mercoledì 31 dicembre 2014

Auguri!

L'ultima notizia dell'anno

Centinaia di immigrati diretti in Croazia: la nave dirottata verso l'Italia. Non è la prima volta che succede: qualche vgiorno fa centinaia di clandestini arrivati in Grecia si sono rifiutati di sbarcare e si sono fatti portare in Italia di Sergio Rame

Alla fine i clandestini vengono spediti tutti in Italia. La Terra dei sogni dove le leggi scritte non sono rispettate e le carceri hanno porte girevoli e i giudici sono sempre porti a perdonare con un buffetto. L'Eldorado d'Europa dove, nonostante la crisi economica i soldi per mantenere gli extracomunitari saltano sempre fuori. Così accade che una nave, la Blue Sky M battente barriera moldava, stracarica di immigrati siriani e diretta in Croazia, all'altezza di Corfù lanci un imprecisato allerme e, all'improvviso, cambi rotta e decida di puntare a tutta birra verso l'Italia. Non è la prima volta che succede. Siamo stati costretti ad assistere alla stessa scena una decina di giorni fa: gli stranieri arrivati a Pilos, al largo delle coste sud-occidentali del Peloponneso, si sono rifiutati di attraccare e si sono fatti portare in Sicilia.

La Blue Sky M è partita dalla Turchia. A bordo ci sono centinaia di siriani che, secondo gli accordi presi con gli scafisti, avrebbero dovuto sbarcare in Croazia. Peccato che, durante la navigazione, la nave cargo abbia deciso di cambiare rotta e dirigersi verso la costa meridionale della Puglia. Non si sa se la decisione sia stata presa dagli stessi scafisti prima di abbandonare la Blue Sky M utilizzando altre imbarcazioni o dagli stessi clandestini siriani una volta lasciati alla deriva nel Mar Adriatico. A raccogliere la richiesta di soccorso, inviata mentre la Blue Sky M salpava dalla costa al largo dell'isola di Corfù, è stata ancora una volta la Guardia costiera italiana che si è affrettata ad avvertire le autorità greche che ha inviato un paio di elicotteri per scortare la nave fino in Italia. La ricostruzione dei fatti, però, è piuttosto frammentaria e discordante. Inizialmente la richiesta di soccorso è stata legata alla presenza di uomini armati a bordo. A distanza di poco tempo si è parlato di un'avaria al motore. Allarme che è presto rientrato lasciando un'unica certezza: il cargo stracarico diretto in Croazia è stato dirottato (non si sa perché) in Italia.

Non è certo la prima volta che i barconi che solcano il Mar Mediterraneo vengono dirittato verso il Belpaese. Se fino a qualche tempo fa era Malta a rifiutarsi di intervenire "obbligando" la Marina militare italiana a soccorrere i disperati in balia delle onde, adesso sono gli stessi clandestini a preferire le coste italiche schifando gli altri Paesi dell'Eurozona. Lo scorso 19 dicembre, per esempio, un barcone con circa duecento immigrati è stato raggiunto a 117 miglia da Pilos, al largo delle coste sud-occidentali del Peloponneso. I clandestini si sono rifiutati di puntare la prua verso le spiagge greche e hanno insistito invece per essere portati in Italia. E così è stato.

mercoledì 24 dicembre 2014

Oh! Oh! Oh!

Buon Natale da noi!

sabato 20 dicembre 2014

Buffoni

Tagli e tasse sotto dettatura. Lo stop e il ritardo al maxiemendamento ha ragioni più serie di quelle spiegate dal viceministro Morando. Come un intervento a gamba tesa della Commissione Ue di Adalberto Signore

