martedì 31 marzo 2009

Illegalità

Il caso. Ischia, il vescovo si schiera con gli abusivi: fermiamo la demolizione delle prime case. Monsignor Filippo Strofaldi, lancia un appello ai responsabili della Procura di Napoli

NAPOLI
- Il vescovo di Ischia lancia un appello per le case abusive: «Alziamo la nostra voce accorata, sollecitati da qualche famiglia e da movimenti partitici perché la demolizione di case abusive, ma si tratta spesso di 'prime case', venga sospesa in attesa anche del Piano Case proposto dal governo e di cui si ha soltanto l’annuncio ma non ancora i contenuti».

«NO AL LEGALISMO ESASPERATO» - Così monsignor Filippo Strofaldi ai responsabili della Procura della Repubblica di Napoli, in merito al piano di demolizioni avviato ieri sull’isola con l’abbattimento del primo di circa seicento abusi gravati da ordine di demolizione, in seguito a sentenza penale passata in giudicato. Il vescovo di Ischia ha spiegato che «l’impegno della comunità isolana, della Procura, degli amministratori e delle forze dell’ordine deve essere espresso certamente nella legalità e nella giustizia, ma non nel legalismo esasperato e nel giustizialismo ricordando la verità dei diritti fondamentali delle famiglie e della persona umana ad avere una casa da abitare, un lavoro per sostenersi, un ospedale per essere curati, una scuola per apprendere, centri sociali per anziani e luoghi di associazione per i giovani». «Questi diritti fondamentali - aggiunge Strofaldi - spesso vengono negati o procrastinati dal Governo o dai responsabili in genere della res publica a favore invece di altre realtà e privilegi di pochi. Già Giovanni XXIII denunciava l’accentuarsi della forbice sociale, quando persone ricche diventano sempre più ricche, mentre persone povere sono sempre più povere».

IL PM: NO COMMENT - Dal procuratore aggiunto di Napoli, Aldo De Chiara arriva un secco no comment, all’appello del vescovo di Ischia Filippo Strofaldi. De Chiara, raggiunto telefonicamente, si è limitato a dichiarare, appunto, «no comment».

Pd e immigrazione

Il Pd getta la maschera a Cesena: vuole la moschea. Referendum.

Il candidato sindaco del PD a Cesena, Paolo Lucchi, finalmente prende posizione sulla Moschea a Cesena e annuncia senza mezzi termini che sia lui che il suo partito sono favorevoli alla sua realizzazione. E' finito il tempo del detto e non detto, delle mezze ammissioni e delle perifrasi, la chiama col suo nome: Moschea. Favorevole Lucchi, come lo è stato da sempre anche il Sindaco Conti, il peggiore Sindaco che Cesena ricorderà proprio per l'arroganza della sua Amministrazione e per la assoluta indifferenza al bene di questa città. Tira in ballo di tutto Lucchi, da un presunti sdoganamenti e placet della Curia Vescovile al nefasto governo Prodi, per sostenere di fare "la cosa giusta": "Sono convinto - e so di non essere il solo, affiancato da tanti cittadini equilibrati, ma anche alla luce delle posizioni espresse pochi mesi fa sulle colonne del Corriere Cesenate dal delegato per l'ecumenismo e il dialogo interreligioso della nostra diocesi - che i cittadini di religione musulmana di Cesena abbiano diritto ad un luogo in cui esercitare i loro momenti di aggregazione e di culto, ovviamente nel rispetto della cultura e delle regole della nostra società in cui vivono e della "Carta dei valori della cittadinanza e dell'integrazione", adottata nel 2006 dal Governo Prodi". Non voglio spendere più parole sulle bugie che i nostri patetici amministratori ci hanno raccontato finora, ne su come si siano resi ridicoli in tutti i risvolti di questa oscura vicenda, non meritano nemmeno di essere salutati per strada. Quanto alle "nuove povertà" che Lucchi denuncia come se il centrodestra non le avesse mai evidenziate finora, rispondo che è proprio grazie alla lucrosa gestione fatta dalla sinistra che ogni denaro transitato per Cesena ai cesenati non è mai rimasto, ed è andato piuttosto invece a beneficiare l'economia del sistema economico di quel partito che di democratico non ha nulla se non il nome. E' sufficiente liberarsi di voi e dei vostri protetti per ritornare a vedere una economia reale e non fittizia e di favore. Adesso basta, ma basta per davvero. Dietro questa immigrazione massiccia ci sono solo torbidi interessi economici, e a pagarne le spese siamo noi che dobbiamo per forza convivere con persone che non gradiamo. Interessi del sindacato, interessi di partito, interessi di cooperative. Basta! Basta parlare, avete agito voi finora senza chiedere a nessuno come la pensava, adesso agiremo noi. Chiediamo un referendum popolare per permettere finalmente ai cittadini di esprimere il loro dissenso a questa integrazione forzata, pilotata, imposta senza mezzi termini a suon di ingiustizie. Informeremo tutti dei vostri piani, in modo che sia evidente e inoppugnabile che il costo economico di questa integrazione forzata pesa esclusivamente sulle nostre spalle a beneficio vostro e dei vostri interessi economici. Davanti ai soldi calpestereste anche il cadavere di vostra madre, siete disgustosi! Quest'orda di stranieri ci costa troppo e ci priva anche di quel che è giusto. Un genitore deve prima di tutto pensare ai suoi figli, poi ai figli degli altri. Questi stranieri islamici hanno già sceicchi favolosamente ricchi che devono pensare a loro. La smettano di accumulare fantastiliardi e di spendere in armi, e si dedichino loro stessi alla beneficienza dei loro fratelli musulmani. Gli altri stranieri hanno anch'essi i loro governi, che se li tengano e li sfamino loro. Noi, mi dispiace, ne abbiamo abbastanza!. Li avete messi ad abitare nelle nostre case, avete dato a loro i nostri posti di lavoro, li sostenete economicamente, gli portate la spesa a casa, gli date la precedenza nella sanità pubblica, gli rendete l'Italia invitante in ogni modo, privando a noi del nostro, per scopi niente affatto nobili come cercate di farci credere. Se aveste speso per noi la centesima parte di quello che ci avete fatto pagare per loro, saremmo tutti più che benestanti. Vergognatevi! Li avete coperti di privilegi, e ci avete trattati come schiavi al loro confronto. Basta! Referendum! Libertà e Futuro inizierà la raccolta di firme per chiedere che questi stranieri scrocconi ed approfittatori esattamente come voi, siano allontanati dal nostro territorio, chiediamo che ci siano restituite le nostre case e i nostri posti di lavoro nelle aziende. Chiediamo che ci siano restituiti i nostri medici e le nostre scuole. Chiediamo che ci sia restituita la nostra tranquillità e la sicurezza. Vogliamo le cose giuste, chi lavora onestamente e si comporta onestamente è stato sempre il benvenuto fra di noi. Gli altri no, mi dispiace, via tutti! I soldi spesi a fiumi non li potremo mai più recuperare, ma non azzardatevi ad estorcerci un altro centesimo, perchè qui finisce male.

Laura Madrigali, candidata Libertà e Futuro Cesena

... se si considera che nella mia cittadina, il candidato sindaco del Pd, (alle prossime elezioni amministrative) ha vinto con 50 voti di scarto e proprio coi voti degli immigrati... è tutto un dire.

Il buono, il brutto e il cattivo

De Corato, Don Colmegna, Penati: il buono, il brutto e il cattivo.

Riceviamo e volentieri pubblichiamo perché è anche il nostro parere quello che esprime con molta chiarezza e lucidità Carla De Albertis sui Rom. La De Albertis di NordDestra: “De Corato, Don Colmegna, Penati: il buono - il brutto - il cattivo. Il western elettorale a ruoli invertiti.” sui Rom De Albertis di NordDestra: “De Corato, Don Colmegna, Penati: il buono, il brutto e il cattivo. Il western elettorale a ruoli invertiti.” “Se non fosse una tragedia, la polemica tra Penati, De Corato e l’onnipresente Don Colmegna potrebbe apparire la parodia di un western a ruoli invertiti”. Così Carla De Albertis, candidata di NordDestra alla Presidenza della Provincia – ironizza sulla polemica innescata dal finanziamento milionario ai campi Rom. “Penati è il cattivo che chiede le dimissioni del Prefetto, De Corato il buono che vuole mantenere gli amici rom, e Don Colmegna, eterna comparsa, il brutto che dispensa saggezza. Mi chiedo – commenta De Albertis - cos’altro i cittadini saranno costretti a subire in questa campagna elettorale.” “La mia opinione – continua la leader di NordDestra - è nota: i campi non sono la soluzione ma il problema. E finché si insisterà con questa malintesa politica dell’accoglienza, ci troveremo sempre valanghe di rom che rivendicheranno diritti in cambio di niente. Lo ribadisco: i campi non devono esistere.” “L’aspetto più inquietante della vicenda – insiste la candidata alla Presidenza della Provincia – è che per De Corato spendere 10 milioni per mettere in sicurezza i campi significa fare un investimento per la sicurezza della città. Bene, che lo spieghi a quanti l’hanno votato. Lo dica chiaro, il nostro Vicesindaco neo-pidiellino, che il Comune non trova soldi per dare case ai milanesi che perdono il lavoro, ma li trova, bussando alla porta di un ministro leghista, per dotare i “nomadi” di alloggi full-optional.” “Quanto a Penati – continua De Albertis - mi astengo dal commentare. Dico solo che nella parte del cattivo, uno con il curriculum buonista come il suo è davvero poco credibile.” “Su Don Colmegna, poi, dico solo che grazie al servilismo delle autorità cittadine, ormai più che un prete sembra un tronista della TV, uno che si sente autorizzato a dire la sua anche quando non ha alcun titolo ad intervenire. Ma per qualcuno, evidentemente, i rom sono una risorsa (economica). E allora, cosa volete che gliene importi a Don Colmegna & Co. se dare alloggi civili ai rom significa far pagare la gente onesta. Quella gente che paga la crisi senza lamentarsi, consapevole che nessuna di queste associazioni caritatevoli milanesi farà mai le barricate per aiutarla.”

Case popolari

L’inferno dentro le abitazioni popolari

I residenti di via 9 Febbraio si sono dati un nome: “Questo è Il Paese delle meraviglie” Fermo. Famiglie di otto persone che vivono in quarantacinque metri quadrati, soffitti scrostati, letti improvvisati in cucina, infiltrazioni di acqua: questo è il “paese delle meraviglie”. Un nome ironico, quello dato dai residenti di via 9 Febbraio al condominio di case popolari nel quale sono costretti a vivere da anni. Di meraviglioso infatti c’è davvero ben poco. Orrori ed errori dell’Erap. Una situazione drammatica: Dodici famiglie, di cui nove straniere e tre italiane, stipate con tanto di bambini in spazi insufficienti, con tutti i problemi igienici che ne conseguono. Non finisce qui. Molte di loro si sono viste recapitare dall’Erap (ente regionale abitazione pubblica) avvisi di morosità completamente sbagliati. Nonostante abbiano pagato (le ricevute lo dimostrano) risultano inadempienti e le loro richieste per un’abitazione più grande vengono cestinate. L’incontro: Ci danno appuntamento all’ora di pranzo all’ingresso dell’edificio che si trova vicino alla ex Conceria in zona Molini Girola. Veniamo accompagnati a visitare gli appartamenti, uno per uno. Il primo è quello di una giovane mamma italiana, suo marito è morto ed è rimasta sola con due figli. Il più grande è andato via di casa. “Non ce la faceva più a vivere chiuso in 40 metri quadrati - ci racconta la signora trattenendo le lacrime - io e mia figlia di 25 anni dormiamo ancora insieme nel letto matrimoniale e lui, a 30 anni, doveva dormire sul divano”. Ci vengono mostrati poi dei documenti: “Mi dicono di essere morosa per 61 euro - ci spiega - per questo non posso chiedere di essere trasferita in una casa più grande”. La società che amministra il condominio, la Omniacasa, con una lettera invece attesta che tutti i pagamenti sono regolari. Cambiamo appartamento. Stesse dimensioni, 45 metri quadrati, ma questa volta a viverci sono in cinque, genitori e tre bambini. La famiglia, originaria del Kosovo, ci accompagna a fare un giro della casa. Letti sparsi ovunque, ogni centimetro di spazio è prezioso. “Mia figlia più grande - dice la mamma - fa i compiti in bagno perchè altrimenti gli altri la disturbano”. Non finisce qui, la signora è appena tornata dalla Prefettura: “Non ci danno il permesso di soggiorno perchè abbiamo la casa troppo piccola”. Anche loro hanno ricevuto un avviso di morosità errato, che blocca qualunque richiesta di trasferimento. Saliamo al piano superiore. I metri quadrati sono 61, le persone che ci vivono sono sei, di origine marocchina. Appartamento in condizioni spaventose. In cucina il soffitto è scrostato e pieno d’infiltrazioni d’acqua. Lo stesso in bagno, invaso dalla muffa. Letti a castello ovunque. Cambiamo appartamento. Questa volta l’intestatario non paga l’affitto da un anno. “Siamo in cinque in 45 metri quadrati - ci racconta l’uomo anche lui del Marocco - da 5 anni chiedo di andare via ma invano. Allora ho deciso di non pagare più”. L’ultima abitazione che visitiamo è di una famiglia macedone. Altri 45 metri quadrati divisi tra madre, padre e tre bambini piccoli che stanno giocando. “Venite a vedere come dormiamo”: davanti a noi un letto matrimoniale con di fianco una sorta di ‘prolunga’ fatta con una tavola appoggiata a degli scatoloni e con sopra delle coperte. Quello è il letto dei bambini. Proprio quando pensavamo di aver visto tutto arriva il colpo di grazia. Nell’appartamento più ‘grande’ di 80 metri quadrati, ci vivono ben 12 persone tra adulti e bambini, ma questa volta non possiamo entrare.

