“L’UOIF [Unione delle organizzazioni islamiche di Francia] perseguirà tutte le procedure legali per porre fine all’accanimento contro il Profeta Maometto – pace su di lui – e alla stigmatizzazione sistematica dell’islam e dei musulmani” (Comunicato dell’UOIF, 20 marzo 2008). Uno dei vantaggi del jihad con le armi è quello di essere palese e quindi di essere facilmente riconoscibile. Si cercano armi, cellule di predicatori del jihad. Tuttavia negli ultimi anni ha preso piede, soprattutto in quell’islam vicino al movimento dei Fratelli musulmani, un altro tipo di jihad ben più subdolo: quello che si svolge nei tribunali. Chiunque, giornalista, politico o avvocato che sia, si occupi di islam rischia di venire citato in tribunale per “oltraggio nei confronti di un gruppo di persone in ragione della loro religione”. Uno degli ultimi esempi è stato il processo intentato in Francia dall’Unione delle Organizzazioni islamiche di Francia e dalla Grande moschea di Parigi contro la rivista satirica “Charlie Hebdo” per avere ripubblicato le vignette danesi su Maometto. Nel marzo 2008 la corte d’appello di Parigi ha respinto ogni capo d’accusa poiché le caricature “che si riferiscono chiaramente a una frazione e non all’insieme della comunità islamica, non costituiscono un oltraggio, né un attacco personale e diretto contro un gruppo di persone in virtù della loro appartenenza religiosa e non valicano il limite ammesso della libertà di espressione”. Il tribunale francese ha agito in maniera saggia e sensata, ma la situazione deve fare riflettere per almeno due motivi: in primo luogo, l’attacco non viene da tutti musulmani, ma da sedicenti “comunità e organizzazioni islamiche” che non sono per nulla rappresentative, e in secondo luogo perché esiste una strategia che mira a mettere il bavaglio alla libertà d’espressione, in secondo luogo, a dimostrazione del fatto che l’islam ha vari volti, l’avvocato della rivista francese. Esistono avvocati, solitamente occidentali conniventi dal punto vista ideologico, preposti solo a questo. Un esempio lampante di jihad in tribunale è quanto ha denunciato Magdi Cristiano Allam in un suo articolo comparso sul Corriere della Sera l’11 marzo 2008. E’ un testo lungo, ma merita di essere citato per esteso: Venerdì 7 marzo 2008 ricevo per posta nell’ordine: 1) Richiesta risarcimento danni da parte dell’avvocato Luca Bauccio per conto di Rachid Kherigi al-Ghannouchi, con riferimento a quanto ho scritto sul suo conto nel mio ultimo libro “Viva Israele”. 2) Richiesta risarcimento danni da parte dell’avvocato Luca Bauccio per conto dell’Ucoii (Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia), con riferimento al mio articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 4 settembre 2007 dal titolo “Quei predatori d’odio contro gli apostati sono arrivati in Italia”. 3) Richiesta risarcimento danni da parte dell’avv. Luca Bauccio per conto dell’Ucoii con riferimento a ben 9 miei articoli pubblicati sul Corriere della Sera dal 14 settembre 2007 al 25 febbraio 2008. Nella stessa giornata mi arriva via fax una quarta comunicazione, una richiesta di pubblicazione di rettifica rivolta al Corriere, direttamente da parte del presidente dell’Ucoii, Mohamed Nour Dachan, con riferimento al mio articolo del 25 febbraio 2008 dal titolo “Le nozze islamiche e il rischio di copiare Brown”. Sabato 8 marzo scarico dalla mia mail una quinta comunicazione, una richiesta da parte dell’Ufficio Legale del Corriere della Sera di una relazione circa la causa civile intentata da al-Ghannouchi per tre miei articoli pubblicati sul giornale. Mentre per posta mi arriva una sesta comunicazione, un “decreto che dispone il giudizio” emesso dall’Ufficio del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, per una causa intentata da Abdellah Labdidi, imam della moschea Er Rahma di Fermo, in riferimento a un mio articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 30 novembre 2003 dal titolo “Venerdì d’odio in alcune moschee”. Sempre di sabato ho sentito telefonicamente uno dei