Ventidue ore di ritardo, con l'imbarazzato viceministro Morando a spiegare al Senato che «non è ancora pronta la relazione tecnica» alla legge di Stabilità. Una scusa, visto che la Ragioneria è in grado di rimettere mano alle coperture in un attimo anche quando le correzioni in corsa valgono centinaia di milioni. Lo stop, insomma, ha ragioni più serie. Come, sospettano in molti anche nelle file del Pd, un intervento a gamba tesa della Commissione Ue. È questo, almeno, il rumore di sottofondo di un venerdì che il Senato ha passato sull'ottovolante. Dagli esponenti del governo ai senatori di maggioranza e opposizione, fino ai tecnici di Palazzo Chigi e Palazzo Madama, tutti sono rimasti appesi al testo del maxiemendamento che è ricomparso solo alle sette e passa di sera con annessa e scontata richiesta di voto di fiducia del ministro Boschi. In mezzo il rimaneggiamento a piene mani del provvedimento, gestito in prima persona da Renzi e dal suo braccio destro Lotti. E, con ogni probabilità, suggerito da Bruxelles, dove già giovedì era stato fatto notare al premier che l'ultima versione della legge di Stabilità - quella approvata dalla Camera - non convinceva in molti passaggi. Tutti rilievi recapitati a Palazzo Chigi in via informale, visto che - almeno per il momento - l'Italia non è ancora sottoposta a quel «monitoraggio stretto» che invece ci imporrebbe di concordare ogni passo con i tecnici della Commissione Ue.

I contatti con gli uffici dei tecnici di Bruxelles, insomma, sono stati ripetuti, al punto che le obiezioni sollevate sarebbero state anche piuttosto mirate. Ed è per questo - al netto dello scontro interno al Pd e di una gestione un po' approssimativa della pratica da parte del ministro Boschi - che il governo è rimasto impantanato tutto il giorno dietro la manovra. Una delle più sofferte degli ultimi anni, anche più di quelle che qualche tempo fa vedevano protagonista Tremonti e le sue memorabili litigate con tutti gli altri ministri. E che la situazione sia eccezionale, per certi versi quasi surreale, lo si ha chiaro da subito. Non è un caso che l'azzurro Romani replichi a Morando definendo quella della relazione tecnica una «scusa risibile», mentre è il capogruppo del Gal Ferrara a sottolineare come a Bruxelles abbiano «fatto tante osservazioni» al premier sulla legge di Stabilità. Insomma, anche se gli esami di riparazione del nostro debito pubblico - insieme a quello di Francia e Belgio - sono in programma a marzo, la sensazione è che già oggi l'Italia sia per molti versi un Paese sotto tutela. Una condizione che difficilmente cambierà, soprattutto ora che il semestre di presidenza italiana si è appena concluso con un gigantesco buco nell'acqua sul fronte - fondamentale - della flessibilità.

Se c'erano... dormivano

Poletti: "L'appalto a Buzzi? Nessun affidamento diretto". Il Ministero del Lavoro: "La società è stata autorizzata dal tribinale di Roma" di Chiara Sarra

Un appalto da tre milioni di euro affidato alla cooperativa 29 giugno, guidata da Salvatore Buzzi, per lavori di pulizia all'interno del Ministero del Lavoro inguaia ancora Giuliano Poletti. Che ora replica: le gare di affidamento "esulano dall'attività di indirizzo politico in capo al ministro". Insomma, l'appalto c'è stato, ma anche stavolta Poletti non ne sapeva nulla. Anzi, le indiscrezioni di stampa "in modo falso e strumentale, parlano di affidamento diretto alla cooperativa". La "29 giugno" sarebbe invece stata autorizzata dal Tribunale di Roma a proseguire i lavori di pulizia nelle sedi del ministero del Lavoro. In realtà l'appalto era stato un consorzio che aveva affidato i lavori alla cooperativa Antares. Quando si scopre che quest'ultima non è in regola con i contributi dei lavoratori, l'appalto passa nelle mani della "29 giugno". Allora Poletti era già ministro, ma lo scandalo Mafia Capitale non era ancora scoppiato. A dicembre il consorzio di gestione che aveva vinto inizialmente la gara aveva proposto di revocare la coop di Buzzi, ma il tribunale di Roma ha autorizzato la "29 Giugno" a continuare i lavori attraverso gli amministratori giudiziari.

