era qualcosa di più di un’ipotesi, ora riemergono anche le bugie del superteste Massimo Sparti, uomo legato alla criminalità romana e ai neofascisti dei Nar, che fu determinante per la condanna di Giusva Fioravanti e Francesca Mambro. Un anno dopo la strage, per uscire dal carcere, si impossessò del referto di un malato terminale di tumore al pancreas. Visse invece per vent’anni ma in carcere non tornò più. E chi gli procurò quel documento medico resta uno dei tanti misteri dell’inchiesta. Sparti sostenne che Fioravanti era andato da lui a Roma il 4 agosto del 1980, cioè due giorni dopo la strage alla stazione di Bologna, chiedendo dei documenti falsi per Francesca Mambro, temendo che potesse essere stata riconosciuta alla stazione di Bologna. In quella occasione Fioravanti gli avrebbe anche detto: «Hai visto che botto?...». Un passaggio chiave per la condanna. Sparti invece era in vacanza a Cura di Vetralla, come confermato da ex moglie, figlio e colf, e da lì non si è mai mosso.

Arrestato con Fioravanti, Sparti uscì di cella grazie al certificato che si basava su referti della clinica radiologica. L’esame venne effettuato all'esterno, a Pisa, dal professor Luigi Michelassi, e l'esito non lasciava scampo: tumore al pancreas con metastasi ai linfonodi. Nel 1982 venne così liberato per motivi di salute, peccato che il professore più tardi fosse venuto a sapere che il foglio apparteneva a un altro paziente: «Si verificò uno scambio ad arte». Non un errore accidentale quindi ma costruito su misura per liberare il «supertestimone», e che oggi va riletto anche alla luce della iscrizione nel registro degli indagati della procura di Bologna dei due terroristi tedeschi di estrema sinistra legati a Carlos lo sciacallo, detenuto in Francia. .

«Se davvero fosse stato un tumore al pancreas – sostiene il professor Francesco Ceraudo, a lungo guida del centro clinico del carcere di Pisa -, sarebbe morto in pochi mesi». Nel 2007, cinque anni dopo la morte del padre, il figlio di Sparti Stefano confermò che la malattia in base alla quale il papà fu scarcerato era falsa: «Aveva mentito» disse senza esitazioni. Ma su chi agevolò quella fuga legalizzato neanche una parola. Qualche tempo dopo l'arresto, Sparti era ricoverato al centro clinico del Don Bosco di Pisa. Finse di stare male, per uscire. Quel referto scambiato apposta confermava che le sue condizioni di salute non erano compatibili con il regime carcerario: morì di tumore ma nel 2002, vent’anni dopo la scarcerazione. Il professor Ceraudo insiste: «Tutti gli accertamenti diagnostici esperiti da me in precedenza non avevano evidenziato nulla. Improvvisamente emerse questa diagnosi catastrofica, non riuscivo a darmene una ragione plausibile». Per il medico lo scambio fu voluto: «Fatti, non illazioni o interpretazioni riferiti al processo per la strage di Bologna contro Ciavardini, dove sono stato sentito come teste - spiega amareggiato - Nella sentenza sono stato etichettato come inattendibile, perché allora non mi hanno perseguito per falsa testimonianza?». Perchè forse c’era qualcosa che non si poteva dire. «Quando si parla del centro clinico del carcere di Pisa molti lo associano al mio nome - dice ancora Ceraudo che lo ha diretto per molti anni - ma non fui certo io allora a certificare la finta malattia di Sparti». E, aggiunge: «Non venni creduto nè quando era detenuto e dissi che non aveva un tumore, nè anni dopo, quando ho testimoniato al processo».

Ma c’è dell’altro. Francesco Di Carlo, ex boss mafioso di Altofonte, Palermo, oggi collaboratore di giustizia, sostiene che la strage fu una vendetta libica contro l'Italia: «In Inghilterra, il mio compagno di cella era Nizzar Indaoui, agente segreto arabo e braccio destro di un colonnello siriano: mi raccontò che i servizi libici organizzarono la strega per ripicca contro i servizi italiani che avevano aiutato gli americani». Lo riferì nell’ottobre 1999 a Rosario Priore, il giudice che indagava sulla strage di Ustica, l'aereo Dc9 Itavia precipitato 31 anni fa. Un altro mistero. Ma adesso troppe verità di comodo cominciano a vacillare.

domenica 21 agosto 2011

E poi... arriva LUI


Una controproposta. Anzi, per dirla con le parole di Luca Cordero di Montezemolo (nella foto) e quelle del gruppo di pensatori e pianificatori che corrono nella sua «scuderia» di Italia Futura, dieci «proposte di correzione» alla manovra di Ferragosto presentata dal governo. Un'aggiustatina di tiro, che non si discosta poi così tanto, dai piani dell'esecutivo e che, puntualmente, forse proprio per questo motivo, ha già suscitato le reazioni polemiche della sinistra. Ma vediamole insieme, in rapida successione, le dieci idee del presidente di Ferrari, liberamente ispirate, a quanto pare, dal senatore Nicola Rossi, peraltro già consigliere economico di Massimo D'Alema.

