martedì 31 dicembre 2013

Buon anno!

Auguri di cuore a tutti voi che avete la pazienza di seguirmi sempre.

lunedì 30 dicembre 2013

Il bravo clandestino

L'eroe delle "bocche cucite" arrestato per danneggiamenti. Un palestinese clandestino, rilasciato qualche giorno fa dal Cie di Ponte Galeria, sorpreso ubriaco mentre prendeva a calci alcune motociclette e bidoni dei rifiuti di Chiara Sarra

Per protestare contro le condizioni del Cie di Ponte Galeria a Roma non aveva esitato a cucirsi la bocca con del fil di ferro. Ma ora un 31enne palestinese, protagonista dell'azione dimostrativa, è stato arrestato per danneggiamenti. Il clandestino, con precedenti, era stato rilasciato dal Centro per l'identificazione ed espulsione poco dopo Natale, ma è stato sorpreso oggi dai carabinieri mentre, ubriaco, prendeva a calci alcune moto in viale Guglielmo Marconi. All'arrivo dei militari, si è scagliato contro di loro ed è stato fermato. Sono almeno 14 le motociclette danneggiate dal palestinese che ha anche rovesciato 16 bidoni dei rifiuti. Ora è stato portato in caserma ed è in attesa del processo per direttissima.

Io e micio

Saluti da noi due...

Barzelletta: le tasse calano...


Scemo e più scemo

Il premier Enrico Letta passa oltre. E finge di non vedere il pantano in cui è andato a invischiarsi il governo. Non c'è solo l'opposizione a dargli filo da torcere. Anche il Pd, con il neo segretario Matteo Renzi, non molla il pressing su Palazzo Chgi. Eppure, a dispetto di quello che le associazioni di categoria stanno denunciando da giorni, il capo del governo ha lanciato su Twitter un messaggio marcatamente ottimista: "Nel 2013 le tasse sulle famiglie son scese e la tendenza continuerà anche nel 2014. Notizia di oggi importante perché si consolidi trend fiducia". L'esecutivo perde terreno. Non solo gli italiani hanno smesso di avere fiducia in Letta, ma nemmeno in parlamento la squadra governativa sembra avere il timone saldo. Letta se ne rende conto. E sa fin troppo bene che il nodo resta la definizione del contratto di coalizione ed i suoi tempi, il "cronoprogramma". La questione vera, insomma, resta quella sulle cose da fare e su queste, allora, si discuta. Anzi, sarà questo il tema su cui tutta la maggioranza si dovrà confrontare con il governo subito dopo la pausa natalizia. I contatti sono già avviati. I temi sono quelli indicati dal presidente del Consiglio in occasione del dibattito sulla fiducia e nella conferenza stampa di fine anno. E quindi, in primis, riforma elettorale e piano sul lavoro. La prima da risolvere in parlamento, la seconda dall’esecutivo. Tuttavia l'intervista di fuoco rilasciata oggi da Renzi alla Stampa non ha fatto altro che far precipitare la situazione. Così, per nascondere le scintille di casa piddì, il premier impugna lo studio pubblicato ieri dalla Cgia di Mestre e si erge a paladino della lotta alle tasse. Anche il vicepremier Angelino Alfano va in giro a sbandierare "l’inversione di tendenza rispetto alla crescita delle tasse" parlando addirittura di "risparmio considerevole". Sulla stessa linea anche il presidente del Nuovo centrodestra Maurizio Sacconi che si sbraccia a lodare "l’efficacia della politica di governo".

Checché ne dicano premier e vicepremier, le tasse non sono state affatto abbassate. Come fa notare il presidente della commissione Finanze della Camera Daniele Capezzone, è vero che, grazie all'azione di Silvio Berlusconi, l’Imu sulla prima casa è sì stata tolta nel 2013 (anche se non tutta e non a tutti a causa della propensione del governo "ai pasticci e all’imbroglio politico"), ma è altrettanto vero che "quell’odiosa tassa torna pari pari nel 2014 sotto falso nome, attraverso la componente Tasi", e includerà anche le prime case. Se, quindi, nel 2013 gli italiani hanno potuto godere dell'abolizione dell'Imu (voluta da Berlusconi) e all’incremento delle detrazioni Irpef per i figli a carico (misura prevista dalla legge di stabilità dell’anno precedente), nel 2014 già si prevedono lacrime e sangue. Come spiega il presidente dei deputati di Forza Italia Renato Brunetta, l'anno prossimo la pressione fiscale aumenterà almeno di mezzo punto, "a meno che non si cambi decisamente politica economica e con la politica economica si cambi anche il governo". Insomma, la stangata è dietro l'angolo. "Gli italiani - assicura Capezzone - se ne ricorderanno e giudicheranno questo governicchio anche per questo". Le quotazioni di Letta e compagni non sono mai state tanto basse. "Finish. Renzi con l’intervista della Stampa manda a casa Letta e Alfano, sempre che abbiano un minimo di orgoglio", tuona il gruppo di Forza Italia della Camera. Capito che il duo Letta-Alfano è perdente, il sindaco di Firenze ha deciso di lasciarli al proprio destino per non pagare il prezzo di una parentela dannosa. "Renzi se li vuole mangiare, per ora gioca come un gatto con il topo", spiegano i deputati azzurri che, nel Mattinale di oggi, tornano a invocare un governo di scopo che riformi la legge elettorale maggioritaria e affronti la tragedia del lavoro.

domenica 29 dicembre 2013

Accogliamo l'africa... ma in vaticano

Il Papa: "Anche Gesù fu un profugo, dovere accogliere i migranti". Bergoglio: "Migranti e profughi sono vittime del rifiuto e dello sfruttamento, della tratta delle persone e del lavoro schiavo" di Sergio Rame

Guardando alla Santa Famiglia di Nazareth "nel momento in cui è costretta a farsi profuga", papa Francesco ha invitato i fedeli a pensare al "dramma di quei migranti e rifugiati che sono vittime del rifiuto e dello sfruttamento, della tratta delle persone e del lavoro schiavo". All’Angelus di oggi il Santo Padre ha definito "legittime" le loro aspettative degli immigrati, anche quando "si scontrano con situazioni complesse e difficoltà che sembrano a volte insuperabili". "In terre lontane, anche quando trovano lavoro, non sempre - ha denunciato il Pontefice - i profughi e gli immigrati incontrano accoglienza vera, rispetto, apprezzamento dei valori di cui sono portatori". Nell’Angelus per la festa della Santa Famiglia, davanti a una piazza San Pietro gremitissima di fedeli, Bergoglio è tornato a parlare dell'emergenza immigrazione e ha invitato i cristiani ad accogliere le migliaia di immigrati che ogni settimana sbarcano sulle nostre coste. "Sulla via dolorosa dell’esilio, in cerca di rifugio in Egitto, Giuseppe, Maria e Gesù sperimentano la condizione drammatica dei profughi, segnata da paura, incertezza, disagi", ha riaffermato il Papa paragonando il dramma dei clandestini che lasciano la propria terra alla famiglia di Gesù che ha lasciato la propria casa per sfuggire dalla persecuzione di Erode. "Purtroppo - ha detto il Pontefice durante l'Angelus - ai nostri giorni, milioni di famiglie possono riconoscersi in questa triste realtà". E, ha continuato, "quasi ogni giorno la televisione e i giornali danno notizie di profughi che fuggono dalla fame, dalla guerra, da altri pericoli gravi, alla ricerca di sicurezza e di una vita dignitosa per sè e per le proprie famiglie". Secondo papa Francesco, la fuga in Egitto a causa delle minacce di Erode mostra, appunto, che "Dio è là dove l’uomo è in pericolo, là dove l’uomo soffre, là dove scappa, dove sperimenta il rifiuto e l’abbandono; ma è anche là dove l’uomo sogna, spera di tornare in patria nella libertà, progetta e sceglie per la vita e la dignità sua e dei suoi familiari".

sabato 28 dicembre 2013

Nel frattempo...

... noi, oggi pomeriggio, ci siamo guardati il concerto di Sting

Infondo, paga pantalone, no?

Mps, la Fondazione si salva e la banca torna un problema dello Stato

Il Monte dei Paschi di Siena rischia di tornare presto un problema pubblico. E’ questa la principale conseguenza della delibera degli azionisti della banca senese che hanno bocciato la proposta del cda presieduto da Alessandro Profumo di varare a gennaio l’aumento di capitale da 3 miliardi di euro necessario per la restituzione allo Stato dei cosiddetti Monti bond come convenuto con la Commissione europea a settembre. Ha votato contro il 69,06% del capitale presente in assemblea, cioè il 49,3% dei soci di Rocca Salimbeni. Quindi, come previsto, la bocciatura della proposta di Profumo e del direttore generale Fabrizio Viola è stata portata avanti con il voto quasi esclusivo della Fondazione Mps cui fa capo il 33,5% della banca toscana. Forte della sua rappresentatività, l’ente è poi riuscito a far passare la sua proposta di procedere alla ricapitalizzazione soltanto nel mese di giugno: ha votato a favore l’82,04% del capitale presente in assemblea, mentre hanno votato contro o si sono astenuti complessivamente azionisti che detengono poco più del 2% della banca e non ha partecipato alla votazione il 15,67% del capitale. Una scelta che senz’altro concede più fiato alla fondazione guidata da Antonella Mansi e gravata da 339 milioni di debiti accumulati negli anni scorsi con una dozzina di banche nel tentativo di mantenere il controllo del Montepaschi. La ricapitalizzazione immediata, infatti, avrebbe tagliato la strada all’ente che sta trattando a 360 gradi una soluzione per la sua sussistenza, riducendo drasticamente il valore del suo unico asset, il Monte appunto.

Altrettanto non si può dire per Mps e per lo Stato italiano. Per la banca il rinvio dell’aumento di capitale e, quindi, della restituzione dei Monti bond, l’aiuto di Stato ottenuto dopo mille tortuosità dal governo dell’ex rettore della Bocconi e convalidato dal successore Enrico Letta, significa 120 milioni di euro di dividendi da staccare in più al Tesoro che lo scorso anno ha integralmente sottoscritto le obbligazioni. Per Saccomanni, però, l’incasso delle cedole è un misero antipasto in confronto alla prospettiva che offriva la tempistica prevista da Profumo e Viola, cioè la restituzione integrale dei 3,3 miliardi di aiuti di Stato entro febbraio. E ancora peggio potrebbe andare se le fosche previsioni di Profumo, le cui dimissioni sono date per scontate con tanto di lista dei potenziali successori, dovessero rivelarsi esatte. Secondo l’ex numero uno di Unicredit, a suo tempo messo in un angolo dalle fondazioni azioniste della banca milanese sempre per un problema di controllo, un rinvio della ricapitalizzazione significa renderla impossibile. La conseguenza? L’ingresso dello Stato, via conversione del debito in titoli, in un Monte dei Paschi che vale sempre meno. E, in contemporanea, lo sfumare definitivo della restituzione degli aiuti di Stato.

“Entriamo in un campo di incertezza, perchè non sappiamo che cosa succede da qui al prossimo maggio”, aveva detto il banchiere in assemblea a proposito del rinvio della ricapitalizzazione. “Oggi abbiamo la certezza che si possa realizzare l’aumento di capitale, domani si entra nell’incertezza: oggi c’è un consorzio di garanzia che garantisce la riuscita dell’aumento, domani andrebbe ricreato il consorzio ma non sappiamo se sarà possibile e a che condizioni. Oggi le condizioni sono favorevoli per noi. La volatilità dei mercati è ancora rilevante e non sappiamo che cosa succederà da qui a maggio”, aveva aggiunto. Per poi ricordare come l’aumento di capitale a gennaio avrebbe risolto anche il tema del pagamento degli interessi sui Monti bond e, quindi, invitare a tenere presente anche il quadro politico: “La situazione politica in Italia è sempre piuttosto instabile e certo non ci auguriamo che possa accadere nulla di particolare. Certamente non sappiamo cosa accadrà da qui a maggio quanto ci saranno anche le elezioni europee”.

