mercoledì 31 luglio 2013

De intellighenzia parlamentare, legge (nuova) sullo stalking

Stalker liberi: così crescerà la voglia del dente per dente. I femminicidi sono ormai all'ordine del giorno ma la sensazione è che la Giutsizia non tuteli nessuno di Annamaria Bernardini de Pace

Stalking o non stalking, il problema è che in Italia le istituzioni non funzionano. La sensazione di ogni cittadino è che da parte dei responsabili dell'amministrazione, delle forze dell'ordine, della giustizia, della sanità e di chiunque abbia il dovere della tutela, vi sia ignavia, trascuratezza, ignoranza e persino supponenza. La certezza del diritto è una chimera che si è sperduta nel tempo e che insulta i padri costituenti e soprattutto la convinzione antistorica che l'Italia sia la patria del diritto. Ormai, un giorno sì un giorno no, una ex o una donna che si rifiuta, vengono uccise dalla cattiveria e dal narcisismo presuntuoso di uomini che esercitano il possesso. La vergogna è che queste povere vittime avevano tutte denunciato il carnefice, rivolgendosi disperatamente e inutilmente a chi avrebbe dovuto prendersi cura di loro. Purtroppo i tutori dell'ordine e della giustizia preferiscono interessarsi a questioni di risonanza mediatica, spesso anche clamorosamente infondate, invece di prendersi cura della vita di un semplice cittadino. Centinaia di guardie del corpo proteggono inutilmente il potere di politici profumatamente pagati da noi, come le guardie del corpo del resto, invece di fermare il predatore che ha già annunciato di volersi abbeverare del sangue della sua prossima vittima.

Quando non c'è la certezza del diritto, il popolo ha voglia di vendetta. La giustizia si deteriora in giustizialismo, il bisogno di fermare i criminali in desiderio di ghigliottina. Ecco perché l'ipotesi di emendamento procedurale del numero 2 dell'articolo 280 del codice di procedura penale ha innescato una polemica sia tra i politici sia tra i cittadini. Con questa modifica si vuole elevare a cinque anni il limite minimo di pena massima, in forza della quale può essere disposta la custodia preventiva in carcere del presunto colpevole del reato. Prima questo limite era di quattro anni, cioè, ove il reato prevedesse una pena massima di quattro anni, già l'indagato poteva subire il carcere preventivo. Non è sbagliato aumentare questo limite a cinque: non si sbatte in galera uno, prima che venga dichiarata la sua colpevolezza, se accusato di un reato che neppure arriva a cinque anni di pena massima (massima non minima!). Per quanto riguarda lo stalking, il problema non è questa modifica procedurale, ma la norma sostanziale dell'articolo 612bis codice penale, che prevede solo la pena massima di quattro anni per chi è dichiarato colpevole di questo reato. Con la modifica procedurale del 280, l'indagato non sarà più soggetto al carcere preventivo. La logica della popolazione si chiede: ma com'è possibile che Giulia Ligresti, che non ha minacciato di uccidere nessuno, debba essere messa in carcere in attesa del processo e invece chi scrive o urla alla moglie «ucciderò te e i tuoi bambini» debba circolare spensieratamente? Com'è possibile che i giudici non facciano differenze, e se le fanno le sbagliano, tra il valore della vita e il valore del denaro? Nel caso dello stalking per esempio, sarebbe più giusto elevare a cinque anni la pena del 612bis codice penale (come da proposta del Pdl), invece di criticare la riforma che limita per tutti la galera preventiva. Questa riforma, d'altra parte, incide solo sul carcere preventivo e non su tutte le altre misure di prevenzione e repressione del reato, che rimangono, ivi compresi gli arresti domiciliari. In Italia, in effetti, si abusa in modo sconcertante del carcere preventivo, e non è neppure il caso di elencare tutti coloro che l'hanno dovuto subire per l'umorale interpretazione della legge da parte di pm e gip, per poi essere clamorosamente prosciolti. Invece in Italia c'è un mondo di ladri e assassini che annunciano e attuano nella massima tranquillità i loro delittuosi obiettivi, senza che né l'occhio né la mano della legge adempiano alle loro funzioni. Di fatto il carcere preventivo, in attesa della promessa pena di morte, viene imposto, dai rappresentanti della legge, a quelle povere donne che attendono l'annunciata esecuzione capitale tra le mura della prigione domestica; ciò è inevitabile, se i cosiddetti tutori della legge appaiono più vogliosi di individuare pomposi, e spesso inconsistenti, reati dal buco della serratura delle camere da letto dei ricchi e dei potenti.

Con soddisfazione estrema degli anonimi aguzzini che, per attuare i loro sanguinari scopi, contano sulla complicità di chi li rende liberi di uccidere. Alla faccia degli emendamenti, delle norme del codice e della non responsabilità di chi è pagato per essere responsabile. Anche della vita altrui.

Ancora sul colpo di stato della troika

Colpo di stato lampante e stato di colpa evidente di Gianni Petrosillo

L’ex ministro della Repubblica Giulio Tremonti ritorna sulla famosa lettera degli apostoli della Torre di guardia (Eurotower) ai conti comunitari, il duo Draghi-Trichet, i quali, il 5 agosto del 2011, scrissero all’allora Primo Ministro Berlusconi “intimandogli” di anticipare il pareggio di bilancio dal 2014, così com’era stato pianificato dal governo, al 2013. Quella nota produrrà effetti devastanti nei mesi successivi, tanto che nel novembre dello stesso anno Berlusconi sarà costretto a salire al Colle per rimettere il mandato nelle mani di Napolitano, il quale, con finta afflizione e falsa preoccupazione per le sorti della patria, accetterà le sue dimissioni.

Lettere simili furono mandate anche ad altri Paesi (vedi la Spagna) ma questi si fecero scivolare addosso le minacce e continuarono per la loro strada. Per noi, invece, quel ricatto in forma di epistola si rivelò devastante, sia sotto il profilo della tenuta della compagine ministeriale che sotto quello economico generale. L’accelerazione delle politiche d’austerità, per rendere il bilancio pubblico sostenibile, si voltò in rapina ai danni dei contribuenti ed in uno scossone agli assetti finanziari e produttivi del Paese dal quale non ci saremmo più ripresi. Ora Tremonti, tornando sulla faccenda, parla di vero e proprio Golpe, seppur dolce o morbido, come si usa in questa fase post-democratica e post-moderna (sono definizioni sue) e, tra le righe, lascia intendere che Draghi, in quell’occasione, si fosse fatto latore consapevole di terze parti, interne ed esterne, le quali, con un piano ben congegnato, intendevano costringere il Cav alla resa politica per imbrigliare Roma e modificare i suoi indirizzi di politica economica

Il fiscalista di Sondrio accenna poi, più esplicitamente, ad un connubio tra forze straniere e quinte colonne interne. Atteniamoci all’evidenza e cerchiamo di essere meno vaghi di lui per capirci qualcosa. Seguiamo l’odore degli affari strategici nostrani che attirano gli sciacalli mondiali su una preda sempre più isolata e sguarnita di difese come l’Italia. Il messaggio di cui sopra porta la firma di un nostro connazionale, italiano di nome e allogeno di fatto, che tempi addietro Cossiga definì “Un vile, un vile affarista.. socio della Goldman & Sachs, grande banca d’affari americana... il liquidatore, dopo la famosa crociera sul Britannia, dell’industria pubblica, la svendita dell’industria pubblica italiana, quand’era Direttore Generale del Tesoro”, colui che svenderebbe quel che rimane di questa povera patria (Finmeccanica, l’Enel, l’Eni) “ai suoi comparuzzi di Goldman Sachs”. Cossiga non è mai stato denunciato da Draghi, evidentemente perché in quelle frasi, pronunciate dal Senatore a vita, non c’erano gli estremi della diffamazione, essendo tutto vero o almeno verosimile. Il progetto dell’ex governatore della Banca d’Italia resta quello di ieri, fare in modo che alla debolezza politica e al caos istituzionale italiano consegua la liquidazione industriale ed economica del patrimonio statale. Per conto di chi agisce Draghi? I macchinatori sono molti, ma possiamo immaginare che dietro a tutto ci siano gli stessi ambienti internazionali per i quali egli ha lavorato in passato e le cricche europee (francesi, inglesi e tedesche) legate a doppio filo alla finanza statunitense. Questo branco di predatori sta separando l’esemplare più debole dagli altri, al fine di immobilizzarlo e spartirsi la ciccia. Abbiamo visto la strana alleanza già all’opera durante il conflitto in Libia, laddove, con il pretesto di abbattere l’ennesimo dittatore sanguinario, si è, innanzitutto, spodestato un potere amico dell’Italia per soffiare ad essa contratti e commesse ed impedire qualsiasi ulteriore sua “espansione” sulla quarta sponda del Mediterraneo.

Per forzare l’Italia a privatizzare le compagnie strategiche non c’è altra via che quella di affrettare la sua caduta nel baratro o, per lo meno, di far percepire l’irreversibilità della situazione di crisi, anche se  la contingenza non è così disperata, in modo che la vendita dei gioielli di famiglia appaia come una necessità ineludibile per salvare il salvabilie. Del resto, anche quest’ultimo Esecutivo di larghe intese, ristrette idee e medesime cattive intenzioni degli altri che lo hanno preceduto ha già annunciato di voler riaprire il dossier dismissioni. Rebus sic stantibus, anziché denunciare tardivamente il putsch di palazzo, Tremonti e Berlusconi, il cui vittimismo è stucchevole al pari dell’ingiustificata considerazione che hanno di se stessi, dovrebbero spiegare agli italiani perché non opposero nessuna resistenza ai banditi “multinazionali” e finirono per consegnarsi, con le mani legate e senza batter ciglio, al nemico. I registi anti-italiani – se ci sono e, secondo me, ci sono certamente perché questa è un’epoca storica che oggettivamente favorisce il complotto e la diserzione dei singoli e dei gruppi – hanno avuto la meglio perché sulla loro strada hanno incontrano personaggi meschini e arrendevoli che si dichiarano retti statisti durante la bella stagione ma diventano uomini ad angolo retto appena principia la cattiva. Presupposto per la riuscita di un colpo di Stato è lo stato di colpa di chi non lo ha fermato quando doveva e poteva.

Reato di depistaggio?

Pd, ddl per prevedere reato depistaggio. Alla Camera testo promosso da Paolo Bolognesi

ROMA, 31 LUG -''Oggi ho depositato in Senato un disegno di legge di istituzione del nuovo reato di depistaggio che riprende nelle linee generali quella gia' depositata alla Camera dei Deputati da Paolo Bolognesi, presidente dell'Associazione tra i familiari delle vittime della strage del 2 agosto 1980''.
A renderlo noto e' Sergio Lo Giudice, senatore del Partito democratico e membro della Commissione Giustizia.

martedì 30 luglio 2013

Se non è stata messa lì apposta...

Qualche commento: "I giornali continuano a fuorviare i lettori proponendo gli insulti verso la Kyenge invece che inquadrare l'unico vero ineludibile dramma di emergenza epocale: l'immigrazione ed i danni irreparabili che ne conseguono. La Kyenge e' inesperta ed inadatta alla carica che ricopre; giusto che le si chiedano le dimissioni! Inoltre si e' proposta con politiche vergognose, controproducenti e lesive al bene comune degli italiani storici, oltre che contrarie al manifesto volere della stragrande maggioranza del pubblico. La Kyenge e' stata messa in quella carica con chissa' quali presupposti di merito, pero' ha fortemente disatteso qualunque aspettativa.... molto grave che gli organi di informazione fuorvino l'attenzione dalla gravita' del problema immigrazione per focalizzarsi sulla noiosa, antipatica ma pursempre sterile scusa vigliacca del razzismo rivolto al ministro!"
 
"Premesso il fatto che a Cantù i consiglieri leghisti hanno abbandonato la riunione perché non hanno avuto il diritto di replica alle osservazioni del ministro, lo stesso ministro non può pretendere che liberi cittadini, anche se iscritti ad un movimento o partito, non possano manifestare il loro pensiero. Cosa facciamo, chiudiamo la bocca a tutti così abbiamo sempre ragione? Si faccia invece un esamino su tutte le esternazioni, anche forzate, del suo pensiero in un momento che ha ben altri problemi che devono essere risolti."