miei avvocati, Gabriele Gatti, circa un settimo caso giudiziario, una causa intentata contro di me dai responsabili della Grande Moschea di Roma per una dichiarazione resa nel corso di una puntata della trasmissione Otto e mezzo su La7. La domenica per fortuna l’ho passata indenne. Ma nella prima mattinata di lunedì 10 marzo ho ricevuto un’ottava comunicazione, una telefonata da parte di Bruno Tucci, presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio, di convocazione per una denuncia inoltrata da Hamza Roberto Piccardo, ex segretario nazionale dell’Ucoii, circa un mio articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 16 gennaio 2007, con il titolo “Poligamia, la moglie che accusa il capo Ucoii”. Non è un caso che in Italia Ucoii, Rached Ghannouchi, Tariq Ramadan e Yusuf al-Qaradawi siano tutti difesi dallo stesso studio legale che è poi lo stesso che difende l’ex imam di Varese dall’accusa di terrorismo. E’ proprio per rispondere a questo attacco frontale che negli Stati Uniti è nato il “Middle East Forum Legal Project”. Un jihad che ha visto la giornalista Rachel Ehrenfeld portata in un tribunale da Khalid bin Mahfouz per avere sostenuto che costui aveva legami finaziari con Al Qaeda e Hamas e condannata a un’ammenda di 30.000 sterline e a pubbliche scuse; il Cair (Consiglio per le relazioni americano-islamiche) accusare Andrew Whitehead, responsabile del sito Anti-Cair, per avere diffuso false notizie a danno della reputazione dell’Associazione, per poi ritirare l’accusa due anni dopo; la Islamic Society di Boston accusare di diffamazione diciassette persone nel maggio 2005 anche in questo caso per ritirare l’accusa due anni dopo. Il sito del “Legal Project” è molto chiaro e lucido nel definire questa tattica: “Siffatte cause sono spesso predatorio, avviate senza una seria aspettativa di successo, ma intraprese per causare la bancarotta, per distrarre, intimidire e demoralizzare gli accusati. Non si cerca tanto di vincere in tribunale, quanto di portare allo sfinimento ricercatori e analisti”. Vengono riportati anche dati ben precisi riguardo all’estrema attenzione rivolta dalle associazioni islamiche a questa battaglia: “Il Cair ha annunciato nell’ottobre 2005 di avere raccolto in un mese un milione di dollari, in parte per ‘difendere gli attacchi diffamatori ai musulmani e all’islam.” Il jihad in tribunale è stato dichiarato e merita un contrattacco. Il Legal Project americano meriterebbe di essere imitato in ogni dove perché solo così l’occidente potrà mantenere intatta la sua tanto cara libertà d’espressione di cui fruiscono gli integralisti islamici nostrani.
domenica 29 marzo 2009
Jihad islamica
Islam, istruzioni per l'uso. Il Jihad si combatte non solo con le armi ma anche nei tribunali di Valentina Colombo
“L’UOIF [Unione delle organizzazioni islamiche di Francia] perseguirà tutte le procedure legali per porre fine all’accanimento contro il Profeta Maometto – pace su di lui – e alla stigmatizzazione sistematica dell’islam e dei musulmani” (Comunicato dell’UOIF, 20 marzo 2008). Uno dei vantaggi del jihad con le armi è quello di essere palese e quindi di essere facilmente riconoscibile. Si cercano armi, cellule di predicatori del jihad. Tuttavia negli ultimi anni ha preso piede, soprattutto in quell’islam vicino al movimento dei Fratelli musulmani, un altro tipo di jihad ben più subdolo: quello che si svolge nei tribunali. Chiunque, giornalista, politico o avvocato che sia, si occupi di islam rischia di venire citato in tribunale per “oltraggio nei confronti di un gruppo di persone in ragione della loro religione”. Uno degli ultimi esempi è stato il processo intentato in Francia dall’Unione delle Organizzazioni islamiche di Francia e dalla Grande moschea di Parigi contro la rivista satirica “Charlie Hebdo” per avere ripubblicato le vignette danesi su Maometto. Nel marzo 2008 la corte d’appello di Parigi ha respinto ogni capo d’accusa poiché le caricature “che si riferiscono chiaramente a una frazione e non all’insieme della comunità islamica, non