domenica 11 ottobre 2009

Trattato di Lisbona

Europa, la riforma passerà. Purtroppo

Molti commentatori prevedono che, tra non molto, con la firma di Vaclav Klaus il Trattato di Lisbona finirà per essere definitivamente ratificato. Gli stessi conservatori inglesi di David Cameron hanno espresso una sostanziale accettazione e d'altro canto da tempo le istituzioni comunitarie stanno acquisendo competenze sempre maggiori (in tema di bilancio, e non solo: basti pensare a questioni come l'agricoltura o l'ambiente). L'orientamento prevalente, è chiaro, mira a consolidare tale tendenza. Certamente in alcune parti d'Europa permangono orientamenti più o meno esplicitamente anti-europeisti, ma a ben guardare si alimentano di argomenti fragili o poco significativi. L'ostilità verso l'Unione è dettata essenzialmente da ragioni nazionalistiche, che in qualche modo si squalificano da sole. E anche quando l'avversione non nasce dalla difesa del proprio universo patriottico, le tesi euroscettiche veicolate dai media non sempre puntano al cuore del problema. Sottolineare quanto l'apparato dell'Unione sia oneroso sul piano finanziario, ad esempio, significa sviare l'attenzione dalla questione principale. Perché non c'è dubbio che oggi Bruxelles sia la capitale della burocrazia più inutile e parassitaria e il centro di irradiazione di direttive che intralciano la nostra vita quotidiana, generando leggi e leggine. Ed è anche vero che i funzionari comunitari incistati nella capitale belga sono eccessivamente retribuiti e, in molti casi, hanno una produttività bassissima. Ma le vere questioni che dovrebbe indurre ad opporsi a una crescente integrazione politica del continente sono altre. Nell'Europa a ventisette non ancora unificata intorno a Bruxelles, infatti, i poteri nazionali sono chiamati a competere tra loro e tale situazione rappresenta un serio freno (di natura in qualche modo costituzionale) sulla strada di una loro crescita illimitata. Sia per quanto riguarda le regole che per ciò che concerne la tassazione, ogni governante nazionale è obbligato a fare i conti con i comportamenti degli altri Paesi: e se ad esempio la Francia innalza la pressione fiscale, vi saranno sicuramente imprese che da Parigi si sposteranno a Londra. Ciò che inibisce il governo francese da adottare un fisco troppo rapace. Il pluralismo istituzionale rappresenta insomma una garanzia per le libertà di tutti: ed è anche per questo motivo che oggi i paradisi fiscali godono di una stampa tanto cattiva. La possibilità di spostarsi con facilità da una giurisdizione all'altro impedisce alle classi politiche di costruire regimi oppressivi. Ma quello dell'Unione è proprio un progetto volto ad «armonizzare» i diversi sistemi giuridici e tributari, rendendo nulla ogni forma di concorrenza: e non a caso da più parti oggi si parla di una tassazione su base «federale» quale premessa a un compiuto Stato europeo, che dovrebbe (nei sogni degli europeisti più accesi) ridurre le varie realtà nazionali al rango di entità subordinate. Tra l'altro, l'unificazione del Vecchio Continente è un progetto intimamente anti-europeo, dato che sul piano storico il tratto più caratteristico della nostra vicenda è proprio da ricondurre alla frammentazione istituzionale. Molti studiosi hanno evidenziato che se la civiltà europea ha superato quella cinese, che pure era arrivata a vette (anche tecnologiche) di straordinaria eccellenza, questo è stato effetto del pluralismo delle nostre istituzioni, che hanno evitato la deriva centralizzatrice conosciuta dei grandi imperi dell'Oriente. L'Europa è stata grande perché divisa: il processo di unificazione rischia di snaturarla nel profondo.

2 commenti:

Nessie ha detto...

Tu quoque Vaclav?
Ce ne pentiremo tutti amaramente.

Eleonora ha detto...

Su questo non ci piove. Altro che vecchia unione sovietica.