"Senza volere offendere la sig.ra Kyenge, penso che sia al posto sbagliato perchè per il suo vissuto personale è troppo coinvolta nel problema e quindi non può essere ne obiettiva nè equilibrata. Forse poteva dare il meglio di se alla sanità dato che è medico. Ma questo è il solito problema della sinistra che ragiona per ideologia e non per competenza. In realtà la Kyenge- con lo jus suoli- persegue la strategia di sinistra che è quella di distruggere la famiglia, l'identità nazionale e la differenza sessuale in modo che svuotandoci da tutti i valori possono dominarci meglio. Per questo motivo non sono d'accordo con la Kyenge, per il suo fanatismo ideologico."

"Vorrei ricordare ai benpensanti che la Lega ha messo sulla poltrona di Primo Cittadino l’afroamericana Sandy Cane, una donna di 48 anni nata a Springfield nel Massachusetts da padre militare americano e madre originaria del varesotto e ha candidato Tony Iwobi, un nero, già assessore Lega Nord, in Regione Lombardia 2013. Cacciatevi in testa che la Kienge viene contestata per la sua follia e provocazione sinistroide, non per la sua etnia."

"Mi sembra evidente che il Paese Italia non è ancora pronto ad accettare un Ministro di colore e comunque uno straniero. E' sotto gli occhi di tutti che da quando il Ministro Kyenge è al Governo sono aumentati gli episodi di razzismo quindi è chiaro che è un elemento destabilizzante per il Paese. Magari cambierà, ma oggi l'Italia non ancora pronta ad un cambiamento del genere."


Kyenge avvisa il Carroccio: "Cessino gli insulti e gli attacchi o non andrò a festa della Lega". Il ministro per l'integrazione: "I continui e reiterati attacchi da parte di esponenti della Lega Nord li considero oramai intollerabili". Maroni: "Lo ius soli è sbagliatissimo"
di Luca Romano

"I continui e reiterati attacchi da parte di esponenti della Lega Nord li considero oramai intollerabili". Il ministro per l’Integrazione, Cecile Kyenge, risponde a muso duro dopo le contestazioni da parte di esponenti del Carroccio. "Pur avendo idee diverse, le persone e le forze politiche si devono confrontare sulle idee e non attraverso insulti o pure e semplici sceneggiate come quella avvenuta ieri presso l’area consiliare del Comune di Cantù. La mia disponibilità al dialogo è sempre stata piena e convinta, non rifuggendo a nessun confronto, anche aspro, ma sempre nel pieno rispetto dell’altro. Con questo spirito ho accettato volentieri di confrontarmi con il governatore Zaia alla Festa della Lega Nord dell’Emilia Romagna a Milano Marittima il prossimo 3 agosto. Ma ritengo che io possa mantenere questo impegno solo se fin da subito il segretario nazionale della Lega Nord, Roberto Maroni, faccia appello ai suoi militanti, ai suoi dirigenti affinché cessino immediatamente questi continui attacchi alla mia persona, attacchi che oltre a ferire la sottoscritta, feriscono la coscienza civile della maggioranza di questo Paese".  Il tutto all'indomani dell'ultimo attacco leghista quando a Cantù dove i due consiglieri del Carroccio hanno abbandonato l'aula. Nel frattempo, Andrea Draghi, il consigliere comunale della Lega Nord di Montagnana (Padova) che aveva pubblicato su Facebook una foto del ministro Cècile Kyenge con lo slogan "Dino, dammi un crodino" è indagato per diffamazione aggravata, ai sensi della legge Mancino. Il leader della Lega, Roberto Maroni, non ha però accolto l'appello della Kyenge e, anzi, ha in parte rincarato la dose: "La Lega non fa mai questioni personali, noi combattiamo idee e proposte sbagliate: lo ius soli è una proposta sbagliatissima".

lunedì 29 luglio 2013

La fortuna degli stalker, i legislatori dementi

... però ci si chiede dove diavolo è stata finora la signora Cancellieri (dacchè è lei che continua a dirci che c'è bisogno di svuotare le carceri e peggio ancora, bisogna fare una amnistia)... ma tant'è, che differenza fa? Tanto, la maggior parte degli stalker si salva. A causa delle denuncie mai prese sul serio, a causa dei servizi sociali praticamente assenti e a causa della magistratura che preferisce "interpretare" piuttosto che applicare le leggi. E le donne muoiono. E anche i bambini muoiono a volte. Però, mi piacerebbe sapere anche cosa pensano le tre grazie di governo (Bonino, Kyenge e Boldrini) e le femministe della prima ora di questa grave modifica. I leghisti ci avevano avvertiti...

Modifica al Dl. Carceri, no a carcere preventivo per gli stalker. Il testo del disegno di legge è passato al vaglio del Senato. Il ministro Cancellieri: «Con le modifiche è cambiato in peggio»

Se il dl carceri resta con le modifiche del Senato, per lo stalker potrebbe non scattare più la custodia cautelare. Questa, secondo la norma attuale, scatta solo per delitti puniti con pena non inferiore nel massimo a 4 anni: grazie alla modifica introdotta il tetto è stato spostato a 5 anni. Ma la pena massima per stalking è di 4.

L'EMENDAMENTO - La modifica che ora sposta il tetto per la custodia cautelare dai 4 ai 5 anni era stata introdotta con un emendamento presentato da Lucio Barani (Gal) ed era stata votata da tutti senatori della maggioranza con il parere favorevole del governo. Per lo stalker, insomma, cioè per colui che commette gli atti persecutori che spesso sfociano in omicidi, come dimostra anche la cronaca di questi giorni, non scatterebbero nè il carcere preventivo, nè gli arresti domiciliari. Anche per questi ultimi, infatti, devono esserci gli stessi presupposti richiesti per la custodia cautelare.

DOBBIAMO RECUPERARE SPAZI - «Purtroppo nel passaggio parlamentare è stato un po' modificato e cambiato, secondo noi, in senso negativo. Adesso vediamo se riusciamo a recuperare degli spazi, sennò vedremo, in un altro momento di depenalizzazione, di affrontare il tema». Lo ha detto il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, ai giornalisti che, seguendola in una visita al carcere fiorentino di Sollicciano, le chiedevano un commento sull'iter del decreto leggi sulle carceri. «Abbiamo ancora un passaggio parlamentare e vediamo se possiamo recuperare su alcuni temi - ha aggiunto il ministro della Giustizia - sono in corso riunioni con i capigruppo e stiamo vedendo. Per noi come aspetto è importante la recidività, perchè quello sarebbe già qualcosa. Vediamo come andrà a finire. La depenalizzazione sarà un modo per alleggerire le carceri - ha concluso Cancellieri - c'è una commissione di studio che sta facendo un lavoro molto serio e poi prenderemo le nostre decisioni».

Sempre per non farci mancare niente...

Calabria, nave con 102 migranti siriani intercettata al largo di Crotone. A bordo del peschereccio due donne e una bambina piccola. In corso gli accertamenti, indagine su due presunti scafisti. Il gruppo sarà trasferito nel Cara di Isola Capo Rizzuto

CROTONE
- Un peschereccio di 17 metri con a bordo 102 migranti di nazionalità siriana, tra cui due donne, una bimba di 4 anni e altri minori, è stato intercettato al largo delle coste ioniche calabresi dalla Guardia di Finanza. I migranti, in discrete condizioni di salute, saranno trasferiti al porto di Crotone. Un aereo del dispositivo di pattugliamento aeromarittimo dell'Agenzia Europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere (Frontex), coordinato dal Gruppo Aeronavale della Guardia di Finanza di Taranto, ha intercettato il peschereccio nella primissima mattinata di ieri, a circa 170 miglia dalla costa nelle acque internazionali antistanti il litorale tra Roccella Jonica e Crotone.

Un pattugliatore e un guardacoste della Sezione Operativa Navale della Guardia di Finanza di Crotone hanno quindi individuato l'imbarcazione nelle acque territoriali alle 2.20 della notte. All'arrivo in porto, previsto alle 9, si procederà allo sbarco, con l'ausilio dei baschi verdi del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Crotone, alle prime cure dei migranti e alla successiva identificazione. Due persone sono state riconosciute quali presunti scafisti e proseguiranno gli accertamenti d'indagine, sulla base anche degli elementi raccolti durante tutte le fasi dell'operazione. I migranti saranno accompagnati al Cara di S. Anna di Isola di Capo Rizzuto.

Sulle case sfitte

Ricatti di Stato. Imu, in arrivo la stangata per la seconda casa sfitta. Per Saccomanni è "ingiustificato che gli immobili sfitti siano esclusi dall'Irpef": se vuoi tenerti la casa di villeggiatura potrebbero dissanguarti

La soluzione al giallo Imu dovrebbe - sottolineaiamo, dovrebbe - arrivare a fine agosto. Ma il tormentone dell'estate potrebbe durare a lungo: l'accordo bipartisan nel governo è ancora lontano. Come andrà a finire, insomma, è un mistero. Ma ci sono dei segnali importanti che non devono essere sottovalutati. Per esempio quelli lanciati dal ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, che si batte contro l'abolizione dell'imposta. 

La stangata - Il titolare di via XX Settembre, infatti, propone una semplice rimoludazione della gabella sulla casa e "una stretta sugli immobili a disposizione, seconde e terze case sfitte, oggi esclusi dall'Irpef a differenza di quelli affittati". Secondo Saccomanni si tratta di un'anomalia "tutta italiana, un'ingiustificata asimmetrica che fa pesare l'imposta sul reddito solo sui proprietari affittuari, mentre non è prevista su chi lascia la casa vuota". In soldoni, l'idea è quella di stangare chi ha una seconda casa e da questa non ricava reddito, ossia la stragrande maggioranza degli italiani che vuole tenersi la dimora per la vileggiatura, o semplicemente sfitta per ragioni personali.

La "colpa" -  Le motivazioni della stretta ventilata da Saccomanni stanno in un recente studio di Halldis, che spiega: "Il ricavo lordo potenziale per ogni famiglia che mettesse un immobile a disposizione ammonterebbe a 10mila euro annui". Quindi, il "mancato investimento", "potrebbe generare un fatturato del settore extra alberghiero di 16 miliardi di euro, rispetto ai 6,6 miliardi attuali". Un fatturato che lo Stato potrebbe tassare. Insomma, non affittare la casa potrebbe trasformarsi in una "colpa", da "punire" con una maggiore tassazione per far fronte a quella che "sfugge" lasciando sfitto un immobile.

domenica 28 luglio 2013

Pensioni d'oro a imbecilli d'oro

Amato, la Consulta ordina il rimborso: a fine mese pensione da 62mila euro. La Corte Costituzionale boccia il contributo di solidarietà. Tra i "fortunati" anche il Dottor Sottile: rimborso di 40mila euro

Continua la "vita dura" di Giuliano Amato. Il Dottor Sottile a fine mese, sotto l'ombrellone, si porterà a casa la bellezza di 62 mila euro. Un gruzzoletto che l'ex premier volente o nolente incasserà. A fare il "regalino" estivo è infatti la Corte Costituzionale che ha bocciato il contributo di solidarietà versato da chi percepisce una pensione superore ai 90 mila euro, le cosiddette pensioni d'oro.

Colpa della Consulta - L'ex presidente del Consiglio aveva dichiarato di devolvere mensilmente circa 9 mila euro del suo vitaliazio parlamentare per il fondo di solidarietà. Ma la Consulta pochi giorni fa ha dichiarato incostituzionale il contributo di solidarietà sulle pensioni d'oro varato dal governo Berlusconi nel 2011. Così per l'ex socialista a fine mese ci sarà un mega rimborso di 40 mila euro ai quali vanno sommati i 22 mila che Amato già percepisce di pensione. Amato infatti rientra a pieno titolo nel piano rimborsi che l'Inps ha avviato dopo la decisione della Corte Costituzionale. Un provvedimento quello della Consulta che costringerà l'istituto previdenziale ad un rimborso totale di 40 milioni di euro. Secondo la comunicazione Inps, la variazione dell'importo della pensione e la restituzione delle trattenute "avviene in occasione dei pagamenti di pensione di luglio e agosto".