“Da dove arrivino i 3 miliardi mi interessa poco: se la banca è ben gestita e arrivano i 3 miliardi resta a Siena, altrimenti sparisce”, aveva poi detto il banchiere rispondendo alle preoccupazioni del sindaco di Siena, Bruno Valentini, sull’arrivo di capitali stranieri.”Non c’è nessun Palio, se non con i contribuenti italiani”, ha quindi rimarcato senza sbilanciarsi sul tema delle sue dimissioni. ”Queste sono decisioni che si assumono a sangue freddo e nei luoghi deputati. Non ho nessuna anticipazione da fare agli azionisti”, ha detto ricordando che per gennaio è in calendario una riunione del consiglio di amministrazione della banca. Del resto queste cose sono solitamente oggetto di delicate trattative, come Profumo sa bene per averlo vissuto in prima persona nel settembre del 2010 quando ha lasciato Unicredit dopo una giornata di trattative costellata di annunci e smentite e con in tasca una liquidazione da oltre 40 milioni di euro.

“Abbiamo messo la banca in sicurezza sotto profilo della liquidità e se ci fosse stato l’aumento di capitale a gennaio l’avremmo messa in sicurezza anche sul piano patrimoniale”, ha invece commentato Viola al termine dell’assemblea. “Oggi dobbiamo prendere atto che una parte del piano di ristrutturazione è stata rinviato. Il nostro percorso va comunque dritto al risanamento della banca”, ha aggiunto. Nel corso dell’assise l’amministratore delegato aveva precisato che il consorzio di banche che aveva garantito l’aumento di capitale a gennaio 2014 “si è mosso secondo la prassi del mercato”. C’è stata “una due diligence (l’analisi dello stato di salute di un’azienda, ndr) che ha valutato positivamente la situazione dell’istituto e anche le condizioni di mercato”. Il consorzio di garanzia, inoltre, ha ricevuto “le assicurazioni necessarie da investitori istituzionali” per il raggiungimento dell’obiettivo dell’aumento di capitale.

Lo stesso Viola aveva poi detto ai soci di non essere “soddisfatto dei risultati di questi ultimi due anni nelle trimestrali, ma questi risultati vanno indubbiamente inquadrati” in quella che era la situazione di Banca Mps ereditata dalla passata gestione di Giuseppe Mussari ed Antonio Vigni. “Il punto di partenza che abbiamo trovato all’inizio del 2012 era caratterizzato da alcuni problemi, a partire dalla carenza di capitale”, aveva osservato ricordando che nell’ottobre 2011 Banca Mps è “rimasta in piedi come soggetto funzionante grazie all’intervento straordinario della Banca d’Italia che ha dato liquidità alla banca”. Tra i “problemi strutturali” che l’istituto sconta ancora dalla passata gestione c’è “un’eccessiva esposizione su attività finanziarie che non rendevano, o rendevano pochissimo oppure in alcuni casi costavano”, come le operazioni sui derivati Santorini e Alexandria, oltre a una struttura del portafoglio crediti “con circa il 60% di mutui o finanziamenti a medio lungo termine”. “Non ho la sfera di cristallo e mi auguro che non ci sia nessuna conseguenza. Sono però convinta che oggi sia stata chiarita definitivamente quella che era l’incertezza sull’aumento di capitale che noi abbiamo sempre appoggiato”, ha invece commentato il presidente della fondazione Mps sostenendo che “da noi non c’è stata nessuna sfiducia nei confronti dei vertici della banca”.

La nuova giovane classe dirigente...

Record: sono 207. Un prefetto per Provincia, anzi due. Dal governo un’altra ondata di nomine. I superburocrati superano quota duecento. Molti i neopromossi senza incarico. Negli stessi giorni ridotto di un anno il periodo di specializzazione dei giovani medici

La Lega Nord torna a urlare contro i prefetti che Umberto Bossi bollò come «brutti figuri» e «viceré romani»? Il governo di Enrico Letta ne nomina ancora di più. Portandoli al record storico: 207. Il doppio delle prefetture. Una scelta, diciamo così, eccentrica. Tanto più nei giorni in cui, con lo svuotamento delle competenze, viene data ormai per fatta l’abolizione (auguri) delle Province. Dell’incremento abnorme di questa figura di altissimi dirigenti governativi introdotta per la prima volta sul territorio italiano nel 1802 con un decreto napoleonico, in realtà, pare essersi accorta non «La Padania» ma «La nuova bussola», un giornale online diretto da Riccardo Cascioli e fondato da giornalisti cattolici per «offrire una prospettiva cattolica nel giudicare i fatti». «Meno medici e più prefetti. È quello che, se vi è una logica nei provvedimenti adottati negli ultimi giorni, appare oggi necessario all’Italia secondo il governo Letta», accusa il quotidiano web. E spiega che, mentre decideva di aumentare quelle figure all’apice degli affari interni, l’esecutivo introduceva nella legge di Stabilità «una norma che riduce di un anno la durata delle specializzazioni per i medici».

C’è un senso in quella scelta?, chiede il giornale. No, risponde: «L’unico motivo è dettato dalla cassa. Anche a costo di praticare una tripla ingiustizia: verso la professionalità degli specializzandi, cui si sottrae il 25% del percorso di approfondimento; verso i pazienti ricoverati negli ospedali che sono al tempo stesso cliniche universitarie, e che si vedono sottrarre un quarto dell’assistenza dei giovani medici; verso questi ultimi, ai quali all’inizio si è assicurato un quadriennio e in corso d’opera, con danno economico, si sottrae un anno». Lo stipendio netto di uno specializzando è di circa 21 mila euro l’anno. I giovani medici coinvolti, fra i 26 e i 30 anni, dovrebbero essere diecimila. Vale la pena di rinunciare a loro? Mah... contemporaneamente, come dicevamo, si allargava la burocrazia prefettizia. «Andiamo per ordine: da Sondrio a Ragusa, le prefetture sono 105. Per l’esattezza, 103, più Trento e Bolzano: che, in quanto province autonome, chiamano i prefetti Commissari di governo. Quanti erano i prefetti in Italia fino a una settimana fa? ben 185, 80 in più rispetto alle prefetture esistenti. Mettiamo pure che per guidare i dipartimenti e qualche direzione generale al Viminale ce ne vogliano una ventina: si arriva a 125, con un surplus di 60». Insomma, attacca il quotidiano cattolico online, «se si dovesse cercare un settore nel quale praticare il blocco del turn over, non si andrebbe lontano puntando su questo, invece che massacrare le forze di polizia, la cui età media sale sempre di più a causa del limitatissimo numero di nuove immissioni in servizio; sarebbe ragionevole non nominare nessun nuovo prefetto fino a quando non si andasse in pari rispetto alle reali necessità».

Al contrario «il Consiglio dei ministri di mercoledì 17 ha nominato altri 22 prefetti, arrivando al totale di 207, praticamente il doppio delle prefetture. Proprio perché non ci sono funzioni in questo momento disponibili per tutti e 207, gran parte dei neopromossi sono senza incarico. Senza incarico, ma con lo stipendio di prefetto, che è sensibilmente superiore a quello di viceprefetto: e questo comporta un esborso per le casse dello Stato, nell’immediato, e «a regime» per gli anni successivi. La logica di questa decisione? Mero arroccamento burocratico: in vista di futuri tagli al numero complessivo dei prefetti, meglio allargarsi, finché i ministri di oggi si prestano ad assecondare un passo del genere, suggerito dal ceto prefettizio. In tal modo, se mai domani dovesse arrivare qualche sforbiciata, sarebbe sempre sul di più già ottenuto».

Scherzando, chiude il servizio firmato da Vincenzo Luna, «si potrebbe concludere che per il governo in carica un prefetto senza funzioni vale più di un giovane medico in un pronto soccorso. (...) Come regalo di Natale, c’è solo da ringraziare». Anzi, accusa Giovanni Aliquò, sindacalista storico delle forze dell’ordine e per dodici anni bellicoso presidente dell’Associazione nazionale funzionari di polizia, «potrebbero essere perfino più di 207: io ne ho contati 18, al Viminale, nei soli ranghi del Dipartimento per la pubblica sicurezza».
 
Per carità, saranno tutti assolutamente indispensabili. Ma certo è curioso che lo sfondamento di «quota 200» arrivi nei giorni in cui Matteo Salvini torna a dichiarare guerra ai prefetti, contro i quali 15 anni fa Umberto Bossi e Roberto Maroni (il quale come ministro degli Interni non avrebbe poi usato affatto la forbice e men che meno l’accetta) arrivarono a minacciare un referendum invitando i segretari provinciali a mandare lettere in dialetto agli emissari governativi ostili alle esagerazioni nella toponomastica lumbard: «Sciur prefet, se a lu ghe va minga ben che numm ciamem i noster paes cun ul noster dialet, el po’ turna’ a ca’ sua». Traduzione: signor prefetto, se a lei non sta bene che chiamiamo i nostri paesi con il nome in dialetto, può tornare a casa sua. Ma ancora più curioso, come dicevamo, è che l’infornata arrivi insieme con l’accelerazione sulla chiusura delle province, alle quali i prefetti erano indissolubilmente legati. Prova provata che vale sempre l’antico adagio: i ministri passano, i burocrati restano.

venerdì 27 dicembre 2013

Salva-Letta

Il Salva Roma è un salva Letta Ecco perché è slittato il decreto. Inserire nel "mille proroghe" il provvedimento per la Capitale consente di congelare i rischi di una finestra elettorale prima del voto europeo. E così le riforme slittano... di Fabrizio Ravoni

Roma - Non avviene tutti i giorni che un governo ritiri un proprio decreto, votato da un ramo del Parlamento il giorno prima del ritiro e per di più con il voto di fiducia. È successo per il provvedimento cosiddetto «Salva Roma», che oggi verrà recuperato in buona parte nel tradizionale decreto «mille proroghe». E l'assemblaggio del testo che andrà all'esame del consiglio dei ministri è a cura della presidenza del Consiglio, e non del ministero dell'Economia. Particolare, quest'ultimo, non secondario. Il nuovo provvedimento dovrà essere convertito entro il 27 febbraio prossimo: ad appena un mese dal tempo ultimo per sciogliere le Camere per abbinare le elezioni politiche a quelle europee, previste per il fine maggio. Ne consegue che il risultato finale sarà il sostanziale prolungamento di quasi due mesi della «sessione di Bilancio»; periodo dell'anno che dovrebbe finire con il 31 dicembre. Ma che quest'anno - proprio per il varo di un decreto «mille proroghe» particolarmente pesante - si allungherà fino alla conversione in legge del nuovo provvedimento. Questa sovrapposizione temporale di appuntamenti legislativi di politica economica rischia di far passare in secondo piano la scaletta che Matteo Renzi vuole imporre al governo. In altre parole, se il Parlamento sarà impegnato con il decreto «mille proroghe» (gonfiato dal «Salva Roma») non potrà approfondire temi come la riforma della legge elettorale o del mercato del lavoro, cari al segretario del Pd. La sensazione che si raccoglie dalle parti del sindaco di Firenze è che Palazzo Chigi stia tentando di stendere una tela di ragno per avviluppare gli slanci riformatori degli uomini di Renzi. E il tempismo della scelta del governo di ritirare un decreto sul quale aveva preso la fiducia e farlo confluire in un altro che allungherà la «sessione di Bilancio» sembrano tessere dello stesso mosaico: quello di chiudere ogni possibile finestra elettorale, prima del voto europeo; a cui farà seguito il semestre di presidenza europea. Vista la situazione, è assai probabile che escano sempre più allo scoperto le richieste renziane di un rimpasto di governo, quale contromossa per evitare di finire nella tela di ragno. E, secondo alcuni, la scelta di portare a Palazzo Chigi il testo del «mille proroghe» è proprio un tentativo di Enrico Letta di mettere Fabrizio Saccomanni al riparo degli strali che gli uomini del sindaco di Firenze sono pronti a lanciare contro il ministero dell'Economia. Ma lo stesso Letta è ogni giorno più consapevole sull'opportunità di mettere mano alla squadra di governo. Durante la conferenza stampa di fine anno l'ha difesa. E non poteva essere altrimenti. Ma non potrà continuare a farlo a lungo. Soprattutto dopo che il pasticciaccio del decreto ritirato verrà interpretato dal gruppo dirigente del Pd come un tentativo di frenare lo sprint di Renzi.