La prima proposta è definita da Italia Futura «una patrimoniale a carico dello Stato e degli enti locali». Per rispondere a questa esigenza bisogna vendere il patrimonio immobiliare di Stato ed enti locali (dai 20 ai 40 miliardi di euro di valore), e privatizzare le partecipate del Tesoro (che oggi come oggi valgono qualcosa come cinquecento miliardi). Nella lista degli «ex gioielli» da vendere, compilata da «Italia Futura», figurano due delle tre reti Rai, Bancoposta, Sace, le concessioni Anas. La seconda proposta prende invece il nome di «contributo di solidarietà dalla politica». E prevede: l'abolizione e non l'accorpamento delle Province, partendo da quelle con meno di un milione di abitanti, quindi la riduzione a quindici membri del Cnel, e l'affidamento agli enti locali di tutte le funzioni pubbliche delle Camere di Commercio.

La terza e la quarta proposta riguardano il mondo e il mercato del lavoro. A cominciare dalle pensioni. Vanno abolite le pensioni di anzianità (con una certa gradualità, mediante un sistema di quote), tranne che per i lavori usuranti. Occorre provvedere all'equiparazione al massimo nel giro di dieci anni, dell'età pensionabile delle donne a quella degli uomini. Anticipare al 2016 l'innalzamento dell'età pensionabile a 67 anni. Per quanto riguarda il mercato del lavoro Montezemolo e il suo staff propongono di andare al «contratto unico»: tutti assunti a tempo indeterminato, ma tutti licenziabili per ragioni economiche od organizzative. Chi perde il posto avrà un'indennità.

Quinta proposta è quella di abolire il «contributo di solidarietà» e di mettere un'imposta patrimoniale permanente, con aliquota pari allo 0,5, per cento sui patrimoni superiori a 10 milioni e tetto pari a un milione di euro (escluse le partecipazioni in società non quotate ma non le immobiliari e le holding). Restando nel campo dei provvedimenti fiscali ecco il sesto punto che prevede regole fiscali stabili ma non nuove tasse sui capitali «scudati» o nuovi condoni. Mentre il settimo punto del «pacchetto» di Montezemolo è connesso alla lotta all'evasione fiscale il cui maggior ricavato dovrebbe venire destinato alla riduzione delle aliquote. Ottavo punto: aumento dell'Iva soltanto se riequilibrato da una riduzione per lo stesso ammontare del prelievo sulle imprese (a cominciare dall'Irap).

Nono punto le liberalizzazioni. Nello specifico: separazione della rete gas dall'ex monopolista, introduzione della concorrenza nel trasporto ferroviario regionale, liberalizzazione dei servizi pubblici locali, del settore postale, dell'assicurazione infortuni (privatizzando l'Inail), delle telecomunicazioni; riforma dei servizi idrici e libertà degli orari e dei giorni di apertura dei negozi. E, per concludere, eccoci alla decima proposta che si dovrebbe concretizzare con l'avvio di alcune riforme costituzionali: vincolo del bilancio in pareggio e dimezzamento dei parlamentari.

sabato 20 agosto 2011

Vittime stradali e carnefici in libertà

Omicidio stradale... e non si è capaci di tenerli dentro nemmeno con l'omicidio colposo... quindi, mi chiedo, ma a cosa servono le modifiche?


Cinque storie di persone accusate di omicidio per guida sotto l'effetto di alcol o di droga. Cinque storie che fanno indignare. Come sono andate a finire? I colpevoli (o in attesa di giudizio) sono in carcere? Più di una volta è stato ipotizzato l'omicidio volontario con «dolo eventuale» per chi uccide a causa di un bicchiere di troppo (l'automobilista mettendosi alla guida dopo aver alzato il gomito accetta il rischio di provocare uno scontro mortale). Tutto inutile. Non esiste un solo caso in Italia in cui l'accusa di omicidio volontario sia rimasta in piedi. È passata soltanto una volta in primo grado, ma in appello e in Cassazione si è trasformata in colposo. E spesso non è stato nemmeno deciso il risarcimento per le vittime. La proposta di introdurre un reato specifico che non consenta più di evitare la detenzione è stata avanzata dai ministri Maroni e Palma, che parlano di reato di «omicidio stradale» per le morti causate da chi guida sotto l'effetto di alcol o droghe. Gli incidenti stradali nel 2010 sono stati 105 mila (+6,1% rispetto al 2009), con 2.458 morti. I controlli con l'etilometro, 1.600.000 e dal 2011 sono aumentate del 5,4% le violazioni al Codice per guida in stato di ebbrezza (13.382), mentre, sono calate dell'11,4% quelle per guida sotto l'effetto di droghe (1.344).

