Bouchra, 24 anni, uccisa a Verona, a coltellate, dal marito perché si rifiutava di portare il velo e viveva da occidentale, come faceva già in Marocco; Kabira, 28 anni, accoltellata a morte dal marito, esibiva abiti occidentali e offendeva l’Islam; Darin Omar, uccisa dal marito perché si era fatta “scandalosamente” assumere in un call-center; Hina Salem stuprata dal padre a 9 anni, accoltellata e soffocata con un sacchetto di plastica dai suoi familiari, infine decapitata e sepolta con la testa rivolta verso la Mecca perché da adolescente frequentava un ragazzo italiano e rifiutava il matrimonio forzato impostole; Fatima Saamali, uccisa sulla statale 26 a qualche chilometro da Aosta, poco prima, aveva denunciato alla polizia i continui maltrattamenti a cui la sottoponeva il marito; Malka, 29 anni, strangolata dal marito per i suoi atteggiamenti occidentali; Fatima Ksis, 20 anni, uccisa a coltellate dal fidanzato per averlo disonorato con il suo comportamento troppo indipendente; Amal, 26 anni, investita dal marito perché voleva recarsi dal parrucchiere; Sobia, avvelenata dai familiari, perché non si dimostrava sufficientemente sottomessa; Naima, accoltellata dal marito perché voleva riprendere con sé i figli sequestrati e portati in Marocco; Fouzia, strangolata dal marito Ali Islam Mostafa Mohamed Issa, in un appartamento in viale Zara a Milano, sotto gli occhi della figlia di 3 anni, che poi ha raccontato agli inquirenti: “…il papà ha fatto male alla mamma, ma la mamma è brava”, il corpo della povera donna è stato abbandonato in un giardino pubblico, era considerata dal marito “infedele”, perché aveva cominciato a seguire uno stile di vita occidentale; Sanaa Dafani, sgozzata dal padre a Pordenone per la sua scandalosa relazione con un ragazzo italiano... La voce di Souad Sbai, coraggiosa deputata del Pdl, è ormai strozzata dall’emozione quando finisce di leggere questo “…vero e proprio bollettino di guerra.” “La lista delle vittime di questi reati è tristemente lunga e loro, le donne, non possono più raccontare gli infiniti lutti subiti – spiega al pubblico attonito di un convegno in cui doveva essere presentata l’annuale relazione del Telefono verde 800 911 753 - “Mai più sola”, dedicato alle vittime della shar’ia familiare in Italia - perché la loro bocca è stata chiusa per sempre.” “Di loro – dice la Sbai - rimane solo una ferita nel nostro tempo, nella società sorda in cui hanno vissuto.” Quella stessa società che scusa i carnefici in nome di una cultura che si suppone diversa e da tollerare persino in queste manifestazioni. “Voglio menzionarle qui – dice attonita la deputata di origine marocchina - per far sì che il loro sacrificio non sia stato vano e che le molte altre che oggi subiscono una sorte crudele trovino la forza di ribellarsi alla cieca violenza di mariti, padri, zii, cugini, fratelli, famiglie..” Poi l’elenco dei caduti di una guerra che molti si rifiutano di vedere mentre viene combattuta dagli imam estremisti e predicatori d’odio della Fratellanza mussulmana presenti nel nostro paese ai danni non solo di noi italiani ma anche di queste immigrate che nei propri paesi vivevano in condizioni di emancipazione infinitamente superiori a quelle trovate nelle comunità di connazionali già residenti in Italia. Una galleria degli orrori dell’estremismo islamico e degli errori di chi ha lasciato uccidere in Italia tante donne che nei paesi d’origine giravano senza velo, (niqab, burqa) e senza che un padre o un fratello o un marito “padrone” glielo imponesse. E che, al contrario, hanno iniziato a metterselo qui in Italia sobillati dagli imam integralisti dei fratelli mussulmani che hanno fatto il lavaggio del cervello ai familiari nelle tante moschee fai da te di quella che in molti chiamano l’ “Italia Saudita”. Nel giorno del primo attentato di matrice islamica in Italia avvenuto a Milano (per fortuna senza vittime) tutto ciò assume un significato ancora più pregnante. L’iniziativa di ieri era stata promossa un anno orsono dal ministro delle Pari Opportunità Mara Carfagna. Che ieri ha presenziato nell‘Aula delle colonne in via Poli ai numerosi interventi e alla manifestazione a sorpresa di alcune donne maghrebine che, poco prima che la stessa ministra prendesse, la parola hanno innalzato cartelli con su scritto “no burqa”, “no niqab” e urlando lo stesso slogan in arabo. Un piccolo happening forse preparato prima, ma che la dice lunga sul fatto che ormai in Italia ci sono comunità chiuse dove vige la shar’ia più estremistica. La Carfagna ha detto di “essere favorevole a una legge che vieti in Italia il burqa e il niqab, simboli di sottomissione della donna e ostacolo a una vera politica di integrazione. Non in quanto simboli religiosi, come, per esempio, il velo, bensì per le storie che nascondono, storie di donne cui vengono negati diritti fondamentali come l'istruzione o la possibilità di lavorare, storie di violenza e di sopraffazione”. D’altronde che questi simboli abbiano ormai solo una valenza simbolica di appartenenza estremistica se ne sono accorti un po’ tutti, almeno da quando persino l’imam dell’università islamica del Cairo, Al Azhar, lo sceicco Al Tantawi, di certo non definibile come un moderato, ha dichiarato e ribadito che la copertura integrale della figura femminile non esiste nel Corano ed è semplicemente un modo di fare sapere di fare parte della setta della Fratellanza Mussulmana, movimento politico estremistico ai confini con il terrorismo e, dal lato religioso, ormai considerato come una vera e propria eresia fondamentalista. Salvo che per qualche cronista di “Repubblica” e del “manifesto” che crede di poterne coinvolgere i capi in testa qui in Italia all’insegna della magica parola “dialogo”.