Intanto le polemiche divampano e il Movimento 5 Stelle non perde occasione per prendersela con il governo. "#PolettiDimettiti subito!", scrive il deputato grillino Massimo Baroni sul blog di Beppe Grillo, "Non sono solo foto, quelle in cui il braccio imprenditoriale della mafia capitale, Salvatore Buzzi, viene ritratto insieme al ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. C’è un appalto. Poletti andava a cena con Buzzi e tutto il cucuzzaro, presenziava alla presentazione del faraonico bilancio della sua cooperativa. Poletti era presidente della Legacoop, ma non si è accorto di nulla. Ora è il ministro del Lavoro e non si è accorto dell’appalto dato con l’avallo del suo ministero alla cooperativa di Buzzi. Poletti, forse, non si è accorto neanche di essere un ministro. Poletti deve dimettersi, per restituire un minimo di dignità all’istituzione che rappresenta".

venerdì 19 dicembre 2014

Chiedete e sarete accontentati...

Immigrati arrivano in Grecia ma rifiutano di sbarcare: vogliono essere portati in Italia. Duecento clandestini recuperati dalla Marina greca al largo del Peloponneso: loro rifiutano di sbarcare in Grecia e ottengono di essere rimorchiati fino in Sicilia di Ivan Francese

L'emergenza immigrazione non si ferma, nemmeno alle porte di Natale. E anche gli immigrati che finiscono in Grecia si rifiutano di sbarcare e vogliono essere portati in Italia. Venendo puntualmente accontentati. Nelle prime ore di questa mattina, infatti, un barcone con circa duecento immigrati è stato localizzato a 117 miglia al largo di Pilos, al largo delle coste sud-occidentali del Peloponneso, in Grecia. L'avvistamento è opera del Centro di Ricerca e Soccorso del ministero della Marina mercantile greca (Esked), su indicazioni della Guardia Costiera italiana. La carretta del mare, secondo quanto riferiscono i media greci, è già stata raggiunta da cinque altri natanti pronti a portare soccorso. Gli immigrati, tuttavia, si sono rifiutati di puntare la prua verso le spiagge greche e hanno insistito invece per venire portati in Italia. Alla fine l'hanno spuntata, e il barcone sta venendo rimorchiato verso un porto - ancora non si sa quale - della Sicilia. Lì gli immigrati potranno finalmente sbarcare e mettere piede sul suolo europeo.

giovedì 11 dicembre 2014

Il problema è l'antipolitica...

Giorgio Napolitano: “Critica alla politica è degenerata in patologia eversiva”. Il Capo dello Stato parla del decadimento del sistema politico e chiede di colpire infiltrazioni e corruzione. Ma se la prende con giornali e opinion makers. E dice: "Mai come nello scorso biennio metodi di intimidazione fisica in Parlamento". Errore storico: non ricorda i tumulti del 1953, a pochi mesi dalla sua elezione alla Camera di F. Q.

“La critica della politica e dei partiti, preziosa e feconda nel suo rigore, purché non priva di obiettività, senso della misura e capacità di distinguere è degenerata in anti-politica, cioè in patologia eversiva”. Parola di Giorgio Napolitano. Contro le infiltrazioni criminali nella politica e il degrado di quest’ultima. Ma anche contro chi critica la politica, anche se malata: quindi organi di stampa, opinion makers e alcuni esponenti politici ‘non allineati’ come Beppe Grillo e Matteo Salvini. E non risparmia, leggendo fra le righe, un cenno apparentemente destinato all’operato di Matteo Renzi quando, al termine del suo intervento, invita e tenersi ben lontani dai “senza speranze” (chiaro il riferimento a M5s) e ai “banditori di smisurate speranze”. Il presidente della Repubblica ha utilizzato il palco di una manifestazione all’Accademia dei Lincei per dire la sua, seppur indirettamente e non facendone mai il nome, sull’operazione della Procura di Roma che smantellato la cosiddetta mafia capitale e le sue innumerevoli entrature nelle istituzioni. Non solo. Napolitano ha attaccato anche chi spara a zero sui partiti sull’onda dello sdegno. Per Napolitano, “non deve mai apparire dubbia la volontà di prevenire e colpire infiltrazioni criminali e pratiche corruttive nella vita politica e amministrativa”. Ciò non toglie, ha aggiunto il Capo dello Stato , che “è ormai urgente la necessità di reagire” ad una certa anti-politica, “denunciandone le faziosità, i luoghi comuni, le distorsioni impegnandoci su scala ben più ampia non solo nelle riforme necessarie” ma anche “a riavvicinare i giovani alla politica”.