Cei e poveri

Sul bio-testamento la replica al presidente della Camera. Cei, fondo con le banche per i poveri. I vescovi a Fini: "Nessuno Stato etico". Conto di garanzia da circa 30 milioni genererà prestiti per 300 milioni da destinare alle famiglie in difficoltà

ROMA
- I vescovi italiani istituiscono un fondo di garanzia da circa 30 milioni di euro in grado di generare prestiti bancari per 300 milioni da destinare alle famiglie in difficoltà a causa della crisi. Grazie ad un accordo tra la Cei e l'Abi, l'associazione bancaria italiana, Le famiglie con più di tre figli che si trovassero senza lavoro a causa della crisi potranno accedere a una forma di sostegno promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana: avranno diritto a un sussidio di 500 euro al mese per pagare l'affitto o il mutuo. I soldi saranno erogati dalle banche sotto forma di un prestito garantito da un Fondo che la Cei alimenterà con 30 milioni di euro, che saranno raccolti in una colletta nazionale. Le banche da parte loro decuplicheranno il tetto (che è di garanzia, ed è quindi infruttifero) fino a 300 milioni per far fronte ai prestiti che saranno rimborsabili in 5 anni a partire dal raggiungimento di un nuovo reddito da lavoro e con un interesse minimo concordato dalla Cei con l'Abi.

«AIUTERA' 30 MILA FAMIGLIE» - «Abbiamo calcolato - ha detto ai giornalisti monsignor Crociata, neo segretario generale della Cei - che in queste condizioni potranno trovarsi dalle 20 alle 30 mila famiglie. Ci si dovrà rivolgere al parroco e non ci saranno persone dedicate a questo servizio. Le famiglie che rientreranno in questi parametri (dovranno essere coppie sposate, anche se solo civilmente) saranno indirizzate alla Caritas diocesana o agli uffici delle Acli. La banca poi in 10-20 giorni inizia questo sostegno, con l'erogazione mensile della somma di 500 euro. Servirà per l'affitto o il mutuo per un anno. L'erogazione potrà essere rinnovata poi per un secondo anno e non esclude altri aiuti che la famiglia può chiedere o ricevere». Per Crociata, «servirà alle famiglie che hanno perso il reddito a resistere in questa fase difficile per rientrare nel mercato del lavoro. Non è un gesto assistenziale».

«NESSUNO STATO ETICO» - Presentando il fondo di garanzia, monsignor Crociata è tornato anche sul bio-testamento e sui dubbi espressi dal presidente della Camera Gianfranco Fini al Congresso del Pdl. «Ognuno ha sufficiente capacità di fare sue valutazioni. Lo Stato etico mi sembrerebbe altra cosa e la Chiesa non ha mai avuto simpatia per questo tipo di situazione, che esiste dove ci sono delle costrizioni. Non mi sembra questo il caso».

IMMIGRAZIONE
- Un accenno poi della Conferenza episcopale italiana al nodo immigrazione. I vescovi italiani infatti hanno fatto sapere di seguire «con grande pena» le notizie sugli ultimi naufragi di clandestini e hanno ribadito che «chi arriva sul territorio nazionale va accolto e accompagnato», trattato come una persona.

AIDS E VIAGGIO IN AFRICA - Crociata ha poi ricordato anche il viaggio del Papa in Africa e le polemiche sulle dichiarazioni di Ratzinger circa i preservatici. Parlando di Aids e preservativi in Africa, il Papa, ha sottolineato Crociata, «ha mostrato di essere interessato alla persona, alle cause che generano i problemi e a ciò che permette veramente di superarli». «A problemi di ordine etico, culturale, sociale e spirituale non si risponde con espedienti tecnici. Gli strumenti tecnici - ha detto Crociata - sono un aiuto ma, al di là di tutti gli strumenti, dobbiamo guardare all’uomo e permettere di far vivere agli uomini una vita piena e autentica». Il presule ha peraltro rilevato «con rammarico» che «i grandi temi sociali ed etici della visita del Papa sono stati oscurati» dalla polemica sui condom. «Mi chiedo perché», ha aggiunto. «È facile mettere l’accento sulla corruzione dei paesi africani, ma il Papa ha mostrato che anche i paesi occidentali non assumono le iniziative giuste per superare la condizione di sottosviluppo».

Civiltà

Spagna: stupro organizzato da mamma

Un caso di matrimonio forzato solleva le passioni in Spagna ed in Mauritania dopo un processo ed alla condanna in giudizio della madre e del marito di una giovane spagnola di 16 anni per aggressione sessuale. Puerto Real - Spagna - “mio padre mi ha minacciata, diceva che mi avrebbe lapidata e che sarebbe colui che lancerebbe la prima pietra.„ È con queste parole che Selamha Mint Mohamed, una giovane spagnola di 16 anni d'origine mauritaniana nata nel 1992 a Puerto Real nei pressi di Cadix, ha cominciato la sua deposizione, interrotta da pianti e da singhiozzi, al processo dove sua madre, suo padre ed suo marito sono sul banco degli imputati. Nel 2006, a 14 anni, in occasione di una vacanza in Mauritania, i sui genitori l' hanno sposata di forza a Mokhtar, un lontano cugino di 42 anni che aveva chiesto la sua mano offrendo un dono a suo padre ed è stata poi obbligata, sotto le minacce di sua madre, a consumare il matrimonio contro il suo volere prima del loro ritorno in Spagna alcuni giorni più tardi. Nel 2007, un anno dopo il matrimonio, suo marito, di passaggio in Spagna dopo un viaggio d'affari in Germania, si ferma a Puerto Real per rivedere la sua “coniuge„, e nuovamente Selamha è forzata, sotto minacce e costrizioni ad avere relazioni sessuali con lui. “Resistevo ma i miei genitori dicevano che mi avrebbero uccisa, che mi brucerebbero e che mi taglierebbero la gola„. Ma il giorno dopo,di mattina, riesce a scappare e fugge la casa paterna piangendo per andare a chiedere l'aiuto ai vicini che la portano inizialmente al pronto soccorso dell'ospedale locale ed in seguito al commissariato perché possa esporre denuncia. La polizia spagnola arresta il giorno stesso i genitori ed il marito e mantiene quest'ultimo e la madre in detenzione preventiva. E' così che la settimana scorsa questa storia di matrimonio precoce e forzato si è trovata dinanzi ai tribunali spagnoli dove è stata giudicata come “aggressione sessuale su minorenne„. Dopo alcuni giorni d'udienza il verdetto è arrivato: 17 anni e mezzo di reclusione per la madre, la pena più rigorosa poiché le sue premeditazioni furono determinanti nell'aggressione sessuale. 13 anni e mezzo per il marito per aggressione sessuale. 1 anno e mezzo per il padre per minacce, una pena più leggera visto che non era presente in casa la notte dell'aggressione. Secondo un sito mauritaniano si tratta di un caso flagrante di incomprensione culturale, poiche' il matrimonio ha avuto luogo in Mauritania dove è molto frequente che giovani donne di 13 anni si sposino con cugini o ad uomini più vecchi. Ma quello che è permesso a cittadini mauritaniani non lo è necessariamente per cittadini spagnoli. Molti mauritaniani vedono dunque in questo giudizio un tentativo delle società occidentali di imporre ai musulmani una legge profana mentre tali matrimoni sono permessi dalla loro legge divina, la charia. Invece la maggior parte dei commentatori nei giornali e nei siti Internet spagnoli si congratulano con Selamha per il suo coraggio e considera con dispetto le abitudini medioevali del suo paese d'origine.

Pedofili

Susanne Winter (FPÖ): : “Maometto? Un pedofilo – scrisse il corano sotto l’effetto di attacchi epilettici”

«Nel mondo d’oggi Maometto sarebbe considerato un pedofilo». Non usa mezzi termini Susanne Winter durante la campagna elettorale per le elezioni locali che si terranno tra due giorni in Austria. La Winter è la candidata del Partito austriaco delle libertà (Fpö), sigla conservatrice guidata dell'ex cancelliere Joerg Haider. La donna corre per il Municipio di Graz, capoluogo della Stiria, seconda città per numero di abitanti del paese, luogo natale, tra l’altro, del governatore della California Arnold Schwarzenegger. Tutto è cominciato domenica scorsa durante un comizio dell'Fpö proprio a Graz. Nel suo intervento la Winter ha messo in guardia da quello che ha chiamato «tsunami islamico», riferendosi al sempre maggiore numero di extracomunitari seguaci di Allah che vivono in Austria. «Fra venti o trent'anni - ha detto -, la metà della popolazione austriaca sarà musulmana». Posizioni riconfermate lunedì in un'intervista al quotidiano Österreich: «Devono tornare da dove sono venuti, al di là del Mediterraneo». E sempre su Maometto, ha dichiarato che è noto che questi «scrisse il Corano sotto l’effetto di attacchi epilettici». Quanto alle accuse di pedofilia la Winter ha fatto un riferimento al matrimonio del Profeta, riportato dalla tradizione, con una bambina di neppure 10 anni ricollegandolo al mondo di oggi: «Del resto gli abusi sessuali su minori sono ancor oggi molto diffusi nel mondo islamico». Frasi così gli austriaci non ne avevano mai sentite e immediate sono state le proteste. La procura generale ha avviato un procedimento penale per verificare se sussista il reato di incitamento all'odio, mentre per il presidente della Comunità islamica in Austria, Anas Schakfeh, i musulmani che vivono nel paese «sono indignati». Non si è fatta attendere neanche la risposta dei fondamentalisti islamici. Martedì su YouTube è comparso un filmato in cui la candidata veniva minacciata di morte come blasfema. Il filmato dura poco più di 4 minuti e mostra il crollo delle Torri Gemelle l'11 settembre. Mentre scorrono le immagini una voce, in tedesco, avverte la Winter a stare attenta: «Potrebbe accadere la stessa cosa nel tuo paese». La frase è rivolta alla donna, che viene chiamata per nome. Il portavoce del ministro dell'Interno austriaco, Rudolph Gollia, ha detto che sono stati alzati i livelli di guardia in tutta l'Austria, aggiungendo che alla candidata è stata assegnata una scorta massiccia. Le autorità, ha proseguito Gollia, stanno verificando la provenienza del video. Domenica l'Fpö non è dato tra i favoriti per la poltrona di primo cittadino. La sfida sarà tra il Partito del popolo austriaco (Övp) dell'attuale sindaco, Siegfried Nagl, e il Partito socialdemocratico (Spö), guidato dall'ex governatore della Stiria, Franz Voves.Le dichiarazioni della Winter però hanno toccato un tasto dolente. La questione degli immigrati di fede islamica è uno dei temi più dibattuti in Austria. A fine agosto fece discutere un'intervista in cui Haider - oggi governatore della Carinzia e leader dell'Alleanza per il futuro dell'Austria (Bzö) - propose una «normativa a livello nazionale per regolamentare la costruzione di moschee, minareti e centri islamici». Allora quelle parole furono viste come una provocazione. Il 12 settembre vennero arrestati a Vienna dei sospetti terroristi, due uomini e una donna, di origine araba ma con passaporto austriaco. I tre furono accusati di aver diffuso un video con minacce di attacchi contro l'Austria e la Germania per il loro impegno in Afghanistan.

