giovedì 8 ottobre 2009

Il processo

Vincono gli anti-italiani, l’Europa ci processa di Alessandro M. Caprettini

Bruxelles - Per un pugno di voti (16 su 570) l’Europarlamento blocca uno stop al dibattito di oggi sulla libertà di stampa in Italia, e per ancor meno (appena 7, visto che i «no» sono stati 293 contro 286 e 18 astenuti) respinge anche la richiesta di evitare un voto sull’argomento. Voto che si terrà fra una decina di giorni a Strasburgo. E così gongola Tonino Di Pietro, tornato per l’occasione a Bruxelles: si è trascinato dietro tutta la sinistra europea, anche se non è riuscito a far disertare gli uomini di Casini dal voto unanime del Ppe contro questa inedita strategia della tensione che l’ex pm va costruendo anche alle spalle, e spesso sulle spalle, del Pd, incerto e imbarazzato sul da farsi. Esagerazione da prender con le molle quella che si riferisce alla strategia della tensione? Mica tanto. Nelle mosse dell’ex pm c’è chi già intravede una manovra tutta indirizzata allo scontro, chissà, forse anche fisico. Avverte infatti Mario Mauro, presidente del gruppo Pdl nell’Europarlamento: «Faccio appello alle forze democratiche perché non si lascino più strumentalizzare. Di Pietro è un campione di strategie eversive e irresponsabile sostenitore di una riedizione della guerra civile in Italia!». Mica ha dato fuori di matto, Mauro. Aveva saputo in realtà che la sera prima, proprio Di Pietro, si era impossessato tra gli applausi dei vessilli della resistenza, messi in magazzino ad ammuffire dal roteare delle sigle Pci-Pds-Ds-Ulivo-Pd. «Io anti-italiano? È il signor B che è anti-italiano. Il suo governo mi fa schifo e non vedo perché non devo venire a dirlo in Europa. È come Mussolini che non voleva si parlasse male all’estero dell’Italia, ma i fuoriusciti non tacquero di certo!». E giù una lista di accuse pesantissime per il premier: tangenti a Craxi, leggi ad personam, querele intimidatorie, dossier distribuiti ai giornali amici per intimidire gli avversari. Un fiume in piena che il circolo che lo ospitava - di marca Pd - sembrava apprezzare con entusiasmo, tanto da sollevare non poche perplessità tra gli eletti di Franceschini e Bersani, trasformati di fatto e in pochi istanti in portaborracce dell’uomo di Montenero di Bisaccia. Lui gongolava, novello Franti, non mancando di ricordare come i primi a «protestare per Tangentopoli furono D'Alema e Salvi», come proprio il Pds s’incaponì per non sciogliere il nodo del conflitto d’interessi o per departitizzare la Rai. E a chi al termine gli domandava se non fosse allarmato dalle indagini aperte dai magistrati per le sue accuse a Napolitano, rispondeva: «Le mie sono opinioni politiche». E dunque, insindacabili.Si sente vicino alla vetta Di Pietro. Ricompare anche all’Europarlamento per sostenere la battaglia dei suoi contro Berlusconi. Né si mostra colpito dalle parole del presidente del Ppe, il francese Daul, che rileva come le aule di Bruxelles e Strasburgo «non sono la sede per regolamenti di conti nazionali». Tira dritto per la sua strada. Chiede adesioni trasversali nella sua marcia per la conquista del potere. Lo segue il gruppo socialista. È vero che Schulz, il tedesco che Berlusconi a suo tempo paragonò ad un kapò, ce l’ha ancora su col nostro presidente del Consiglio, ma non è un caso se dice che il dibattito va fatto «non solo in quanto c’è una certa situazione in uno Stato Ue, ma per dirimere la questione dell’intreccio fra poteri mediatici, politici ed economici che rappresentano un pericolo per l'Europa». È che nel gruppo S&D (socialisti e democratici) qualcuno ha iniziato ad avvertire puzza di bruciato. E tra gli italiani già circola una domanda: perché farsi cannibalizzare ostentando persino un sorriso? A Di Pietro non interessa, lui tira dritto. Confuta chi sostiene che Napolitano non ha gradito la sua trasferta: «Non siamo qui per risolvere i problemi italiani ma per chiedere al Parlamento europeo di attivarsi affinché l’Ue possa dettare regole comuni e condivise. Per far sì che quanto sta succedendo oggi in Italia non avvenga domani anche in qualche altro Paese dell'Unione». Domani l'Italia..., dopodomani l’Europa?

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