ASCOLI PICENO - Ahmetovic ai domiciliari. (ma è per una rapina)

La sua foto in terrazza mentre prendeva il sole in un residence di San Benedetto del Tronto fece tremare dal dolore i genitori dei quattro ragazzi morti e indignò gli italiani. Marco Ahmetovic è il rom che, ubriaco, con un tasso alcolico nel sangue sei volte superiore al limite, ha travolto con un furgone e ucciso nell’aprile del 2007 (aveva 22 anni), ad Appignano, 4 giovani tra i 16 e i 19 anni: Eleonora Allevi, Davide Corradetti, Danilo Traini e Alex Luciani. Accusato di omicidio colposo con colpa cosciente, in primo grado è stato condannato a 6 anni e sei mesi (confermato in appello e in Cassazione). Oggi è in carcere, ma perché processato anche per rapina. All’epoca ha fatto scalpore la decisione di concedergli i domiciliari in un appartamento che non era il suo (era senza fissa dimora), per poi farlo ritornare in carcere. I controlli nel residence erano così scarsi da permettere ad Ahmetovic di contattare un manager (su eBay si vendevano all’asta orologi, jeans, profumi e occhiali da sole di cui lui era testimonial) e un pregiudicato.

BRESCIA - Uccise un’intera famiglia. Solo due giorni in carcere

Il 24 aprile del 2010, ubriaco, Alessandro Bonelli si mette al volante della sua auto. Uccide un’intera famiglia. Dopo soli due giorni di carcere è agli arresti domiciliari con il permesso di andare al lavoro. L’imprenditore milanese guidava sull’A4 con un tasso etilico tre volte più alto rispetto al limite di legge. Un particolare che, unito all’alta velocità, ha segnato la vita di Alessio Pecci (34 anni), di sua moglie Silvia Marx (32 anni) e del piccolo Nicolas di 18 mesi. La Renault Clio della famiglia Pecci che viaggiava in direzione di Brescia è stata tamponata dalla Bmw sul rettilineo che immette al casello di Desenzano. Uno scontro molto violento che ha fatto catapultare l’utilitaria prima contro un’altra auto per poi schiacciarla contro il guard rail. In primo grado (dicembre 2010) Bonelli era stato condannato con rito abbreviato a 4 anni e 4 mesi per omicidio colposo. Aveva precedenti per guida in stato di ebbrezza. L’appello (giugno 2011) ha confermato la sentenza ma a settembre l’avvocato difensore presenterà un’istanza di remissione in libertà.

CATANZARO - Con l’auto su sette ciclisti. Processo «breve» dopo 9 mesi

«L’auto come una bomba». Chafik Elketani, 21 anni, originario del Marocco, risultato positivo al test della cannabis, piomba con la sua Mercedes su un gruppo di dieci ciclisti amatoriali uccidendone sette e ferendone tre. Il fatto è successo il 5 dicembre 2010 a Lamezia Terme (Catanzaro). L’accusa: omicidio colposo plurimo aggravato dalla guida sotto l’effetto della droga. Ma il processo davanti al giudice per l’udienza preliminare, con rito abbreviato, si terrà soltanto il 21 settembre prossimo, ben 9 mesi dopo. L’omicida, che guidava anche senza patente, è in carcere in attesa di giudizio. La scena che si è presentata quel giorno ai soccorritori è stata apocalittica: corpi e biciclette disseminati sui campi e sull’asfalto. L’incidente è avvenuto dopo un sorpasso in curva del giovane marocchino. Probabilmente per l’alta velocità non è più riuscito a controllare la sua auto. Ha sbattuto su un muretto, si è ribaltata, e prima di finire sul guard rail ha falciato il gruppo di ciclisti che rientravano da Lamezia.

ROMA - Travolse due fidanzati. Pena dimezzata in appello

Stefano Lucidi era stato il primo pirata della strada a essere condannato in Italia per omicidio volontario con dolo eventuale. Dopo un anno, nel 2009, i giudici in appello (e confermato in Cassazione nel 2010) hanno cambiato idea e gli hanno dimezzato la pena: da 10 a 5 anni. Oggi è in carcere. Nel maggio 2008 ha ucciso Flaminia Giordani e Alessio Giuliani, fidanzati di 23 e 22 anni, li ha investiti all’incrocio fra la Nomentana e viale Regina Margherita a Roma. Aveva omesso di fermarsi e prestare loro soccorso, dandosi alla fuga e preoccupandosi solo di «appizzare» (nascondere) la macchina, individuata grazie a un testimone. Dopo la sentenza di secondo grado, amarezza, delusione e visi sconvolti per i genitori delle giovani vittime. Lucidi assumeva cocaina, per questo gli era stata tolta la patente. E all’epoca dello scontro mortale con la sua Mercedes risultò positivo all’uso di stupefacenti. Ad accusarlo di essere passato con il rosso è stata la sua compagna (anche lei a bordo). I due la notte dell’incidente stavano litigando.