Maxi rimborso -  Questa volta, va detto, la maxi busta paga è "forzata" e non voluta. Ma tant'è. A fine mese arriveranno comunque i soldi. Ed è lui stesso ad ammettere che forse le sue tasche sono fin troppo piene: "E' una pensione alta, lo so, che sta tuttavia sotto il tetto stabilito dal governo Monti per i trattamenti pubblici ed è peraltro inferiore a quella che riscuotono giudici costituzionali, alti magistrati ed altri funzionari, specie se andati in pensione dopo di me", aveva detto poco tempo fa. E aveva aggiunto: "Tanti di voi si troveranno con una pensione miserabile, con cui non potranno vivere e si troveranno a dormire in auto". Vero, ma il problema non riguarda lui.

Vuoi vedere che la colpa è nostra?

Qualche commento: "Noi il nostro welfare o quello che c'è rimasto ce lo siamo creato da soli e con l'aiuto delle precedenti generazioni e non siamo per niente d'accordo sull'idea di regalarlo ad altri milioni di clandestini che si presentano ogni giorno alla nostra porta. Egoismo? Autoconservazione, direi. Dubito che se lei ha solo un panino preferisca darlo ad un senegalese che mangiarselo lei. Ed anche dividendolo cristianamente a metà, non sarebbe però sufficiente a sfamarne altri dieci. Capito il concetto E se siamo stati anche noi emigranti l'abbiamo fatto in modo legale, in Paesi immensi, dove il lavoro c'era e dove abbiamo firmato la carta dei DOVERI, prima di esigere dei Diritti. E chi non aveva la fedina penale pulita o sgarrava era sbattuto fuori... E' folle pretendere altra solidarietà in un'Italia alla canna del gas, con milioni di disoccupati e la delinquenza straniera che ci ha riempito le carceri. Prevenire è meglio che curare. Lo dice il proverbio, oltre che il m io medico."

"La tragedia e' tutta italiana. Li stiamo accogliendo a migliaia indiscriminatamente. Avremo criminalita' e bancarotta."


Lampedusa. Nuova tragedia dell'immigrazione 31 morti davanti alle coste libiche. A riferirlo sono stati i superstiti una volta giunti nel centro di accoglienza dell'isola

Ennesima tragedia dell'immigrazione. Trentuno migranti, tra cui nove donne, sarebbero morti nel naufragio della loro imbarcazione in prossimità delle coste libiche. Il naufragio sarebbe avvenuto venerdì sera. A raccontarlo gli altri compagni di viaggio che sono riusciti ad arrivare a Lampedusa. Ventidue profughi, provenienti da Nigeria, Benin e Senegal, che una volta soccorsi e accompagnati nel centro di accoglienza di contrada Imbriacola hanno raccontato della tragedia nella quale sarebbero morti i loro compagni di viaggio. Hanno riferito che sul gommone, che si è improvvisamente sgonfiato, erano 53 e 31 di loro non ce l'hanno fatta.

ONDATA DI SBARCHI - La tragedia si consuma in un fine settimana di sbarchi ed emergenza nel Canale di Sicilia. Tra venerdì e sabato Guardia Costiera, Finanza e Marina Militare hanno salvato oltre 450 migranti che tentavano di raggiungere le coste italiane. Il lungo elenco degli interventi di soccorso inizia con i 140 migranti, tra cui 23 donne, arrivati nel porto di Lampedusa sabato mattina a bordo di due motovedette della Guardia Costiera: gli immigrati erano su due gommoni e sono stati salvati dopo aver chiesto aiuto alla Guardia Costiera di Palermo con un telefono satellitare. Altri mezzi di Capitanerie, Finanza e Marina hanno invece soccorso due imbarcazioni in difficoltà, un barcone di legno con 250 persone a bordo e un piccolo gommone su cui viaggiavano 32 migranti.

I SUPERSTITI - I 22 naufraghi che hanno raccontato della tragedia in prossimità delle coste libiche venerdì erano stati salvati da un mercantile che per alcune ore ha cercato eventuali superstiti, probabilmente perché già i naufraghi avevano fatto cenno ai loro compagni finiti in mare. Rifocillati dall'equipaggio del mercantile i 22 migranti sono stati trasferiti su nave Kornati, battente bandiera maltese, e poi trasferiti a bordo di una motovedetta della Guardia Costiera che li ha condotti sino a Lampedusa.

SOCCORSI - E un altro barcone con 92 migranti a bordo, tra cui 16 donne, è stato soccorso in mattinata a 150 miglia da Lampedusa, dalla nave panamense Gaz Energy, la stessa che venerdì sera aveva tratto in salvo, insieme con la gemella Gaz United, 22 profughi che hanno fatto naufragio davanti alle coste libiche. I migranti saranno ora presi in consegna da una motovedetta della Guardia Costiera e trasferiti a Pozzallo, in provincia di Ragusa, visto che il centro di accoglienza di Lampedusa non è più nelle condizioni di accogliere altri migranti.

sabato 27 luglio 2013

Chi va e chi arriva... (e non se ne può più)

Immigrati, sempre più sbarchi ma i regolari fuggono dalla crisi. Ieri a Lampedusa sono approdati quasi 100 migranti, un'altra cinquantina vicino a Noto. I numeri crescono nonostante molti se ne stiano andando di Tiziana Paolocci

Le nostre isole continuano a essere prese d'assalto dagli immigrati. Una situazione esplosiva in un'Italia dove il numero di stranieri continua a lievitare vertiginosamente, tanto che in un solo anno le presenze sono aumentate di 334 mila unità. Questo, senza considerare che nel 2012 per effetto della crisi economica sono aumentati del 17,9 per cento gli immigrati che hanno fatto rientro nel loro paese d'origine, o si sono trasferiti in altro stato estero. Non c'è da stare allegri quindi. Ieri un nuovo sbarco si è registrato lungo le coste siciliane dove sono approdati 94 migranti di probabile nazionalità siriana, tra i quali ventisei donne, una delle quali portatrice di handicap, e trentatré minori. Tra questi anche un bambino in fasce, di appena due mesi. L'avvistamento è stato fatto l'altra notte alle 3,40 da alcune guardie di un villaggio turistico vicino Noto, in provincia di Siracusa, che hanno allertata la struttura provvisoria di Portopalo di Capo Passero. Più tardi, nel pomeriggio, altri 49 extracomunitari di presunta nazionalità afgana, irachena, ucraina e pachistana sono stati individuati al largo delle coste Portopalesi. Su un'imbarcazione a vela di 16 metri lasciata alla deriva, c'erano 29 uomini, dieci donne e altrettanti minori. Trasferiti a bordo di un pattugliatore della Guardia di finanza di Messina, anche loro sono stati portati accompagnati al molo, per essere poi trasferiti.

Intanto il Centro di Primo soccorso e accoglienza di Contrada Imbriacola dopo gli ultimi tre sbarchi a Lampedusa, ha toccato nuovamente la punta di oltre mille migranti, per una capienza massima di 250. Il report su «La popolazione straniera residente in Italia» presentato ieri dall'Istat del resto non lascia spazio a dubbi. L'Italia è ancora molto appetibile. Al primo gennaio 2013 gli immigrati risultano essere 4.387.721, ovvero l'8,2 per cento in più rispetto a 12 mesi prima. E continua a crescere la quota di stranieri sul totale dei residenti (italiani e stranieri) che è passata dal 6,8 per cento del 1 gennaio 2012 al 7,4 del 1 gennaio 2013. A far aumentare il numero di quanti risiedono nel nostro paese non è solo l'immigrazione dall'estero, che ha portato 321mila individui in più, ma in parte le nascite di bebè stranieri (80mila), che costituiscono il 15 per cento sul totale dei nati. Nella classifica delle presenze, comunque, vincono ancora le donne, che costituiscono il 53,1 per cento del totale. Ma i dati messi a punto grazie all'aggiornamento delle anagrafi derivante dal censimento 2011 svelano che 38.218 persone hanno lasciato la nostra penisola, dove le presenze restano elevate: 4.387.721 stranieri a inizio 2013. Di questi l'86 per cento risiede al Nord e al Centro mentre il restante 14 per cento nel Mezzogiorno. Da non sottovalutare, infine, che nel 2012 circa 65.383 persone hanno acquisito la nostra cittadinanza, divenendo a tutti gli effetti nuovi cittadini italiani.

Coi soldi dei contribuenti... la benefica Bonino

Le paghette della Bonino agli enti dei politici e dei potenti di cui anche lei fa parte. Visto che abbiamo abbondanza di risorse, ci possiamo permettere anche di distribuire soldi agli enti dei potenti - Il ministero degli Esteri della Bonino ha dato 1,4 milioni di euro a una lunga lista di enti, fra cui l’Istituto affari internazionali e l’Aspen institute, di cui anche lei fa parte… Stefano Sansonetti per "La Notizia"

Una mancetta niente male che va a finire dritta nelle tasche di 15 tra associazioni e fondazioni piene zeppe di politici. Il ministro degli esteri, Emma Bonino, ha appena trasmesso al parlamento un decreto che distribuisce 1,4 milioni di euro. Parte dei quali, e qui viene il bello, andranno nelle casse di due enti dei quali fa parte la stessa Bonino. Un assegno da 103 mila euro, per esempio, sarà staccato per lo Iai, Istituto affari internazionali, nel cui comitato direttivo compare proprio il ministro degli esteri. Affiancato da una folta pattuglia di politici come Margherita Boniver, Piero Fassino, Alfredo Mantica e Adolfo Urso. Altri 20 mila euro, poi, sono stati destinati all'Aspen institute Italia, autentico think tank dei potenti di mezzo mondo di cui la Bonino risulta componente del consiglio generale e socio ordinario (almeno secondo l'elenco soci aggiornato al 1° aprile 2013 svelato da La Notizia del 9 aprile).
 
Per carità, non è certo la prima volta che il ministero degli esteri dà soldi ai cosiddetti "enti internazionalistici", ovvero quelle associazioni che si occupano di approfondire i temi legati alla politica estera. Periodicamente, infatti, la Farnesina stila un elenco di organismi tra i quali poi spartisce soldi iscritti in un apposito capitolo del suo bilancio. Il tema, semmai, è un altro. Possibile che in un momento di crisi il dicastero degli esteri (con altri ministeri) continui a elargire milioni di euro a enti infarciti di politici e manager pubblici e privati? Si dirà che si tratta di finanziamenti previsti dalla legge, ma sarebbe sin troppo facile replicare che una legge può sempre essere modificata. Anche perché se agli 1,4 milioni distribuiti oggi dalla Farnesina si aggiungono anche gli stanziamenti che verranno messi nero su bianco dagli altri ministeri, si finisce con il raggiungere somme ragguardevoli. Che potrebbero magari essere messe a disposizione di "iniziative" più urgenti.

La lista degli enti premiati dalla Bonino, trasmesso alla presidenza della camera lo scorso 11 luglio, come detto è lunga. Un altro finanziamento da 103 mila, per esempio, è stato erogato all'Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) presieduto dall'ambasciatore Giancarlo Aragona e animato da un consiglio di amministrazione in cui siedono i manager delle più ricche aziende italiane: Franco Bernabè (Telecom), Paolo Andrea Colombo (Enel), Enrico Tommaso Cucchiani (Intesa Sanpaolo), Alessandro Pansa (Finmeccanica), Carlo Pesenti (Italcementi), Giuseppe Recchi (Eni), Marco Tronchetti Provera (Pirelli) e Giuseppe Vita (Unicredit). Ancora, altri 103 mila euro sono stati assegnati alla Sioi (Società italiana per l'organizzazione internazionale), presieduta dall'ex ministro del Pdl Franco Frattini. A seguire troviamo un finanziamento da 54 mila euro per l'Ipalmo (Istituto per le relazioni tra l'Italia, i paesi dell'Africa, dell'America Latina e del Medio Oriente), guidato dall'ex ministro degli esteri Gianni De Michelis con vicepresidente Piero Fassino.