Chi ci guadagna troppo...

Guadagnare con i centri d’accoglienza. Lampedusa e Mineo: stessi gestori. Ad amministrare il Cara in provincia di Catania è un raggruppamento temporaneo di imprese vicine a Legacoop, Comunione e Liberazione, ed esponenti vicini al Nuovo centrodestra. Il consorzio Sisifo, oltre ad essere finito nella bufera dopo la diffusione del video shock della disinfestazione trasmesso dal Tg2, ha appena vinto anche l'appalto per Cara di Foggia e amministra anche il Cspa di Cagliari di Giuseppe Pipitone

Ha annunciato in pompa magna che a Lampedusa verrà mandata la Croce Rossa. Ma mentre Angelino Alfano era intento a spiegare che il consorzio Sisifo verrà esautorato dalla gestione del centro di accoglienza lampedusano (controllato tramite la cooperativa Lampedusa Accoglienza), pochi chilometri più a nord si consumava l’ennesimo delitto senza carnefici: Mulue aveva 21 anni, era eritreo e da maggio attendeva nel Cara di Mineo di ricevere lo status di rifugiato politico. Status che non arriverà mai perché pochi giorni fa Mulue ha deciso di togliersi la vita. Un suicidio anonimo, senza telecamere e titoli sui giornali. Perché se a Lampedusa il video dei migranti disinfettati con l’idrante ha gettato nella bufera i gestori del centro di accoglienza, a Mineo le cose procedono invece senza troppo clamore, malgrado i gestori siano gli stessi. È un centro importante quello di Mineo, forse tra i più grandi d’Europa: è nato in poche ore il 18 marzo del 2011 quando durante le rivolte in nord Africa venne dichiarato lo stato d’emergenza dal governo Berlusconi. Ed è in questo lembo di terra in provincia di Catania, settantamila ettari tra alberi di arance e limoni, che il Ministero pensò bene di allestire il centro per richiedenti asilo. C’erano già 403 appartamenti costruiti quattordici anni prima dalla Pizzarotti e Co. di Parma per essere affittati alle famiglie dei militari statunitensi, di stanza nella vicina Sigonella. Solo che nel 2010 i militari americano decidono di lasciare le villette di Mineo. Poco male, perché poco dopo arriva il Ministero a salvare la Pizzarotti con un indennizzo da sei milioni di euro all’anno: in quel complesso nasce quindi il centro per richiedenti asilo più grande d’Europa.

Ad amministrare il centro in provincia di Catania, c’è un raggruppamento temporaneo di imprese guidato dalla stessa Sisifo, che oltre ad essere finita nella bufera per la gestione del centro di Lampedusa, ha appena vinto anche l’appalto per Cara di Foggia e amministra il Cspa (Centro di soccorso e prima accoglienza) di Cagliari. È un raggruppamento bipartisan quello che ha in mano il Cara di Mineo: oltre a Sisifo, che aderisce alla Legacoop, c’è anche la Cascina Social Service, che si occupa di fornire i pasti ai migranti ed è legatissima a Comunione e Liberazione. Oltre a cattolici e Legacoop, però, hanno trovato rappresentanza nella gestione del Cara di Mineo anche ambienti di centrodestra: fino all’anno scorso il responsabile del centro era il presidente della provincia di Catania Giuseppe Castiglione, poi eletto deputato nelle fila del Pdl, e oggi luogotenente di Alfano e del Nuovo centrodestra in Sicilia. L’ombra del ministro dell’Interno nella gestione del Cara Mineo si allunga però fino a oggi, dato che dopo il commissariamento delle province siciliane, l’ente attuatore del Cara è diventato il consorzio Calatino Terra di Accoglienza che raggruppa i comuni della zona. La poltrona di presidente del consorzio però non ha cambiato proprietario: in sella è rimasto fino a pochi mesi fa Castiglione, oggi sottosegretario all’Agricoltura del Nuovo Centrocestra. A sostituirlo un altro militante del nuovo partito di Alfano, Anna Aloisi, neo eletta sindaco di Mineo e segnalata più volte nei pressi del Centro d’accoglienza (con cui collaborava da avvocato) in campagna elettorale.

Al Cara di Mineo lavorano infatti più di 250 persone: numeri importanti in tempi di elezioni amministrative in un comune che conta cinquemila abitanti. Ma non solo: sono circa quattromila gli ospiti registrati mediamente ogni giorno nel Cara siciliano. Dovrebbero soggiornare poche settimane in attesa di ricevere asilo politico: così non è, dato che le lungaggini burocratiche protraggono la permanenza dei richiedenti nel centro. E di riflesso si allunga anche il contributo che lo Stato elargisce ai gestori di Mineo: 36 euro quotidiane per ogni migrante, per un totale di 144mila euro al giorno, e più di 40 milioni ogni anno. Un vero e proprio affare, con entrate fisse e sicure, che fa del Cara in provincia di Catania l’azienda principale della zona, tra le più ricche dell’intera Sicilia, dove un bilancio a sette zeri è una vera rarità.

mercoledì 25 dicembre 2013

Auguri!

E, come ogni anno, ogni Natale che si rispetti, richiede gli auguri. Dunque, auguri di cuore a voi che ci siete costantemente.

lunedì 23 dicembre 2013

Servono commenti?

... solo 16mila indagati a fronte di 45/50mila arrivi clandestini. E poveri 'sti magistrati che devono applicare la legge, eh!

Lampedusa, indagati 16 mila immigrati. I magistrati: «Siamo obbligati dalla legge». Il procuratore di Agrigento: «Fino a quando non sarà cambiata la legge non possiamo fare altrimenti»

In un anno la procura di Agrigento ha iscritto sul registro degli indagati almeno 16 mila migranti sbarcati a Lampedusa o sulle coste della provincia per il reato di clandestistina previsto dalla legge Bossi-Fini. Il dato è stato reso noto dal procuratore della Repubblica Renato Di Natale e dal procuratore aggiunto Ignazio Fonzo nella conferenza stampa di fine anno. Si tratta di un “atto dovuto” in applicazione della legge Bossi-Fini ma ogni volto crea sconcerto.

OBBLIGATI DALLA LEGGE - «Checché ne dica il premier Enrico Letta -ha affermato Di Natale in conferenza stampa- noi siamo obbligati dalla legge a iscrivere sul registro degli indagati i migranti. E fino a quando la legge non verrà modificata non potremo fare altro». Peraltro la procura di Agrigento, la più esposta in materia di immigrazione clandestina, lamenta anche un carenza di organico per via della presenza di soli sette sostituti anziché tredici.

Certo, come no...



"Fra un anno tutte le riforme saranno compiute". "L'Italia ce la farà perché abbiamo dietro le spalle la parte più complessa di questa crisi". E ancora: "L'anno prossimo questa nuova generazione darà una svolta all'Italia". Nella conferenza stampa di fine anno, il premier Enrico Letta fa il bilancio dei primi otto mesi di governo allineando una sequela di buone intenzioni e candidi auspici per un 2014 di prosperità e gioia. Nasconde ad arte il peso della pressione fiscale, che il suo governo ha contribuito ad aumentare, e sorvola sulla crescita economica, che a lungo ha promesso ma che il Belpaese non ha ancora toccato con mano. Dalla legge elettorale alla giustizia, dal mercato del lavoro alla delega fiscale è solo un lungo elenco di desiderata per l'anno nuovo. Intanto, però, la ripresa non è ancora iniziata. E finora gli italiani hanno visto solo tasse.

"L'Italia è come un incidentato che ha avuto un incidente pesante e duro, poi è stato portato al pronto soccorso e in sala operatoria - spiega Letta - abbiamo lasciato pronto soccorso e sala operatorie e siamo alla fisioterapia". Non una parola sul vortice di tasse introdotte da una legge di Stabilità che difende unicamente gli sprechi di Palazzo e tutela i soliti. Non una parola sui principali indicatori economici che tragicamente descrivono un'Italia in affanno dove gli imprenditori non riescono a pagare le tredicesime a propri lavoratori e le aziende chiudono i battenti perché stritolate dalla pressione fiscale e dalla burocrazia statale. Non una parola su un governo inconsistente che, di fiducia in fiducia, deve sperare che l'azionista di maggioranza Matteo Renzi non decida di staccare la spina. Letta augura agli italiani un buon Natale e un felice anno nuovo blindando la squadra di governo e sciorinando obiettivi mai raggiunti e promesse che mai manterrà. "Alla conferenza stampa di fine anno 2014 sono convinto che commenteremo dati economici diversi e migliori e commenteremo riforme istituzionali compiute, a partire dalla riforma elettorale", promette Letta assicurando che, già nel 2013, è avvenuta "una svolta generazionale senza precedenti nella storia della Repubblica italiana".

In realtà, della "svolta" millantata non v'è alcuna traccia. Tanto che il discorso del premier è tutto al futuro. A partire dal mercato del lavoro che, ancora oggi, conta cifre da capogiro sul tasso di disoccupazione e che paga un'eccessiva tassazione. Da qui l'impegno, già annunciato in passato ma mai realizzato, di tagliare le tasse (a partire ad quelle sul lavoro) con i proventi che deriveranno dalla spending review e dal rientro dei capitali illegalmente esportati all’estero. "A gennaio inizieremo una discussione - assicura - perché vogliamo creare occupazione buona, ma non occupazione senza diritti". Sulle tasse, però, Letta non la racconta giusta. Da una parte loda i benefici del taglio del cuneo fiscale, dall'altra assicura di aver abbassato la pressione fiscale a partire dall'abolizione dell'Imu sulla prima abitazione. In realtà, non solo la legge di Stabilità ha introdotto nuovi balzelli, ma l'imposta sulla casa (che nel 2013 non stata del tutto abolita) è destinata a tornare nel 2014 sotto il nome di Tasi.