“Anti-politica è la più grave delle patologie” - Napolitano, ovviamente, non ha potuto non registrare che è in atto una crisi “che ha segnato un grave decadimento della politica, contribuendo in modo decisivo a un più generale degrado dei comportamenti sociali, a una più diffusa perdita dei valori che nell’Italia repubblicana erano stati condivisi e operanti per decenni”. Da qui il proliferare dell’antipolitica, che per il presidente della Repubblica è “la più grave delle patologie” con cui un Paese civile deve fare i conti. Più della corruzione, più delle organizzazioni malavitose nelle istituzioni. Non solo. Per Napolitano, negli ultimi tempi, sono dilagate nei confronti della politica e delle istituzioni “analisi unilaterali, tendenziose, chiuse ad ogni riconoscimento di correzioni e di scelte apprezzabili, per quanto parziali o non pienamente soddisfacenti”. Una azione, ha sottolineato il capo dello Stato, cui non si sono sottratti “infiniti canali di comunicazione, a cominciare da giornali tradizionalmente paludati, opinion makers lanciati senza scrupoli a cavalcare l’onda, per impetuosa e fangosa che si stesse facendo, e anche, per demagogia e opportunismo, soggetti politici pur provenienti della tradizioni del primo cinquantennio della vita repubblicana“.

“Anti-politica mischiata ad anti-europeismo” - Da qui l’appello per “una larga mobilitazione collettiva volta a demistificare e mettere in crisi le posizioni distruttive ed eversive dell’anti-politica” e “insieme sollecitare un’azione sistematica di riforma delle istituzioni e delle regole che definiscono il profilo della politica”. A chi è rivolto l’invito del presidente? “A tutte le componenti dello schieramento politico“. A sentire il capo dello Stato, inoltre, ultimamente stanno emergendo “svalutazioni sommarie e posizioni liquidatorie” rispetto all’Unione Europea: “Gli ingredienti dell’anti-politica si sono confusi con gli ingredienti dell’anti-europeismo” è l’allarme lanciato da Napolitano, secondo cui a creare questa situazione “hanno contribuito miopie e ritardi delle istituzioni comunitarie insieme a calcoli opportunistici degli Stati membri“.

“In Italia gruppi politici o movimenti poco propensi a comportamenti pienamente pacifici” - Il presidente della Repubblica, poi, ha sottolineata l’esistenza di “un rischio di focolai di violenza destabilizzante, eversiva, che non possiamo sottovalutare” e che non si possono ricondurre soltanto alla crisi e al malessere sociale. Anzi. A sentire il capo dello Stato oggi ci sono “magari al di fuori di ogni etichettatura di sinistra o di destra, gruppi politici o movimenti poco propensi a comportamenti pienamente pacifici, nel perseguire confuse ipotesi di lotta per una ‘società altra’ o per una ‘alternativa di sistema’. Virus di questo genere – ha detto Napolitano – circolano ancora in certi spezzoni di sinistra estremista o pseudo rivoluzionaria, e concorrono ad alimentare la degenerazione del ricorso alla violenza, mascherato da qualsiasi fuorviante motivazione“. Un rischio, insomma, di focolai di violenza “destabilizzante, eversiva, che non possiamo sottovalutare, evitando allo stesso tempo l’errore di assimilare a quel rischio tutte le pulsioni di malessere sociale, di senso dell’ingiustizia, di rivolta morale, di ansia di cambiamento con cui le forze politiche e di governo in Italia devono fare i conti“.