Nella lista ci sono 40 mila euro per il Cespi (Centro studi politica internazionale), il cui consiglio di presidenza pullula di presenze Pd, come quelle di Piero Fassino (vero recordman), Enrico Letta, Lapo Pistelli, Livia Turco e Gianni Pittella. Scorrendo l'elenco spuntano anche 20 mila euro per la fondazione De Gasperi, presieduta ancora da Franco Frattini. Stesso gettone per il Comitato atlantico presieduto dall'ex ministro del Pdl Enrico La Loggia. Non poteva mancare un gettone da 11 mila euro per il Centro studi americani di Giuliano Amato. E così via, fino ai 15 finanziamenti complessivi. Per arrivare agli 1,4 milioni, infine, bisogna contare i 555 mila euro versati alla Società Dante Alighieri e i 100 mila a Unidroit, ossia l'Istituto internazionale per l'unificazione del diritto privato.

Quando un governo è incapace...

Palombari fiscali di Davide Giacalone

Gli evasori fiscali sono i salvatori dei governi che non riescono a governare: nel momento del bisogno è sufficiente scagliarsi contro di loro, dipingerli come disonesti affamatori del popolo, promettere di sterminarli e dirigersi felici verso la pausa pranzo. Trattare l’evasione fiscale senza inforcare gli occhiali colorati del moralismo, del resto, espone a un rischio scontato: essere additati quali complici e affiliati alla setta dei sottrattori di gettito. Pagliacciate tristi, veniamo ai fatti: ieri Confcommercio ha diffuso dati non inattesi e non clamorosi, ma pur sempre drammatici. La domanda è: visto che siamo il Paese europeo con la più alta pressione fiscale reale e la più alta evasione, che ci sia un nesso, fra le due cose? Il conformismo fiscale lo considera alla stregua di una bestemmia, a me pare evidente. Confcommercio quantifica l’evasione: 272 miliardi l’anno di gettito mancante. Questa cifra, assai consistente, fa sbavare governanti ed esattori: riprendiamoci quei soldi. Ma non ci riescono. Non ci riuscirono. Non ci riusciranno. Trovo più interessante la seconda quantificazione di Confcommercio, dalla quale deriva la prima: l’economia sommersa equivale al 17,4% del prodotto interno lordo. Mettiamo che i calcoli siano esatti, ciò significa che se quella succosa fetta di ricchezza emergesse noi ci troveremmo con un debito pubblico (in percentuale sul pil) enormemente più basso, con un deficit già al di sotto dei paesi con cui ci confrontiamo, quindi con un bilancio pubblico in buona salute e patrimoni privati al di sopra della media europea. Potremmo far le boccacce ai tedeschi. Ma è vero? No.

Non lo è perché a comporre quella quota di mercato sommerso ci sono i sottomarini dell’evasione altolocata, ben difficilmente coartabili alla riemersione, ma anche i palombari dei mercati rionali e di contrada. Questi ultimi crepano, se gli strozzi il tubo dell’aria. Riemergono cadaveri, facendo così diminuire la ricchezza nazionale reale. Ciò perché la guerra fiscale ai ricchi comporta la difficoltà di superare collaudati e internazionalizzati sistemi anti-missile, mentre i poveri si difendono con le padelle ed è piuttosto facile sgominarli. Stefano Fassina ha riconosciuto ieri quel che qui ripetiamo da tempo: una parte consistente dell’evasione è finalizzata alla sussistenza. E’ difensiva, non offensiva. Nell’immaginario collettivo gli evasori sono tutti ricchi e lestofanti, nella realtà sono in gran parte normali e circolanti per ogni dove. Nella realtà c’è ciascuno di noi, arrivando a grandi cifre in virtù della matematica di Totò: è la somma che fa il totale. Per queste ragioni credo che Enrico Letta abbia ragione ad annunciare (e aridaje con gli annunci) che ogni centesimo recuperato dall’evasione fiscale dovrà essere retrocesso in riduzione della pressione totale, ma faccio fatica a credergli, specie dono avere sentito l’altra sua affermazione: paghiamo troppe tasse perché in troppi non le pagano. Falso, gentile presidente. Falso: paghiamo troppe tasse perché abbiamo una spesa pubblica fuori controllo, capace di superare la metà del pil, e un debito pubblico che non viene abbattuto mediante dismissioni. Se continuate a confondere le cause con gli effetti è ovvio che non retrocederete mai nulla: a. perché nulla recupererete (fa quasi ridere, ma la più fruttuosa lotta all’evasione la fece il governo Berlusconi, usando metodi di cui, giustamente, si vergogna); b. perché se qualche tallero vi cade in tasca ce l’avete bucate, quindi lo perdete prima di toccarlo.

Posto che, secondo Confcommercio, la pressione fiscale reale è giunta al 54% del pil, e posto che quella reale sui produttori di ricchezza (compresa la pressione previdenziale) supera alla grande il 60, in tutti questi dati si nasconde un’opportunità: proviamo non a sterminare, ma a valorizzare quel 17,4 di economia sommersa. Ma si deve fare il contrario di quel che pensa Letta: non abbassare le tasse dopo avere strangolato le galline, ma abbassiamole per spingerle a pigolare gioiose e produttive. Accanirsi contro i palombari costa più di quel che rende e produce rivolte popolari. Ai sommergibili va segnalata la convenienza, più convincente della minaccia. Non mi impressiona affatto che Dolce & Gabbana abbiano una società lussemburghese (cosa del tutto lecita), m’inorridisce che nessun olandese ne abbia una in Basilicata. I bau-bau fiscali fanno paura solo alle persone per bene, palombari compresi, inducendole a maggiore prudenza, quindi aggravando il precipitare dei consumi. Il moralismo fiscale serve solo ad alimentare la rabbia sociale e il desiderio di confusa vendetta. Mentre una sana rivoluzione fiscale, figlia di tagli alla spesa pubblica e abbattimento del debito, fa schizzare il pil. L’ultima volta che lo abbiamo fatto superammo gli inglesi. L’alternativa è tassazione&recessione, la cui follia già paghiamo.

venerdì 26 luglio 2013

Dell'avere le mutande in faccia

Ok ai rimborsi elettorali: 56,3 milioni ai partiti. L'Ufficio di Presidenza della Camera ha suddiviso i rimborsi per le spese sostenute in campagna elettorale. Il «no» dei 5 Stelle

Via libera dell'Ufficio di presidenza della Camera a 56,3 milioni di euro di rimborsi elettorali ai partiti previsti per l'anno 2013. La quota comprende la prima rata per le spese sostenute per le elezioni per l'Assemblea di Montecitorio; per le Regionali di Sicilia, Lazio, Lombardia, Molise, Friuli Venezia Giulia e Val d'Aosta e le rate relative alle legislature regionali ancora in corso e l'ultima riferita alle Europee del 2009.

LE CIFRE - Ai partiti rappresentati alla Camera andranno 48 milioni 664 mila 725 euro così divisi: 18 milioni 674 mila 106 al Pdl; 18 milioni 74 mila 55 al Pd; 5 milioni 479mila 71 alla Lega; 3 milioni 111mila 184 all'Udc; un milione 351 mila 895 a Scelta civica; un milione 123 mila 912 a Sel; 442 mila 868 a Fratelli d'Italia.

NO DEL M5S - Il Movimento 5 stelle, che in Ufficio di presidenza ha votato contro al decisione di attribuire i rimborsi, ha rinunciato alla sua quota, non presentando la relativa richiesta, che per quanto riguarda le elezioni per la Camera del febbraio scorso sarebbe ammontata a 4 milioni 189 mila 991.

IL TOTALE - A tutte queste cifre occorrerà poi aggiungere le somme relative alle elezioni per il Senato che dovranno essere deliberate dagli organismi di Palazzo Madama, ricordando che la legge prevede che la somma annuale da ripartire tra partiti e movimenti a titolo di contributo pubblico sia complessivamente pari a 91 milioni.

giovedì 25 luglio 2013

Superiorità morale...

Il fatto è che certe persone, non hanno alcuna facoltà di scegliere o decidere di non ammalarsi in modo grave. Ma certe altre persone avrebbero il DOVERE di tentare d'usare la materia grigia che hanno (fin dalla nascita) dentro la propria scatola cranica. Ma leggendo certe cose, il dubbio ce lo siamo tolto.

Politiche sociali (bipartizan) per immigrati

 Un commento: "Enunciati terzomondisti sono sempre circonfusi da un alone di fascino irresistibile. Il concetto di accoglienza, poi, è in grado di inorgoglire in maniera bipartisan l'intero consesso parlamentare. Manca solo il parere, un po' più prosaico, di qualche umile ragioniere in grado di quantizzare le risorse disponibili alla realizzazione di questi evangelici progetti. Atteso che la popolazione italiana stenta a reperire le risorse per arrivare alla fine del mese."

Accordo bipartisan sui bimbi immigrati. «Garantiamo accoglienza e tutela». Il disegno di legge di Save The Children è stato accolto dal Pd, Pdl, M5S, Scelta Civica e Sel

ROMA - Uniti per tutelare i minori che giungono in Italia. La prima fase di proposta per una nuova legge che tuteli i diritti fondamentali dei minorenni, in fuga da paesi in guerra, afflitti dalla crisi economica o perseguitati per varie ragioni (politiche, razziali, discriminatorie) si presenta carica di ottimismo per una buona riuscita. Scritta e proposta da Save The Children è stata accolta da deputati e senatori di destra e sinistra, tra cui: Sandro Gozi e Sandra Zampa (PD), Mara Carfagna (PDL), Manlio Di Stefano, Silvia Giordano e Matteo Dall'Osso (M5S), Antimo Cesaro (Scelta Civica) e Nicola Fratoianni (SEL). «Un disegno di legge con due aspetti principali: l'accoglienza e la protezione nei confronti dei minori» ha detto Raffaela Milano, Direttore Programmi Italia-Europa di Save the Children durante la presentazione giovedì mattina alla Sala Stampa del Parlamento a Roma.             

«BIMBI NOSTRO FUTURO» - L'Italia è un paese nel quale la legislazione attuale ammette il respingimento. «Save the children ci offre una risposta importante» ha detto Sandro Gozi (Pd), «abbiamo bisogno di procedure più rapide, abbiamo bisogno di sostegno e uscire dall'illegalità». Mentre Dell'Osso del Movimento 5 stelle ha detto: «I bambini sono il nostro futuro? No: siamo noi adulti che con le nostre azioni pensiamo al loro futuro». E poi ancora Gozzi, citando Eugenio Montale: «Usciamo dalla dittatura dell'emergenza, cioè non possiamo essere donne e uomini che non si voltano. Dobbiamo vedere».

A LAMPEDUSA IL PIU' PICCOLO HA 11 ANNI - «Ogni anno arrivano via mare in Italia almeno 2000 minori stranieri non accompagnati, nel 2013 sono già 1257, il doppio dello stesso periodo nel 2012» ha detto Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children Italia. Degli 800 migranti nel Centro di Accoglienza di Lampedusa, che ha una capienza massima di 250 posti, ci sono 127 minori. Tra di loro solo 33 hanno uno o due genitori, i rimanenti 94 sono soli. Si tratta prevalentemente di adolescenti, ma vi sono anche 42 ragazzi più piccoli, di 14-15 anni. Il più piccolo in assoluto, non accompagnato, viene dalla Somalia e ha solo 11 anni. Gli altri vengono in prevalenza dall'Eritrea, Somalia, Gambia, Etiopia, Ghana, Siria, Nigeria, Guinea bissau, Bangladesh, Algeria. Il sovraffollamento li costringe a dormire all'aperto per terra, li espone ai conflitti frequenti e li fa vivere in condizioni igienico-sanitarie precarie.

IL DISEGNO DI LEGGE - «Accoglienza stabile, regole certe, pari condizioni di accesso a tutti i minori non accompagnati. Ma anche una rete di accoglienza e di tutela e l'ottimizzazione delle risorse pubbliche che in gestione di emergenza è sempre elevata» ha detto Gabriela Milano. Il ddl proposto da Save the Children recepisce anche i principi fondamentali della Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza. In 26 articoli, la proposta parte «dalle procedure di identificazione e accertamento dell'età, all'integrazione sociale, scolastica e lavorativa. Attraverso l'istituzione della figura dei "tutori volontari", adeguatamente formati».