costituiscono un oltraggio, né un attacco personale e diretto contro un gruppo di persone in virtù della loro appartenenza religiosa e non valicano il limite ammesso della libertà di espressione”. Il tribunale francese ha agito in maniera saggia e sensata, ma la situazione deve fare riflettere per almeno due motivi: in primo luogo, l’attacco non viene da tutti musulmani, ma da sedicenti “comunità e organizzazioni islamiche” che non sono per nulla rappresentative, e in secondo luogo perché esiste una strategia che mira a mettere il bavaglio alla libertà d’espressione, in secondo luogo, a dimostrazione del fatto che l’islam ha vari volti, l’avvocato della rivista francese. Esistono avvocati, solitamente occidentali conniventi dal punto vista ideologico, preposti solo a questo. Un esempio lampante di jihad in tribunale è quanto ha denunciato Magdi Cristiano Allam in un suo articolo comparso sul Corriere della Sera l’11 marzo 2008. E’ un testo lungo, ma merita di essere citato per esteso: Venerdì 7 marzo 2008 ricevo per posta nell’ordine: 1) Richiesta risarcimento danni da parte dell’avvocato Luca Bauccio per conto di Rachid Kherigi al-Ghannouchi, con riferimento a quanto ho scritto sul suo conto nel mio ultimo libro “Viva Israele”. 2) Richiesta risarcimento danni da parte dell’avvocato Luca Bauccio per conto dell’Ucoii (Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia), con riferimento al mio articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 4 settembre 2007 dal titolo “Quei predatori d’odio contro gli apostati sono arrivati in Italia”. 3) Richiesta risarcimento danni da parte dell’avv. Luca Bauccio per conto dell’Ucoii con riferimento a ben 9 miei articoli pubblicati sul Corriere della Sera dal 14 settembre 2007 al 25 febbraio 2008. Nella stessa giornata mi arriva via fax una quarta comunicazione, una richiesta di pubblicazione di rettifica rivolta al Corriere, direttamente da parte del presidente dell’Ucoii, Mohamed Nour Dachan, con riferimento al mio articolo del 25 febbraio 2008 dal titolo “Le nozze islamiche e il rischio di copiare Brown”. Sabato 8 marzo scarico dalla mia mail una quinta comunicazione, una richiesta da parte dell’Ufficio Legale del Corriere della Sera di una relazione circa la causa civile intentata da al-Ghannouchi per tre miei articoli pubblicati sul giornale. Mentre per posta mi arriva una sesta comunicazione, un “decreto che dispone il giudizio” emesso dall’Ufficio del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, per una causa intentata da Abdellah Labdidi, imam della moschea Er Rahma di Fermo, in riferimento a un mio articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 30 novembre 2003 dal titolo “Venerdì d’odio in alcune moschee”. Sempre di sabato ho sentito telefonicamente uno dei miei avvocati, Gabriele Gatti, circa un settimo caso giudiziario, una causa intentata contro di me dai responsabili della Grande Moschea di Roma per una dichiarazione resa nel corso di una puntata della trasmissione Otto e mezzo su La7. La domenica per fortuna l’ho passata indenne. Ma nella prima mattinata di lunedì 10 marzo ho ricevuto un’ottava comunicazione, una telefonata da parte di Bruno Tucci, presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio, di convocazione per una denuncia inoltrata da Hamza Roberto Piccardo, ex segretario nazionale dell’Ucoii, circa un mio articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 16 gennaio 2007, con il titolo “Poligamia, la moglie che accusa il capo Ucoii”. Non è un caso che in Italia Ucoii, Rached Ghannouchi, Tariq Ramadan e Yusuf al-Qaradawi siano tutti difesi dallo stesso studio legale che è poi lo stesso che difende l’ex imam di Varese dall’accusa di terrorismo. E’ proprio per rispondere a questo attacco frontale che negli Stati Uniti è nato il “Middle East Forum Legal Project”. Un jihad che ha visto la giornalista Rachel Ehrenfeld portata in un tribunale da Khalid bin Mahfouz per avere sostenuto che costui aveva legami finaziari con Al Qaeda e Hamas e condannata a un’ammenda di 30.000 