Simona Terrazzo

Omofobia...

Accusa ai governi: latitano nelle politiche di prevenzione, soprattutto all'Est. Europa a rischio omofobia, allarme Ue. L'Agenzia per i diritti fondamentali: troppi abusi e discriminazioni. Che per paura non vengono denunciati

(Austria)
- L'omofobia sta danneggiando la salute e la carriera di persone in tutta Europa e il problema potrebbe essere più grave di quanto si evince dai dati, perché le vittime preferiscono non attirare l'attenzione su di sé parlandone, per paura di ottenere un risultato opposto a quello sperato. Lo ha reso noto uno studio dell'Unione europea.

GOVERNI LATITANTI - L'Agenzia Ue per i Diritti fondamentali ha detto che in molti paesi la polizia non riesce a gestire i crimini legati all'omofobia - da abusi verbali ad attacchi mortali - e che molti governi e scuole non affrontano la questione con la dovuta serietà. Questo crea un circolo vizioso che spinge le vittime a rimanere «invisibili» invece di dichiarare apertamente il proprio orientamento sessuale o denunciare alle autorità gli abusi subiti. «Fin dalla più tenera età, le parole dispregiative usate per gay e lesbiche a scuola insegna a queste persone a rimanere nell'ombra», spiega lo studio pubblicato oggi. «Spesso sono vittime di discriminazioni e molestie sul posto di lavoro e in molti Paesi non possono rendere legale la loro relazione di coppia».

DENUNCE ANONIME - Lo studio consiglia caldamente di denunciare in modo anonimo i crimini di omofobia per combattere il problema, evidenziando progetti pilota in Danimarca, Paesi Bassi e Slovenia. Alcuni casi gravi di discriminazione hanno coinvolto le autorità d'asilo, con ufficiali che hanno negato rifugio a fuggitivi perché non credevano che fossero perseguitati per il loro orientamento sessuale. In termini di sanità, la discriminazione può spingere le vittime ad evitare di chiedere aiuto e, in alcuni casi, queste persone sono state curate partendo dal presupposto che il loro orientamento sessuale fosse «un problema o una malattia».

I PAESI DELL'EST - Lo studio, che ha messo insieme ricerche condotte in 27 Paesi, riporta che oltre la metà dei cittadini Ue sostiene che la discriminazione sulla base dell'orientamento sessuale sia molto diffusa nella propria nazione. Bulgaria, Estonia, Lettonia, Polonia e Romania sono risultate le più ostili nei confronti delle manifestazioni «gay pride» e gli abitanti di questa regione si trovano generalmente più a disagio ad esempio con un vicino di casa omosessuale. Soltanto tre stati dell'Ue, Belgio, Paesi Bassi e Spagna, danno pieni diritti ai matrimoni tra persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e transgender, mentre la maggior parte degli altri Paesi non dà loro alcun diritto in questo senso. Nei Paesi Bassi, l'82% degli intervistati si è dichiarato a favore dei matrimoni con partner dello stesso sesso, rispetto all'11% in Romania e al 12% in Lettonia. Il livello di accettazione, continua lo studio, è piuttosto elevato anche in Francia, Austria, Svezia e Spagna, dove figure politiche e religiose hanno partecipato a dimostrazioni gay per dare visibilità alla questione. Ma l'apertura mentale tende a diminuire quando si chiede un'opinione sull'eventualità che gli omosessuali adottino dei bambini. Anche se la rappresentazione dell'omosessualità sui media è leggermente migliorata, continuano a prevalere gli stereotipi, conclude lo studio.

Democrazie islamiche

Secondo fonti Onu il provvedimento obbliga le donne a chiedere il permesso al consorte anche per uscire di casa o andare dal medico. E la custodia dei figli va solo a padri e nonni. Kabul, tornano le leggi dei taliban. Permesso lo stupro dei mariti. Karzai tenta così di avere dalla sua parte fondamentalisti islamici e sciiti filo-iraniani

KABUL - Malgrado l'intervento armato in Afghanistan, con l'Italia incaricata della ricostruzione del sistema giuridico del paese, il governo afgano ha recentemente votato una legge (ancora non pubblicata) che rappresenta un duro colpo ai diritti delle donne afgane. Secondo fonti delle Nazioni Unite, la nuova legge legalizza lo stupro del marito nei confronti della moglie, obbliga le donne a "concedersi" al marito senza opporre resistenza, vieta loro di uscire di casa, di cercare lavoro o anche di andare dal dottore senza il permesso del consorte e affida la custodia dei figli esclusivamente ai padri e ai nonni. Insomma, rispetto al passato, poco o nulla sembra cambiare per le donne afgane. La mossa del governo rappresenta, secondo alcuni parlamentari contrari e molti gruppi umanitari, il tentativo del presidente Hamid Karzai di incassare il sostengo dei fondamentalisti islamici, in vista delle elezioni presidenziali di agosto. Secondo il quotidiano britannico Independent, il provvedimento di legge è frutto delle pressioni esercitate dall'Iran, che mantiene uno stretto legame con la minoranza sciita afgana. "E' una delle peggiori leggi mai votate dal Parlamento in tutto il secolo" ha tuonato Shinkai Karokhail, deputata afgana impegnata a battersi contro la legge: "è totalmente sfavorevole alle donne e renderà loro ancora più vulnerabili". La Costituzione afgana permette agli sciiti, che rappresentano circa il 10 per cento della popolazione, di avere una legge sulla famiglia basata sulla giurisprudenza sciita tradizionale. Ma al tempo stesso sia la Costituzione che vari trattati internazionali firmati dall'Afghanistan, garantiscono pari diritti alle donne.

Clandestini

Strage di migranti nel Mediterraneo: 300 dispersi nel viaggio verso l'Italia

Palermo
- Centinaia di migranti trascinati via dalle onde. E' una strage quella che si è compiuta ieri tra l'Africa e l'Italia: due barconi carichi di persone sono affondati. A bordo c'erano oltre 500 disperati e quasi tutti sono al momento dati per dispersi dai guardacoste libici che stanno conducendo le operazioni di soccorso. Le informazioni sull'accaduto sono ancora confuse. Si parla - a quanto riferito alla Reuters da funzionari locali - di quattro imbarcazioni in difficoltà non lontano dalla costa della Libia. Di queste due sono sicuramente affondate. Delle altre due non si sa niente, anche se il ministero dell'Interno libico ha reso noto che una nave cisterna italiana ha salvato 350 clandestini che si trovavano a bordo di una imbarcazione alla deriva. Per il momento sono state tratte in salvo 23 persone mentre di altre 21 sono stati recuperati i corpi senza vita. I dispersi: considerando che su una imbarcazione affondata si trovavano 253 persone e sull'altra 365, sono pertanto più di 500. Secondo quanto ha reso noto l'agenzia egiziana Mena, tutti i clandestini - molti dei quali di nazionalità egiziana - erano diretti in Italia. Secondo l'Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni), che cita fonti diplomatiche a Tripoli, sono circa 300 gli immigrati dispersi al largo delle coste libiche.

Il mistero del terzo barcone. Forse sono tre le imbarcazioni che si sono rovesciate davanti alle coste libiche. Un quarto barcone, anch’esso in difficoltà, sarebbe invece riuscito a raggiungere nuovamente la costa. Ad affermarlo, parlando con la Cnn da Ginevra, è stato Jean Philippe Chauzy, dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM). Parlando della tragedia che si è verificata ieri in mare davanti alle coste della Libia, Chauzy non ha detto quante siano le persone che risultano disperse, anche se ha definito realistica la stima di oltre 300 dispersi. Ieri nella zona della tragedia soffiavano venti molto forti, ha infine riferito, spiegando la probabile causa del rovesciamento dei barconi.

Partiti dalla Libia. Una delle imbarcazioni era partita da Sid Belal Janzur, un sobborgo di Tripoli e dopo tre ore di navigazione il battello è affondato 30 chilometri al largo della Libia. Delle altre i libici affermano di non avere certezza del luogo di partenza. Quanto al salvataggio effettuato da una nave italiana, resta qualche incertezza. Fino alla tarda serata sia del naufragio sia del soccorso da parte di una nave cisterna non era giunta alcuna segnalazione alle autorità italiane competenti per la ricerca e il soccorso in mare.

Altri sbarchi. L'ennesima tragedia sulla rotta tra la Libia e la Sicilia non ha comunque fermato i viaggi della disperazione verso l'Italia: oltre 400 extracomunitari sono approdati infatti nelle ultime ore sulle coste della Sicilia orientale, dopo i 222 giunti ieri a Lampedusa. Sbarchi che, ha assicurato il ministro dell'Interno Roberto Maroni, "termineranno il 15 maggio prossimo, quando entrerà in vigore l'accordo siglato dal governo italiano con quello libico sul pattugliamento congiunto delle coste". Il primo barcone si è arenato nella serata di ieri sulla spiaggia di Scoglitti, una frazione di Vittoria, in provincia di Ragusa. A bordo c'erano 153 immigrati, tra cui 29 donne, che dopo le procedure di identificazione sono stati portati nella palestra comunale di Pozzallo. Una carretta di circa 20 metri con a bordo 249 persone, tra le quali 31 donne - tre incinte - e otto minori, è approdata invece all'alba a Portopalo di Capo Passero, nel siracusano.

Scafista. Gli extracomunitari, in gran parte somali ed eritrei, sono stati scortati in porto dall'unità navale delle fiamme gialle e da una motovedetta della guardia Costiera. Un giovane somalo di 24 anni è stato arrestato dalla guardia di finanza, con l'accusa di essere lo scafista che ha condotto l'imbarcazione, partita dalle spiagge libiche.

Fuga dal cie. Intanto a Lampedusa si registra una nuova fuga dal centro di identificazione ed espulsione: una ventina di migranti sono riusciti ad allontanarsi dal Centro, prima di essere bloccati qualche ora dopo dai carabinieri. Due di loro, sorpresi a rubare all'interno di alcune villette disabitate, sono stati arrestati; altri cinque sono stati denunciati per violazione di domicilio. Episodi che fanno salire nuovamente la tensione sull'isola, dove in questi momenti si trovano complessivamente 720 extracomunitari distribuiti tra il cie di contrada Imbriacola e l'ex base Loran di Capo Ponente. Ieri il sindaco, Dino De Rubeis, aveva lamentato la mancanza di assistenza medica adeguata per i 222 migranti sbarcati nel pomeriggio. Affermazioni seccamente smentite dal responsabile del dipartimento immigrazione del Viminale, Mario Morcone: "Il sindaco dice il falso. Sul molo, hanno operato quattro medici e un infermiere e l'ambulanza che il dipartimento libertà civili ha acquistato e che è costantemente a disposizione delle necessità sull'isola".