Stupro di gruppo

Dicono, il carcere non automatico non è buonismo... e, bontà loro, la colpa è delle donne che si fanno stuprare e, ci spiegano perchè sia anche giusto che i giudici valutino caso per caso... dopo aver letto quel mucchio di stronzate, auguro a chi la pensa come gli articolisti una sola cosa. Semplicemente di poterci passare.

Che cosa c’è dietro alla decisione della Consulta di Maria (Milli) Virgilio

Nuovamente si discute di misure cautelari coercitive che limitano la libertà personale degli stupratori prima della sentenza definitiva. Chi chiede la condanna anticipata della custodia in carcere e chi invoca la presunzione di non colpevolezza. La polemica si ripete oggi dopo la sentenza 232 della Corte Costituzionale, così come nel 2012 dopo la sentenza di Cassazione n. 4377. La Corte costituzionale infatti sta proseguendo lungo la linea di smantellare il duro e rigido trattamento delle misure cautelari coercitive previste per gli autori di violenze sessuali dal pacchetto sicurezza Maroni/ Carfagna, che nel 2009 era intervenuto con la mano pesante sull’onda della percezione del cd allarme sociale dello stupro di strada. Per raggiungere l’obiettivo e giustificare la urgenza del decreto legge il Governo non aveva messo mano a una riforma specifica e dedicata alla violenza maschile contro le donne, ma aveva operato all’interno delle norme speciali previste per i delitti di mafia.

Aveva così dovuto operare una doppia parificazione, la prima tra la violenza sessuale base (che raccoglie in una unica figura di delitto tutti gli atti sessuali violenti, nella loro ampia e differenziata gamma) e la violenza di gruppo (oltre altri reati cd. a sfondo sessuale ) e la seconda tra questi e i delitti di mafia (associazione di tipo mafioso e delitti posti in essere con metodi o per finalità mafiose). Instaurando così delle presunzioni indifferenziate e assolute –anziché relative – di adeguatezza della sola custodia in carcere, senza alcuna possibile alternativa. Da allora il giudice in tutti tali casi doveva applicare obbligatoriamente sempre e solo la custodia cautelare in carcere, senza più poter esercitare una scelta nel ventaglio delle varie misure previste dal codice di procedura penale e senza poter più graduare secondo il criterio della adeguatezza al caso concreto. La svolta fu operata in nome del bene collettivo “sicurezza pubblica”, come indica il valore dichiarato nel titolo stesso di quella legge (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori) e delle altre leggi intervenute in materia.

E pensare che faticosamente avevamo spostato la collocazione della violenza sessuale entro il bene giuridico individuale della “persona”, sganciandolo dal bene collettivo della moralità pubblica e del buon costume!
Orbene, proprio in nome della sicurezza pubblica, ogni atto di violenza sessuale, stupro semplice, stupro di gruppo, prostituzione minorile, pornografia minorile, turismo sessuale assunsero un trattamento severo, quello riservato alla mafia, giustificando la “straordinaria necessità e urgenza” –, indispensabili per scavalcare il Parlamento – con “l’allarmante crescita di episodi collegati alla violenza sessuale” (assunto indimostrato per mancanza di un Osservatorio nazionale). Non può allora meravigliare che la norma fosse presto portata alla Corte costituzionale che nel 2010 (n. 265) la dichiarò illegittima proprio nella parte in cui aveva disposto l’obbligatorietà della misura di custodia in carcere per i casi di prostituzione minorile, violenza sessuale e atti sessuali con minorenni (la sentenza si riferiva a giudizi per questi tipi di delitti).

Pur ritenendo corretto assoggettarli ad un regime cautelare speciale, riteneva tuttavia ingiusto e irragionevole averli trattati alla pari dei delitti di stampo mafioso, tanto più che altri delitti pur sanzionati con pene ben più elevate restavano assoggettati alla regola generale della custodia in carcere “soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata”. Si trattava di una presunzione assoluta di adeguatezza della misura della custodia cautelare in carcere che violava il quadro costituzionale di garanzie riservate alla libertà personale. Come non concordare!? Infatti la sentenza non provocò dissensi. Con successive sentenze lo stesso principio è stato applicato ad altri delitti inseriti nel pacchetto sicurezza dalla L.38/2009, tra cui l’omicidio volontario (sent. n. 164/2011) e ora ha investito la violenza di gruppo.

Ha senso discutere della validità di una assimilazione tra violenze sessuali e violenze mafiose per la loro pericolosità sociale? O dell’accorpamento in una unica figura di reato di violenza sessuale di una gamma assai differenziata di comportamenti violenti? Occorre andare oltre oltre il discusso tema del trattamento cautelare carcerario (prima della sentenza definitiva di condanna) e investire tutti i casi di violenza maschile, non solo sessuale e non solo di gruppo. Ma il problema è proprio qui: in termini di politica del diritto e di libertà femminile. Le sentenze fanno polemizzare, tuttavia confondendo spesso diritti e desideri. Ma con quale risultato a favore della libertà femminile? Ancora una volta la attenzione si focalizza sui delitti di violenza sessuale, occultando il più vasto l’ambito della violenza maschile contro le donne (“di genere”) che non è solo sessuale, bensì anche fisica, psicologica, economica e alligna prevalentemente nelle relazioni di prossimità e intimità, nonché trova origine nei rapporti di potere uomo/donna che nella famiglia trovano il luogo privilegiato di costruzione.

La violenza maschile contro le donne esige di trovare modi nuovi per essere affrontata, svincolandosi dalla contrapposizione tra uguaglianza e differenza, liberandosi dalla strettoia tra garantismo e giustizialismo e intraprendendo strade ad oggi inedite che sappiano contenere assieme libertà femminile e diritto.

Decreto svuotacarceri

Svuota carceri, ok del Senato. La Lega protesta: “Escono gli stalker”. Il testo, che passa ora all’esame della Camera, è stato approvato con 206 sì e 59 no. La norma che evitava il taglio del personale carcerario grazie a 35 milioni prelevati dalla tassa sulle sigarette elettroniche è stata tolta dal ddl. Il Carroccio contro la Cancellieri: "Vergogna ministro"

L’Aula del Senato approva il decreto sull’esecuzione della pena ormai noto come ‘svuota-carceri‘. Il testo, che passa ora all’esame della Camera, è stato approvato con 206 sì e 59 no. La norma che evitava il taglio del personale carcerario grazie a 35 milioni prelevati dalla tassa sulle sigarette elettroniche è stata tolta dal ddl. Il relatore D’Ascola ha ritirato ora la proposta di modifica che era stata approvata dalla commissione Giustizia di Palazzo Madama la settimana scorsa. Che prevedeva tra l’altro che non ci sarà nessun ci sarà il taglio per la polizia penitenziaria. La Lega ha protestato con una serie di cartelli: “Polizia e Carabinieri beffati”, “Polizia arresta, governo assolve” e “Donne, attenzione escono gli stalker“. Il più agguerrito tra i parlamentari, il senatore Jonny Crosio, ha gridato più volte nei confronti del Guardasigilli Cancellieri: “Vergogna ministro!!”. I commessi sono accorsi per strappare i cartelli dalle mani dei senatori del Carroccio, ma, non appena terminato e fatto ritorno ai banchi della presidenza, gli esponenti della Lega ne hanno tirati fuori degli altri con identiche scritte. Così agli assistenti parlamentari è toccato risalire le scale dell’Aula e intervenire una seconda volta. La protesta è avvenuta praticamente alla fine della dichiarazione di voto della senatrice leghista Erika Stefani che aveva bocciato senza appello il provvedimento del governo.

Per i recidivi specifici restano limitazioni. I recidivi specifici infraquinquennali, cioè coloro che tornano a compiere lo stesso reato nel giro di 5 anni, continueranno ad avere vita dura. Per loro non ci sarà più alcun beneficio. La legge attualmente in vigore prevede infatti che questa categoria di detenuti non possa beneficiare né della sospensione della pena, né possa godere di benefici come gli arresti domiciliari, semilibertà e permessi premio. Il decreto del governo aveva tolto tutte queste limitazioni per trattare anche questo tipo di recidivi come tutti gli altri detenuti, ma ora l’Aula del Senato ha deciso di togliere queste modifiche ripristinando così quanto previsto dalla legge attuale. No benefici per stalking per maltrattamenti in famiglia. Dopo una complessa serie di ritocchi al testo del governo alla fine il Senato decide per impedire che possano avere benefici come la sospensione della pena chiunque (recidivo e non) commetterà i reati di incendio boschivo, furto aggravato e in appartamento, stalking e maltrattamenti in famiglia. Custodia cautelare scatta per pene non inferiori a 5 anni. In Aula è stata confermata la modifica al ddl (introdotta in commissione dall’emendamento di Lucio Barani (Gal)) che fa scattare la custodia cautelare in carcere per i delitti per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. La norma vigente parla di quattro anni. No al commissario immobiliarista. Il Commissario per le Carceri non dovrà più occuparsi della “destinazione e valorizzazione dei beni immobili penitenziari anche mediante acquisizione, cessione e permuta e forme di partenariato pubblico privato…”. Insomma la parte che faceva del Commissario per le carceri un “agente immobiliarista”, per dirla con le parole dei 5S, è stata tolta dal testo.

Le specie protette: gli assassini extracomunitari

Kabobo ha ucciso tre persone a colpi di piccone. Ma per gli esperti non è capace di intendere Secondo gli psichiatri che dal 6 giugno lo seguono il ghanese sarebbe incapace di intendere e di volere. Per questo, oltre al carcere, potrebbe addirittura evitare il processo di Franco Grilli

L'orrore compiuto da Mada Kabobo, il ghanese che l'11 maggio scorso a Milano ha ucciso tre persone a colpi di piccone, è ancora davanti ai nostri occhi. Difficile dimenticare una violenza così brutale. Eppure l'autore di quella terribile strage potrebbe riuscire a evitare il carcere. Gli psichiatri che su incarico della Procura dal 6 giugno si occupano di lui non hanno ancora depositato la relazione finale, ma secondo quanto anticipa il quotidiano il Giorno, Kabobo potrebbe essere giudicato incapace di intendere e di volere. E, proprio per questo, evitare il carcere con un proscioglimento per vizio mentale. Poche ore dopo il suo arresto Kabobo disse: "Sento le voci, voci cattive". Qualcuno pensò subito: è la prova che è pazzo. Altri commentarono: tenta di alleggerire le sue colpe e spera, spacciandosi per pazzo, di farla franca. Tra poco sapremo come andrà a finire. Le immagini delle telecamere di sorveglianza agli angoli delle strade dov'è avvenuta la strage di Niguarda mostrano un uomo che, apparentemente, non si muove come un folle.  Kabobo pare tranquillo fino al punto di provare a sbarazzarsi del piccone non appena si rende conto di essere braccato dalle forze dell'ordine. Una persona incapace di intendere e di volere potrebbe aver agito in quel modo, provando a occultare l'arma del delitto?

mercoledì 24 luglio 2013

Le specie protette, i gay e le lesbiche

 Prima questa notizia e poi il post di Nessie.

La legge pro gay è illiberale. Perché ci serve una norma speciale a tutela dei gay, degli islamici o dei neri e non degli anziani o degli indigenti? di Marcello Veneziani

Ci sono due precise ragioni contro la legge sull'omofobia e non c'entrano affatto né l'omofobia né l'omolatria, ossia il culto dei gay, che è oggi tendenza assai più pervasiva dell'altra. La prima ragione è che quando si introduce un reato d'opinione, come è il caso di questa legge, si restringe la sfera della libertà, della democrazia e del diritto, e si introduce un pericoloso germe ideologico nella giurisprudenza. La stessa cosa vale per i reati contro il razzismo, contro le altre religioni o contro le apologie di alcuni regimi passati; anche le opinioni peggiori vanno combattute con le opinioni e non a colpi di galera. Se si colpiscono penalmente i reati d'opinione, e poi solo alcuni, si entra in una brutta spirale che è l'anticamera del dispotismo. Già è infame la legge Mancino, che punisce col carcere l'apologia di alcune ideologie totalitarie e sanguinarie e non di altre. Ora si vuole proseguire in questo passaggio dal canone ideologico al codice penale, dal linciaggio mediatico al carcere. La seconda ragione è che quando si introduce per lo stesso reato una pena più grave per alcune categorie protette anziché per altre, si ferisce l'universalità delle norme e il principio della legge uguale per tutti. Perché ci dev'essere una norma speciale a tutela degli omosessuali, degli islamici o dei neri e non degli anziani, dei malati, dei credenti in Cristo o degli indigenti? Non è ripugnante prendersela con un vecchio, un malato o un poveraccio o lo è solo se si tratta di omosex, neri, rom, ebrei o islamici? Perché non è più un reato bestemmiare, irridere, essere blasfemi verso Dio, Gesù Cristo, la Madonna, i santi, i simboli e i princìpi della religione cristiana e invece lo diventa se si compiono le stesse profanazioni verso altre religioni? Anche il femminicidio è un abominio giuridico e una violazione elementare della parità dei diritti della persona; ci sono persone che contano il doppio e persone che contano la metà?