sterline e a pubbliche scuse; il Cair (Consiglio per le relazioni americano-islamiche) accusare Andrew Whitehead, responsabile del sito Anti-Cair, per avere diffuso false notizie a danno della reputazione dell’Associazione, per poi ritirare l’accusa due anni dopo; la Islamic Society di Boston accusare di diffamazione diciassette persone nel maggio 2005 anche in questo caso per ritirare l’accusa due anni dopo. Il sito del “Legal Project” è molto chiaro e lucido nel definire questa tattica: “Siffatte cause sono spesso predatorio, avviate senza una seria aspettativa di successo, ma intraprese per causare la bancarotta, per distrarre, intimidire e demoralizzare gli accusati. Non si cerca tanto di vincere in tribunale, quanto di portare allo sfinimento ricercatori e analisti”. Vengono riportati anche dati ben precisi riguardo all’estrema attenzione rivolta dalle associazioni islamiche a questa battaglia: “Il Cair ha annunciato nell’ottobre 2005 di avere raccolto in un mese un milione di dollari, in parte per ‘difendere gli attacchi diffamatori ai musulmani e all’islam.” Il jihad in tribunale è stato dichiarato e merita un contrattacco. Il Legal Project americano meriterebbe di essere imitato in ogni dove perché solo così l’occidente potrà mantenere intatta la sua tanto cara libertà d’espressione di cui fruiscono gli integralisti islamici nostrani.
“L’UOIF [Unione delle organizzazioni islamiche di Francia] perseguirà tutte le procedure legali per porre fine all’accanimento contro il Profeta Maometto – pace su di lui – e alla stigmatizzazione sistematica dell’islam e dei musulmani” (Comunicato dell’UOIF, 20 marzo 2008). Uno dei vantaggi del jihad con le armi è quello di essere palese e quindi di essere facilmente riconoscibile. Si cercano armi, cellule di predicatori del jihad. Tuttavia negli ultimi anni ha preso piede, soprattutto in quell’islam vicino al movimento dei Fratelli musulmani, un altro tipo di jihad ben più subdolo: quello che si svolge nei tribunali. Chiunque, giornalista, politico o avvocato che sia, si occupi di islam rischia di venire citato in tribunale per “oltraggio nei confronti di un gruppo di persone in ragione della loro religione”. Uno degli ultimi esempi è stato il processo intentato in Francia dall’Unione delle Organizzazioni islamiche di Francia e dalla Grande moschea di Parigi contro la rivista satirica “Charlie Hebdo” per avere ripubblicato le vignette danesi su Maometto. Nel marzo 2008 la corte d’appello di Parigi ha respinto ogni capo d’accusa poiché le caricature “che si riferiscono chiaramente a una frazione e non all’insieme della comunità islamica, non costituiscono un oltraggio, né un attacco personale e diretto contro un gruppo di persone in virtù della loro appartenenza religiosa e non valicano il limite ammesso della libertà di espressione”. Il tribunale francese ha agito in maniera saggia e sensata, ma la situazione deve fare riflettere per almeno due motivi: in primo luogo, l’attacco non viene da tutti musulmani, ma da sedicenti “comunità e organizzazioni islamiche” che non sono per nulla rappresentative, e in secondo luogo perché esiste una strategia che mira a mettere il bavaglio alla libertà d’espressione, in secondo luogo, a dimostrazione del fatto che l’islam ha vari volti, l’avvocato della rivista francese. Esistono avvocati, solitamente occidentali conniventi dal punto vista ideologico, preposti solo a questo. Un esempio lampante di jihad in tribunale è quanto ha denunciato Magdi Cristiano Allam in un suo articolo comparso sul Corriere della Sera l’11 marzo 2008. E’ un testo lungo, ma merita di essere citato per esteso: Venerdì 7 marzo 2008 ricevo per posta nell’ordine: 1) Richiesta risarcimento danni da parte dell’avvocato Luca Bauccio per conto di Rachid Kherigi al-Ghannouchi, con riferimento a quanto ho scritto sul suo conto nel mio ultimo libro “Viva Israele”. 2) Richiesta risarcimento danni da parte dell’avvocato Luca Bauccio per conto dell’Ucoii (Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia), con riferimento al mio articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 4 settembre 2007 dal titolo “Quei predatori d’odio contro gli apostati sono arrivati in Italia”. 