TRAPANI - A 120 all’ora su madre e figli. È ancora in libertà

Non ha fatto un solo giorno di carcere. Fabio Gulotta, 21 anni, è stato denunciato a piede libero per omicidio colposo plurimo aggravato dalla guida in stato di ebbrezza. E in attesa del rinvio a giudizio ha ripreso a frequentare i bar e la piazza di Campobello di Mazara. Eppure ha sulla coscienza un’intera famiglia. Lo scorso 15 gennaio con la sua Bmw sfrecciava a 120 chilometri all’ora per Campobello di Mazara (Trapani). Ad un incrocio il terribile impatto con la Fiat 600 sulla quale viaggiava la famiglia Quinci. Morirono i due bambini, Martina e Vito di 12 e 10 anni, qualche ora dopo anche la madre Lidia Mangiaracina di 37 anni. Unico sopravvissuto il capofamiglia, Baldassare Quinci, 43 anni, maresciallo dell’aeronautica, che per mesi ha cercato nella giustizia una ragione per andare avanti. Invece, per assurdo, si è visto contestare dai legali di Gulotta il concorso di colpa nell’incidente. Un mese fa Quinci ha deciso di farla finita, si è impiccato ad una trave. Nessun risarcimento per le vittime e l’unica sanzione per Gulotta è stato il ritiro della patente.

Rossella Burattino (Ha collaborato Alfio Sciacca)


Il profugo col bisogno di stuprare

Molti di loro, non sono profughi bisognosi d'aiuto, sono solo animali paraculi...


MILANO - Un profugo ghanese di 23 anni ha inseguito aggredito e violentato una donna di circa 50 anni che stava tornando a casa in bicicletta a Chiavari (Genova). L'hanno arrestato: e quello che ha fatto, oltre a essere un crimine contro quella donna, è diventato un crimine anche contro la società che ha accolto lui, profugo, che con altri migranti è scappato dalla sua terra per cercare la pace. Prima a Lampedusa, poi nel centro della Croce rossa a Chiavari.

L'AGGRESIONE - Per questo, adesso, a Chiavari e in Liguria scoppia una polemica che rischia di diventare pericolosa. I fatti sono quelli sempre terribili di una violenza sessuale: la donna sta andando in bicicletta lungo il fiume Entella, a Chiavari. Sono le 14,30. Lui la vede, la insegue, la fa cadere e le è addosso. Le strappa pantaloncini e biancheria, le frattura la mano, la violenta ma una donna, un'altra donna, interviene e lui scappa. Assistita la vittima e chiamata la polizia diventa caccia all'uomo: gli uomini del commissariato di Chiavari e personale della squadra mobile di Genova raccolgono le prime testimonianze. Una ragazza si fa avanti e dice alla polizia che un ragazzo di colore verso mezzogiorno l'ha molestata ma è stato messo in fuga da un passante.

L'IDENTIFICAZIONE - I poliziotti trovano anche una videocamera di sorveglianza che ha registrato le immagini della fuga dell'uomo. Le immagini vengono mostrate alla vittima che si trova all'ospedale. Viene identificato: adesso quel ragazzo ha un nome e una storia: arrivato con i barconi della disperazione a Lampedusa nel maggio scorso, era stato trasferito nel centro di accoglienza di Chiavari in base alla risposta di solidarietà che la Liguria ha dato in nome dell' accoglienza. La polizia va al centro della Croce rossa ma lui se n'è andato: ha lasciato gli abiti che gli avevano procurato. Ci sono tracce biologiche e i vestiti vengono sequestrati. Lo cercano: tutto il paese lo cerca. E infine lo trovano, di sera, nel centro storico. Scattano le manette per violenza sessuale aggravata e lesioni personali.

LE POLEMICHE - Il suo gesto rischia di inficiare quella volontà di pietà, di generosità che tutta la Liguria ha avuto nell'accogliere i migranti. «Con tutti gli sforzi che il mondo del volontariato, i sindaci, le istituzioni e le forze dell'ordine stanno facendo per far fronte all'emergenza profughi - ha detto l'assessore regionale Lorena Rambaudi -, di fronte a fatti del genere bisogna agire duramente. Spero che dopo una giusta condanna sia espulso dal paese». E mentre la Lega nord dice basta al «buonismo» arriva la notizia che altri 40 migranti arriveranno la prossima settimana a Genova. In fondo, sarà questa la risposta migliore a un crimine così vigliacco.


venerdì 19 agosto 2011

Dolce far niente 2

No, auff, non sto alle seychelles (quelle forse mi vedranno l'anno prossimo) nè tantomeno in una spa, sto sempre qui dalle mie parti, purtroppo. Nel frattempo io continuo nel difficile "lavoro" del dolce far niente. Un pò al mare, un pò con gli amici e un pò a casa. E, devo dire che tutto ciò, richiede parecchia energia visto che anche le temperature sono aumentate e il caldo africano durerà per tutta la prossima settimana... e io, la prossima settimana tornerò a lavorare, ecco.