Se omicidio è parola di sesso maschile, chiamatela uccisione, e si taglia la testa al toro e il sesso al crimine. Ma se vogliamo restare, almeno sulla carta, una civiltà del diritto, il principio di fondo su cui regge la giustizia è l'universalità della norma, senza eccezioni. Poi sarà facoltà del magistrato applicare la legge nel caso specifico e considerare eventuali aggravanti e contesti di luogo e di tempo. Ma stabilirlo a priori con una legge ideologica e ruffiana che sancisce corsie preferenziali e classi tutelate, significa violare la giustizia e la sua equità. A ben vedere, dunque, la norma sull'omofobia viola in un colpo solo i due principi tanto conclamati di giustizia e libertà. Mica male per una norma che viene venduta come necessaria, non più rinviabile, che ci verrebbe richiesta dall'Europa, dalla modernità e probabilmente anche dall'hi-tech e dal digitale. Che vi sia una fetta del centrodestra incline ad accogliere questa legge è uno schiaffo a tanti propri elettori, una resa al conformismo radical o un furbo accomodamento. Capisco che «s'ha da fa' pe' campà», e per far campare il cagionevole governo; ma questo mi sembra il modo peggiore per sopravvivere inserendo cellule cancerogene nella coalizione che lo sorregge. Chi si oppone a questa legge ha il coraggio del non conformismo. Ma è inutile farsi illusioni: tutto cospira in senso opposto, la battaglia è solo per tamponare e tardare. L'istinto del gregge e lo spirito del tempo uniti vinceranno. Per forza di gravità.

martedì 23 luglio 2013

Sul reato di "omofobia"

L'inutile problema dell'omofobia di Gianni Pardo

In origine vi fu la legge Reale. Essa  punisce “chi pubblicamente esalta esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche”. In seguito, quando era ministro Mancino, essa fu ampliata prevedendo reati con finalità razzistiche, etniche, ecc. Ora si parla di includervi le finalità omofobiche. E l’opportunità dell’iniziativa è discutibile. Bisogna premettere che le finalità della legge Reale-Mancino sono lodevoli ma essa si scontra con obiezioni di peso. La prima è che mentre qualcuno è contro il fascismo, il razzismo ecc., un altro può essere di parere diverso e nessuno, nel mondo liberale, può essere punito solo per le sue idee. La seconda è che i reati d’opinione sono per loro natura ambigui, nel senso che si può di fatto rifondare un partito para-fascista senza che lo Stato possa farci nulla. Infatti, se chiude il Movimento Sociale, domani i suoi adepti potranno fondare il Social Movimento, o il Movimento Nazionale o quello che sia. E infatti per decenni il Movimento Sociale non è stato disturbato. È stato sufficiente che fosse reso inoffensivo dagli elettori. Un ulteriore elemento negativo è che, proprio per l’ambiguità delle opinioni, si può arrivare a condannare un comico che intendeva solo far ridere sull’omofobia e assolvere un vero colpevole che si esprime in maniera tale da schivare l’accusa. Se in America la protezione delle opinioni, anche le più stravaganti, è ferreamente assicurata, non è solo in nome della libertà: è anche per la difficoltà di perseguire efficacemente ogni forma di fanatismo o stupidità.

Per il reato di omofobia (oppure di trasformare l’omofobia in una delle aggravanti previste dall’art. 61 C.p) ci sono fondati  motivi di perplessità. Non solo un simile reato non sarebbe stato concepibile negli anni Cinquanta del secolo scorso, ma una manifestazione di evidente omosessualità sarebbe stata perseguita come atti osceni o almeno come atti contrari alla pubblica decenza. Dunque l’assurda sanzione di prima, come la pressoché eccessiva tolleranza attuale, dipendono dalla sensibilità sociale, non dai codici. E come un tempo sarebbe stato necessario battersi per consentire agli omosessuali di manifestarsi senza per questo essere perseguitati o discriminati, oggi bisognerebbe permettere ad uno sciocco di dire: “Gli omosessuali mi fanno schifo”. Si sentono tante stupidaggini che non si vede che danno possa fare una di più. E se qualcuno dicesse che l’omosessualità è una malattia, commetterebbe reato? Secondo molti certamente sì. Ma la cosa è discutibile. Innanzi tutto, perché offendersi, per la parola “malattia”? Se essa non disonora i tanti degenti degli ospedali, perché dovrebbe disonorare gli omosessuali? Naturalmente la risposta è che essi non sono affatto malati, sono come tutti gli altri: ma questa è la loro legittima opinione, come legittima è l’opinione di chi li reputa malati. Forse che non si considerano malati i viziosi del gioco, della droga e perfino del sesso eccessivo? Perché non inserire nella nuova legge anche i drogati e i sex addicts? Se ci si mette ad inseguire le opinioni, non si finisce più. E per giunta qua c’è il grave sospetto di seguire una moda, una sorta di glorificazione coattiva della political correctness. La verità è che in Italia si vogliono risolvere tutti i problemi con le leggi: tentativo non solo vano ma spesso pericoloso, come nel caso dei reati d’opinione. Mentre si rischia di conculcare la libertà di manifestazione del pensiero, la repressione è possibile senza modificare il codice. Questo prevede per ogni reato una pena che va da un minimo ad un massimo. Recita l’articolo 582 del Codice Penale ( Lesione personale): “Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale (anche un graffio), dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente (un graffio richiede qualche giorno per rimarginarsi e scomparire) è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni”. Ora, se il giudice, nel caso che la vittima sia un omosessuale, reputa che il fatto è insignificante e l’aggravante dell’omofobia è ridicola, può infliggere il minimo della pena, tre mesi, più un mese per l’aggravante, quattro mesi. Se invece è un fanatico della lotta all’omofobia, e nessuna legge prevede l’aggravante di questa finalità, può ancora, in teoria, condannare il reo, senza aggravante, a tre anni di carcere. Cioè una pena nove volte maggiore. Perché dunque non lasciare che i magistrati apprezzino liberamente questa circostanza? Del resto, l’art.61 prevede come prima delle molte aggravanti “l'avere agito per motivi abietti o futili”. Basta considerare come abietti o futili i motivi razzistici, etnici, omofobici e via dicendo. Ma contro la libidine legislativa pare che non ci sia rimedio.

Sul turismo in italia

Turismo paralizzato dagli errori di Letta. Sospesi progetti per 150 milioni. Un emendamento dell’esecutivo congela di fatto l’operatività amministrativa del Dipartimento. Con il risultato che interventi e investimenti in fase di attuazione e programmati saranno bloccati per diversi mesi perché non potranno essere adottati gli atti che sbloccano le relative risorse di Alberto Crepaldi

Il rilancio del turismo avrebbe dovuto essere una delle priorità del governo Letta. Simonetta Giordani, ex responsabile delle relazioni istituzionali di Autostrade Spa, e dunque non propriamente esperta di turismo, è il sottosegretario a cui è stata attribuita la relativa delega. Ma non è dato sapere quali saranno le risorse aggiuntive che verranno messe in campo per rilanciare un segmento produttivo che realizza il 10 per cento del Pil e dà lavoro a circa 3 milioni di addetti. A gettare nello scompiglio il settore è arrivato un emendamento ad un disegno di legge di conversione del decreto legge 26 aprile 2013, n. 43, appena approvato dal Parlamento.

L’emendamento governativo, malamente congegnato nel fissare i termini del trasferimento delle funzioni del Dipartimento del Turismo dalla Presidenza del Consiglio al Ministero dei Beni culturali, congela di fatto l’operatività amministrativa del Dipartimento stesso. Con il risultato che interventi e investimenti in fase di attuazione e programmati saranno bloccati per diversi mesi perché non potranno essere adottati gli atti che sbloccano le relative risorse. “Niente progetti innovativi, niente reti di impresa - si legge in una lettera dell personale dell’ufficio politiche per il Turismo presso la Presidenza del Consiglio – niente fondo per la sicurezza dei turisti in montagna, perdita dei fondi Poat (progetto operativo di assistenza tecnica), blocco dei progetti di eccellenza con le Regioni e delle attività di promozione, già previste, Italia-Usa e Italia-Russia, affossamento di programmi comunitari…”.

Ciò potrebbe accadere perché ad oggi non è stata delegata nessuna Autorità amministrativa per la firma di tutti quegli atti di rilevanza esterna che incidono sul mercato turistico. E che avrebbero potuto essere molto utili in questo difficile inizio della stagione turistica.

L’emendamento comporta una paralisi delle attività a causa delle complesse procedure di trasferimento al ministero dei Beni culturali delle risorse umane, strumentali e finanziarie del dipartimento Turismo. I tempi del trasferimento infatti si allungheranno perché, dopo il Dpcm previsto dall’emendamento stesso, tutte le risorse ora allocate al dipartimento saranno destinate al ministero dell’Economia e delle Finanze per poi essere ritrasferite ad una serie di ministeri sotto il cui cappello ricadono le azioni pianificate dal dipartimento. Senza considerare che nel frattempo dovrà essere creata una struttura ad hoc presso il Mibac o un nuovo dicastero. E ciò richiederà ulteriore tempo.

Rischiano di rimanere sospesi, per almeno 6 mesi, oltre 100 milioni di trasferimenti alle Regioni per i progetti di eccellenza, 8 milioni per le reti di impresa, 10 milioni per i progetti innovativi degli enti locali, oltre 5 milioni per gli ultimi 2 anni di contributi ad enti locali e associazioni per la promozione del turismo, oltre 5 milioni per i Buoni Vacanze, oltre 3 milioni per circa 2000 pratiche di rimborso ai consumatori per il fondo di garanzia, 6 milioni per l’alta formazione professionale, 10 milioni per la programmazione di fondi strutturali. L’E-nit, infine, non vedrà arrivare risorse indispensabili per concretizzare un percorso di agevolazione nel rilascio dei visti turistici (1.600.000 euro) e anche per la promozione dell’Expo (circa 3 milioni).

Al Fatto quotidiano il sottosegretario Giordani ha spiegato che “la decisione di affidare al Mibac la gestione delle politiche per il Turismo è stata una scelta strategica nell’ottica di rilanciare l’economia del Paese”. Certo, aggiunge Giordani, “il trasferimento ha comportato un iter procedurale complesso” e quindi è stata “convocata una riunione”. Due priorità saranno garantite: “lo sblocco dei fondi per i turisti truffati e la riattivazione dei buoni vacanza”. Per il resto si vedrà.

Stupro di gruppo... diamogli anche la medaglia

Stupro branco, si misure diverse carcere. Legittimita' costituzionale sollevata da tribunale Salerno

ROMA, 23 LUG
- No alla sola custodia cautelare in carcere per il reato di violenza sessuale di gruppo se il caso concreto consente di applicare misure alternative. Lo ha stabilito la Consulta che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 275, comma 3, terzo periodo, del codice di procedura penale. Richiamando precedenti decisioni si rileva che anche in questo caso le misure devono essere ispirate al criterio di 'minore sacrificio necessario'. A sollevare la questione il Tribunale di Salerno.

