sabato 14 marzo 2009

The Troubles


Belfast, quella finta pace fatta di rabbia e divisioni mai sopite di Paola Setti

«People shot, other people run. You read it. I run». L'uomo senza barba accompagna i suoi cinquant'anni con un paio di Guinnes, ma dev'essere al terzo giro o su di lì, e bevute due a giro fanno sei. Pare barcollare ma si fa lucido e scuro quando gli domandi «come si viveva qui». «Now is better» taglia corto, adesso è meglio. Poi però decide di raccontare. C'era chi sparava e chi scappava, dice. Voi lo avete letto, i giornali, addirittura i libri di storia. Io scappavo. L'uomo con la barba invece è anziano e parla solo dell'Opera, cita a memoria arie e melodie. Alza il gomito destro e chiude il pugno sinistro, par di capire che abbia scelto la terza via: fra Repubblica e Corona, il comunismo. Belfast. Era il 28 luglio del 2005 quando l'Ira chiamò tutti i suoi volontari a deporre le armi e abbandonare una volta per tutte la lotta armata. Quattro anni dopo, hanno ricominciato a sparare. Sono anni che ci si guarda in cagnesco, noi di qua, voi di là, ognuno la sua strada, ognuno il suo quartiere, il silenzio non ha cancellato l'odio.

L'unico modo per capire è sedersi al pub. Dicono di evitare di parlare di politica qui, la gente non gradisce. Ti siedi al pub e capisci perché. Non è il pudore a ricordare eventi di cui non si va fieri. È che il passato, qui, è ancora presente. È che i «Troubles», la guerra civile, sono ancora qui. Fra i cattolici che abitano quartieri che assomigliano a ghetti e i protestanti che in quelle strade non mettono mai piede. All'ingresso del «Crown pub», la corona della regina sul pavimento, calpestandola o aggirandola ci dirai chi sei, non si scappa, un gioco per i turisti, rancore per gli altri. Per le strade non fai un metro senza incrociare vessilli, persino i marciapiedi sono dipinti, di qua i colori irlandesi, di là i colori britannici. E poi sui muri, su tutti i muri che fra London Derry e Belfast raccontano che la storia non è finita. Parlano i murales. Urlano le scritte. Se l'Ira, l'Irish Republican Army, ha deposto le armi, qui da anni ogni parete inneggia alla Real Ira, il gruppo armato che nel novembre 1997 disse addio all'Ira e al processo di pace, giurando di portare avanti la lotta armata fino al ritiro britannico dall'Irlanda.

Si diceva che la Real Ira fosse in declino. Oggi c'è l'ispettore capo Chris Yates che della Real Ira e della Continuità Ira dice così: «Questi gruppi sono pericolosi e benché siano molto piccoli per quanto riguarda il numero dei loro affiliati, sono molto attenti a espandere la loro influenza». Il timore è che il terreno sia fertile, là dove le ragioni della politica faticano a entrate a fondo nei cuori e nella mentalità di chi nel 2009 ci arriva dopo 900 anni di odio e sofferenza, dalla prima invasione britannica nel 1169 alle campagne militari inglesi guidate da Oliver Cromwell nel 1600, dalla nascita del movimento repubblicano irlandese nel 1700 alla proclamazione della Repubblica d'Irlanda nel 1916. Fino ai Troubles, gli anni Settanta sono troppo vicini per non trasmetterli almeno a un paio di generazioni future, bambini che oggi giocano per la strada, dimenticate il pampano, qui va per la maggiore bruciare i carrelli dei supermercati.

Le targhe in memoria della Bloody Sunday, 14 persone uccise dall’esercito britannico, e i murales con indiscusso protagonista Bobby Sands, che si lasciò morire di fame in carcere, non sono monumenti alla storia, ma macigni sul presente. Nessuno cerca l'integrazione qui. La città della Bloody Sunday si chiama ancora Derry per i discendenti dei gaelici e cattolici, Londonderry per i discendenti degli anglicani. Lì, i cannoni britannici non sparano più, ma dalle mura antiche i cannoni sono ancora puntati sul quartiere cattolico. Sui quartieri cattolici sventola il tricolore irlandese e fa coppia con la bandiera palestinese. Su quelli protestanti l'Union Jack fa coppia con la croce di Sant'Andrea. A Belfast il cancello della «peace line» è aperto. L'esercito non presidia più quel muro con il filo spinato e le finestre murate che ricorda i Paesi dell'Est e fu costruito per evitare le incursioni fra due vie parallele, Falls Road e Shankill Road, l'una cattolica l'altra protestante, nell'una la sede dello Sinn Fein di Gerry Adams, nell'altra i murales che celebrano «Sua Maestà la Regina Elisabetta II». Epperò chi deve ci passa solo in macchina, da quel varco spettrale. Se ci arrivi a piedi c'è un bambino che avrà dieci anni che alza le spalle in segno di sfida, ti chiede una sigaretta e con tono sprezzante domanda: «Ma tu passi spesso dall'altra parte?».

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