Expo musulmano

In tutto ciò, quello che fa più ridere (o piangere, tutto dipende da come la si guarda), è la lega che minaccia di dare battaglia... Ultimamente le minaccie della lega sono cadute tutte a vuoto. Vedi l'afflusso biblico dalle coste africane e vedi l'accoglienza forzata di clandestini in italia... Un detto recita "can che abbaia non morde" e la lega non c'ha manco i denti, anche se volesse mordere. E, saranno pure provocazioni, ma intanto... "con le vostre leggi vi conquisteremo", passo dopo passo ormai si stanno conquistando un mondo che non gli appartiene modificandolo e cambiandolo a loro misura. E' l'islamizzazione italiana. Sapevano i nostri cari governanti che sarebbe finita così... eppure, non hanno fatto niente.


Bologna - "Faremo di tutto per contrastarlo". Angelo Alessandri, deputato leghista, è appena tornato da Roma e già deve affrontare una "battaglia" spinosa. Alcuni giorni fa il vicepresidente dei Giovani musulmani d’Italia, Ahmed Abdel Aziz, ha rivelato che a dicembre Bologna ospiterà "forse il più grande della storia dell’Islam in Italia". Si tratta dell'Expo musulmano. Se dovesse andare in porto, sarà sicuramente il primo mai realizzato nel Belpaese.

Una provocazione. Al quartiere generale della Lega Nord non hanno alcun dubbio. Le prime indiscrezioni su una kermesse islamica, di cui non si conoscono né la durata né la portata, fanno già discutere. "In questi giorni - spiega Ahmed Abdel Aziz - siamo impegnati nella pianificazione di un grande evento, forse il più grande della storia dell’Islam in Italia, che dovrebbe avvenire il prossimo dicembre a Bologna". Al momento il vicepresidente dei Giovani musulmani d’Italia non vuole sbilanciarsi troppo né dare qualche dato più chiaro. Resta l'idea da parte degli organizzatori di "dare vita a un evento simile a quelli che organizzano i musulmani in Francia". Non solo. "Abbiamo deciso però che dovrà essere un Islam Expo da organizzare a cadenza annuale nel mese di dicembre, a cavallo ciò tra il vecchio e il nuovo anno - continua Ahmed Abdel Aziz - per questo progetto i Giovani musulmani d’Italia stanno coinvolgendo decine di associazioni islamiche locali e nazionali". Il rischio è proprio quello di avere una kermesse capace di polarizzare su Bologna le comunità islamiche d'Italia che contano più o meno un milione e 600mila fedeli. Un trampolino di lancio per formare i più giovani (circa il 35 per cento del totale) e lanciarli nel mondo della politica. "Non siamo impegnati solo in iniziative di carattere religioso e culturale, abbiamo deciso anche di impegnarci per permettere ai ragazzi di avvicinarsi alla politica", spiega Ahmed Abdel Aziz che sta organizzando una conferenza per fine settembre a Milano sui nuovi leader del futuro. Ed è proprio nel capoluogo lombardo che i Giovani musulmani incontreranno il sindaco Giuliano Pisapia per discutere della costruzione delle "moschee di quartiere". Altri esponenti dell'organizzazione stanno, invece, organizzando sempre per settembre una serie di incontri a livello locale in diverse città d’Italia con i rappresentanti istituzionali. Per quanto riguarda Bologna, la Lega assicura che farà di tutto per bloccare l'Expo islamico. "Se Virginio Merola, l'uomo della grande moschea, si permette di andare avanti di questo passo - tuona Alessandri - siamo già pronti a fermarlo. Se la sinistra ha bisogno di questi 'nuovi italiani' per aumentare il proprio elettorato, di sicuro non è nelle priorità di Bologna l'avere un Expo musulmano".

Dall'alto...