Cineserie impossibili da debellare

La crisi economica impazza: dilagano i prodotti cinesi contraffatti. Sequestrati 7 milioni di oggetti tra calze, cosmetici e giocattoli destinati a invadere il mercato italiano di Tiziana Paolocci

La crisi economica in Italia ha un solo vincitore: il traffico di prodotti contraffatti. Si trova di tutto, dalle borse firmate alle false scarpe griffate fino alla merce più semplice, come calze, cosmetici, profumi e sciarpe, tutte squisitamente finte. Ma si può anche incappare pericolosamente nei giocattoli costruiti senza rispettare i vincoli minimi di sicurezza. Proprio per questo bisogna stare più che mai attenti e non lasciarsi conquistare dalle occasioni. Lo sanno bene gli uomini della guardia di finanza che in questo periodo estivo hanno stretto ancora di più le maglie della sicurezza. Ieri i finanzieri del Comando Provinciale della capitale hanno effettuato un maxi sequestro di sei milioni e settecentomila prodotti cinesi contraffatti, che non rispondevano agli standard di sicurezza, denunciando quindici persone. I militari, infatti, hanno scoperto due importanti centri di stoccaggio e smistamento merci: uno dove c'erano quattro milioni di cosmetici in gran parte pericolosi per la salute e l'altro con oltre due milioni e mezzo di paia di calze «Pompea» contraffatte.

Tutti capi destinati a partire alla volta delle altre città italiane per invadere il mercato. L'attenzione degli investigatori si è fermata per prima in un capannone, in via Prenestina, dove c'era un continuo andirivieni di stranieri e di autoveicoli. Inizialmente i militari hanno pensato si trattasse di un centro di smercio di abbigliamento. Ma, approfittando dell'arrivo di un grosso articolato con targa lituana, i finanzieri sono intervenuti per controllare il contenuto sia del mezzo che del magazzino, trovando circa 1.500 «scatoloni» contenenti oltre 2 milioni e mezzo di paia di calze recanti i loghi appunto della «Pompea», azienda nazionale leader del settore dell'intimo. I successivi accertamenti hanno consentito di verificare non solo l'illecita riproduzione del marchio ma anche dei più importanti brevetti industriali dell'azienda, tra cui quello denominato «no stress», riportato regolarmente sulle calze.

La merce, proveniente dalla Cina, era giunta nel nostro paese dopo essere stata sdoganata in Gran Bretagna e aver attraversato alcuni Paesi comunitari senza dare troppo nell'occhio. Probabilmente era destinata all'intero mercato nazionale, dove sarebbe stata collocata a un prezzo nettamente inferiore rispetto a quello dei prodotti originali. Gli investigatori stimano, «a livello prudenziale», che il valore delle calze sequestrate ammonti a non meno di 4 milioni di euro. Il responsabile di tutta questa organizzazione era un imprenditore cinese, di 49 anni, attivo nel settore della commercializzazione di accessori di abbigliamento, che è stato denunciato a piede libero per detenzione e commercializzazione di oggetti con marchio falso. Nel secondo intervento, attuato nella stessa area di via Prenestina, le fiamme gialle del II Gruppo hanno scoperto quasi quattro milioni fra cosmetici, prodotti per la cura della persona, materiale scolastico e articoli per la casa, non conformi alla normativa vigente in tema di sicurezza. Gli oggetti sequestrati, in gran parte destinati ai bambini, erano tutti privi delle prescritte etichettature di sicurezza, delle istruzioni d'uso e della composizione chimica. Numerose sono le confezioni di prodotti decorativi per la pelle e le unghie composti da colle di origine sospetta e, addirittura, in uno dei magazzini, erano conservati cosmetici contenenti ioni metallici (nichel piombo e cromo-esavalente), riconosciuti pericolosi per la salute.

Decreto del fare blindato


Il governo pone la questione di fiducia sul decreto legge Fare nell'Aula della Camera. Lo ha annunciato all'Assemblea di Montecitorio il ministro per i Rapporti con il Parlamento Dario Franceschini. La fiducia è posta sul testo approvato dalle commissioni: alla base della scelta c'è il mancato accordo con i partiti per ridurre i 900 emendamenti presentati in aula. La presidente della Camera, Laura Boldrini, ha quindi sospeso la seduta convocando a breve la conferenza dei capigruppo per decidere come proseguire i lavori dell'assemblea: tempi e modalità di votazione. Salvo intesa unanime fra i gruppi, la votazione avrà luogo domani, a 24 ore di distanza dall'annuncio del Governo in Aula. Ma gli M5s non ci stanno e Grillo, dal suo blog rincara la dose: «Letta zittisce il Parlamento».

SEL E LEGA AVEVANO DETTO SI' - «Abbiamo 6 decreti, le leggi europee, il Ddl di riforma costituzionale, le leggi sui partiti e l'omofobia, votare su 800 emendamenti non permette di rispettare tempi», ha detto il ministro dei Rapporti con il Parlamento. Franceschini ha riassunto in aula la situazione che si era venuta a creare dopo, appunto, la presentazione di 800 emendamenti al Dl: su richiesta dell'esecutivo di «scendere a un numero ragionevole» Sel e Lega «avevano detto sì», la maggioranza aveva accettato di ridurre a 10 gli emendamenti, mentre una trattativa con il M5S era saltata e i grillini avevano deciso di tenere tutti le modifiche presentate. «Se il tema è costruire un percorso che consente all'aula di esprimersi in tempi ragionevoli sui singoli emendamenti è un conto, se invece il tema è l'accoglimento di un certo numero di emendamenti la cosa cambia», ha spiegato il ministro.

GRILLO: «LETTA ZITTISCE IL PARLAMENTO»- I parlamentari grillini hanno giustificato così il loro no. «Alla fine avevamo presentato otto-nove punti qualificanti di modifica al decreto 'del Farè, punti che avrebbero migliorato un testo pressochè impresentabile. Al governo, però, evidentemente non interessa affatto licenziare norme utili al Paese». Grillo ha alzato poi il tiro sul suo blog con un post non a caso intitolato «Il #DecretoDelFare zittire il Parlamento» in cui il comico scrive: «Oggi il governo di Capitan Findus Letta, mister "Non userò la leva della fiducia per far passare i provvedimenti", ha posto la fiducia sul decreto del Fare pur di non discutere gli 8 emendamenti presentati dal M5S».

LEGGE SULL' OMOFOBIA - Il governo ha fretta, troppe le cose da fare, poco il tempo a disposizione e le vacanze estive sono alle porte. «Abbiamo un calendario molto complicato prima della pausa estiva, ormai non mancano tantissimi giorni a Ferragosto» ha detto il ministro Franceschini. Soprattutto vorrebbe concentrarsi sul finanziamento dei partiti e sulla legge sull'omofobia. Un tema molto discusso nei giorni scorsi, quando quattro esponenti del Pdl, il ministro Maurizio Lupi, Mariastella Gelmini, Mara Carfagna e Maurizio Sacconi avevano lanciato la proposta di una moratoria: basta occuparsi di temi etici, è necessario lavorare solo su quelli economici, avevano detto. Dichiarazione che aveva diviso i pareri all'interno del partito.

REAZIONI - «Il Governo mette la fiducia su decreto del Fare che indebolisce le tutele sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e ferma le migliorie». Così, su Twitter, il parlamentare di Sel ed ex leader della Fiom torinese Giorgio Airaudo.

lunedì 22 luglio 2013

Dopo gli eritrei, tutti gli altri


LAMPEDUSA - Prima la protesta, poi la vittoria. Niente impronte digitali, come chiedevano i circa 200 immigrati, quasi tutti eritrei, che ieri sono usciti dal Centro di accoglienza per far sentire la loro voce. E' questo l'esito di una giornata di trattative, speranze e paure. Fino all'esultanza finale. Saranno trasferiti tutti, in piccoli gruppi, verso altre località italiane e senza prendere le impronte digitali. "Zeinagebriel nella mia lingua significa Arcangelo Gabriele. Ma tu puoi chiamarmi Zeina”. Zeina ha ventisei anni e aspetta paziente seduto all’ombra di piazza Garibaldi. Insieme a lui ci sono circa altri duecento ragazzi del Corno d’Africa. Si tratta degli eritrei, etiopi e somali – tra cui molti minori – arrivati nelle ultime settimane qui a Lampedusa. Per due ore va avanti la trattativa. Da una parte, Giusi Nicolini come rappresentante delle istituzioni italiane, e il parroco Don Stefano Nastasi. Dall’altra, i portavoce della protesta eritrea. In mezzo, a mediare via telefono, Don Mosé Zerai, sacerdote eritreo e direttore dell’agenzia Habeshia, punto di riferimento per la maggior parte dei migranti che attraversano il Mediterraneo.

Zeina è stanco. Fa caldo. Ma aspetta. Ieri è scappato insieme ai suoi connazionali dal centro di primo soccorso e accoglienza di Lampedusa che, in modo pacifico e compatto, hanno sfilato per l’isola, spiazzando forze dell’ordine e turisti. Hanno passato la notte dormendo nella piazza. E stamattina presto, hanno iniziato a pregare con il volto rivolto verso la facciata della chiesa, mentre i primi fedeli lampedusani iniziavano ad affluire per la messa domenicale. “Noi protestiamo per un motivo molto semplice – spiega Zeina – ci rifiutiamo di rilasciare le nostre impronte digitali. Non vogliamo essere identificati in Italia perché, se lo facciamo, poi siamo costretti a chiedere asilo qui”. Questo, infatti, è quanto stabilisce il regolamento di Dublino, secondo il quale l’asilo politico può esser richiesto nel primo paese dell’Unione Europea in cui si viene identificati. Ma perché queste persone non vogliono rimanere in Italia? “Abbiamo amici e parenti sparsi nelle città italiane: ci dicono di guardare a questo paese solo come a una terra di transito, perché qui c’è troppa povertà e i diritti non vengono garantiti, né per gli italiani né per noi stranieri. Per questo motivo noi non vogliamo rimanere qui. Vogliamo essere liberi di continuare il nostro viaggio verso i paesi del nord Europa. Vogliamo chiedere asilo nei paesi che sono veramente in grado di accoglierci. Se rimarremo qui, che futuro avremo? Finiremo a vivere per strada!”

Zeina è arrivato a Lampedusa lo scorso 8 luglio. Proprio il giorno successivo alla visita di Papa Francesco. Con lui, sul gommone partito dalla Libia, c’erano anche altre novantaquattro persone, tra cui quattro bambini di circa tre anni e trentaquattro donne, di cui quattro incinte. “Eravamo ancora in alto mare quando la Guardia Costiera è arrivata e ci ha fatti salire a bordo. Hanno preso solo le nostre vite mentre il gommone lo hanno rotto e lasciato lì”. Appena arrivati sulla banchina di Lampedusa hanno ricevuto un po’ di acqua. “Subito dopo, ci hanno portati tutti al centro di accoglienza” spiega Zeina, continuando “senza fare distinzione tra malati e minori. Con noi c’era anche una donna diabetica e un mio caro amico di sedici anni con la tubercolosi”. Nel centro sono rimasti più di dieci giorni. Intanto gli arrivi via mare non si sono mai fermati, mentre i trasferimenti da Lampedusa al resto d’Italia diventano sempre più lenti e sporadici. Attualmente nel centro di Lampedusa ci sarebbero più di settecento persone. Tra questi, un numero significativo di minori. “Siamo rimasti nel centro più di dieci giorni. Qui abbiamo dormito sul terriccio, sotto gli alberi, su lenzuola improvvisate a letti. I malati e i bambini stavano sempre peggio. Ma niente, non li trasferivano. Dicevano: se ci date le impronte digitali vi trasferiamo in un posto migliore di questo”. Alcuni parenti di Zeina vivono come rifugiati in Svezia e gli raccontano che lì l’accoglienza è fatta di percorsi scolastici e abitativi dignitosi e che, dopo qualche anno, i rifugiati riescono a sentirsi membri della società a tutti gli effetti. “Io non voglio stare in Italia perché, se anche gli italiani non hanno lavoro, come posso sperare di averlo io? Provate a capirci! Abbiamo bisogno di umanità!”