Per quanto riguarda le riforme, a partire da quelle costituzionali, Letta si dice "ottimista". A sentirlo parlare sembra che per il 2014 si prepari a fare un'imponente infornata. Sulla giustizia rimanda alle Camere la competenza su indulto e amnistia, ma spinge all'approvazione di norme sulla custodia cautelare. Tuttavia, ci tiene a sottolineare che l’Italia non ha bisogno di "una mega riforma della giustizia", ma solo di alcuni "tasselli". Tra questi anche un'inversione di rotta nella legislatura che regola l'immigrazione. Sul tavolo di Palazzo Chigi ci sarebbero anche la revisione della Bossi-Fini e la riforma dello ius soli. Due punti che potrebbero incrinare maggioramente i rapporti tra le forze politiche che siedono in parlamento. Proprio per questo Letta ha invitato Renzi ad andare avanti a dialogare con Berlusconi: "Le riforme devono essere fatte con una apertura vera fuori dalla maggioranza".

Sulla banca d'italia

Bd'I, Banda d'Incapaci di Davide Giacalone

Bd’I è l’acronimo di Banca d’Italia, ma si può anche supporre che significhi: Banda d’Incapaci. Un’operazione nata malissimo, che il ministro dell’economia ha battezzato in modo scorretto e demenziale (public company), si sta trasformando in una trappola senza uscita. Dando un vantaggio alla banca centrale tedesca, seguendo i cui dettami finiremo strangolati e pronti a svendere banche, assicurazioni e patrimonio. Non ne racconto nuovamente gli inquietanti particolari, perché già tre volte forniti ai nostri lettori. I quali, del resto, sono pressoché gli unici a saperne qualche cosa, dato che altrove vige il silenzio. La sostanza è che si fa finta che un patrimonio pubblico (Bankitalia) sia privato, nella disponibilità delle banche (allora pubbliche) cui, nel 1936, furono intestate le quote. Da qui si parte per la rivalutazione (necessaria e giusta) al fine d’ottenere due risultati: a. ripatrimonializzare quelle banche (cioè mettere soldi pubblici al posto dei soldi privati, ma lasciandole nelle mani dei privati che non cacciano un soldo); b. far incassare al governo il dividendo fiscale (pari al 12%). Stanno correndo come pazzi, in modo da mettere tutto già nei bilanci del 2013. Ma stanno correndo contro a un muro. Ciò perché, per dare a quelle quote un valore reale, quindi iscrivibile a bilancio, è necessario che siano negoziabili. Almeno teoricamente. Per rendere credibile questa finzione si erano inventati, e avevano scritto in un decreto legge (che al Quirinale avevano firmato, perché finì il tempo dell’occhiuto controllo avverso le castronerie e la coerenza tematica), che quelle quote, rivalutate, potevano anche essere vendute all’estero. La commissione finanze del Senato, però, ha cambiato indirizzo: no, potranno essere comprate solo da soggetti italiani. E qui cascano gli asini.

E’ ovvio che avere una banca centrale posseduta da stranieri è cosa che poteva venire in mente solo a degli sconclusionati, ma aveva il senso, appunto, di dare un valore reale alle quote, se, invece, deve restare tutto italiano chi è che mette i soldi veri per darli a poche banche? Le altre banche? Come dire che alla Barilla compreranno solo pasta De Cecco, per aiutare la concorrenza. Allora ecco spuntare il Consiglio superiore di Bankitalia, che avrà il compito di stabilire chi potrà comprare, sicché, alla fine, si proporrà alla banca centrare, entro 36 mesi, di comprare essa stessa le quote di sé medesima. Quindi gli italiani faranno due regali a quelle banche (Intesa San Paolo e Unicredit): il primo donando loro un patrimonio collettivo e il secondo ricomprandolo con soldi di tutti, ma assai rivalutato. Un affarone. Già che c’erano, in commissione, hanno stabilito che gli odierni proprietari potranno trattenere solo il 3%, e non il 5, come previsto dal decreto. Traduzione: dovremo dare loro ancora più soldi. Vabbe’, ma in questo modo si salvano le banche, ripatrimonializzandole. Dite? La Bundesbank ha già chiarito che possiamo scordarcelo, facendo valere la propria posizione nel parere inviato dalla Banca centrale europea: una cosa (le quote) ha valore se negoziabile, altrimenti stiamo giocando con i soldi di Topolinia. E i soldi finti, la moneta immaginaria, non ha corso legale.

Quindi la Bd’I, la Banda d’Incapaci, ha messo su un’operazione obbrobriosa, una maxi-patrimoniale che gli italiani non avvertono come tale solo perché non entra in casa loro, finalizzata a ottenere quel che non si otterrà. Però, se le banche pagano il 12% (e sottolineo “se”), quadreranno i conti pubblici e si coprirà il buco dell’Imu. Che è come barattare un diamante da un chilo con un bicchierino di cordiale, consumato in un sorso. Si continua a perdere tempo con i trucchetti, fingendosi furbi gli allocchi, lasciando i problemi insoluti e posticipando uno schianto che non meritiamo (le banche malate, salvate anche con i soldi nostri, sono quelle tedesche). Senza che neanche se ne parli. Si conciona sul sistema elettorale, che, per carità, è pure un bel tema. A patto che la si faccia finita prima che abbiano distrutto anche la Banca d’Italia.

domenica 22 dicembre 2013

Dittatura Ue

Contro gli euroscettici persino a Strasburgo tira aria di larghe intese. Gli storici avversari Ppe e Pse pensano a un asse contro le forze anti Unione, dai grillini alla Le Pen di Fabrizio De Feo

Roma - Euroscettici (più o meno) uniti, all'assalto del Parlamento di Strasburgo. Il voto si avvicina e a meno di sei mesi dall'apertura delle urne, sondaggi, scenari e timori sulla futura composizione dell'assemblea si moltiplicano. Le elezioni del 22-25 maggio sono vissute dentro il Ppe e il Pse come una sorta di prova della verità, un rischiatutto politico in cui le due principali famiglie europee si giocano un enorme patrimonio di credibilità. Il pericolo di una slavina euroscettica è ben chiaro a tutti ma l'entità della valanga è tutto da definire.

C'è chi sostiene che si sta soffiando sul fuoco per niente e alla fine gli equilibri non cambieranno più di tanto. Ma c'è anche chi vede nell'alleanza dei populisti uno dei fattori fondamentali della prossima assemblea, con la formazione di una terza forza destinata a sconvolgere gli equilibri del nuovo Parlamento. Se il boom euroscettico dovesse davvero avvenire, anche la tradizionale e storica contrapposizione Ppe-Pse dovrebbe essere rivista. Nessuno a Strasburgo ne vuole parlare troppo perché si teme di favorire la disaffezione, trasmettendo il messaggio che sia tutto già scritto. Ma le larghe intese in salsa europea - una sorta di compromesso storico attraverso cui difendere i valori dell'Ue - rappresentano una ipotesi non solo di scuola.
Sotto la lente, nei ragionamenti dei principali partiti, non c'è solo il possibile balzo in avanti delle forze euroscettiche, da Marine Le Pen ai grillini, ma soprattutto la possibilità che queste formazioni possano unirsi, trovare un terreno di lotta comune e acquisire capacità reale di incidere oltre la semplice protesta. Nei giorni scorsi il quotidiano belga De Morgen ha parlato esplicitamente di «un accordo segreto dell'estrema destra continentale» in vista delle Europee che coinvolgerebbe i fiamminghi del Vlaams Belang, il Front National francese, il Partito della libertà olandese, i liberalnazionali austriaci del Fpö, ma anche la nostra Lega Nord.

Nel Ppe circola il timore di poter perdere una cinquantina di seggi rispetto agli attuali 265, il Pse dovrebbe mantenere i suoi (è sui 180), o forse toccare quota 200. Se questo avvenisse, ragiona qualcuno, la possibilità di dover venire a patti tra le due principali forze su un numero significativo di dossier potrebbe prendere corpo. A Strasburgo gli euroscettici e le forze contrarie al centralismo burocratico sono già riunite nel Gruppo europa della libertà e della democrazia che può contare su 32 eletti, due terzi dei quali appartengono all'Ukip di Nigel Farage e alla Lega. Il resto del gruppo è molto spezzettato tra i Veri finlandesi, il Partito del popolo danese, il Partito popolare danese o il Laos greco (partito popolare ortodosso). Con le percentuali che i sondaggi assegnano oggi agli euroscettici – oltre il 20 per cento per Le Pen e l'austriaco Strache e tra il 10 e il 15 per cento per Wilders e gli indipendentisti fiamminghi del Vlaams Belang - un gruppo che li riunisse tutti potrebbe triplicare la consistenza attuale e moltiplicare la capacità di incidere sulle decisioni.

Di certo nel campo degli euroscettici già nello scorso novembre una alleanza era stata definita: quella tra la presidente del Fn, Marine Le Pen e il capo dei populisti olandesi Geert Wilders. Un primo passo verso il raggruppamento di tutti gli euroscettici. Per costituire un gruppo all'interno del Parlamento Ue c'è bisogno di almeno 25 deputati. Il Fn conta attualmente su 3 deputati, mentre Wilders ne ha 4. Secondo alcune proiezioni i populisti-euroscettici potrebbero toccare quota 90 deputati o rompere la soglia dei 100. Se a questi si aggiungono i parlamentari di estrema sinistra si potrebbe arrivare a 160-170 o anche qualcosa di più (su un totale di 751). E c'è anche chi sogna di poter pescare qualcosa tra i Conservatori e Riformisti europei (di euroscetticismo più moderato). Insomma se la possibilità per gli euroscettici di diventare determinanti è un'ipotetica dell'irrealtà, la radicalizzazione dell'assemblea è uno scenario probabile. Così come la necessità di convergenze e alleanze di necessità tra storici avversari.

... e il chissenefrega? Che ci resti nel cie


"Barricato" a oltranza nel Centro di prima accoglienza di Lampedusa finché "non sarà ripristinata la legalità". È la protesta di Khalid Chaouki, deputato del Partito Democratico che da questa mattina si trova nel centro dell’isola siciliana per chiedere al governo Letta di "fare immediatamente qualcosa per questa situazione drammatica". Dopo che le immagini choccanti del trattamento antiscabbia hanno fatto il giro del mondo creando lo sconcerto generalizzato, l'emergenza immigrazione è tornata ad essere al centro dell'agenda politica. Sentito telefonicamente dall’Agi, Chaouki ha raccontato che all’interno del centro "ci sono 220 persone, sotto la pioggia e in condizioni disumane". "Non dovrebbero essere qui - ha denunciato l'esponente democrat - perché la legge prevede che non si possa restare all’interno del Cie per oltre 96 ore". Tra questi ci sarebbero anche sette persone, sei uomini e una donna, scampati alla tragedia dell’ottobre scorso, quando a seguito del naufragio di una imbarcazione libica, morirono 366 persone a largo dell’isola. "Non è tollerabile che perfino le persone che sono sopravvissute a quella tragedia si trovino ancora qui, si tratta di una palese violazione della legge", aggiunge il deputato piddì chiedendo al governo Letta di intervenire immediatamente per "ripristinare la legalità". "Resterò qui finchè ciò non avviene", ha assicurato Chaouki che, nelle ultime ore, si è messo in contatto con Khalid, il giovane siriano che qualche giorno fa ha girato il video choc sul trattamento anti scabbia e che, da giorni, sta facendo lo sciopero della fame e della sete. Il deputato del Pd, che ha inviato una lettera alla Stampa per annunciare la sua protesta, ha postato poco fa una foto sul suo profilo Twitter che documenta il suo arrivo al Cie.

sabato 21 dicembre 2013

Le regali terga...