“Mai come nello scorso biennio metodi di intimidazione fisica in Parlamento” - L’analisi e la critica del Capo dello Stato poi si è spostata sui giovani rappresentanti delle istituzioni, che devono impegnarsi “a servizio del Parlamento e del Paese, impedendo l’avvitarsi di cieche spirali di contrapposizione faziosa e talora persino violenta”. Loro, per Napolitano, devono invece alimentare “ragionevoli speranze per il futuro dell’Italia”. Anche perché “mai era accaduto”, come nel biennio scorso, l’avvio “in Parlamento di metodi e atti concreti di intimidazione fisica, di minaccia, di rifiuto di ogni regola e autorità, di tentativi sistematici e continui di stravolgimento e impedimento dell’attività legislativa delle Camere”.

L’errore storico di Napolitano: dimentica i tumulti al Senato per l’approvazione della legge Truffa - Su quest’ultima presa di posizione, però, Giorgio Napolitano ha commesso un errore storico. Di episodi di intolleranza parlamentare (e massmediatica) sono pieni gli archivi di Stato e dei giornali. Uno in particolare, poi, ha caratteristiche cronologiche di importanza strategica per la carriera del presidente della Repubblica: datato marzo 1953, ovvero a pochi mesi dal suo esordio in Parlamento come deputato (giugno 1953). Il riferimento è ai tumulti nell’aula del Senato in occasione dell’approvazione della cosiddetta Legge Truffa, ovvero il nuovo sistema di voto voluto dalla maggioranza democristiana e che prevedeva l’assegnazione del 65% dei seggi alla Camera al partito o alla coalizione che avesse racimolato più del 50% dei voti validi. A Palazzo Madama fu bagarre: dopo oltre 70 ore di seduta, scoppiò una rissa (durata oltre 40 minuti) di proporzioni memorabili. Protagonisti gli esponenti del Pci e del Psi, entrambi contrari alla forzatura dell’esecutivo De Gasperi. Aneddoti passati alla storia della Repubblica. Come quel “Lei non è un presidente, è una carogna! Un porco!” urlato da Sandro Pertini all’indirizzo del presidente del Senato Meuccio Ruini. O come l’aggressione verbale del comunista Elio Spano ad un giovanissimo Giulio Andreotti: “Dopo il voto avrete un nuovo piazzale Loreto!” era la minaccia di Spano, con il Divo che, nella pioggia di oggetti lanciati dai banchi della sinistra (ringhiere divelte e sportelli sfasciati: all’epoca si quantificò il danno in un milione di lire), aveva provato a proteggersi indossando a mo’ di casco un cestino per la carta straccia. Il giorno successivo, i giornali rincararono la dose, pubblicando articoli e titoli dai toni a dir poco incendiari. L’Unità evocò il gergo mussoliniano e il primo discorso del Duce alla Camera da premier”, paragonando il Senato a un “bivacco di vecchi democristiani”. Il socialista l’Avanti! non fu da meno, parlando del presidente Ruini come di un “cadavere vivente, sacco gonfio di vanità”. Pezzi, insulti e minacce di un’Italia in bianco e nero che ha dato spunto a molti scrittori (Tumulti in aula di Sabino Labia e Lei non sa chi ero io! di Filippo Battaglia), ma che Napolitano non cita. Eppure, quei momenti, il capo dello Stato li ha vissuti in prima persona e in forma interessata: già militante del Partito comunista, venne eletto deputato proprio in seguito a quei tumulti.

Grillo: “Attento Napolitano o ti denunciamo per vilipendio a M5s” - L’attacco del Capo dello Stato ha provocato la reazione di Beppe Grillo. “Napolitano deve stare molto attento, rischia che lo denunciamo per vilipendio del Movimento” ha detto il leader del M5s lasciando il Senato. Sulla stessa linea d’onda anche altri esponenti grillini. “E’ vergognoso che il presidente sia entrato a gamba tesa sulla nostra conferenza sul referendum antieuro tacciandola di antipolitica, mentre resta in silenzio sulla vicenda di ‘Mafia capitala’ e sui due partiti infestati dalla corruzione” ha detto la senatrice Barbara Lezzi. Più politica la presa di posizione di Nicola Morra: “Napolitano sollecita noi ma non ha nulla da dire sullo strumento scelto per combattere la corruzione da questo governo. Siamo subissati dai decreti legge – ha aggiunto il senatore M5s – e Napolitano ne fa ogni volta un monito: ma una volta che davvero serviva un decreto, come sull’anticorruzione, la risposta del governo sono quattro ddl“.