Qualcosa come un anno fa, lessi da qualche parte che Sinead O'Connor (qui per chi vuol sapere chi sia la donzella celtica) pronunciò qualcosa come: "Dio deve essere salvato dalla chiesa"... infondo questo io l'ho sempre pensato... e lei lo ha detto pubblicamente. Sicuramente con cognizione di causa visto che quelle sue parole fecero scandalo. I porporati, dall'alto delle loro tonache, tutto fanno tranne che far conoscere Dio alle persone perdendo fedeli ma perdendo soprattutto credibilità. Nevvero, cardinal Bagnasco? Quante tasse pagate allo stato italico?  E quante ne evadete, di grazia? Quanti privilegi vi sono dati? E invece che fare politica cattocomunista (che la politica non è affar vostro), provate per una volta a portare in giro la vera parola di Dio... sempre che ci crediate ancora oltre che credere anche voi al dio denaro.


Madrid - Non si tagli sulle famiglie e sulle missioni all’estero. A Madrid per la Giornata Mondiale della Gioventù il cardinale Angelo Bagnasco, interviene nel dibattito sulla manovra e traccia linee chiare chiedendo al governo di seguirle. Più in generale, il presidente della Cei ha invitato la politica a "ritrovare e coltivare il rapporto con la gente". "Nessuna società, nessun governo, nessuna politica - ha avvertito - deve temere la profezia della Chiesa".

Il quoziente familiare. "Quello della famiglia - ha spiegato il presidente della Cei parlando della manovra - è un punto centrale: è stata in questa crisi una valvola di sicurezza enorme e sarebbe miope e dannoso non considerarla e come un ganglio vitale. Non perdiamo questo patrimonio, questo punto fermo, se la famiglia non è al centro della politica, la società non va da nessuna parte". Dai tagli, per Bagnasco andrebbero difese anche le missioni all’estero perché "non riguardano tanto i bilanci ma i diritti umani fondamentali che in certe parti del mondo non sono rispettati". "Dobbiamo chiederci prima di fare i conti - ha affermato il cardinale - quale approccio si dà rispetto alle situazioni drammatiche di altre parti del mondo". Più in generale, in tema di manovra, il cardinale Bagnasco ha ricordato ai microfoni della Rai che pagare le tasse "è un dovere di tutti". "Sono impressionanti - ha detto - le cifre che si leggono sull’evasione fiscale". "Come pastori - ha spiegato il presidente della Cei - dobbiamo porci soprattutto non dentro questioni politiche ma in un richiamo etico e fare appello alla coscienza di tutti e di ciascuno perchè anche questo dovere possa essere assolto". Bagnasco ha però osservato che nello stesso contesto "è necessario rivedere gli stili di vita, che tutti facciano la loro parte rinunciando a benefici eccessivi e privilegi". Ed ha invitato a "fare esperienza della storia e non dimenticare, ad esempio, che lo statalismo è una deformazione ma che anche il capitalismo selvaggio lo è". "Si tratta - ha concluso - di individuare correttivi da una sintesi superiore che possa essere più rispondente e che insieme cresca maggiormente il senso dell’uomo: abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità, laddove c’è ancora un livello troppo alto ci si ricomponga".

Il compito della politica. "Nel momento in cui la politica si distacca e si rinchiude dentro le proprie dinamiche e le proprie logiche - ha avvertito Bagnasco - la gente sente di essere abbandonata dal mondo politico". E quindi "questo rapporto di ascolto e di dialogo, e anche di proposizione da parte della gente e innanzi tutto da parte del mondo giovanile, dev’essere ripreso in mano". Secondo il presidente della Cei, "bisogna che la gente torni ad avere la sensazione, la percezione che il mondo della politica, e la Chiesa ha sempre considerato la politica come forma alta di carità, che i politici coltivino sempre di più il senso del bene comune, che è il bene generale, non è il bene particolare, è il bene di tutto il Paese, soprattutto a partire da chi è più debole, da chi è più giovane perchè ha la vita davanti, quindi ha piu insicurezze, deve costruire il futuro". "Se la gente non recepisce che il mondo della politica pensa alla gente e non pensa a degli interessi particolari o personali - ha concluso Bagnasco - sarà difficile ritrovare quell’armonia sociale e politica che tutti auspichiamo".