Aliquote modificabili ai massimi

Letta s'arrende ai sindaci: sarà mazzata sulla casa con aliquote ai massimi. Tasi ancora più pesante: potrà salire oltre il 2,5 per mille. Mano libera ai Comuni: il governo promette 1,3 miliardi di Gian Battista Bozzo

Roma
- La nuova tassa sulla casa rischia di diventare ancora più pesante. Dopo le forti proteste dei Comuni, il governo sembra disposto a permettere l'aumento dell'aliquota massima della Tasi, che la legge di Stabilità fissa al 2,5 per mille. L'aggravio sarà inserito in un decreto da varare nei prossimi giorni, entro la fine dell'anno.

La legge di Stabilità, che ieri ha ricevuto la fiducia alla Camera, stanzia 500 milioni per i mancati introiti dei Comuni, ma - annuncia il ministro per gli Affari regionali, Graziano Delrio - si arriverà a circa 1,3 miliardi. Spetterà ai Comuni decidere se aumentare l'aliquota sulla Tasi, e quanto destinare alle detrazioni per le famiglie a reddito più basso. Anche durante la discussione della legge di Stabilità, del resto, l'Anci aveva chiesto «mano libera» sulle aliquote della Tasi. Enrico Letta dunque cede davanti alle proteste dei sindaci, ma il conto rischiano di pagarlo i cittadini. Alla disperata ricerca di risorse aggiuntive per un 2014 che si prospetta molto più difficile del previsto, il premier annuncia da Bruxelles anche il varo di una «norma forte» per il rientro in Italia dei capitali illegalmente esportati in Svizzera. In gennaio andrà nella Confederazione dove si trova «un tesoro di soldi italiani che devono tornare nel nostro Paese», per cercare un accordo con il governo elvetico «che porterà risultati e rappresenterà un grande sforzo di equità». Il piano per il rientro dei capitali esportati in nero avrebbe dovuto far parte della legge di Stabilità, ma alla fine non se ne è fatto nulla. L'idea di puntare sulla voluntary disclosure, l'autodenuncia spontanea al Fisco evitando così le sanzioni penali, non è andata a buon fine per divergenze tra Palazzo Chigi e i ministeri dell'Economia e della Giustizia. Per inciso, gli introiti sarebbero stati destinati alla riduzione del cuneo fiscale. Il presidente del Consiglio ha anche promesso a Matteo Renzi di cancellare la contestatissima norma sulle slot machine, contenuta nel decreto «salva Roma», che punisce col taglio dei trasferimenti Regioni ed Enti locali che emanano norme restrittive sul gioco d'azzardo. «Una porcata» l'ha definita il neo segretario del Pd. La norma è sbagliata, concede Letta, «e il governo rimedierà, presentando anche un piano d'azione contro la ludopatia e il gioco d'azzardo». La Lega Nord, nell'attesa, annuncia che presenterà mozioni «anti-gioco» in tutti i centri dove il partito è presente in consiglio comunale.

Un'altra norma che rischia di impantanarsi ancor prima di entrare in vigore è il pasticcio della «web tax». Il pesante giudizio preventivo pronunciato dall'Unione europea - una misura «contraria alle libertà fondamentali dell'Ue» - ne decreta di fatto la condanna a morte. Letta non può far altro che prenderne atto. «La web tax - commenta con un certo imbarazzo - ha bisogno di un coordinamento con le norme europee, e per noi l'essere riusciti a inserire questo punto fra i nodi da sciogliere in Europa è molto importante». Sulla web tax «abbiamo fatto una brutta figura, creando sconcerto», commenta Confindustria Digitale. Tutte le categorie produttive, dalla Confindustria ai sindacati, dagli autonomi ai professionisti, sono molto deluse dal provvedimento che avrebbe dovuto aiutare l'Italia ad agganciare la ripresa. Il solo Letta continua a ripetere che «l'inversione di tendenza c'è, e il 2014 sarà l'anno dell'accelerazione». Il governo, aggiunge, «non è in rottura con tutti, come sembra leggendo i giornali, ma noi non possiamo dare risposte a tutti. La somma di ciò che tutti chiedono è la bancarotta dello Stato, e devo fare delle scelte per evitarla. Il taglio del rating Ue da parte di Standard & Poor's - aggiunge - dimostra che l'Europa resta sotto osservazione».

Salvare il soldato DeBenedetti

Dalle slot machine a Sorgenia: tutte le porcate del governo. Ieri l'ok definitivo della Camera al provvedimento. Forza Italia contro Letta e Alfano: non hanno votato, testo senza padri. Brunetta: perché il Nuovo centrodestra fa il tifo per le slot machine? di Gian Maria De Francesco

Roma - «Bloccheremo in corsa quella porcata», si indignò Matteo Renzi, una volta appreso che il decreto salva-Roma avrebbe penalizzato gli enti locali che adottano misure restrittive anti-slot. Nel passaggio alla Camera il governo prima ha incassato la fiducia sulla Stabilità con 350 sì, mentre il via libera finale alla manovra è arrivato a tarda sera con altri 258 voti, tuttavia il numero legale è stato raggiunto solo grazie alle opposizioni. Il dl molto probabilmente sarà emendato della norma che prevede un taglio dei trasferimenti statali per Comuni e Regioni che hanno dato una stretta a macchinette, videopoker et similia. L'interrogativo, però, è un altro: quante volte il sindaco di Firenze dovrà (o sarebbe dovuto intervenire) per arginare quella pericolosa tendenza del premier Enrico Letta e del suo vice Angelino Alfano ad assecondare lobby, amici degli amici e notabilati vari. Certo, il caso delle slot è stato di sicuro molto eclatante perché si trattava di una «stangata» contro coloro che cercano di limitare nei modi consentiti dalla legge la possibilità di un aumento delle dipendenze da gioco d'azzardo. Che, tra l'altro, è una fonte di ricavo per l'erario. Una domanda se l'è posta anche il capogruppo di Fi alla Camera, Renato Brunetta: «Possono spiegare Alfano, Lupi e compagnia in cosa consiste, in riferimento a questa proposta, il loro ancoraggio alla dottrina sociale cristiana e ai valori del Ppe? O sono altri valori in gioco?», ha chiesto l'ex ministro denunciando la discordanza tra dichiarazioni di principio e atti politici. Distonie che costarono parecchio in passato ad altri «transfughi» come Gianfranco Fini.

Ma che cosa avrebbero dovuto dire allora Renzi e Brunetta della legge di Stabilità? In fondo, l'emendamento cosiddetto «salva-Sorgenia» non è proprio un esempio di trasparenza cristallina. Con un colpo di spugna è stato cancellato per le società energetiche che installano impianti a ciclo combinato l'obbligo di corrispondere ai Comuni gli oneri di urbanizzazione e per coloro che hanno avviato un contenzioso si apre la possibilità della transazione. È il caso dell'utility controllata dai figli dell'Ingegner Carlo De Benedetti, editore di Repubblica e sostenitore politico di Renzi. È vero: Sorgenia ha vinto il ricorso al Tar contro il Comune di Turano Lodigiano che pretendeva 22,77 milioni di euro, ma i giudici amministrativi hanno ribadito che quando si costruisce un edificio, gli oneri di urbanizzazione si pagano. Punto e basta. Poi, si può dire che del provvedimento beneficeranno tutte le utility e che Sorgenia ha un piano di investimenti per il territorio in cui opera, ma il sospetto di un favore (tema per il quale i repubblicones sono sempre pronti ad alzare il sopracciglio) offusca anche le miglior intenzioni.

E che dire, sempre per rimanere in tema di Stabilità del divieto di cumulo tra pensioni d'oro e stipendi per i «boiardi» della pubblica amministrazione. È stato fissato un tetto: 302mila euro, la retribuzione del primo presidente della Cassazione, ma la norma non riguarda i contratti in essere. Grazie alla postilla alcuni super-stipendi sono salvi, un sollievo per baroni universitari e magistrati (in carica ed ex) . Non a caso sempre Brunetta ieri ha sottolineato come alla Camera né Alfano né Letta si siano palesati per votare la manovra definendola «senza padri». Ma solo il premier era assente giustificato perché a Bruxelles. Il buon Matteo che inveisce contro le «porcate» avrebbe dovuto ricordarsi quando un emendamento alla legge di Stabilità resuscitò Federconsorzi? La strana maggioranza Pd-Ncd ci ha provato per ben tre volte al Senato. Poi, la norma è ricomparsa in Aula alla Camera. In pratica, si volevano attribuire alla federazione i crediti spettanti ai singoli consorzi agrari «per gli ammassi svolti nell'interesse dello Stato», rivitalizzando il vecchio carrozzone. La mossa non è riuscita, ma sicuramente si tornerà alla carica se Cia, Confagricoltura e Alleanza delle Coop hanno gridato, tanto per stare tranquille, «Non ci provate più!».

Buffoni

Il caso - Soppresso in soli sei giorni l’emendamento del deputato del M5S Fraccaro. Gli affitti intoccabili dei palazzi del potere. Il Senato cancella il recesso a tempo di record. Quindici anni fa la Camera stipulò senza gara una serie di contratti con la società Milano 90, che metteva a disposizione di Montecitorio quattro immobili

ROMA - «L’articolo 2-bis del decreto legge 15 ottobre 2013, n. 120, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 dicembre 2013, n. 137, è soppresso».
Chi ancora ha il coraggio di sostenere che il nostro sistema legislativo è lento e macchinoso si dovrà ricredere davanti a questo capolavoro di Palazzo Madama. Dove è stata cancellata al volo una norma che lo stesso Senato aveva approvato sorprendentemente soltanto sei giorni prima. La cosa era passata nel silenzio generale fra le pieghe di un provvedimento battezzato «manovrina», grazie a un emendamento presentato alla Camera dal deputato del Movimento 5 Stelle Massimo Fraccaro. Testuale: «Le amministrazioni dello Stato, le Regioni e gli enti locali, nonché gli organi costituzionali nell’ambito della propria autonomia, hanno facoltà di recedere, entro il 31 dicembre 2014, dai contratti di locazione di immobili in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Il termine di preavviso per l’esercizio del diritto di recesso è stabilito in trenta giorni, anche in deroga a eventuali clausole difformi previste dal contratto».

Una bomba. Con un bersaglio preciso, come dimostra il passaggio sugli «organi costituzionali»: i palazzi Marini, quegli stabili che ospitano gli uffici dei deputati, presi in affitto con il meccanismo del «global service» dall’immobiliarista e grande allevatore di cavalli Sergio Scarpellini, munifico elargitore di contributi liberali ai partiti di destra e sinistra. È un’operazione che ha origine alla fine degli anni Novanta quando la Camera, d’accordo centrosinistra e centrodestra, decise di stipulare senza gara una serie di contratti con la società Milano 90, che metteva a disposizione di Montecitorio quattro immobili e relativi servizi. A un prezzo, oltre 500 euro annui al metro quadrato, tale da ripagare abbondantemente i mutui bancari contratti dal privato per acquistare le mura. Fatto sta che la Camera avrebbe speso in 18 anni ben 444 milioni solo per i canoni d’affitto, senza ritrovarsi in tasca un solo mattone. Una vicenda divenuta ben presto l’emblema degli sprechi del Palazzo, contro cui si erano scagliati a ripetizione con interrogazioni e denunce pubbliche i radicali. Ma inutilmente. Come inutili si erano rivelati i mal di pancia avvertiti da molti parlamentari consapevoli dell’abnormità della storia. A tutti era stato risposto che non c’era niente da fare: i contratti andavano rispettati e amen. Dopo molti sforzi si era riusciti a disdettarne almeno uno.