Quelli puliti

"Dai rom ai voti gonfiati, nel mio Pd un sistema schifoso". ESCLUSIVO Dopo il terremoto dell'inchiesta "Mafia Capitale", Tommaso Giuntella al Giornale.it ammette che nel partito ci sono troppe irregolarità. Dai voti comprati alle tessere gonfiate, fino ai rom in fila ai seggi: ecco tutte le porcherie del Pd romano di Francesco Curridori

Mafia Capitale, il commissariamento, ma non solo. Sono giorni di grande tensione per il Partito democratico romano. Tommaso Giuntella, 30 anni, dopo aver perso il congresso cittadino, nel 2013 è diventato il presidente del Pd capitolino. Giuntella, che aveva fatto parte dello staff di Bersani per le primarie del 2012, ha tentato di scalare le vette del Pd capitolino sfidando il renziano Tobia Zevi e l’ormai ex segretario Lionello Cosentino, l’uomo che Matteo Orfini è stato chiamato a sostituire. Da un’intercettazione dell’inchiesta su Mafia Capitale risulta che Salvatore Buzzi avrebbe rassicurato Massimo Carminati sull’esito di quelle votazioni dicendo: “Stiamo a sostene' tutti e due ... avemo dato 140 voti a Giuntella e 80 a Cosentino”. A queste implicite accuse Giuntella spiega al Giornale.it di essere estraneo ai fatti, ma denuncia un sistema interno pieno di irregolarità.

Perché allora è stato fatto il suo nome nelle intercettazioni? "Probabilmente si è trattato di accordi tra quelli che mi sostenevano e che volevano fare bella figura facendo vedere che erano in grado di portarmi tanti voti. Forse erano proprio 140 dipendenti di Buzzi iscritti al Pd che avevano avuto l’ordine di votarmi ma nessuno sapeva che quella cooperativa fosse così zozza".

Durante quel congresso però vi furono delle irregolarità che lei stesso denunciò? "Sì, ci sono stati circoli con 40 iscritti in cui votarono più di trecento persone e quartieri come Testaccio dove io presi solo 10 voti contro i 300 di Cosentino ma non gliene voglio fare una colpa. Probabilmente anche per lui qualcuno ha agito alle sue spalle".

E questo come è stato possibile? "È successo per colpa delle regole che lasciavano la libertà di iscriversi al partito anche venti minuti prima del voto e questa cosa ha falsato soprattutto il congresso dei circoli frequentati di solito da 40 o 50 persone al massimo. È stato triste vedere vincere qualcuno soltanto perché all’ultimo minuto è riuscito a portare al voto 300 iscritti".

Allora qual è stata l’irregolarità più eclatante? "A Casal Bertone la mia candidata aveva vinto per una manciata di voti. Il giorno dopo trovò la serratura del circolo cambiata e un cartello con scritto: “Circolo del Campo dem”, l’associazione dell’europarlamentare Goffredo Bettini (che all’epoca sosteneva Cosentino ndr), colui che dal ’93 a oggi ha sempre avuto un ruolo da protagonista nella scelta dei candidati sindaco del centrosinistra anche se poi tende a lavarsene le mani…"

All’epoca di quel congresso il Presidente del partito a Roma era Eugenio Patanè, ormai ex consigliere regionale dem, indagato nell’inchiesta su Mafia Capitale. Crede che fosse implicato anche in quelle irregolarità? "Non lo so, io non seguivo molto le vicende locali del partito".

Ma lei vide dei rom ai seggi per eleggere il segretario o per scegliere il candidato sindaco? "Li vidi alle primarie per il sindaco e denunciammo anche la cosa. Era ben strano che un rom arrivasse al seggio con 20 euro, si facesse la tessera e votasse per eleggere il futuro candidato primo cittadino della Capitale ma le regole lo consentivano".