Intorno alle cinque del pomeriggio il sole è ancora alto. All’improvviso, dal retro della chiesa escono i portavoce eritrei, il sindaco Giusi Nicolini e i funzionari della polizia a cui da ventiquattro ore è stata affidata la mediazione con la piazza. Tutti i manifestanti si siedono sul sagrato. Zeina si unisce a loro. In silenzio, ascoltano i loro portavoce che, in tigrino (la lingua parlata in Etiopia), fanno il resoconto della mediazione. Passano pochi minuti ed esplodono in un lungo applauso. Sono felici. Chiedono di fare una foto con il sindaco Nicolini. I manifestanti si alzano e iniziano a pulire la piazza che hanno occupato fino a quel momento. Zeina si avvicina: “Abbiamo vinto! Ci trasferiranno tutti, in piccoli gruppi, verso altre località italiane e senza prendere le impronte digitali”. L’accordo raggiunto prevede il rientro immediato e volontario dei migranti nel centro di accoglienza dell’isola. In cambio, le autorità italiane si sono impegnate a non identificarli attraverso la rilevazione delle impronte digitali. “Lo so, potrebbero non mantenere la promessa” dice Zeina. Poi sorride e aggiunge: “Ma io voglio fidarmi”.

domenica 21 luglio 2013

Crisi, disoccupati ed esodati sono meno importanti


Stop alla discussione in Parlamento sui temi etici e politici perché è necessario dare la priorità all’economia. La proposta arriva dai parlamentari Pdl Maurizio Lupi, Mara Carfagna, Mariastella Gelmini e Maurizio Sacconi che al termine della Summer School di formazione politica Sorrento 2013 organizzata dalla fondazione Costruiamo il Futuro, “interpretando il pensiero degli oltre 400 giovani partecipanti e dei numerosi parlamentari presenti”, hanno deciso di lanciare una moratoria sui temi etici. ”Nel momento in cui l’Italia affronta una straordinaria depressione civile, economica e sociale combinata con una persistente fragilità politico-istituzionale – spiegano – appare necessario evitare l’introduzione di elementi divisivi nel senso comune del popolo con particolare riferimento ai principi della tradizione, dalla vita alla famiglia naturale, alla libertà educativa”.

Pd: “A breve sarà introdotto il reato di omofobia” – Una proposta bocciata dal Partito democratico dove Walter Verini, capogruppo democratico in commissione Giustizia alla Camera e Ivan Scalfarotto che, al contrario, spiegano come ci siano “tutte le condizioni per una rapida e unanime approvazione del testo che introduce finalmente in Italia il reato di omofobia. Il lavoro svolto in commissione Giustizia – aggiungono – è stato molto approfondito e costruttivo. Siamo davvero all’ultimo miglio e la Commissione potrà licenziare un testo di grande civiltà che tiene conto di tutte le sensibilità”. Verini e Scalfarotto, quindi non ritengono “che siano necessarie moratorie di alcun genere: siamo alla fine e non all’inizio del percorso. Il testo è già calendarizzato in Aula per il prossimo 26 luglio, prima la stessa Aula approverà il ‘dl del fare‘ e riteniamo che questo traguardo di civiltà possa e debba essere obiettivo condiviso da tutti”.

Parlamentari Pdl contro la moratoria – Il Pdl, però, non è compatto sulla proposta di sospensione dei temi etici. Tra le voci critiche ci sono Sandro Bondi, Giancarlo Galan, Stefania Prestigiacomo e Maurizio Gasparri e per il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri “i temi non possono essere elusi” . ”La mia convinzione personale – dice Bondi – è che un confronto aperto e costruttivo anche sui cosiddetti temi etici, per ricercare soluzioni ragionevoli e punti di equilibrio, non sia affatto divisivo del ‘senso comune del popolo”. Anche Galan insiste sull’importanza del dibattito perché, spiega, “è nostro preciso dovere trovare soluzioni, dare risposte, predisporre misure in grado di abbattere le barriere che quotidianamente incontrano i cittadini. Questo vale tanto in termini economici che civili”. Prestigiacomo, infine, concorda con Bondi e Galan ed evidenzia che il confronto “rientra fra i compiti che la politica non può evitare. Se non è la politica ad occuparsene saranno la cronaca ed il legislatore”.

Pd: “Proposta bacchettona” – Contro la moratoria proposta dal Pdl anche il deputato Dario Ginefra trova “anacronistica e bacchettona. La Chiesa di Papa Francesco – prosegue – è molto più moderna di certa politica”. In più, aggiunge, “non sono i ministri, per fortuna, a determinare l’agenda del Parlamento e come dice Bondi un confronto aperto e costruttivo anche sui cosiddetti temi etici, per ricercare soluzioni ragionevoli e punti di equilibrio, non è affatto divisivo, ma restituisce al legislatore il suo compito: ammodernare la legislazione al senso comune degli italiani”. Interviene sul tema anche il deputato Pd Sandro Gozi. ”Adottare una legge contro l’omofobia -scrive su TazebaoNews - o riconoscere le unioni civili non è una questione etica, ma di civiltà minima. Peraltro – conclude Gozi su TazebaoNews – una moratoria sul tema rischia di essere un boomerang proprio per l’attuale maggioranza. Al Parlamento deve essere lasciata autonomia d’azione”. Infine per Andrea Marcucci, presidente Pd della Commissione cultura a Palazzo Madama “sui temi etici e sui diritti civili, altro che moratoria, serve una marcia in più. Le leggi contro l’omofobia e per il riconoscimento delle coppie di fatto attendono da troppo tempo”.

Alle 3,32...

Tintinnavano le abatjour e si muoveva il letto. Abbiamo pensato: "vogliamo morire sotto le macerie o la nostra vita finisce nel crollo di casa". Non so esattamente quanto sia durato nel dormiveglia. Non siamo scesi in strada, probabilmente non ne avevamo manco la forza. Poi, abbiamo sentito alzarsi le tapparelle di alcuni nostri dirimpettai. E per stavolta ci siamo salvati. Stiamo bene. E qui, nelle marche centrali pare non ci siano danni. La seconda scossa, quella delle 5 non l'abbiamo sentita. Ma alla prossima, il pensiero di cui sopra resta lo stesso.

Priorità italiane


Premessa. Da sempre la settimana parlamentare inizia col lavoro delle Commissioni nella mattinata del martedì e, concentrandosi l’esame dell’Aula fra il martedì pomeriggio e il giovedì mattina, termina nuovamente con le Commissioni nel primo pomeriggio di giovedì. Ci sono delle eccezioni: riguardano provvedimenti di particolare importanza e urgenza, o decreti legge in scadenza. Ma, appunto, si tratta di eccezioni. La proposta di legge unificata antimofobia Scalfarotto-Brunetta-Fiano (dai nomi degli originari presentatori di distinte iniziative normative confluite in un unico testo) evidentemente rientra fra le eccezioni: se così non fosse, bisognerebbe spiegare perché, dopo un intenso dibattito durato svariate ore in Commissione Giustizia alla Camera fino al pomeriggio di giovedì scorso, la discussione è stata aggiornata dalle ore 11 di lunedì prossimo, 22 luglio. Ciò nella previsione, come da calendario concordato fra i capigruppo, di approvare il testo in Commissione giovedì 25, per passare all’esame da parte dell’Aula nella mattinata di venerdì 26. Poiché è di moda nelle migliori testate giornalistiche porre dei quesiti, proviamo a non essere da meno e a formularne qualcuno anche noi. Non è necessario arrivare fino a 10; è sufficiente fermarsi alla metà:

Domanda n. 1. Qual è l’emergenza che motiva tanta dedizione e tanta fretta? In fondo nel pianeta giustizia non mancano questioni assillanti e gravi: per tutte, quella delle carceri, certamente non affrontabile accorciando i tempi della detenzione per delitti gravi, come avviene col decreto Cancellieri. O quella dell’indefinita lunghezza delle cause civili. Su tutto ha la precedenza la legge-omofobia. Nella discussione in Commissione qualcuno – l’on. Cirielli – ha proposto di far precedere l’approvazione delle nuove disposizioni da una indagine conoscitiva, ma l’ipotesi è stata bocciata dalla Presidente Ferranti. Perché? Sono forse disponibili dati oggettivi relativi al numero delle violenze o degli atti di discriminazione realizzati col fine di danneggiare persone omosessuali? Per essere più chiari: l’emergenza è mediatica o reale? Il quesito non è di poco conto: quando per più giorni le pagine dei quotidiani sono piene di servizi sulla devastazione del Liceo Socrate di Roma, che – è dato per sicuro – ha per causale la meritoria campagna antiomofobica sviluppata nei mesi passati nelle sue aule, e poi si scopre che i danni sono stati provocati per vendetta contro la scuola da quattro alunni bocciati, si è o non si è di fronte al tentativo di utilizzare tutto per dare un fondamento di necessità alla nuova legge? È un esempio fra i tanti che si potrebbero portare… Il dato certo è che non esistono dati certi, e nonostante questo ci si dà tempi da alta velocità per giungere alla méta.

Domanda n. 2. L’assenza di rilevazioni obiettive e il rifiuto di conoscere la realtà sulla quale si pretende di legiferare impediscono di capire se episodi di violenza, che ci sono e preoccupano tutti, siano da ascrivere effettivamente a un sentire omofobico ovvero a un abbassamento generalizzato del rispetto verso l’altro: che si manifesta con fatti di bullismo con i quali l’orientamento sessuale non c’entra nulla; che colpiscono in genere i più deboli e i più indifesi; che spesso impressionano per l’assoluta inutilità e gratuità della violenza. Ma questo pare non interessare… Perché?

Domanda n.3. Perché si vuole intervenire sul terreno delle modifiche legislative e non si immagina di muoversi sul terreno dell’azione di governo? Una delle caratteristiche del sistema sicurezza è di adattare le priorità operative all’intensità e alla estensione della minaccia all’integrità delle persone e alla sicurezza generale. Immaginiamo per un momento, pur in assenza di dati obiettivi, che l’emergenza ci sia. Ci si è chiesti se la si può affrontare con successo con le norme che già ci sono, e che puniscono ingiurie, diffamazioni, percosse, lesioni… e aggravano la sanzione quando viene colpito chi è debole e indifeso? Anche qui il quesito non è da lasciar cadere; in Italia vi è una buona ed efficace legislazione sullo stalking, il cui limite è di non essere applicata dappertutto e con la medesima determinazione. Quando una donna – è accaduto a Palermo – denuncia per sei volte atti di crescente stalking e, pur dovendo a questo seguire risposta concreta, non accade nulla, e poi la donna viene uccisa, dipende dalle leggi o da chi non le applica?

Domanda n. 4. Se i quesiti precedenti hanno un senso, perché non si prova a dare loro risposta, e invece si prosegue come treni sulla strada dell’innovazione legislativa? Non è che si assiste a un transfert in Italia del “canone Hollande”? Per “canone Hollande” si intende l’imposizione da parte della Sinistra di norme fortemente contrarie al senso di realtà – in Francia, il matrimonio gay – per mostrare che, in un contesto di crisi economica che non si riesce a risolvere e di sviluppo ancora incerto – almeno su un terreno la Sinistra riesce a mostrarsi tale. E – ciò vale per l’Italia – riesce pure a ricompattarsi, nonostante lo schieramento uscito dalle elezioni si sia diviso in due, il Pd in maggioranza e Sel all’opposizione.

Domanda n. 5. Se la chiave di lettura è (anche) quella di una esigenza politica della Sinistra verso una parte del proprio elettorato, perché altre forze politiche vengono in soccorso, mostrandosi pronte ad appoggiare norme così palesemente liberticide, il cui effetto sarà nell’immediato la possibilità di incriminare chi oserà criticare le modalità di svolgimento di un gay pride, e a medio termine l’introduzione anche in Italia del matrimonio e dell’adozione gay? O siamo così ingenui da non pensare che oggi si vieta come discriminatoria ogni riflessione non in linea con l’ideologia del gender e domani si eliminerà, sempre in tempi rapidi, l’odiosa discriminazione che non permette il matrimonio fra persone dello stesso sesso o che non consente a costoro di adottare un bambino? E se non c’è il soccorso “azzurro” – che invece è evidente – alla legge-omofobia, perché mai si lasciano a discutere e a sostenere tesi “laiche” ragionevoli e giuridicamente fondate soltanto i tre-quattro deputati che avanzano riserve sul punto, dall’on. Pagano all’on. Roccella, fino all’on. Binetti? Agli altri, pur non in linea con l’ideologia, non interessa difendere la libertà loro e degli italiani?