E l’emendamento Fraccaro, divenuto legge il 13 dicembre scorso a Palazzo Madama con l’approvazione senza modifiche della «manovrina» uscita da Montecitorio, avrebbe fatto cadere tutti gli ostacoli per la rescissione degli altri tre, che pesano sulle casse pubbliche 26 milioni per i soli canoni. Se però il giovedì seguente non fosse stato recapitato in Senato nella leggina di conversione di un decreto sulle «misure finanziarie urgenti in favore di regioni ed enti locali», un provvidenziale emendamento che sopprime quella disposizione passata sempre al Senato il venerdì precedente. Modifica prontamente approvata dalla maggioranza senza battere ciglio: con qualche voto in più, sembra, rispetto a quelli prevedibili. La battaglia si sposta adesso alla Camera, dove Fraccaro riproporrà tale e quale la norma bocciata. Ma intanto il segnale arrivato dalle Larghe intese, per paradosso proprio mentre Matteo Renzi, il nuovo segretario del Pd loro principale azionista dichiara pubblicamente guerra ai costi della politica, si può interpretare in modo inequivocabile: gli affitti dei palazzi del potere non si toccano. Altra motivazione non ci sarebbe. E l’impronta digitale della maggioranza, del resto, è facilmente riconoscibile. L’emendamento porta la firma della relatrice del provvedimento, circostanza che qualifica l’emendamento come iniziativa non personale. Ma essendo la senatrice del Pd Magda Zanoni esperta di contabilità statale, visto che il suo curriculum la qualifica come «consulente di bilanci pubblici», certo non ne può ignorare le conseguenze. E cioè che oltre a mettere in pericolo i contratti blindati e dorati dei palazzi Marini, quella perfida norma grillina consentirebbe a molte amministrazioni di liberarsi di onerosi contratti incautamente sottoscritti senza clausola di recesso: è appena il caso di ricordare che spendiamo circa 12 miliardi l’anno per gli affitti degli uffici pubblici. Chissà perché nessuno ci aveva pensato prima.

venerdì 20 dicembre 2013

Dal congo

Il Congo sospende le adozioni alle famiglie straniere. Bonino: “Siamo sconcertati”. Le 26 famiglie italiane rimangono bloccate nel paese africano. Il governo di Kinshasa precisa: "Non sono vietate, ma bloccate temporaneamente". Il ministro degli Esteri italiano: "Non hanno rispettato gli accordi"

Le autorità della Repubblica democratica del Congo hanno confermato di voler sospendere le procedure di adozione, nonostante gli impegni presi con l’Italia e con quei genitori che restano bloccati nel paese africano con i loro bimbi adottivi. Si complica così la vicenda delle 26 famiglie italiane. La decisione è arrivata dal ministro dell’Interno congolese che ieri ha convocato gli ambasciatori a Kinshasa di Italia, Stati Uniti, Francia, Belgio, Canada e Regno Unito per ribadire l’intenzione del governo di sospendere le procedure di adozione di minori, in applicazione della decisione presa il 25 settembre scorso. Il ministro degli Esteri Emma Bonino ha subito convocato a sua volta l’ambasciatore del Congo a Roma, Albert Tshiseleka Felha. “Non avete rispettato gli accordi verbali presi a novembre con il nostro ministro Kyenge. Siamo sconcertati”, gli ha detto la titolare della Farnesina facendosi portavoce dell’intero governo italiano su un caso resta “fortemente preoccupante”.

Il 4 novembre scorso il ministro per l’Integrazione Cécile Kyenge si era personalmente recata a Kinshasa ottenendo dal ministro dell’Interno e dal viceministro degli Esteri locali l’assicurazione che “la Direzione generale per la Migrazione avrebbe confrontato con l’ambasciata italiana la lista delle adozioni considerate in regola e per le quali sarebbe stata quindi rilasciata l’autorizzazione alla partenza”. Solo pochi giorni fa Kyenge aveva assicurato che mancava solo un nulla osta. Poi l’iter si è di nuovo bloccato e l’irritazione italiana è cresciuta. Adesso, alcuni genitori vivono con l’ansia di dover lasciare in condizioni drammatiche i figli che in queste settimane hanno imparato a conoscere le loro nuove famiglie. Altri invece sanno già che dovranno passare il Natale in Congo, aggiungendo al disagio della situazione pesanti costi economici. La Farnesina ha fatto sapere che mentre i visti di alcune coppie sono già stati prorogati, per altre sarà fatta “una valutazione caso per caso”.

E mentre Bonino e Kyenge confermano “il forte impegno” del governo e dell’ambasciatore italiano a Kinshasa per fare pressioni sulle autorità congolesi per consentire alle famiglie italiane “di tornare al più presto con i bambini adottati”, continuano anche le polemiche, con la Lega Nord in testa che chiede le dimissioni del ministro per l’Integrazione. “La vicenda delle famiglie bloccate proprio in Congo per la delicatissima causa delle adozioni è scandalosa ed è l’ennesima prova dell’inettitudine del ministro. La misura è colma: Kyenge si dimetta”, ha dichiarato Massimo Bitonci, capogruppo del Carroccio al Senato, mentre la deputata di Forza Italia Annagrazia Calabria chiede che sia il premier Enrico Letta a prendere in mano “una situazione che, evidentemente, i suoi ministri non sono in grado di gestire”. Dal Partito democratico i senatori Andrea Marcucci e Roberto Cociancich ricordano invece che dal 10 dicembre a Palazzo Madama è pendente un’interrogazione urgente e chiedono che Bonino e Kyenge diano risposte “non via media, ma in Senato”.

Di pezzi di merda

L’ex banchiere Modiano: “Con prelievo forzoso al 10% gettito di 113 miliardi”. Il marito dell'onorevole Pollastrini (Pd), nonché ex braccio destro di Alessandro Profumo in Unicredit e di Corrado Passera in Intesa torna alla carica sulla patrimoniale una tantum a carico delle famiglie più ricche

L’ultima spiaggia per l’Italia? Un prelievo una tantum del 10% sulla fascia più ricca della popolazione. A tornare alla carica è stato l’ex banchiere Pietro Modiano oggi presidente di Nomisma, della società degli aeroporti milanesi Sea e, benché in uscita, della Tassara, la holding di uno dei più importanti debitori di Intesa Sanpaolo, Romain Zaleski. “Si stima che la ricchezza liquida delle famiglie italiane – al netto di attività reali, titoli di stato e partecipazioni in società di persone – sia pari a circa 2.400 miliardi. Si può, inoltre, stimare che Il 47,5% di questo ammontare, ovvero 1.130 miliardi, sia posseduto dal 10 % più ricco delle famiglie italiane – si legge nell’editoriale della newsletter di dicembre di Nomisma scritto da Modiano e dal capo economista Sergio De Nardis -. Un prelievo una tantum del 10% su questa fascia darebbe luogo a un gettito di entrate per lo stato di 113 miliardi di euro, 7 punti percentuali di PIL, da distribuire a favore delle famiglie più povere e delle imprese”. Secondo gli autori, “se questa tassa sul patrimonio venisse pagata in quattro rate annuali di 28 miliardi, il bilancio pubblico potrebbe fornire uno stimolo equivalente nell’arco di un quadriennio all’economia, modificandone il sentiero di crescita. Gli effetti positivi sul PIL deriverebbero dal fatto che il trasferimento di risorse a favore delle famiglie disagiate e delle imprese stimolerebbe aumenti di domanda (interna ed estera) largamente superiori alla contrazione dei consumi a cui andrebbe incontro il decile di famiglie più ricche”.

In dettaglio per il marito dell’onorevole Pollastrini (Pd), “una manovra di prelievo straordinario sulla ricchezza e redistribuzione alle famiglie disagiate e alle imprese della dimensione ipotizzata, che si avviasse nel 2014 e si ripetesse nel successivo triennio (fino al 2017) porterebbe fra cinque anni, nel 2018, a un PIL più elevato di circa il 4,5% rispetto al livello di uno scenario di base. Il tasso di crescita dell’economia nel quinquennio 2013-2018 aumenterebbe di quasi un punto all’anno passando dall’1,2% dell’andamento tendenziale al 2,1% nell’ipotesi con manovra. La più forte crescita dell’economia si tradurrebbe in un rapporto debito/PIL nel 2018 più basso di circa cinque punti percentuali”.

Secondo il centro studi fondato tra gli altri da Romano Prodi nel 1981 con il sostegno di banche come la Bnl, quindi, la strada per reperire le risorse necessarie a un rilancio dell’economia italiana passa per una mobilitazione straordinaria del risparmio di chi possiede di più a favore delle fasce più povere della popolazione e delle imprese che devono confrontarsi con la competizione internazionale, come ha ribadito l’istituto in una nota. “La manovra può essere fatta senza aprire contenziosi in Europa e nel rispetto delle regole di bilancio iscritte in Costituzione. La somministrazione dello stimolo su un periodo di più anni consentirebbe di modificare in modo significativo il tasso di sviluppo dell’economia anche se non esaurisce il “da farsi” per l’economia italiana – sottolinea ancora Nomisma -. Bisogna continuare a portare avanti le riforme in direzione della razionalizzazione della spesa pubblica, della lotta all’evasione, della semplificazione della burocrazia e della politica; solo così si riuscirà a dare seguito nel lungo periodo allo sviluppo dell’economia italiana una volta che gli effetti della manovra saranno venuti meno”.

giovedì 19 dicembre 2013

Disse Fonzie: "basta coi soldi a pioggia"

Governo, legge di Stabilità ecco tutti i "regalini" di Letta e Saccomanni

La legge di stabilità venerdì arriva alla Camera. Il governo ha posto la fiducia. Subito dopo, il 23 dicembre, il testo arriverà in Senato. Letta e Saccomanni hanno fretta di chiudere la partita e, come sempre, tra le pieghe della manovra spuntano i soliti "regalini" di Natale. Ecco che così arriva il momento d'oro per i "portatori d'interesse" che premono sull'Aula e sul governo per ottenere fondi per le proprie attività.

Così nel testo della legge di Stabilità arrivano vere e proprie "mance" da distribuire in giro per l'Italia. Così il fiume di soldi che doveva servire a rimpinguare il fondo per diminuire le tasse sul lavoro si disperde in mille rivoli elencati, da Il Sole 24 Ore. Venticinque milioni di euro andranno al sito di "interesse nazionale" di Brindisi. Altri due milioni di euro all'Istituto italiano di studi filosofici. Per chi va in mare ci sono 3 milioni per la "continuazione del servizio marittimo" e altri 4,5 milioni per il "trasporto veloce sullo stretto di Messina". Ma le "mance" non finiscono qui.

Soldi per i partigiani e per le scorze d'arancia - Circa 300 milioni andranno al trasporto lagunare. Altri 2 milioni di euro invece andranno a tutti coloro che si occupano della "lavorazione delle scorze di agrumi". Sul fronte della "memoria storica" ecco che spuntano 2,5 milioni per "tutelare i luoghi di memoria della resistenza". Ma per gli ex partigiani arrivano altri 3 milioni di euro per il 70 esimo anniversario della resistenza. Soldi anche per Cécile Kyenge: circa 3 milioni di euro saranno spesi per l'integrazione degli immigrati. Altri 900 mila euro invece andranno al Progetto Binario 21 per la fondazione Shoah Milano. E altri 100 mila euro sarnno spesi per finanziare la Fondazione centro di documentazione ebraica contemporanea per ricerche storiche. Infine 2 milioni di euro andranno ai mondiali di pallavolo femminile.

Due milioni a palazzo Chigi - Ma la parte da leone nel banchetto della legge di stabilità la fa proprio il premier Enrico Letta: palazzo Chigi userà 2 milioni di euro per "assunzioni presidenza del Consiglio per attività collegate al semestre europeo". Una lauta auto-mancia, un succulento giro di assunzioni. A spese nostre.