mercoledì 14 ottobre 2009
Rari casi isolati?
"La sharia in Italia. Hina, Sanaa e le altre" di Souad Sbai
Bouchra, 24 anni, uccisa a Verona, a coltellate, dal marito perché si rifiutava di portare il velo e viveva da occidentale, come faceva già in Marocco; Kabira, 28 anni, accoltellata a morte dal marito, esibiva abiti occidentali e offendeva l’Islam; Darin Omar, uccisa dal marito perché si era fatta “scandalosamente” assumere in un call-center; Hina Salem stuprata dal padre a 9 anni, accoltellata e soffocata con un sacchetto di plastica dai suoi familiari, infine decapitata e sepolta con la testa rivolta verso la Mecca perché da adolescente frequentava un ragazzo italiano e rifiutava il matrimonio forzato impostole; Fatima Saamali, uccisa sulla statale 26 a qualche chilometro da Aosta, poco prima, aveva denunciato alla polizia i continui maltrattamenti a cui la sottoponeva il marito; Malka, 29 anni, strangolata dal marito per i suoi atteggiamenti occidentali; Fatima Ksis, 20 anni, uccisa a coltellate dal fidanzato per averlo disonorato con il suo comportamento troppo indipendente; Amal, 26 anni, investita dal marito perché voleva recarsi dal parrucchiere; Sobia, avvelenata dai familiari, perché non si dimostrava sufficientemente sottomessa; Naima, accoltellata dal marito perché voleva riprendere con sé i figli sequestrati e portati in Marocco; Fouzia, strangolata dal marito Ali Islam Mostafa Mohamed Issa, in un appartamento in viale Zara a Milano, sotto gli occhi della figlia di 3 anni, che poi ha raccontato agli inquirenti: “…il papà ha fatto male alla mamma, ma la mamma è brava”, il corpo della povera donna è stato abbandonato in un giardino pubblico, era considerata dal marito “infedele”, perché aveva cominciato a seguire uno stile di vita occidentale; Sanaa Dafani, sgozzata dal padre a Pordenone per la sua scandalosa relazione con un ragazzo italiano... La voce di Souad Sbai, coraggiosa deputata del Pdl, è ormai strozzata dall’emozione quando finisce di leggere questo “…vero e proprio bollettino di guerra.” “La lista delle vittime di questi reati è tristemente lunga e loro, le donne, non possono più raccontare gli infiniti lutti subiti – spiega al pubblico attonito di un convegno in cui doveva essere presentata l’annuale relazione del Telefono verde 800 911 753 - “Mai più sola”, dedicato alle vittime della shar’ia familiare in Italia - perché la loro bocca è stata chiusa per sempre.” “Di loro – dice la Sbai - rimane solo una ferita nel nostro tempo, nella società sorda in cui hanno vissuto.” Quella stessa società che scusa i carnefici in nome di una cultura che si suppone diversa e da tollerare persino in queste manifestazioni. “Voglio menzionarle qui – dice attonita la deputata di origine marocchina - per far sì che il loro sacrificio non sia stato vano e che le molte altre che oggi subiscono una sorte crudele trovino la forza di ribellarsi alla cieca violenza di mariti, padri, zii, cugini, fratelli, famiglie..” Poi l’elenco dei caduti di una guerra che molti si rifiutano di vedere mentre viene combattuta dagli imam estremisti e predicatori d’odio della Fratellanza mussulmana presenti nel nostro paese ai danni non solo di noi italiani ma anche di queste immigrate che nei propri paesi vivevano in condizioni di emancipazione infinitamente superiori a quelle trovate nelle comunità di connazionali già residenti in Italia. Una galleria degli orrori dell’estremismo islamico e degli errori di chi ha lasciato uccidere in Italia tante donne che nei paesi d’origine giravano senza velo, (niqab, burqa) e senza che un padre o un fratello o un marito “padrone” glielo imponesse. E che, al contrario, hanno iniziato a metterselo qui in Italia sobillati dagli imam integralisti dei fratelli mussulmani che hanno fatto il lavaggio del cervello ai familiari nelle tante moschee fai da te di quella che in molti chiamano l’ “Italia Saudita”. Nel giorno del primo attentato di matrice islamica in Italia avvenuto a Milano (per fortuna senza vittime) tutto ciò assume un significato ancora più pregnante. L’iniziativa di ieri era stata promossa un anno orsono dal ministro delle Pari Opportunità Mara Carfagna. Che ieri ha presenziato nell‘Aula delle colonne