"Gli sbarchi termineranno il 15 maggio"... SE termineranno dal 15 maggio sarà sempre troppo tardi. E l'italia dovrà sobbarcarsi ancora una volta una tragedia che NON le appartiene.

lunedì 30 marzo 2009

Franceschini

Il leader del Pd a testa bassa contro il premier in vista delle europee. "Farò come Fini che è di destra ma persona seria e non si presenterà". Franceschini attacca Berlusconi". Mi ha sfidato ma non mi candido". "E' l'unico capo di governo Ue che sarà in giro a fare comizi anzichè occuparsi della crisi""Faccia con me tre dibattiti: davanti a disoccupati, insegnanti e studenti e imprenditori"

ROMA - ''Berlusconi mi ha sfidato, è una sfida berlusconiana di imbroglio all'Italia. Io rispondo 'no grazie, non mi candiderò, resterò al mio posto e farò come fa Fini che è di destra ma persona seria e non si candiderà''.
Lo ha detto il segretario del Pd, Dario Franceschini, incontrando a Roma i giornalisti della stampa estera. ''Berlusconi - ha proseguito Franceschini - ieri ha detto che si candiderà con una candidatura di bandiera per le europee. Trovo sia una vergogna perché è l'unico capo di governo europeo che sarà in giro a fare comizi nei prossimi mesi, l'unico dei 27 che chiederà un posto da cui dovrà dimettersi perché obbligato per legge''. Il leader del Pd ha anche proposto un paragone: "Ma voi ve l'immaginate Sarkozy e Angela Merkel che si candidano per le europee, anzichè occuparsi della crisi?". "Lancio una sfida a Berlusconi - ha detto ancora Franceschini - a fare con me tre dibattiti: uno davanti a mille disoccupati, un altro davanti ad insegnanti e studenti e un altro davanti agli imprenditori". Franceschini, nel corso della conferenza stampa, ha definito il premier un uomo "che non guarda al futuro". "Berlusconi è come se avesse lo sguardo sempre rivolto al passato" ha aggiunto Franceschini. "E' un uomo vecchio dentro e quando si è vecchi dentro non si può fare nulla per ringiovanire", ha detto il segretario del Pd. "Non si può fare un congresso - ha aggiunto - solo pronunciando slogan vecchi quando il mondo è pieno di leader giovani e dinamici". Dario Franceschini ha giudicato "un errore" non aver approvato la legge sul conflitto di interessi nella legislatura 1996-2001, anche se, ha sottolineato, che Berlusconi va sconfitto "politicamente". Franceschini ha ricordato che il centrosinistra aveva presentato una legge sul conflitto di interessi anche nella scorsa legislatura: "Sarebbe dovuta arrivare in Aula nel gennaio del 2008, ed è una delle ragioni per cui Berlusconi si è impegnato ad acquisire senatori che poi ha candidato con il Pdl".

Referendum

Elevatissima la partecipazione alla consultazione promossa dalla sola Cgil sulla riforma contrattuale firmata da Cisl e Uil, nonostante il no di Corso Italia. Contratti: al voto in 3,6 milioni. Accordo separato bocciato dal 96%. I votanti corrispondo al 71% dei partecipanti al voto sul welfare nel 2007. In quell'occasione i promotori erano state tutte e tre le confederazioni

ROMA - Oltre 3,4 milioni di lavoratori e pensionati, la schiacchiante maggioranza di 3,6 milioni di votanti, hanno bocciato l'accordo separato del 22 gennaio sulla riforma del modello contrattuale, non sottoscritto dalla Cgil. Il 96,27% ha bocciato la riforma. Sono i dati resi noti dalla Cgil, nel corso di una conferenza stampa. La consultazione era stata promossa dalla sola Cgil, dopo che, sempre a gennaio, Cisl e Uil si erano rifiutate di avviarla. Confrontando i risultati con la consultazione unitaria promossa da Cgil, Cisl e Uil nel 2007 sul protocollo sul welfare, si tratta del 71% di quanti parteciparono a quel voto. "Complessivamente la Cgil da sola porta al voto oltre i 2/3 dei votanti del 2007. E' un risultato assolutamente straordinario" ha commentato il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, sottolineando che "questo voto rafforza la posizione assunta" dalla Confederazione di Corso d'Italia. "Inoltre la Cgil - si legge nel comunicato pubblicato sul sito del sindacato - ha portato al voto una quota molto alta di non iscritti che, con la loro partecipazione, hanno rafforzato le ragioni della democrazia nel rapporto con i lavoratori. Tutto ciò rappresenta un valore aggiunto rilevantissimo e mette a disposizione un risultato che dovrebbe consigliare attente riflessioni a più di una forza sociale, alle nostre controparti e al governo". "Non condividiamo l'accordo e non condivideremo gli accordi settoriali che si muoveranno su quello", ha concluso Epifani: "Andiamo avanti con piattaforme separate". Guardando in dettaglio il voto, la percentuale più alta di favorevoli all'accordo si trova nell'ambito dei metalmeccanici: ha votato sì l'8,58%. Seguono i disoccupati: ha detto sì il 6,06%. La categoria più contraria all'accordo è invece quella dei pensionati: ha votato sì solo l'1,42%.

... mi chiedevo, ma che c'entrano i pensionati col contratto di lavoro? Sono stati usati per arrivare a quel grandissimo risultato?

Franceschini contro...

La denuncia del leader del Pd. Sicurezza, Franceschini: «Ai poliziotti è stato chiesto di anticipare le spese». Il leader Pd: «Non dovrebbero tagliare i fondi agli genti». La replica Pdl: «Non lo abbiamo mai fatto»

ROMA «Mi è stato raccontato che ai poliziotti che dovranno operare al G8 è stato chiesto di anticipare di tasca propria le spese». Lo ha detto il segretario del Pd, Dario Franceschini, intervenuto alla manifestazione di protesta indetta dai sindacati di polizia davanti al Viminale per protestare contro la riduzione dei fondi per le forze dell'ordine . «Mi è stato anche detto - ha proseguito Franceschini - che in molte città sono in trasferta permanente agenti di polizia per occuparsi della tutela dei soldati impiegati nei presidi fissi e per evitare che dalle ronde nascano problemi per la sicurezza».

CONTRO I TAGLI - Invece di ricorrere alla «demagogia delle ronde», per garantire la sicurezza dei cittadini il governo - ha aggiunto Franceschini - non dovrebbe tagliare i fondi alle forze di polizia. «È un'operazione di immagine demagogica raccontare che il problema sicurezza viene risolto con le ronde dei privati cittadini - ha detto - quando poi vengono fatti tre miliardi e mezzo di tagli al comparto sicurezza». Per il leader del Pd, «servono fatti concreti, a partire dall'accorpamento il 7 giugno di elezioni europee e referendum, che consentirebbe un risparmio di 500 milioni di euro, che potrebbero essere utilizzati per assumere nuovi poliziotti». Secondo Franceschini, «la sicurezza deve essere abbinata a competenza». Dunque, ha insistito, «no alla scelta demagogica di appaltare la sicurezza alle ronde».

LA REPLICA - La replica immediata arriva da Italo Bocchino, presidente vicario dei deputati del Pdl: «Franceschini vuol fare opposizione dicendosi contrario a misure che maggioranza e governo non hanno mai varato. Sono, infatti, inesistenti sia i tagli alle forze dell'ordine, alle quali abbiamo stanziato ulteriori risorse, sia le ronde, che non sono in nessun provvedimento, trattandosi semplicemente di associazioni di ex appartenenti alle forze dell'ordine al fine - conclude - di svolgere funzioni ausiliarie per la sicurezza».

Perchè loro...

... no, non è vero che "vogliono imporre qualcosa ai non musulmani". Dovrebbero essere le famiglie non musulmane ad andare incontro a loro. Non ho figli, ma se un giorno dovessi aver bisogno di una baby sitter, non cercherei una musulmana, nè tantomeno una convertita all'islam (che è ancor peggio) per stare dietro ai miei figli. A prescindere.

Lei, la convertita: uhm io vivo con la mia famiglia non musulmana. I piatti e le pentole diventano impuri quando ci si mette dentro del cibo haram? Devo pulirli in qualche modo particolare prima di usarli?

Il saggio "imam" risponde: Riguardo la prima questione (lavorare come baby-sitter), ho posto la questione altrove, e appena avrò risposta insha'Llah ti farò sapere. Per "tagliare la testa al toro" potresti direttamente proporre ai genitori di utilizzare carne macellata islamicamente, magari con la scusa che è più digeribile! ; -) Riguardo a piatti e pentole, basta lavarli accuratamente, fino ad eliminare ogni tracca di sostanze impure.

Lei, la convertita: Grazie per gli ulteriori chiarimenti, fratello. Di certo non accetterò il lavoro perchè per me la mia obbedienza ad Allah swt viene prima dei soldi e di ogni altra cosa. Per di più vivo con la mia famiglia, che un piatto di minestra non me lo fa mai mancare, ringrazio Dio.
Inutile commentare...

Imposizioni migratorie

In Sicilia 600 clandestini sbarcati in due giorni. Emergenza a Lampedusa

Palermo - Il mare in burrasca non arresta i barconi della speranza. Sono 600 in meno di ventiquattr'ore i migranti sbarcati sulle coste siciliane. Dopo i 240 giunti ieri sera a Lampedusa, dove la situazione è al collasso, altri due sbarchi di immigrati si sono registrati nella notte nella Sicilia orientale. Cento sono giunti a Scoglitti, nel Ragusano, dopo essere stati soccorsi dalla capitaneria di porto di Pozzallo, altri 250 a Portopalo di Capo Passero, nel Siracusano. Questi ultimi sono approdati dopo la segnalazione della presenza di un barcone diretto verso le coste siciliane.

In 350 nella notte. Il gruppo aeronavale della Fiamme gialle di Messina aveva attivato il dispositivo di sorveglianza delle coste comunitarie e nazionali con l’impiego di un guardacoste della stazione navale di manovra di Messina. verso le 23, il mezzo della guardia di finanza ha avvistato il barcone a poca distanza da Portopalo di Capo Passero: un natante di 20 metri con a bordo i 200 migranti. Il guardacoste, in collaborazione con una motovedetta della capitaneria di porto, già in zona, ha scortato gli extracomunitari in porto. Successivamente sono stati affidati alle cure del personale medico prontamente allertato per poi essere trasferiti presso le strutture di prima accoglienza. I militari della guardia di finanza e i responsabili del gruppo di contrasto all’immigrazione della procura di Siracusa hanno subito avviato le attività investigative per individuare gli scafisti.

Lampedusa al collasso. "Chi pensa che io istigo a delinquere o procuro allarmi falsi, mi denunci, ci vediamo in tribunale". Lo dice il sindaco di Lampedusa, Bernardino De Rubeis, replicando alle polemiche provocate dal suo appello per avere sull’isola un presidio sanitario permanente a punta Favarolo per gli immigrati. "Io - prosegue - ho poca fiducia in alcuni politici di fama nazionale, ma tantissima fiducia nella magistratura e in particolare in quella della procura di Agrigento e di tutte le forze dell’ordine che operano nella provincia, compresa l’antimafia. Non ho nulla da nascondere e mi limito a portare avanti il mio mandato di sindaco con spirito di sacrificio e missionarietà, quello che dovrebbe esistere per tutti". Quindi la denuncia: "Questa splendida isola oggi, per volontà del governo, è diventata la Guantanamo del Mediterraneo". Al di là della polemica De Rubeis chiede assistenza: "Io cerco di far capire che a Punta Favarolo ci vuole un presidio sanitario mobile 24 ore su 24 al fine di assistere questi nostri fratelli sventurati all’interno di una ambulanza e non a terra, con le flebo, in mezzo alla polvere, per come si è verificato oggi. L’unica mia colpa è di ragionare con un grande cuore, con una grande apertura e poca malizia".

Del tutto personale

E' una idea. Un lavoro tranquillo anche se non troppo remunerativo. Anche se con la crisi è un rischio, anche se non ci sono i soldi che servirebbero... però mi ci vedrei volentieri a farlo. Cercherò più informazioni possibili nel frattempo...

Durban II

Mohamed Sifaoui su Durban II: Al diavolo Durban!