3) Richiesta risarcimento danni da parte dell’avv. Luca Bauccio per conto dell’Ucoii con riferimento a ben 9 miei articoli pubblicati sul Corriere della Sera dal 14 settembre 2007 al 25 febbraio 2008. Nella stessa giornata mi arriva via fax una quarta comunicazione, una richiesta di pubblicazione di rettifica rivolta al Corriere, direttamente da parte del presidente dell’Ucoii, Mohamed Nour Dachan, con riferimento al mio articolo del 25 febbraio 2008 dal titolo “Le nozze islamiche e il rischio di copiare Brown”. Sabato 8 marzo scarico dalla mia mail una quinta comunicazione, una richiesta da parte dell’Ufficio Legale del Corriere della Sera di una relazione circa la causa civile intentata da al-Ghannouchi per tre miei articoli pubblicati sul giornale. Mentre per posta mi arriva una sesta comunicazione, un “decreto che dispone il giudizio” emesso dall’Ufficio del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, per una causa intentata da Abdellah Labdidi, imam della moschea Er Rahma di Fermo, in riferimento a un mio articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 30 novembre 2003 dal titolo “Venerdì d’odio in alcune moschee”. Sempre di sabato ho sentito telefonicamente uno dei miei avvocati, Gabriele Gatti, circa un settimo caso giudiziario, una causa intentata contro di me dai responsabili della Grande Moschea di Roma per una dichiarazione resa nel corso di una puntata della trasmissione Otto e mezzo su La7. La domenica per fortuna l’ho passata indenne. Ma nella prima mattinata di lunedì 10 marzo ho ricevuto un’ottava comunicazione, una telefonata da parte di Bruno Tucci, presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio, di convocazione per una denuncia inoltrata da Hamza Roberto Piccardo, ex segretario nazionale dell’Ucoii, circa un mio articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 16 gennaio 2007, con il titolo “Poligamia, la moglie che accusa il capo Ucoii”. Non è un caso che in Italia Ucoii, Rached Ghannouchi, Tariq Ramadan e Yusuf al-Qaradawi siano tutti difesi dallo stesso studio legale che è poi lo stesso che difende l’ex imam di Varese dall’accusa di terrorismo. E’ proprio per rispondere a questo attacco frontale che negli Stati Uniti è nato il “Middle East Forum Legal Project”. Un jihad che ha visto la giornalista Rachel Ehrenfeld portata in un tribunale da Khalid bin Mahfouz per avere sostenuto che costui aveva legami finaziari con Al Qaeda e Hamas e condannata a un’ammenda di 30.000 sterline e a pubbliche scuse; il Cair (Consiglio per le relazioni americano-islamiche) accusare Andrew Whitehead, responsabile del sito Anti-Cair, per avere diffuso false notizie a danno della reputazione dell’Associazione, per poi ritirare l’accusa due anni dopo; la Islamic Society di Boston accusare di diffamazione diciassette persone nel maggio 2005 anche in questo caso per ritirare l’accusa due anni dopo. Il sito del “Legal Project” è molto chiaro e lucido nel definire questa tattica: “Siffatte cause sono spesso predatorio, avviate senza una seria aspettativa di successo, ma intraprese per causare la bancarotta, per distrarre, intimidire e demoralizzare gli accusati. Non si cerca tanto di vincere in tribunale, quanto di portare allo sfinimento ricercatori e analisti”. Vengono riportati anche dati ben precisi riguardo all’estrema attenzione rivolta dalle associazioni islamiche a questa battaglia: “Il Cair ha annunciato nell’ottobre 2005 di avere raccolto in un mese un milione di dollari, in parte per ‘difendere gli attacchi diffamatori ai musulmani e all’islam.” Il jihad in tribunale è stato dichiarato e merita un contrattacco. Il Legal Project americano meriterebbe di essere imitato in ogni dove perché solo così l’occidente potrà mantenere intatta la sua tanto cara libertà d’espressione di cui fruiscono gli integralisti islamici nostrani.
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