E i rom votarono per Marino? "I rom hanno votato anche per David Sassoli che era appoggiato dall’ex capogruppo in Campidoglio Umberto Marroni ( figlio di Angiolo Marroni, garante dei detenuti del Lazio ndr), amico di Buzzi, il quale ha puntato su entrambi i candidati così da sentirsi al sicuro chiunque vincesse."

Quindi, come direbbe Veltroni, è colpa dei signori delle tessere? Tessere che Orfini ha ridotto da 16 a novemila… "No, non è colpa delle tessere ma di un sistema schifoso e aberrante che ha permesso di iscriversi fino a un minuto prima del voto. I signori delle tessere in passato hanno sostenuto anche Veltroni e ci saranno sempre finché vi sarà un partito liquido e scalabile da furbi in cui le persone contano più delle idee…"

Ma dopo questo scandalo Marino si dovrebbe dimettere? Non è lui che ha nominato Walter Politano, il capo dell’anticorruzione al Campidoglio? "No, Marino deve continuare per non darla vinta a chi voleva cacciarlo. Politano lui non lo conosceva, è stato messo lì dalle correnti ma non sapeva che noi l’avevamo cacciato dal Primo Municipio perché non ci piaceva il suo modo di lavorare."

martedì 9 dicembre 2014

Devono pagare pure le bollette... poverini!

I nomadi accusano Bitonci: "Ci fa pagare pure le bollette". I nomadi accusano il sindaco di Padova: "Zanonato era un amico, ora dobbiamo pagare le bollette". Poi passano alle mincacce: "Chi ci crea problemi non esce vivo" di Giovanni Masini

Fumo e fiamme sono state viste levarsi dal campo nomadi di Mortise, alle porte di Padova. Era lunedì pomeriggio, poco dopo le 16, quando la polizia e i vigili del fuoco sono dovuti intervenire per sedare un principio d'incendio che sembrerebbe essere stato di origine dolosa. Gli abitanti del campo, come racconta il Gazzettino, hanno da subito puntato il dito contro attentatori "esterni", intenzionati a spaventarli con un atto intimidatorio. I sinti, spiega il quotidiano veneto, sostengono di aver visto un furgone bianco avvicinarsi al campo, alcuni ragazzi scendere ed appiccare le fiamme alle sterpaglie ai confini dell'accampamento. La conclusione che ne traggono è facilmente immaginabile: "Si tratta di un raid razzista". Un'ipotesi che secondo i sinti sarebbe suffragata dall'incendio di un cassonetto, sempre nella stessa zona, risalente ad appena pochi giorni fa. E dal campo nomadi i giovani sinti accusano anche la politica: "Abbiamo sentito dire in televisione che ci sono persone pronte a darci fuoco anche se poi finiscono in galera", commenta un ragazzo dell'accampamento parlando al Gazzettino.

E in cima alla lista degli obiettivi della contestazione c'è il sindaco leghista del capoluogo euganeo, Massimo Bitonci: "Zanonato era un bravo sindaco, era oro, ci ha dato spazio, ci mandava la ghiaia per il campo, ci aiutava. Avevamo l'elettricità e il resto, con Bitonci abbiamo dovuto fare l'allacciamento all'Enel e pagare le bollette." E ancora: "Noi lavoriamo col ferro, siamo in regola con la partita Iva ma la gente dice che gli zingari sono tutti ladri. Noi siamo zingari tranquilli, ma se uno venisse nel campo a creare problemi, non ne uscirebbe." Parole che proprio non sono piaciute al primo cittadino, subito pronto a riprenderle sul proprio profilo Facebook con la denuncia delle "minacce contro me e i Padovani" e gli hashtag #orabasta e #cambiamopadova.

domenica 7 dicembre 2014

Non sanno mai un cazzo

No, dai, non sanno mai un cazzo loro. Loro, la questione morale... i santi. Si mormora anche che cominciò tutto quando c'era Veltroni. Ma non sanno mai un cazzo. I colpevoli sono sempre gli altri. Loro, se ci sono dentro, è solo per un caso.