I più grandi stati democratici che sono, tra l'altro, la Libia, l'Iran e Cuba; le associazioni che si sono illustrate nella difesa dei diritti dell'uomo e dei valori universali come l'organizzazione della conferenza islamica, la lega araba e le reti dei fratelli musulmani;gli umanisti più impegnati tali Ahmadinedjad, Kadhafi e Castro escogitano un incontro internazionale contro il razzismo, detto “Durban II„, che avrà luogo a Ginevra dal 20 al 24 aprile. Il progetto di dichiarazione finale che é iniziato a circolare ci fornisce informazioni già sulla dimensione del genocidio che si prepara contro le nostre libertà, contro le democrazie e contro la ragione. E poiché il buono senso è così insultato, ridicolizzato, ucciso, allora andiamo! La conferenza vuole uscire con una condanna ad Israele, accusato di applicare una politica “d' apartheid„. Come no! È il solo paese della regione dove gli Arabi hanno qualche diritto dunque è normale condannare questo Stato che si permette di essere democratico in mezzo ad un oceano di dittature. Perché gli Israeliani hanno osato instaurare una democrazia? Perché tale provocazione? Permettere ad Arabi di essere eletti democraticamente, è condannabile, concedere loro una cittadinanza è scandaloso, permettere alla stampa di essere libera è inaccettabile. Non fare eleggere i suoi dirigenti al 99,98% è ripugnante. Sono questi dei danni che occorre infatti condannare e sono altrettante ingiurie in riguardo ai sistemi politici eretti a pochi chilometri di Tel-Aviv da parte di Moubarak, Assad o Nasrallah. Sì! È un insulto per Kadhafi, Castro ed Ahmadinedjad. Ingiuria che occorreva infatti stigmatizzare in nome dei diritti dei dittatori, fascisti islamisti e degli autoritari a disporre del loro popolo in qualsiasi libertà. Sì! Per Kadhafi, Ahmadinejad ed i loro amici, non c'è nulla da condannare, eccetto Israele. Formidabile Scoperta! Nessuno è oppresso in Libia, né in Iran del resto. Le donne sono sempre molto libere ed emancipate in Arabia Saudita; in Algeria, la democrazia permetterà al presidente attuale di continuare ad essere presidente; in Tunisia anche, l' islamismo, qui e là, proseguirà il suo cammino e continuerà a invasare i crani. Va tutto bene, ovunque. Castro non è morto, è fedele al posto, ha appena designato Raul, suo fratello per succedergli. Non c'è nulla da condannare delle parti delle Havane, i sigari sono sempre così buoni. Nessun attacco ai diritti dell'uomo neppure a Teheran poiché sono maggiormente i diritti della donna che si ridicolizzano per una miccia che fuoriesce dal velo. Puttane! Dovevano solo stare attente a coprirsi per bene per non tentare i mollah e la loro libido. In Africa anche, i dirigenti sono sempre così vicini al loro popolo. Così tanto vicini che Mugabé ha contaminato la sua popolazione rifilandogli il colera. Ma finché non è la peste, tutto va bene! Tutto va bene anche in Somalia, i giovani si divertono. Si divertono ed approfittano della loro vita fino alla morte! Si sono talmente divertiti con le loro pistole automatiche che sono riusciti a prendere Mogadiscio e ad instaurare la legge di dio. Ah! La famosa charia. Che non bisogna soprattutto toccare. Non si deve condannare Hamas che se ne alimenta per gettare gli omosessuali dal terzo piano, come punizione divina. Dopo tutto, i froci sono fatti per essere inc… Nessuna condannazione neppure per Hamas, primo produttore di mutilati al mondo. Finché faranno la pelle ai loro “falsi fratelli„ del Fatah, bisogna continuare ad incoraggiarli. La charia? È importante. Non si condannano soprattutto Al-Qaradhaoui e le proprie dichiarazioni antisemite. Sterminare ebrei, é culturale per l'Iran, Hamas, i fratelli musulmani, Bin Laden ed i loro amici. Dunque, non si tocca “alla cultura„ altrimenti rischieremmo di diventare mostri, cosa dico, spaventosi “islamofobi„. “La cultura„ sempre, quella che autorizza i contadini di quaranta, cinquanta o sessanta anni, grossi come dei maiali, di sposarsi con ragazze di dieci anni. Perché dunque condannare tale pratica poiché permette di emancipare le donne fin dalla loro più giovane età. Come questa Nojoud preadolescente, che aveva tutto per essere felice e che ha osato sfidare al divieto e richiedere il divorzio. È questa pratica che il testo di Durban II deve condannare e non questa “cultura„ patriarcale che permette di vendere la sua figlia, fin dalla scuola elementare. Non si condanna neppure la charia del Sudanese Hassan Al-Bashir, l' ha aiutato a sbarazzarsi di alcune decine di migliaia di cittadini del darfour, occorrerà tuttavia condannare questi mascalzoni di occidentali che sperano di portarlo dinanzi alla corte penale internazionale. Durban II vuole anche instaurare “una legge antiblafsema„. No! Non riguarda Mosè, Gesù e Mahomet. Non si tocca al fondo di commercio che permettono ai religiosi di riempire le loro cappelle. Non si deve più ridere dei dogmi né criticarli. I dogmi, contrariamente alla vita umana, sono sacri. E se non occorre mai condannare un attentato, occorrerà condannare tutti coloro che condannano gli attentati. Non si dovrà dire più nulla sul burka, questa copertura necessaria e vitale che permette di nascondere le più brutte fra le donne e permettere loro di essere come le altre, semplici ombre che possono uscire soltanto accompagnate dal loro maschio dominante. No, non si condanna questa copertura né il velo del resto che riducono l'altro sesso alla sua semplice espressione: un peccato, l'incarnazione del diavolo. Ed a proposito del diavolo giustamente, bisognerà anche allearsene, alcuni lo hanno già fatto, altri hanno preferito vendergli la loro anima… Ai partecipanti di Durban II, dico: Che la religione dei vostri dii sia maledetta.

Samaritani

Pierangelini: apro un locale a Salemi e assumerò il romeno Racz

Roma
- Fulvio Pierangelini, chef titolare del ristorante "Gambero Rosso" a San Vincenzo, in provincia di Livorno, e assessore alle "Mani in Pasta" nel comune di Salemi, in Sicilia, guidato dal sindaco Vittorio Sgarbi, accetta l’invito di Sgarbi ad aprire un ristorante nel paese e ad assumere Karol Racz, uno dei due romeni accusati erroneamente di essere i responsabili dello stupro della Caffarella a Roma. "Come assessore - ha detto Pierangelini - trovo il gesto del nostro sindaco, non solo una bella idea ed un atto di solidarietà, ma un gesto di perfetta coerenza gastronomica. Qualunque sia la decisione di Filippo La Mantia, sulla possibilità di aprire un ristorante da noi, farò del mio meglio per contribuire attivamente al progetto di Vittorio Sgarbi". "La nostra Salemi è una splendida città del pane - ha aggiunto - storie bellissime e tradizioni secolari accompagnano questo cibo sacro. Ecco come un fornaio pasticcere, quale desidera diventare Karol, potrebbe qui riscattare e forse dimenticare una vita non facile. Spero presto di poter annunciare un posto di lavoro pieno di conoscenza e dignità per questo ragazzo. Un ulteriore segno di tolleranza che parte dalla nostra città". E il sindaco Sgarbi ha già trovato il nome giusto per il locale, che sarà aperto nel palazzo del Comune e che "sarà affidato al gestore meglio intenzionato": si chiamerà "La Tolleranza".

domenica 29 marzo 2009

Turchia

Le consultazioni amministrative sono un test politico per il premier Recep Tayyip Erdogan.. Disordini e risse. Tensione per scrutatrici velate. Elezioni in Turchia, scontri. Sei morti, oltre 50 feriti

ANKARA
- Risse violente e gravi scontri si sono verificati oggi tra sostenitori di opposti partiti politici in sette località della Turchia a margine delle elezioni amministrative, che hanno provocato almeno sei morti ed oltre 50 feriti fuori dai seggi elettorali. I media turchi ricordano che nelle amministrative del 2004 le vittime furono otto e i feriti più di un centinaio. Stando a quello che riferisce il quotidiano Hurriyet, a Kayseri a perdere la vita è stato Saim Tasdemir, di appena 26 anni, freddato in mezzo alla strada da un giovane di 24 anni di cui la polizia ha reso nota l'identità solo parzialmente, Fehrit O. A Van è morta una delle sei persone ferite dopo gli scontri di questa mattina. In mattinata a Diyarbakir e a Sanli Urfa, entrambe nell'Est del Paese e cuore della minoranza curda, 3 persone sono morte e decine sono rimaste ferite per tafferugli scoppiati in prossimità dei seggi elettorali. Il bilancio più pesante rimane a Diyarbakir, dove nel distretto di Lice una rissa fra fazioni diverse ha fatto due morti e tre feriti. Sangue anche a Sanli Urfa, dove il candidato Muslum Babacan è stato ucciso, accoltellato da un minorenne, durante una rissa vicino al seggio. Nello scontro sono rimaste coinvolte nel 34 persone. A contribuire ad aumentare la tensione di questa consultazione elettorale - seggi aperti dalle 7 del mattino alle 16 - in alcune postazioni le scrutatrici portavano il turban, il velo islamico secondo la tradizione turca. Il fatto secondo Hurriyet è stato segnalato dalla stessa Alta commissione elettorale, che avrebbe richiamato a una maggiore osservanza del regolamento. Secondo Hurriyet, donne velate sono state viste lavorare soprattutto a Zonguldag, sul Mar Nero. L'appuntamento elettorale, che arriva in un momento di profonda crisi economica, equivale ad un test politico su scala nazionale per il premier Recep Tayyip Erdogan. Vincerà, prevedono i sondaggi. Ma da come vincerà dipende il 'nuovo mandato' con cui governerà il paese nei prossimi, delicatissimi mesi. Dalla consultazione, cui sono chiamati 48 milioni di eventi diritto, verranno eletti decine di migliaia di amministratori locali - sindaci, consiglieri comunali, capi di villaggio e di quartiere - candidati da 21 partiti, che resteranno in carica per i prossimi cinque anni.

Clandestini

L'incidente mortale al porto di ancona. forse un giovane iracheno. Clandestino travolto e ucciso da un tir. Lo straniero si era agganciato all'asse di trasmissione del mezzo, imbarcato su una nave traghetto

ANCONA - Tragedia al porto di Ancona. Un clandestino, forse di origine irachena, è stato travolto, schiacciato e ucciso domenica pomeriggio da un tir bulgaro, appena sbarcato da una nave traghetto. Probabilmente il giovane si era intrufolato a bordo e si era attaccato all'asse di trasmissione del tir, per sfuggire ai controlli. Forse l'autista lo ha travolto e ucciso rimettendo in moto il mezzo, dopo una breve sosta nel porto turistico del Mandracchio. E' anche possibile che il ragazzo fosse già morto a bordo e che il corpo, scivolato a terra, sia stato schiacciato dalle ruote.

ASILO POLITICO - In tasca, la vittima aveva la fotocopia di una richiesta di asilo politico presentata al governo greco a nome di un iracheno nato nel 1989. La polizia di frontiera sta cercando di ricostruire l'autenticità del documento, e ha già ascoltato l'autista dell'autoarticolato, un cittadino bulgaro ignaro di aver fatto da «traghettatore». Il tir era sbarcato nel pomeriggio dalla motonave «Olympic Champion» della Anek Lines, proveniente da Patrasso.


La denuncia del sindaco: «una sola ambulanza per i soccorsi». Salvati in 250 dal mare in tempesta davanti alle coste di Lampedusa. Una «carretta del mare» rimorchiata a riva tra mille pericoli. Tra i migranti donne incinte e bambini

MILANO
- Una «carretta del mare» con 250 persone a bordo, sballottata nel mare in tempesta a sud di Lampedusa, è stata rimorchiata e tratta in salvo, tra mille difficoltà e pericoli, da una motovedetta inviata dalla capitaneria di porto. Gli immigrati sono stati soccorsi sul molo di Punta Favarolo, in condizioni proibitive denunciate dal sindaco di Lampedusa: «Sei o sette donne incinte, alcune delle quali in gravi condizioni e con le flebo attaccate, vengono assistite in mezzo alla polvere e sull’asfalto». Tra i 250 migranti ci sono una quarantina di donne e dieci bambini.

IL SALVATAGGIO - L’imbarcazione era stata segnalata alla capitaneria di porto mentre era in grosse difficoltà nel Canale di Sicilia particolarmente agitato. In soccorso dei migranti, nonostante le proibitive condizione marine, è salpata la motovedetta Cp408-Grabar che è riuscita a portarli fino al molo di Punta Favarolo. I 250 migranti, stremati, sono stati soccorsi e trasferiti nel Centro di identificazione ed espulsione di Contrada Imbriacola. Nella struttura di accoglienza sono adesso ospitate 770 persone, molte delle quali richiedenti asilo. Tra loro un centinaio di tunisini che hanno accolto molto male i nuovi arrivati, a causa del sovraffollamento del centro.