Imbecilli e gioco d'azzardo

Un ordine del giorno, approvato dall’aula di Palazzo Madama, che impegna il governo a rivisitare, a livello generale, la legislazione in materia di gioco d’azzardo. Un modo molto politico – ma anche piuttosto ipocrita – per mettere a tacere una montagna di polemiche seguite all’approvazione, sempre da parte del Senato nell’ambito del decreto Salva Roma, di un emendamento, firmato da Federica Chiavaroli del Nuovo Centrodestra (e approvato con 140 voti di Pd, Scelta Civica e gli stessi alfaniani) che in pratica stoppa l’intervento degli enti locali nella lotta alla prevenzione del gioco d’azzardo. Emendamento che aveva provocato la reazione indignata di diversi sindaci, ma in particolare del governatore della Lombardia Roberto Maroni: “Ancora una volta – ha commentato – la potente e ricchissima lobby delle slot e del gioco d’azzardo ha colpito duramente. Che vergogna! Ostacoli le slot machines nel tuo territorio? Lo Stato ti taglia i trasferimenti di denaro. La bastonata ai sindaci e alle Regioni che lottano contro il gioco d’azzardo arriva in Senato” ha continuato. “Prevenzione, guerra alla ludopatia e sale bingo lontane dalle scuole: gli spot elettorali di certi partiti e parlamentari scompaiono non appena è ora di fare cassa!”.

L’ira di Maroni, ma non solo la sua, ha costretto il governo a giocare in difesa sull’argomento. Spiegano, infatti, uomini vicini al vicepresidente del Consiglio Angelino Alfano e al ministro delle Riforme Gaetano Quagliariello, di cui la Chiavaroli è amica personale nonché corregionale: “E’ inutile che ci nascondiamo dietro un dito, lo Stato non è solo ‘cravattaro’, è anche ‘biscazziere’. E con i proventi del gioco d’azzardo copriamo una marea di buchi di bilancio dello Stato, anche a livello regionale. Dunque, non possiamo permetterci di avere a livello locale legislazioni che superano quelle nazionali in materia di divieti e controlli; il gettito deve essere salvaguardato”.

L’ipocrisia, tutta natalizia, insomma, è salva. La stessa che emerge dalle parole della Chiavaroli in una lettera inviata ad Abruzzo Web dal titolo emblematico: “Cos’è Natale senza Gesù Bambino?”. Già. “Siamo in una fase storica in cui la crisi potrebbe insegnare che il valore di certi giorni va e deve essere ricercato al di là delle cose, che è importante volersi bene e accogliersi gli uni e gli altri. Non è forse così che si combatte quel materialismo esasperato, quel relativismo etico che rappresentano i mali della nostra epoca?”. E il gioco d’azzardo non è forse un elemento cardine di quel materialismo esasperato che la Chiavaroli condanna con tanta foga? Scrive, ancora, la senatrice alfaniana: “Come ci ha ricordato papa Benedetto XVI, la crisi finanziaria in Europa è in gran parte basata sulla crisi etica che incombe”. Però, quando si tratta di far cassa, il legislatore chiude volentieri entrambi gli occhi e anche le orecchie davanti alle sirene delle lobby del gioco d’azzardo che, guarda caso, perseguono gli scopi opposti a quelli che la prima firmataria dell’emendamento pro slot dice di voler salvaguardare. “Se non ripartiamo dai nostri valori – si legge ancora su Abruzzo Web – da quei principi imprescindibili su cui è nata e si fonda la nostra società come potremo superare questo momento?”. Davvero, come? Continuando ad usare due pesi e due misure a seconda della convenienza nel pieno rispetto, verrebbe da dire dell’ipocrisia cattolica imperante da sempre anche tra gli scranni parlamentari?

C’è da dire che qualcuno non la pensa così, ma sono stati in pochi: solo 128 contrari, in maggioranza Lega, Forza Italia, M5S e Sel. Ordine del giorno a parte, con l’emendamento della Chiavaroli, dal prossimo anno (da quando cioè entrerà in vigore il Salva Roma) i Comuni o le Regioni (come la Lombardia) che hanno emanato norme restrittive contro il gioco d’azzardo, diminuendo così le entrate dell’erario cominceranno a subire tagli ai trasferimenti che verranno interrotti solo quando le norme e regolamenti scomodi al dilagare delle slot saranno ritirati. La cassa, insomma, è salva. L’etica, i valori e il contrasto al gioco d’azzardo ne escono a pezzi.

La spending review

La Casta ha paura degli italiani. Si comprano 210 auto blindate. Nel giorno della protesta dei Forconi, la Consip indice una gara per l'acquisto di 210 auto blu blindate destinate ai soggetti istituzionali incaricati di tutelare l’ordine e la sicurezza pubblica di Luca Romano

Alla faccia della spending review. Il Palazzo si blinda. Nel giorno della protesta dei Forconi, la Consip indice una gara per la fornitura in acquisto di autovetture blindate destinate alle esigenze dei soggetti istituzionali incaricati di tutelare l’ordine e la sicurezza pubblica. La gara è strutturata in due lotti: il primo prevede la fornitura di un massimo di 150 berline a tre volumi (con una base d’asta di 18.075.000 euro Iva esclusa), il secondo 60 vetture a 5 porte a trazione integrale (con una base d’asta di 7.230.000 euro Iva esclusa). Il tutto avviene mentre il governo sottolinea i progressi nella riduzione delle auto blu per le amministrazioni centrali e locali. Per ciò che concerne lo Stato centrale, al primo dicembre 2013 sono 1663, il 7,6% del totale della P.A., 288 in meno rispetto a fine 2012 (-14,8%). Ridotte le auto di servizio nei Ministeri: sono 1290, ridotte di 201 unità rispetto a fine 2012 (-13,5%), la maggior parte delle quali (1128) concentrate nei dicasteri cui sono affidati servizi istituzionali di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica. Sono poi 4.557 le auto blu a disposizione delle amministrazioni regionali e locali.

Nel silenzio dei media

Follia Bankitalia di Davide Giacalone
   
La stiamo perdendo. Stiamo assistendo ad un’operazione che baratta campi di grano, mulino e forno in cambio di un tozzo di pane. Il 23 dicembre si terrà l’Assemblea della Banca d’Italia, per cambiare lo statuto, propedeutica alla rivalutazione e cessione delle quote. Poi il Parlamento, cieco alle conseguenze e accompagnato dal complice silenzio di gran parte della stampa e delle tante coscienze inquiete, solitamente ciarliere, approverà il decreto legge con il quale si dispone l’operazione e la si giustifica con l’immediata necessità di coprire il buco dell’Imu. Dopo di che l’avremo persa. Metto nel conto l’ipotesi di star dicendo delle sciocchezze, tanto è impressionante l’isolamento in cui queste parole cadono (unico conforto il prof. Francesco Forte). Ma temo di non sbagliare. Per questo comincio dalle obiezioni che mi sono state mosse, riservatamente, dato che di questa storia nessuno vuole parlare.

1. L’idea di trasformare la Bd’I in una public company è una bubbola. E’ vero, lo ha detto il ministro, Fabrizio Saccomanni, ma l’anglicismo deve averlo tradito. Che obiezione è? Il ministro lo ha detto. Una public company non è una società con molti soci, ma una società quotata in cui nessuno esercita il controllo ed è affidata al management. Se si è sbagliato deve ammetterlo chiaramente. E se non lo ammette ogni sospetto non è lecito, ma doveroso. Non una sola banca centrale ha le caratteristiche descritte dal ministro.

2. L’indipendenza della banca centrale non è garantita dall’assetto proprietario, ma dallo statuto e dalle leggi. Vero, ma è una tesi che dimostra troppo: se è così la cosa migliore consiste nel renderla pienamente e totalmente statale (come altre banche centrali) e rivalutarne le quote, patrimonio pubblico.

3. La ricapitalizzazione è vitale per ripatrimonializzare le banche italiane. Questa obiezione apre la strada a una versione grossolana: si tratta di un regalo alle banche. Respinte entrambe le cose: il sistema bancario italiano conta più di 800 banche (troppe), quelle presenti nella proprietà di Bankitalia sono una sessantina (meno, per le fusioni), quindi più di 740 soggetti restano fuori. Sia dal regalo che dalla ricapitalizzazione. Sotto tale profilo, quindi, questo sarebbe il più squilibrato e dissennato rimedio alla sottocapitalizzazione.

4. Il governatore della Bd’I, Ignazio Visco, ha auspicato che i proventi della ricapitalizzazione servano a “favorire il credito”. Ma il credito non è la benevolenza, bensì il mestiere delle banche: se solo alcune ricevono i proventi, potendo anche rivendere le quote in eccedenza, si distorce irrimediabilmente il mercato.

5. Le banche “beneficiate” sono tali perché investirono a suo tempo, sicché non fanno che raccogliere il frutto della loro lungimiranza. Stiamo scherzando? Nel 1936 le quote vennero intestate alle banche pubbliche, che non scelsero un bel niente né investirono: obbedirono. Non c’è alcun merito, in ciò. Da allora a oggi il sistema ha subito una mutazione genetica, quindi l’enorme vantaggio andrebbe in capo a soggetti che nulla hanno a che vedere con quelli “costretti” allora.

6. Perché le banche “escluse” non protestano? Perché dei tre miliardi necessari a coprire il buco Imu 1.2 verrebbe dalla rivalutazione e 1.8 da altre tassazioni sulle banche, pertanto quelle temono di doversi accollare anche l’1.2. Ma è ragionamento di sconfinata miseria e cecità politica.

7. La rivalutazione è comunque necessaria. Verissimo, anche perché siamo gli ultimi a farla, in Europa. Si tenga presente che Bd’I è la banca centrale più patrimonializzata d’Europa (altro primeggiare italiano, umiliato da una classe dirigente inadeguata), ma anche quella con minore capitale. Sempre a causa della legge del 1936. Si rivaluti, dunque. Ma si tenga presente che saremmo anche gli unici a tassarci (12%) nel rivalutare quel che è già collettivo. Tutto per coprire il mancato gettito Imu: il tozzo di pane, per il quale si liquida un patrimonio immenso.

8. La Bundesbank, banca centrale tedesca, obietta circa la rivalutazione per due ragioni: a. perché è mal calcolata; b. perché cerca merce di scambio con la quale mantenere fuori dai controlli della Banca centrale europea le Landesbank. Scambio inaccettabile. Premessa di ulteriore concorrenza sleale. Ragione in più per non fare le cose così male.

Sono un sostenitore della vendita di patrimonio pubblico, al fine di abbattere il debito. Mi sento spesso rispondere che tale dottrina favorisce le svendite. Rispondo come si può e deve evitarle. Mentre si chiacchiera, però, non solo si svende, ma si strasvende, per giunta una cosa, la Bd’I, che si finge sia privata e in realtà è (come tutte le banche centrali) pubblica. E si strasvende consentendo poi di rivendere meglio le quote, portando ricchezza a poche banche private, nonché consentendo l’ingresso nel cuore della sovranità nazionale a investitori non italiani. Può ben darsi che io non abbia capito nulla, ma se ho capito anche solo un friccico c’è, fra i sostenitori di tale operazione, solo una categoria di persone meritevole di un qualche, sebbene lombrosiano, apprezzamento: quelli che ne traggono profitto.

mercoledì 18 dicembre 2013

Se islamico, va tutto bene...