Buongoverno pugliese


Roma - Il precariato questa brutta rogna che qualche leader combatte per davvero, non a ciance. Prendete Nichi Vendola. Anche ad agosto, invece di aprire ricci e cozze in riva al mare, si occupa di lavoro. Eccome se ne occupa. Ha persino raddoppiato la task force sull’occupazione in Puglia (5 esperti che diventano 10) e ha creato un ufficio ad hoc per la sua portavoce, Susanna Napolitano. Tra presidenze illustri ci sarà pure del feeling, ma la parentela è solo un caso, una coincidenza che la bravissima nipote del presidente della Repubblica lavori per il presidente della Puglia. Un governatore che prometteva primavere che però tardano a sbocciare. L’allenatore nel pallone Oronzo Canà ormai lo stacca di molte posizioni nella classifica dei pugliesi più amati da quelli che tweettano, cliccano «mi piace» su Facebook e Youtube. Nichi Vendola, il poeta con la «s» sifula, il governatore nel pallone, è ormai «tallonato» - riporta famecount.com - pure da certa Emma, una salentina che cantava ad Amici (ecco forse Vendola farà un salto dalla De Filippi, come fece Fassino, per ingraziarsi le massaie conservatrici pro domo sua?). «Vendola e la rete, il feeling è più soft» riassume morbidamente il Corriere del Mezzogiorno, solitamente tenero col governatore, che gode di molta stampa amica. Nessuno dei giornali pugliesi ha dato spago all’opposizione in Regione che da qualche giorno mitraglia comunicati stampa sulle ultime «duplicazioni» del mago Vendola. Due raddoppi, come si diceva: quello della comunicazione della regione Puglia, e quello della «task force per l’occupazione», cioè gli esperti chiamati ad aiutare chi cerca lavoro, e che nel frattempo hanno risolto il loro. «Poche migliaia di euro - dice l’assessore di Vendola - per affrontare con professionalità crisi aziendali difficili». Ma il Pdl pugliese fa l’ironico: «Il raddoppio della task force contribuisce direttamente alla soluzione della questione che dovrebbe affrontare...».

L’altra polemichetta pugliese riguarda la comunicazione. Il 3 agosto scorso il direttore dell’«Organizzazione» della Regione Puglia ha vergato una «Determinazione» che «configura» «due uffici non dirigenziali, stampa del Presidente e stampa della Giunta regionale, con il sottoelencato contingente per ciascuno di essi: n. 1 caporedattore, n. 2 giornalisti». Da uno, due. Di nuovo l’ironia del Pdl locale: «Vendola istituisce ex novo un Ufficio stampa, previa onerosa scissione di quello già esistente, tutto e solo per il Presidente, al quale pure non si può dire manchi l’attenzione continua ed adorante dei mass media». I due capiredattori per i due uffici sono già belli e pronti. Chi altri mettere alla guida dell’Ufficio stampa del Presidente Vendola, se non la sua attuale portavoce (già inquadrata come caporedattore a 91.701 euro lordi l’anno), Susanna Napolitano? Che ci va per tre mesi, fino a «disegno normativo ad hoc». Per gli altri 4 posti così creati (due giornalisti per ognuno dei due uffici stampa) invece «si provvederà con successiva disposizione alla copertura dei posti vacanti», chiarisce il dirigente.

Non abbastanza per l’opposizione, coadiuvata in altri casi anche da Idv e Udc, come nel terzultimo «raddoppio», la nomina (del 2 agosto, mese fervido per la Regione Puglia) di sette consulenti per il Nucleo di valutazione degli investimenti pubblici regionali. Costo: un milione e mezzo in tre anni. E potevano farlo internamente. Chiedere a Vendola? Sarebbe insensato. Come spiegò in un suo appassionante libro, «non sono la persona deputata alle risposte, posso solo allargare l’ambito delle domande».

mercoledì 17 agosto 2011

Vergogna!

... dicevano che non sarebbero andati in vacanza perchè con la crisi non si poteva, e invece... tutti in vacanza lo stesso, e chi s'è visto, s'è visto... ma nel frattempo, stipendi e privilegi finiscono lo stesso nelle loro tasche. Questi sono i veri parassiti dell'italia. Dovrebbero SOLO vergognarsi.


MILANO - Un decreto legge da 45,5 miliardi di euro in tre anni. Il pareggio di bilancio previsto in Costituzione. Trentasette province tagliate, migliaia di comuni accorpati, misure che rivoluzioneranno il diritto del lavoro, come la contrattazione aziendale che potrà derogare su alcuni punti persino all'art.18 dello Statuto dei Lavoratori. Eppure oggi il testo della manovra economica è stato incardinato nell'aula semideserta del Senato.

I NUMERI - Erano presenti solo 11 senatori (7 dell'opposizione e 4 della maggioranza) su 315. Per il Pd erano in aula Mariangela Bastico, Carlo Pegorer, Lionello Cosentino. Per l'Idv c'erano Stefano Pedica e Luigi Li Gotti; Maria Ida Germontani per il Terzo Polo. Invece i senatori del Pdl erano quattro: Anna Cinzia Bonfrisco, Giacomo Santini, Paolo Barelli e Raffaele Fantetti. La settimana prossima il testo della manovra varato dal governo durante il Consiglio dei ministri del 13 agosto sarà all'esame delle commissioni Affari costituzionali e Bilancio. Il testo arriverà poi in aula il 5 settembre ma tutto l'iter sarà definito, come ha sottolineato il vicepresidente del Senato, Vannino Chiti, da una conferenza dei capigruppo che sarà convocata la prossima settimana.