UNA SOLA AMBULANZA - Il sindaco dei Lampedusa Dino De Rubeis, che ha assistito ai soccorsi, riferisce le difficoltà nei soccorsi: «I medici della Società Lampedusa accoglienza lavorano con molta professionalità, ma a Punta Favarolo c’è una sola ambulanza che fa avanti e indietro con il poliambulatorio. Ho visto una donna moribonda, con la flebo attaccata, attendere in mezzo alla polvere e sull’asfalto di essere trasferita. Qui fino a qualche tempo fa - ricorda - c’era un'ambulanza di Medici senza frontiere che evitava che ciò accadesse». De Rubeis sottolinea che «non è possibile che sull’isola ci sia tanto personale delle forze dell’ordine a livello esagerato, e pochi medici per il primo soccorso. Faccio appello al Prefetto di Agrigento e al ministero perché anche questo molo venga attrezzato con un’adeguata struttura sanitaria».

Le reazioni

...della serie: il bue che dice cornuto all'asino.

Di Pietro: «Così realizza il piano P2» Bersani: «E' distante dalla realtà». L'attacco delle opposizioni dopo il discorso di chiusura di Berlusconi al congresso Pdl

ROMA
- La replice al discorso di chiusura di Berlusconi non si fanno attendere. Il leader Idv Antonio di Pietro attacca a testa bassa il leader presidente del Consiglio. «Da Berlusconi un tipico discorso da vero e proprio ducetto: vuole azzerare la Costituzione e diventare il padre padrone della sua nuova azienda 'Italia'» afferma in una nota l'on. «Propone la riforma dei regolamenti parlamentari al solo fine di eliminare definitivamente quel che lui considera un inutile ingombro, ossia l'opposizione; pretende che vengano dati maggiori poteri al premier, cioè a lui, così avrà mano libera su quello che lui percepisce come una zavorra: la democrazia». Insomma, chiude Di Pietro, «dopo il controllo dell'informazione, l'attacco all'indipendenza della magistratura, l'indebolimento del sindacato, ecco il potere assoluto, ultimo tassello per il compimento del piano di rinascita democratica della P2, di cui Berlusconi è un noto affiliato». Per Pier Luigi Bersani, intervistato dal Tg1, l'ntervento di Berlusconi in chiusura del congresso del Pdl ha espresso sono «molta retorica, molta autocelebrazione, un'ennesima auto apoteosi, niente di concreto per questo Paese: le parole sulla crisi sono state di una distanza stellare dalla realtà».

A volte tornano...

Presentato il simbolo con Socialismo 2000 e Consumatori uniti. Ferrero: "Noi l'alternativa". Diliberto: "Finalmente una sola falce e martello". Sinistra critica: "Nessuna discontinuità". Pdci e Prc, lista unitaria il 6 giugno"Anticapitalisti, con la sinistra europea"

ROMA
- Dopo oltre dieci anni di separazione, i Comunisti italiani e Rifondazione comunista ritentano un percorso comune. Oggi a Roma Paolo Ferrero e Oliviero Diliberto hanno presentato la lista unitaria per le elezioni europee anche insieme a Socialismo 2000 di Cesare Salvi e ai Consumatori uniti di Bruno De Vita. Una lista "anticapitalista", come recita il documento diffuso alla stampa, con l'auspicio di non limitarsi ad un cartello elettorale imposto dallo sbarramento del 4%: "Le forze che danno vita alla lista - recita il documento firmato dai quattro partiti - si impegnano a continuare il coordinamento della loro iniziativa politica anche dopo le elezioni europee". Il simbolo è composto da una bandiera rossa con la falce e martello gialla, su uno sfondo bianco. Sopra la scritta "Rifondazione", sotto "Comunisti italiani". Tutto intorno un anello rosso, con le scritte "Socialismo 2000" e "Consumatori uniti". Un momento da marcare con soddisfazione per Diliberto, un passaggi di fase: "Finalmente i comunisti tornano a presentarsi uniti alle elezioni dopo tanti anni. Torna la falce e martello sulle schede; o meglio, per la prima volta da tanto tempo ci sarà solo 'una' falce e martello". L'obiettivo, spiega Ferrero, è "Costruire la sinistra in Italia e in Europa. Chi vota questa lista sa cosa vota. Noi aderiremo al gruppo unito della sinistra in Europa, che fa opposizione politica al trattato di Maastricht e al trattato di Lisbona, che sono all'origine di questa crisi economica". Una sinistra "che unisce le forze che vogliono battersi per un'alternativa di sistema". Non come fanno gli altri, dal Pdl al Pd passando per Idv, aggiunge Ferrero, che "si scannano in campagna elettorale per poi votare insieme l'80% delle decisioni che vengono prese al parlamento europeo. E per quanto riguarda il Pd, così come la sinistra democratica, non si sa ancora dove andranno a sedere in Europa". E se Diliberto parla di una sorta di "ricongiungimento familiare", Salvi riconosce che "purtroppo non è stato possibile fare una lista unitaria di tutta la sinistra", dal momento che Sd, Rps, verdi e socialisti hanno preso un'altra strada. Ma il progetto della lista "anticapitalista", spiega, "mi ha convinto, perché è necessario contrastare la deriva berlusconiana". Non ravvisa invece elementi di stacco, e così motiva la mancata adesione alla proposta unitaria, Sinistra critica. La nuova formazione della sinistra ha deciso di non aderire alla lista comune del Prc e del Pdci "perché non presenta elementi di discontinuità con il recente passato, fatto di errori e sconfitte, della sinistra", dice Salvatore Cannavò, segretario del movimento Sinistra Critica. "Avevamo proposto - aggiunge Cannavò - una lista che avesse una simbologia rinnovata, seppur riconoscibile, con candidature espressione del conflitto sociale e dei movimenti, con un codice etico per i candidati e le candidate, con una visibile alternatività al Pd e al centrosinistra italiano a partire dalla rimessa in discussione della politica di alleanze locali. Questo purtroppo non è stato".

Il commento

Meno male che Fini c'è di Eugenio Scalfari

Era stato concepito come un congresso-show e così si è svolto, ma sarebbe grave errore interpretarlo solo come un evento mediatico. Il Popolo della libertà ha ancora l'apparenza d'un partito di plastilina, malleabile e manipolabile con facilità, ma ha un'armatura di ferro costituita da interessi largamente diffusi nella società italiana: le partite Iva, le piccole imprese, il lavoro autonomo, le clientele del Sud e delle isole, i disoccupati e i giovani in cerca di lavoro. A suo modo è un blocco sociale che crede di aver trovato la sua rappresentanza e la sua tutela nel carisma berlusconiano. Lo show fa parte della rappresentazione, serve a celebrare il Capo che oggi sarà incoronato; ha anche i suoi aspetti impietosi che rivelano lo spirito del luogo. Uno di tali aspetti l'abbiamo colto nell'esibizione dei quattro giovani che hanno parlato in apertura del congresso. Non tanto per i discorsetti che hanno letto quanto per i gesti di commento del Capo seduto in platea. Quando uno di essi l'ha chiamato eroe lui ha alzato il dito pollice in segno di euforica approvazione e di nuovo l'ha alzato quando un altro ha aggiunto che tutto quanto di buono è stato fatto in Italia lo si deve soltanto a lui. Il giorno dopo, durante il discorso di Fini nei suoi passaggi più dissenzienti, la maschera del Capo era del tutto diversa: un sorriso-smorfia gli increspava le labbra e il teleschermo diffondeva quell'immagine di evidente fastidio che le parole del presidente della Camera gli suscitavano. Intanto la colonna sonora dello show passava dall'inno di Mameli all'inno alla gioia beethoveniano per affidare alla canzone "Meno male che Silvio c'è" la conclusione della sigla musicale. Un'altra osservazione, per restare ancora sullo show: nella grande platea predominavano le bionde e nelle primissime file i giovani e le giovani di bell'aspetto perché al Capo piacevano così e così è stato fatto. Alcune (attendibili) malelingue dicono che per esaurire in modo conveniente i 56 posti a sedere di ogni fila, gli organizzatori siano anche ricorsi ad appositi centri di ricerca di figuranti e comparse, ma forse non è vero. Ci sarebbe molto altro materiale per irridere, ma sarebbe inadatto a commentare un congresso serio e importante; perciò cambiamo registro. La prima conclusione da trarre contrasta con quanto dicono alcuni attendibili sondaggi circa la durata del nuovo partito quando il suo leader non sarà più Silvio Berlusconi. Quei sondaggi dicono a forte maggioranza che il partito si dissolverà, non sopravviverà al suo fondatore. Ma a noi sembra sbagliato. La fusione con Alleanza nazionale non gli porta idee diverse con le quali confrontarsi, ma gli porta una prospettiva di durata che va oltre la sua leadership. Questo sì, è il plusvalore che Forza Italia, se fosse rimasta sola, non aveva. An è meno liquida di Forza Italia, perciò ha maggior resistenza al trascorrere del tempo e questo è il valore aggiunto di questa fusione. Perciò, quale che sarà il leader che verrà dopo Berlusconi, il partito nato oggi ci sarà ancora per lunghi anni e non sarà facile smontare il blocco sociale che intorno ad esso si è coagulato. In altri tempi l'abbiamo creduto ma oggi crederlo ancora sarebbe profondamente sbagliato. La sinistra si dovrà confrontare a lungo e seriamente con questa realtà a cominciare da subito se ci riuscirà. La parola popolo è stata quella più pronunciata nei vari interventi congressuali e soprattutto nel discorso di apertura del premier. Il quale ha fatto di quella parola il pilastro della sua concezione politica e istituzionale. Il popolo sovrano esprime il leader. Nel caso nostro è piuttosto il leader che ha costruito politicamente quel popolo, questo merito (o demerito) gli va onestamente riconosciuto. Tra il popolo e il leader non ci sono intermediari e se ci sono vanno spazzati via o conservati come semplici simboli senza funzioni. Il popolo si esprime plebiscitando il leader e votando per il suo partito e instaura in Parlamento, nelle Regioni, nei Comuni, la legittima dittatura della maggioranza che è lo strumento tecnico per trasformare in norme giuridiche e atti di governo le decisioni del Capo. Nel suo discorso di apertura Berlusconi ha fatto un elenco dei valori comuni a tutto il Popolo della libertà. Il primo valore è, ovviamente, la libertà stessa. Il secondo la modernizzazione. Il terzo la meritocrazia. Il quarto l'identità nazionale a formare la quale entrano in gioco il mito della romanità, i Comuni e le Repubbliche marinare del medioevo, il Rinascimento, il Risorgimento, De Gasperi e ovviamente la Chiesa, Craxi e infine lui, il nuovo eroe (scusate se torno ad usare questa parola ma essa fa parte integrante della sostanza della concezione politica berlusconiana). In quel lungo discorso di 90 minuti manca del tutto una menzione. Si parla di libertà, si parla di democrazia, si parla di Costituzione, si parla di giustizia sociale, ma non una menzione e neppure il concetto della divisione dei poteri. Cioè di stato di diritto. Cioè di controllo. I poteri di controllo politico del Parlamento. I poteri di controllo costituzionale del Capo dello Stato e della Corte. I poteri di controllo di legalità della magistratura. Neppure un cenno alla natura indipendente di tali poteri. Si parla invece diffusamente del potere sovraordinato del leader scelto dal popolo di fronte al quale tutti gli altri debbono essere subordinati, rotelle d'un ingranaggio, o debbono scomparire perché inutilmente lenti, frenanti, ostacolanti, incompatibili con la cultura del fare. Il fare non è un obbligo, è inerente alla vita di ciascuno, il fare costituisce il senso stesso della vita. Una vita inerte è una non vita. Non è dunque una cultura, quella del fare, ma un fattore biologico come il respiro, il movimento, il desiderio, la speranza. Insomma il senso. Oppure il fare è una nevrosi, un'egolatria, un'ipertrofia dell'io, che per realizzarsi deve sopra-fare: fare intorno il deserto, sbarazzarsi dei corpi intermedi, di ogni opposizione, di ogni stato di diritto, di ogni organo di controllo. Perciò l'aspirazione e l'evocazione d'un consenso che superi il 50 per cento degli elettori. Le monarchie di diritto divino, quelle dell'"ancien régime", erano collegate al popolo senza intermediari, in lotta perenne contro i Parlamenti e contro i nobili. Lo Stato faceva tutt'uno col patrimonio del Principe, che riuniva in sé il potere di fare le leggi e di eseguirle oppure di ignorarle a suo piacimento. Le monarchie costituzionali (lo dice la parola stessa) furono tali perché soggette alla Costituzione. Perché la magistratura conquistò l'indipendenza. E i Parlamenti divennero i destinatari delle scelte del popolo sovrano. Tutto questo per dire che la concezione politica di Silvio Berlusconi fa a pugni con l'obiettivo della rivoluzione liberale da lui indicato come il fine principale del Popolo della libertà. Ma ci sono altre ragioni per le quali quella rivoluzione non si farà e non s'è mai fatta: gran parte degli interessi agglomerati e rappresentati dal centrodestra sono contrari ad essa così come gli sono contrari gran parte degli interessi rappresentati dalla sinistra. Perciò i tentativi di rivoluzione liberale in questo paese sono sempre falliti. Per il conservatorismo innato nella destra e nella sinistra. Li ha sostenuti soltanto il riformismo nei brevissimi periodi in cui ha governato: nel quindicennio giolittiano del primo Novecento, nella fase riformatrice di De Gasperi-Vanoni, nelle regioni centro-settentrionali guidate dall'egemonia socialdemocratica del Partito comunista e nel triennio prodiano del 1996-'98 abbattuto dalla sinistra. C'è ancora una pepita di riformismo nel Partito democratico che stenta tuttavia a farne un valore condiviso dai suoi aderenti. Sarà una lotta lunga e dura. Quella di Berlusconi è più facile perché fa appello ad una costante psicologica degli italiani: l'antipolitica. In nessun paese dell'Occidente l'antipolitica è un sentimento così diffuso e questa è una delle cause che ha ridotto la politica ad un livello poco meno che abietto; è un corpo separato e quindi aggredito e aggredibile da tutte le disfunzioni e da tutti gli inquinamenti. Nel secondo giorno il congresso del Popolo della libertà ha cambiato faccia con il discorso congressuale di Gianfranco Fini. Non sembri una sviolinatura al "compagno" Fini, premio di consolazione ai disagi della sinistra, ma è invece un'analisi oggettiva d'un intervento degno di un uomo politico che ormai ha acquisito lo spessore d'un uomo di Stato. Gran parte di quel discorso Fini l'aveva già pronunciata al congresso di scioglimento del suo partito pochi giorni fa, ma averlo ripetuto al congresso del nuovo partito in presenza del suo re incoronato e del suo pubblico devoto e osannante è un atto di coraggio che non si può sottovalutare. All'inizio ha dovuto bruciare qualche grano d'incenso alla lungimiranza di Silvio, alla perseveranza e alle capacità di Silvio, alla sua lealtà e qualche altro grano di assenzio nei confronti della sinistra, della sua incapacità riformatrice e del suo sguardo perennemente rivolto al passato. (Ma Fini ha voluto dimenticare che vengono dalla cultura della sinistra alcune regole di mercato come la creazione della Consob e dell'Autorità antitrust, l'obbligo di trasparenza delle società quotate in Borsa, la legge sull'Offerta pubblica di acquisto-Opa e infine la massima delle riforme della storia italiana, l'abbandono della lira e l'adozione dell'euro. Non sono fatti che smentiscono le sue affermazioni, onorevole Fini?). Ma poi è cominciata la parte vera del discorso ed è allora che il volto del Capo si è impietrito nel sorriso-smorfia e la variazione somatica è apparsa anche evidente sui volti dei suoi ex colonnelli di An. Fini ha detto che il nuovo partito dev'essere pluralista. Che su Berlusconi, capo indiscusso, incombe però il compito di garantire quel pluralismo. Che è necessario intraprendere una riforma costituzionale per instaurare una democrazia governante. Ha insistito tre volte su questo binomio e la terza volta l'ha scandito perché entrasse nella memoria degli ascoltatori. E ne ha spiegato il senso: maggior potere al governo e al premier per governare con la rapidità richiesta dai tempi; ma anche maggiori poteri di controllo democratico al Parlamento. Se non è governante la democrazia affonda, se non è democratica si trasforma in autocrazia. Le due parole stanno insieme o affondano insieme. Ha parlato del principio di legalità (che Berlusconi non aveva neppure nominato) come dire dello stato di diritto. Ha auspicato che il Partito democratico si riconsolidi ricordando che esso è portatore di valori necessari ad una democrazia compiuta. Ha descritto come sarà l'Italia tra dieci anni, pluri-etnica, pluri-religiosa, pluri-culturale, e quindi la necessità di prepararsi a questi eventi soprattutto nella scuola, nelle norme di integrazione e nel rispetto dei diritti ai quali debbono corrispondere i doveri sia dei cittadini che degli immigrati. Ha ricordato il diritto di esser curati anche per gli immigrati clandestini. Il finale a sorpresa l'ha introdotto con una citazione latina: "In cauda venenum". E poi: "La legge che avete votato al Senato sul testamento biologico è una cattiva legge, lede i diritti di libertà. So di essere in minoranza su questa questione e sul mio concetto di laicità dello Stato, ma mi auguro che ci ripensiate". Così ha concluso. Se avesse un Apicella, forse gli scriverebbe una canzone e la intitolerebbe "Meno male che Fini c'è" ma forse lui invece di alzare il pollice, gliela strapperebbe in faccia. O almeno così si spera.