Islamico soffoca la figlia. Per la Cassazione merita uno sconto di pena. Aveva tentato di uccidere la figlia perché aveva rapporti sessuali con un cristiano. Ma per le toghe non merita l’aggravante di aver agito "per futili motivi" di Luca Romano

Aveva provato a soffocare la figlia dopo aver saputo che - violando i precetti dell’Islam - la ragazza, quasi maggiorenne, aveva rapporti sessuali con il fidanzato italiano di fede diversa dalla sua. Ma per la Cassazione il padre di fede islamica non merita l’aggravante di aver agito "per futili motivi". Secondo le toghe della Suprema Corte, "per quanto i motivi che hanno mosso l’imputato non siano assolutamente condivisibili nella moderna società occidentale, gli stessi non possono essere definiti futili, non potendosi definire né lieve né banale la spinta che ha mosso l’imputato ad agire". Inoltre, anche il fatto che il padre, dopo aver saputo del disonore che il comportamento della figlia aveva gettato sulla famiglia, abbia meditato il delitto per una notte intera, - scrive la Suprema Corte nella sentenza 51059 depositata oggi - è un lasso di tempo troppo breve per parlare di "premeditazione" con la relativa aggravante. Per queste ragione, gli "ermellini" hanno annullato con rinvio, limitatamente alle aggravanti della premeditazione e dei futili motivi, la condanna a sette anni di reclusione inflitti ad Hamed Ahamed dalla Corte di Appello di Milano, il 7 novembre del 2012, per il tentato omicidio della figlia commesso nel capoluogo lombardo la mattina del quatto settembre 2011 nell’abitazione familiare. Ora la Corte di Appello deve riesaminare il caso ed essere più clemente.

... ci sarebbe comunque stato lo svuotacarceri...

Minacciato panettiere, fuggito a bordo di una panda. Genova, serial killer evade dopo il permessoIl carcere: «Pensavamo fosse un rapinatore». Bartolomeo Gagliano, 54 anni, accusato di tre omicidi commessi nel 1981 e il 1989 è «ricercato in tutta Italia»

«Noi non sapevamo che avesse quei precedenti penali» da serial killer,«per noi era un rapinatore». Il direttore del carcere genovese di Marassi, Salvatore Mazzeo, si difende così in un’intervista alla emittente ligure Primocanale, dopo la fuga di Bartolomeo Gagliano, il pluriomicida evaso martedì durante un permesso premio. «Abbiamo valutato Gagliano in base al fascicolo di reato per cui era detenuto, che risale al 2006 e lo indica come rapinatore».

L’EVASIONE - E’ l’alba di mercoledì quando Gagliano ferma un panettiere a Savona, minacciandolo con una pistola, e si fa portare in auto a Genova, dove doveva rientrare in carcere - a Marassi - entro le 9.00, dopo un permesso premio trascorso nella sua città di residenza per visitare la madre. Ma ha fatto perdere le sue tracce. Nato in Sicilia nel 1958, residente a Savona, l’uomo è stato condannato per tre omicidi - due prostitute e un omosessuale - tra il 1981 e il 1989. Non è alla sua prima evasione. Ora, fanno sapere gli inquirenti, è «ricercato in tutta Italia».

DECISIONE IMPROVVISA - La fuga sarebbe stata decisa all’improvviso, visto che , dopo aver lasciato Marassi, domenica, lunedì Gagliano era tornato a Genova per una visita al Dipartimento di salute mentale di Genova programmata da tempo, dato che l’uomo era stato più volte riconosciuto seminfermo di mente.

RAPIMENTO E FUGA - Erano circa le 6 quando Gagliano ha bloccato il commesso mentre stava ultimando le consegne per conto del panificio. Sotto la minaccia di una pistola, lo ha costretto a risalire in auto per recarsi a Genova. Prima di partire, però, ha caricato in auto tre borse. Giunti a Genova, Gagliano ha fatto scendere il commesso in via De Marini e si è allontanato con l’auto. Le indagini sono condotte dal Commissariato di Cornigliano.

martedì 17 dicembre 2013

Il governo dell'equità...

Nuova stangata per le aziende. Spunta la tassa sugli stipendi. Altro che taglio del costo del lavoro: il governo s'inventa un prelievo dello 0,5% sul monte retribuzioni delle imprese. Bagarre in commissione, testo in Aula stasera di Gian Battista Bozzo

Roma - Il governo su costo del lavoro e taglio delle spese predica bene ma razzola malissimo. Due emendamenti alla legge di Stabilità, a firma dell'esecutivo, vanno esattamente nella direzione opposta ai propositi sbandierati da Enrico Letta. Si tratta di un prelievo dello 0,5% del monte retribuzioni nelle aziende con più di 15 dipendenti, che non rientrano nella disciplina della cassa integrazione. Il prelievo sul monte stipendi dello 0,5%, destinato a sostituire la cassa integrazione in deroga, lo pagheranno pro quota sia i datori di lavoro che i dipendenti. «È un aumento del costo del lavoro, sarebbe stato più saggio evitarlo», osserva la Uil. Il secondo intervento contraddittorio è un inopinato aumento, da tre a cinque, dei consiglieri della Consob, l'autorità di vigilanza sulla Borsa: non si sentiva davvero il bisogno di due stipendioni pubblici aggiuntivi da 300mila euro più benefit. Giorno dopo giorno la legge di Stabilità si sta trasformando in un mostro. Oltre al tentativo di blitz governativo sulle poltrone Consob - proprio quando è scaduto uno dei commissari, Michele Pezzinga, e quando sono in gioco partite delicatissime come quella Telecom - ecco un altro esempio: un emendamento stabilisce che la rivalutazione delle quote Bankitalia verrà tassata, con imposta sostitutiva, al 12% in tre rate di pari importo. Bene. Salvo il fatto che il decreto Bankitalia è un altro provvedimento, diverso dalla legge di Stabilità: dunque si stabilisce il livello di tassazione in una legge, e, per esempio, il tetto di partecipazioni (che potrebbe scendere dal 5 al 3%) in un un'altra. E ancora: mascherandolo come intervento di «equità», il governo elimina l'imposta di bollo minima di 34,2 euro sui piccoli conti di deposito per le operazioni finanziarie (non i conti correnti e quelli postali), ma l'aliquota aumenta dall'1,5 al 2 per mille. E il tetto massimo dovuto dalle imprese sale da 4.500 a 10 mila euro. L'erario, alla fine, ci guadagna poco meno di un miliardo di euro. Altri due papocchi attendono soluzioni decenti: la «Tobin tax all'italiana», ovvero la versione-bis della tassazione sulle operazioni finanziarie che nel 2013 ha fatto un grande flop; e la «Google tax», ovvero la tassazione dei giganti del web. Sulla Tobin tax l'idea è di diminuire l'aliquota allo 0,01%, ma di estendere il prelievo a tutte le transazioni finanziarie (Bot esclusi), ma il mercato è terrorizzato all'ipotesi. Quanto alla web tax, lo stesso Pd è diviso: il presidente della commissione Bilancio Francesco Boccia ne ha fatto una sua bandiera, minacciando le dimissioni dalla commissione se il governo non avesse accettato il suo emendamento, ma molti esponenti del Pd sono contrari, a partire dal segretario in pectore Renzi. «Se la web tax non la cancelliamo noi, la cancella l'Europa», dice Filippo Taddei, neo responsabile economico del partito. Tra le pieghe spunta anche l'emendamento «marchetta» (secondo la definizione M5S) che assegna 10 milioni in tre anni per celebrare i 70 anni della Resistenza. Niente sanzioni, inoltre, per gli errori nel pagamento della seconda rata Imu. E si lavora, in commissione Bilancio della Camera, anche sulla incompatibilità fra «pensioni d'oro» e incarichi pubblici retribuiti. Vedremo se l'«emendamento Amato», come è stato soprannominato, sarà davvero approvato. La commissione Bilancio di Montecitorio va avanti a votare nella notte, e il testo dovrebbe approdare in aula stasera. Ma come al solito si aspetta il maxi-emendamento finale del governo. Potrebbe contenere anche il testo del consueto decreto milleproroghe di fine anno. «Siamo in un suk - attacca Renato Brunetta - che cosa ne pensa Napolitano?»

Decreto svuotacarceri...

 Facciamo una premessa: i braccialetti elettronici erano già stati comprati tempo fa da un governo di centrodestr, il loro costo è stato esorbitante e non sono MAI stati usati. Ora, la signora Cancellieri ne ha "ricomprati" altri, sempre dalla telecom. E, guardacaso, il signor Peluso, da settembre 2012 è entrato in telecom...

Riforma della giustizia: liberi tremila detenuti. Oggi a Palazzo Chigi approda un pacchetto di misure su buona condotta, affidamento e braccialetto elettronico di MMO

Ieri il capo dello Stato Giorgio Napolitano aveva nuovamente sottolineato le «condizioni disumane delle carceri» italiane. E oggi il Guardasigilli Annamaria Cancellieri risponde portando in Consiglio dei ministri un pacchetto di misure che, secondo le stime, dovrebbe alleggerire le patrie galere di circa tremila detenuti. Oltre a prevedere, con due disegni di legge, anche interventi per limitare la durata dei processi civili e penali (ma il provvedimento sul penale verrà discusso in Cdm nelle prossime settimane). Il decreto legge sulle carceri contiene una serie di correttivi. Il primo è un ritocco sullo sconto di pena per buona condotta, la cui decisione spetta comunque al giudice. L'anticipo sulla data di fine pena, che finora era di 45 giorni per ogni semestre, sale a 75 giorni fino a uno «sconto» massimo di sei mesi. La misura è retroattiva, vale dal gennaio del 2010 e se ne potranno avvantaggiare 1.500 detenuti.

Il Dl estende (e incentiva) anche l'uso del braccialetto elettronico. Per «invogliare» a utilizzare il braccialetto, finora applicato di rado, i magistrati dovranno motivare la mancata adozione della misura quando ritengano il soggetto socialmente pericoloso. Inoltre finora il braccialetto era utilizzabile solo per chi scontava la pena ai domiciliari, mentre adesso potrà essere applicato - sempre col consenso del detenuto - anche per permessi, lavoro all'esterno del carcere e affidamento in prova. Quanto a quest'ultimo, nell'ambito di un più ampio ricorso alle misure alternative potranno beneficiarne i detenuti che hanno fino a quattro anni di pena o di residuo di pena da scontare (il vecchio limite era di tre anni), aprendo la possibilità di ottenere l'affidamento in prova ai servizi sociali a un numero maggiore di detenuti, stimato in 1.000-1.500. Anche per i detenuti tossicodipendenti viene migliorata la possibilità di ottenere l'affido terapeutico, eliminando in caso di reati minori la recidiva, che impediva l'ingresso nelle comunità di recupero. Introdotto, inoltre, il reato di «spaccio lieve», con abbassamento delle pene e previsione di multe per non appesantire la situazione delle carceri. Novità anche per i detenuti extracomunitari: il pacchetto prevede, per alcuni reati minori, l'espulsione immediata (già prevista dalla Bossi-Fini ma poco applicata) come alternativa agli ultimi due anni di carcerazione, e la misura potrebbe interessare fino a 4mila ospiti stranieri delle nostre carceri. Il decreto legge che arriva oggi in Cdm prevede inoltre l'istituzione del Garante nazionale dei detenuti e agevolazioni per gli incontri con i familiari. Sul fronte giustizia civile, il ddl prevede l'obbligo di notifiche per via telematica, giudice unico anche in appello e sentenze brevi, con motivazioni articolate solo su richiesta delle parti.