L'europa degli idioti


L'Europa degli idioti di Dragos Kalajic

Un'analisi di Dragos Kalajic, intellettuale e politico serbo, del presente e del futuro dell'Unione Europea e dei sistemi macchinosi che hanno ormai incatenato il suo popolo in una concezione "democratica" che non appartiene alla sua storia.

L’oggetto principale di questa nostra analisi è il carattere che conforma la nostra Europa legale, ossia le sue (pseudo) élites e i suoi forti poteri economici, politici, culturali e mediatici. Lo spaccato su cui si indirizza questo esame è proprio quello che permette la più completa conoscenza di questo “carattere”: la questione dell’immigrazione. E’ un fatto che le ondate di immigrati dal Terzo e dal Quarto mondo che si abbattono sull’Europa siano sempre più frequenti, alte e minacciose. Di queste ondate sono vittime i disperati sudditi dell’ultima e peggiore forma di colonialismo e di usura: la cosiddetta economia del debito, che ovunque provoca miseria e fame. Questi flussi migratori assumono le magnitudini di una vera e propria invasione d’Europa. Se un tale processo non perderà forza e consistenza, e se la Turchia entrerà nell’area mercantile chiamata Unione europea, tutto indica e fa prevedere che già entro questo secolo gli Europei perderanno la propria patria e diventeranno una minoranza etnica nella loro propria terra, decomponendosi e scomparendo nell’oceano grigio-nero dei diversi.

Dunque, se tutto andrà avanti come oggi, si confermeranno le previsioni dell’osservatore turco Nazmi Arifi sulle conseguenze demografiche dell’entrata della Turchia nell’Unione europea, esposte una quindicina anni fa, sulle pagine del Preporod, la stampa portavoce dei musulmani di Bosnia ed Herzegovina: “L’Europa è cosciente del potenziale turco, l’Europa è cosciente della moltitudine turca. L’Europa guarda alla Turchia come ad un paese che ha potenzialmente duecento milioni d’abitanti. (Sono calcolati anche un centinaio di milioni di turcofoni dell’Asia centrale, ai quali il governo di Ankara, fedele al panturchismo, offre la cittadinanza turca oggi e offrirà quella europea domani, nota di D.K.) È logico che l’Europa non ostacolerà la Turchia. E prevedibile che, dopo dieci anni (dall’ingresso della Turchia nell’Unione europea, nota di D.K.) metà degli abitanti dell’attuale Europa occidentale saranno musulmani per una serie di cause quali: l’alta natalità dei popoli musulmani, la consistente immigrazione proveniente da paesi di religione musulmana, la caduta verticale delle natalità dei popoli europei, le conversioni all’Islam. Tutti questi sono fatti che l’Europa, volendo o non volendo, deve accettare”.

Adesso è chiaro anche agli occhi più semplici e creduli che si sono dimostrate false ed ingannevoli le formule di soluzione del problema immigratorio - instancabilmente prodotte dalle (pseudo) élites politiche - a cominciare dal progetto paternalistico di “assimilazione”, degli anni settanta, per passare poi al modello non meno ottimista e fallace dell’“integrazione”, fino ai recenti ideali mondialisti di una “società multirazziale” e “multiculturale”. In questo caso le (pseudo) élites che dominano l’Europa hanno dimostrato la propria debolezza fondamentale, la tendenza ad abbandonarsi alle superstizioni del razionalismo liberale, particolarmente alla convinzione che con l’uso delle sole parole è possibile non solo spiegare, ma anche domare la realtà, con tutte le minacce che contiene. In realtà di “assimilazione”, “integrazione” e “società multiculturale” - “che ci arricchisce” - è possibile discutere solo là dove è in questione una minoranza razziale o etnica che non minaccia la maggioranza. L’esperienza storica ci dimostra che questi rapporti pacifici vengono stravolti là dove la minoranza cresce in modo tale di minacciare il predominio della maggioranza, anche nel senso della legge di selezione naturale.

La specie più forte sospinge e alla fine elimina la specie più debole. E’ per questo motivo, all’inizio del periodo neolitico, che la massa del tipo d’uomo detto mediterraneo gracile, basso, brachicefalo, con scheletro fragile e pelle olivastra - che aveva conquistato il Rimlend mackinderiano, dall’India fino alle Isole britanniche, dedicato all’agricoltura ed ai culti della Madre Terra - era riuscita completamente ad assorbire o eliminare gli indigeni europei, l’uomo di Cromagnon, alto, forte e robusto cacciatore. Solo alcuni millenni dopo i discendenti dell’uomo di Cromagnon, i nostri progenitori, sono ridiscesi dagli altipiani caucasici dove si erano rifugiati, nell’Europa per riconquistare la patria perduta. Furono quelle ondate di popoli indoeuropei ad emergere vittoriosi grazie all’arte della guerra.