Jihad islamica

Islam, istruzioni per l'uso. Il Jihad si combatte non solo con le armi ma anche nei tribunali di Valentina Colombo

L’UOIF [Unione delle organizzazioni islamiche di Francia] perseguirà tutte le procedure legali per porre fine all’accanimento contro il Profeta Maometto – pace su di lui – e alla stigmatizzazione sistematica dell’islam e dei musulmani” (Comunicato dell’UOIF, 20 marzo 2008). Uno dei vantaggi del jihad con le armi è quello di essere palese e quindi di essere facilmente riconoscibile. Si cercano armi, cellule di predicatori del jihad. Tuttavia negli ultimi anni ha preso piede, soprattutto in quell’islam vicino al movimento dei Fratelli musulmani, un altro tipo di jihad ben più subdolo: quello che si svolge nei tribunali. Chiunque, giornalista, politico o avvocato che sia, si occupi di islam rischia di venire citato in tribunale per “oltraggio nei confronti di un gruppo di persone in ragione della loro religione”. Uno degli ultimi esempi è stato il processo intentato in Francia dall’Unione delle Organizzazioni islamiche di Francia e dalla Grande moschea di Parigi contro la rivista satirica “Charlie Hebdo” per avere ripubblicato le vignette danesi su Maometto. Nel marzo 2008 la corte d’appello di Parigi ha respinto ogni capo d’accusa poiché le caricature “che si riferiscono chiaramente a una frazione e non all’insieme della comunità islamica, non costituiscono un oltraggio, né un attacco personale e diretto contro un gruppo di persone in virtù della loro appartenenza religiosa e non valicano il limite ammesso della libertà di espressione”. Il tribunale francese ha agito in maniera saggia e sensata, ma la situazione deve fare riflettere per almeno due motivi: in primo luogo, l’attacco non viene da tutti musulmani, ma da sedicenti “comunità e organizzazioni islamiche” che non sono per nulla rappresentative, e in secondo luogo perché esiste una strategia che mira a mettere il bavaglio alla libertà d’espressione, in secondo luogo, a dimostrazione del fatto che l’islam ha vari volti, l’avvocato della rivista francese. Esistono avvocati, solitamente occidentali conniventi dal punto vista ideologico, preposti solo a questo. Un esempio lampante di jihad in tribunale è quanto ha denunciato Magdi Cristiano Allam in un suo articolo comparso sul Corriere della Sera l’11 marzo 2008. E’ un testo lungo, ma merita di essere citato per esteso: Venerdì 7 marzo 2008 ricevo per posta nell’ordine: 1) Richiesta risarcimento danni da parte dell’avvocato Luca Bauccio per conto di Rachid Kherigi al-Ghannouchi, con riferimento a quanto ho scritto sul suo conto nel mio ultimo libro “Viva Israele”. 2) Richiesta risarcimento danni da parte dell’avvocato Luca Bauccio per conto dell’Ucoii (Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia), con riferimento al mio articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 4 settembre 2007 dal titolo “Quei predatori d’odio contro gli apostati sono arrivati in Italia”. 3) Richiesta risarcimento danni da parte dell’avv. Luca Bauccio per conto dell’Ucoii con riferimento a ben 9 miei articoli pubblicati sul Corriere della Sera dal 14 settembre 2007 al 25 febbraio 2008. Nella stessa giornata mi arriva via fax una quarta comunicazione, una richiesta di pubblicazione di rettifica rivolta al Corriere, direttamente da parte del presidente dell’Ucoii, Mohamed Nour Dachan, con riferimento al mio articolo del 25 febbraio 2008 dal titolo “Le nozze islamiche e il rischio di copiare Brown”. Sabato 8 marzo scarico dalla mia mail una quinta comunicazione, una richiesta da parte dell’Ufficio Legale del Corriere della Sera di una relazione circa la causa civile intentata da al-Ghannouchi per tre miei articoli pubblicati sul giornale. Mentre per posta mi arriva una sesta comunicazione, un “decreto che dispone il giudizio” emesso dall’Ufficio del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, per una causa intentata da Abdellah Labdidi, imam della moschea Er Rahma di Fermo, in riferimento a un mio articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 30 novembre 2003 dal titolo “Venerdì d’odio in alcune moschee”. Sempre di sabato ho sentito telefonicamente uno dei miei avvocati, Gabriele Gatti, circa un settimo caso giudiziario, una causa intentata contro di me dai responsabili della Grande Moschea di Roma per una dichiarazione resa nel corso di una puntata della trasmissione Otto e mezzo su La7. La domenica per fortuna l’ho passata indenne. Ma nella prima mattinata di lunedì 10 marzo ho ricevuto un’ottava comunicazione, una telefonata da parte di Bruno Tucci, presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio, di convocazione per una denuncia inoltrata da Hamza Roberto Piccardo, ex segretario nazionale dell’Ucoii, circa un mio articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 16 gennaio 2007, con il titolo “Poligamia, la moglie che accusa il capo Ucoii”. Non è un caso che in Italia Ucoii, Rached Ghannouchi, Tariq Ramadan e Yusuf al-Qaradawi siano tutti difesi dallo stesso studio legale che è poi lo stesso che difende l’ex imam di Varese dall’accusa di terrorismo. E’ proprio per rispondere a questo attacco frontale che negli Stati Uniti è nato il “Middle East Forum Legal Project”. Un jihad che ha visto la giornalista Rachel Ehrenfeld portata in un tribunale da Khalid bin Mahfouz per avere sostenuto che costui aveva legami finaziari con Al Qaeda e Hamas e condannata a un’ammenda di 30.000 sterline e a pubbliche scuse; il Cair (Consiglio per le relazioni americano-islamiche) accusare Andrew Whitehead, responsabile del sito Anti-Cair, per avere diffuso false notizie a danno della reputazione dell’Associazione, per poi ritirare l’accusa due anni dopo; la Islamic Society di Boston accusare di diffamazione diciassette persone nel maggio 2005 anche in questo caso per ritirare l’accusa due anni dopo. Il sito del “Legal Project” è molto chiaro e lucido nel definire questa tattica: “Siffatte cause sono spesso predatorio, avviate senza una seria aspettativa di successo, ma intraprese per causare la bancarotta, per distrarre, intimidire e demoralizzare gli accusati. Non si cerca tanto di vincere in tribunale, quanto di portare allo sfinimento ricercatori e analisti”. Vengono riportati anche dati ben precisi riguardo all’estrema attenzione rivolta dalle associazioni islamiche a questa battaglia: “Il Cair ha annunciato nell’ottobre 2005 di avere raccolto in un mese un milione di dollari, in parte per ‘difendere gli attacchi diffamatori ai musulmani e all’islam.” Il jihad in tribunale è stato dichiarato e merita un contrattacco. Il Legal Project americano meriterebbe di essere imitato in ogni dove perché solo così l’occidente potrà mantenere intatta la sua tanto cara libertà d’espressione di cui fruiscono gli integralisti islamici nostrani.

American dhimmi

New York si divide: «Una resa». «No, scelta saggia». «Può attirare i terroristi»: Freedom Tower cambia nome. I dubbi sull'enfasi patriottica. Anche motivi commerciali all'origine del ripensamento. Scoperto per un caso

NEW YORK - Sette anni e mezzo dopo l'attacco alle Torri Gemelle, l'enfasi patriottica che ha accompagnato il faticoso avvio dei piani di ricostruzione viene accantonata per lasciare spazio a un po' di pragmatismo commerciale: un paio di giorni fa i newyorchesi hanno scoperto che il nuovo grattacielo di 541 metri (1776 piedi, per ricordare l'anno dell'indipendenza americana) che sta finalmente sorgendo dalla voragine di Ground Zero, non si chiamerà più Freedom Tower, Torre della libertà. Le esigenze del mercantilismo e il timore che un nome patriottico renda, ancora di più, l'edificio un bersaglio per i terroristi, ha suggerito il ritorno al vecchio nome: «1 World Trade Center». I capi della Port Authority - l'agenzia pubblica proprietaria dell'area che deve trovare inquilini a sufficienza per riempire i 102 piani della torre - minimizzano, spiegando che Freedom Tower è un nome affettivo e simbolico che resterà nel linguaggio popolare, ma che, giunto il momento di commercializzare l'immobile (il suo completamento è previsto per il 2013), era logico tornare al suo legale. Che in molti casi i nomi affettivi prevalgano su quelli «contrattuali», è sicuramente vero. A New York la gente continua a chiamare Pan Am Building il grattacielo che chiude il segmento nord di Park Avenue, anche se la Pan American non esiste più da vent'anni (l'edificio è stato da tempo ribattezzato MetLife Building). Ma il sito delle Torri Gemelle non è un posto come un altro. La Port Authority lo sapeva bene e per questo, nell'ultimo anno, ha cercato di gestire con gradualità l'abbandono del nome «patriottico». Ma il caso gli è ugualmente scoppiato tra le mani quando, due giorni fa, il nuovo nome commerciale è spuntato fuori alla firma del contratto con una società cinese, la Vantone Industrial, che ha affittato sei piani dell'edificio per 23 anni. Il New York Times non aveva dato troppo risalto alla notizia, presentandola come un semplice accorgimento di marketing: il ricorso al nome di «trade center» per riproporre l'edificio come porta commerciale d'America. Un cambio di rotta imposto anche dal fatto che, fino a due giorni fa, gli unici spazi prenotati nella torre erano quelli destinati a uffici pubblici statali e federali. Ma i quotidiani popolari - il Post e il Daily News- hanno accusato la Port Authority di opportunismo, innescando la protesta dei familiari delle vittime dell'11 settembre («il loro sacrificio è stato inutile: li stanno dimenticando»). Sono scesi in campo anche i conservatori con accuse a raffica: «Non possiamo rinunciare, per una questione di affitti, a un nome nel quale c'è tutto il nostro orgoglio di Paese libero», ha protestato l'ex governatore repubblicano, George Pataki: fu lui, nel 2003, a scegliere il nome di Freedom Tower. La nuova amministrazione democratica dello Stato di New York, però, non sente la necessità di un'ostentazione immobiliare di patriottismo e anche il sindaco Bloomberg - ex repubblicano, ora indipendente - ha dato una mano: «Personalmente preferisco Freedom Tower, ma capisco le ragioni di chi ha scelto diversamente. Se con un altro nome riescono a riempire l'edificio, facciano pure». Bloomberg alle polemiche è abituato: da anni sulla ricostruzione dell'area di Ground Zero si azzuffano autorità, costruttori, agenzie per la sicurezza e parenti delle vittime. Si litiga su tutto: dalla forma del museo della memoria alle protezioni antibomba della nuova torre. Gli stop sono stati innumerevoli e la crisi economica degli ultimi due anni ha reso ancor più incerta la sorte dell'intero progetto. Comprensibile che chi deve rendere economico l'enorme investimento (la costruzione della torre costerà più di tre miliardi di dollari) tenti tutte le strade. Ma il fatto che la questione del cambio di nome sia venuta fuori con la firma del contratto con una società cinese legata al governo di Pechino, ha lasciato l'amaro in bocca a molti. Certo sono proprio i cinesi, che useranno i piani che hanno affittato come luogo d'incontro tra le loro imprese che operano negli Usa e quelle americane interessate al grande mercato asiatico, ad aver riaperto la possibilità di rendere la torre una grande centro di scambi commerciali. E per un luogo simile, nota il capo della Port Authority, Anthony Coscia, World Trade Center è il nome più adatto. Ha ragione. Ma ne ha qualcuna di meno quando liquida l'altro nome, quello patriottico, come una mera manifestazione di sentimenti popolari. «Sorry Mr president - l'ha smentito ieri il New York Post - quello è un nome impresso nell'acciaio», non scritto sulla sabbia. E ha tirato fuori dall'archivio la foto della prima trave del grattacielo impiantata nel terreno nel 2006: sulla quale compare, gigantesca, la scritta Freedom Tower.

Dhimmi

ONU: Il Consiglio dei diritti dell'uomo adotta una risoluzione controversa "sulla diffamazione delle religioni"

GINEVRA, 26 marzo 2009 (AFP)
- ONU: Il Consiglio dei diritti dell'uomo dell'ONU ha adottato giovedì una risoluzione controversa proposta dai paesi musulmani che mira "a lottare contro la diffamazione delle religioni", un concetto respinto dagli occidentali. Il testo, presentato dal Pakistan in nome dell'organizzazione della conferenza islamica (OCI), è stato adottato con 23 voti contro 11 e 13 astensioni. I paesi europei, il Canada ed il Cile in particolare, si sono opposti al testo, l'India si è astenuta, mentre i paesi non allineati ed il gruppo dei paesi islamici lo hanno sostenuto. La risoluzione, che non è legalmente costrittiva, fa stato "della viva preoccupazione che riguarda gli stereotipi negativi e la diffamazione delle religioni, e le manifestazioni d'intolleranza e di discriminazione in materia di religioni o di credenza, sempre numerosi nel mondo". "L'islam è a torto spesso associato a violazioni dei diritti dell'uomo ed al terrorismo", afferma il testo che chiama gli stati membri dell'ONU "a combattere la diffamazione delle religioni e l'incitamento all' odio religioso in generale", in particolare nei mass media. La risoluzione stipula inoltre che "la diffamazione delle religioni costituisca un grave danno alla dignità umana che conduce a restrizioni della libertà religiosa dei suoi seguaci ed un incitamento all' odio religioso ed alla violenza". Il giorno prima, un collettivo di 180 organizzazioni non governamentali (ONG) avevano chiamato il Consiglio dei diritti dell'uomo a respingere la risoluzione, considerata da esse come una minaccia per la libertà d'espressione. I firmatari dell'appello criticano un concetto "senza alcuna base nel diritto nazionale o internazionale" ed in contraddizione con il principio anche dei diritti dell'uomo, "che proteggono gli individui contro le violenze, non le credenze contro un esame critico". Per le ONGS, questo progetto illustra "la campagna incessante condotta dalla OCI che mira a produrre risoluzioni onusienne, delle dichiarazioni e conferenze mondiali per propagare il concetto di diffamazione delle religioni". Il concetto di diffamazione delle religioni è stato ritirato recentemente dal progetto di dichiarazione finale della conferenza "di Durban II" contro il razzismo, che ha luogo a Ginevra dal 20 al 24 aprile.

sabato 28 marzo 2009

... come l'onda inf(r)ango

Londra, 15mila in corteo in vista del G20. Roma, Cobas e Onda in piazza: «No G14». La manifestazione è autorizzata ma toccherà alcune zone "proibite". Cuscinate davanti al ministero dell'Istruzione

ROMA
- L'Onda degli studenti e i sindacati di base in piazza a Roma contro la riunione dei ministri del lavoro del G8, in programma da domenica a martedì. «G14 con i responsabili della crisi; noi con i lavoratori, i disoccupati e i precari» è lo striscione che apre la manifestazione organizzata da Cub, Cobas e Sdl. Il corteo è partito da piazza della Repubblica e terminerà in piazza Navona. Secondo gli organizzatori ci sono 6mila manifestanti, venuti da tutta Italia. «Come abbiamo sfidato le ordinanze sui cortei a Roma, così sfidiamo le nuove leggi liberticide sugli scioperi» spiegano i sindacati dal megafono sistemato sul camion che fa strada al serpentone. La manifestazione infatti è autorizzata ma toccherà alcune zone proibite dal protocollo sui cortei. In piazza della Repubblica si sono radunate anche tre manifestazioni non autorizzate di studenti, senza casa e centri sociali. Alla manifestazione dei Cobas partecipano il segretario del Prc Paolo Ferrero, l'esponente della Sinistra Paolo Cento e il consigliere regionale del Lazio Luigi Nieri.

PETARDI E UOVA - In via Cavour alcuni studenti si sono staccati dal corteo per lanciare vernice rossa, uova, petardi e fumogeni contro la Banca Unipol e l'agenzia immobiliare Pirelli Re. Sui muri e sulle vetrine è stato scritto «case per tutti» e «ridatece i sordi». Distrutta la vetrata della banca. Lanciati due fumogeni anche dentro l'Altare della Patria.

BATTAGLIA DEI CUSCINI - Davanti al ministero dell'Istruzione, in viale Trastevere, gli studenti hanno inscenato una battaglia di cuscinate per protestare «con la sola arma dell'ironia contro il ministro Brunetta che ci ha dato dei guerriglieri, il G14 dei ministri del Welfare che si terrà nella capitale e il protocollo che regolamenta i cortei a Roma». È stata organizzata dagli studenti dei collettivi dei licei Virgilio, Mamiani, Manara, Kennedy e Democrito di Ostia. I manifestanti, una cinquantina, sono partiti da via Giulia, sede del liceo Virgilio, e con lo striscione «Fuori dal controllo contro il protocollo, blocca il G14», hanno percorso via Giulia, Ponte Sisto, piazza Trilussa per raggiungere piazza di Santa Maria in Trastevere e la sede del ministero dove è scoppiata la battaglia dei cuscini. Durante il corteo i manifestanti hanno acceso fumogeni rosa e blu, scandendo slogan come «La gente come noi non molla mai» e l'ormai consueto «Noi la crisi non la paghiamo». Gli studenti hanno poi raggiunto il corteo dell'Onda in piazza Aldo Moro, di fronte a La Sapienza. Poi insieme si sono uniti alla manifestazione dei Cobas.

FERRERO - «Ottima manifestazione, che tiene assieme tutti gli strati sociali colpiti dalla crisi: lavoratori ex garantiti, precari, disoccupati, studenti. Quindi molto utile e importante - ha commentato Paolo Ferrero -. Una manifestazione che chiede al governo di cambiare politica visto che sino ad ora ha fatto solo gli interessi di chi la crisi l'ha provocata e non dei lavoratori che la stanno pagando».

LONDRA - Anche a Londra 15mila persone sono scese in piazza per manifestare contro il G20 in programma la settimana prossima. Il corteo, partito dal Victoria Embankement lungo il Tamigi, è transitato dalla piazza del parlamento di Westminster, con alcuni gruppi che si sono staccati per fare una puntata davanti al numero 10 di Downing Street, la residenza del premier Gordon Brown (attualmente in Sudamerica). Il raduno, battezzato «Put People First» (la gente prima di tutto), è stato preparato da una coalizione di oltre cento gruppi che vanno dalla Tuc, la confederazione dei sindacati britannici, agli ambientalisti, ai pacifisti e agli anarchici. I partecipanti esibiscono cartelli, striscioni e bandiere multicolori: il clima è più quello di una sfilata di carnevale che di una protesta. Tra gli slogan più gettonati, quello coniato da Barack Obama durante la sua corsa verso la Casa Bianca: «Yes, we can». Manifestazioni anche a Berlino, Francoforte e Bruxelles contro il G20 di Londra e il summit della Nato in Francia e Germania previsto per il 4 aprile. Nella capitale belga i partecipanti indossavano maschere raffiguranti i venti leader mondiali.