in via Poli ai numerosi interventi e alla manifestazione a sorpresa di alcune donne maghrebine che, poco prima che la stessa ministra prendesse, la parola hanno innalzato cartelli con su scritto “no burqa”, “no niqab” e urlando lo stesso slogan in arabo. Un piccolo happening forse preparato prima, ma che la dice lunga sul fatto che ormai in Italia ci sono comunità chiuse dove vige la shar’ia più estremistica. La Carfagna ha detto di “essere favorevole a una legge che vieti in Italia il burqa e il niqab, simboli di sottomissione della donna e ostacolo a una vera politica di integrazione. Non in quanto simboli religiosi, come, per esempio, il velo, bensì per le storie che nascondono, storie di donne cui vengono negati diritti fondamentali come l'istruzione o la possibilità di lavorare, storie di violenza e di sopraffazione”. D’altronde che questi simboli abbiano ormai solo una valenza simbolica di appartenenza estremistica se ne sono accorti un po’ tutti, almeno da quando persino l’imam dell’università islamica del Cairo, Al Azhar, lo sceicco Al Tantawi, di certo non definibile come un moderato, ha dichiarato e ribadito che la copertura integrale della figura femminile non esiste nel Corano ed è semplicemente un modo di fare sapere di fare parte della setta della Fratellanza Mussulmana, movimento politico estremistico ai confini con il terrorismo e, dal lato religioso, ormai considerato come una vera e propria eresia fondamentalista. Salvo che per qualche cronista di “Repubblica” e del “manifesto” che crede di poterne coinvolgere i capi in testa qui in Italia all’insegna della magica parola “dialogo”.
Bouchra, 24 anni, uccisa a Verona, a coltellate, dal marito perché si rifiutava di portare il velo e viveva da occidentale, come faceva già in Marocco; Kabira, 28 anni, accoltellata a morte dal marito, esibiva abiti occidentali e offendeva l’Islam; Darin Omar, uccisa dal marito perché si era fatta “scandalosamente” assumere in un call-center; Hina Salem stuprata dal padre a 9 anni, accoltellata e soffocata con un sacchetto di plastica dai suoi familiari, infine decapitata e sepolta con la testa rivolta verso la Mecca perché da adolescente frequentava un ragazzo italiano e rifiutava il matrimonio forzato impostole; Fatima Saamali, uccisa sulla statale 26 a qualche chilometro da Aosta, poco prima, aveva denunciato alla polizia i continui maltrattamenti a cui la sottoponeva il marito; Malka, 29 anni, strangolata dal marito per i suoi atteggiamenti occidentali; Fatima Ksis, 20 anni, uccisa a coltellate dal fidanzato per averlo disonorato con il suo comportamento troppo indipendente; Amal, 26 anni, investita dal marito perché voleva recarsi dal parrucchiere; Sobia, avvelenata dai familiari, perché non si dimostrava sufficientemente sottomessa; Naima, accoltellata dal marito perché voleva riprendere con sé i figli sequestrati e portati in Marocco; Fouzia, strangolata dal marito Ali Islam Mostafa Mohamed Issa, in un appartamento in viale Zara a Milano, sotto gli occhi della figlia di 3 anni, che poi ha raccontato agli inquirenti: “…il papà ha fatto male alla mamma, ma la mamma è brava”, il corpo della povera donna è stato abbandonato in un giardino pubblico, era considerata dal marito “infedele”, perché aveva cominciato a seguire uno stile di vita occidentale; Sanaa Dafani, sgozzata dal padre a Pordenone per la sua scandalosa relazione con un ragazzo italiano... La voce di Souad Sbai, coraggiosa deputata del Pdl, è ormai strozzata dall’emozione quando finisce di leggere questo “…vero e proprio bollettino di guerra.” “La lista delle vittime di questi reati è tristemente lunga e loro, le donne, non possono più raccontare gli infiniti lutti subiti – spiega al pubblico attonito di un convegno in cui doveva essere presentata l’annuale relazione del Telefono verde 800 911 753 - “Mai più sola”, dedicato alle vittime della shar’ia familiare in Italia - perché la loro bocca è stata chiusa per sempre.” “Di loro – dice la Sbai - rimane solo una ferita nel nostro tempo, nella società sorda in cui hanno vissuto.” Quella stessa società che scusa i carnefici in nome di una cultura che si suppone diversa e da tollerare persino in queste manifestazioni. “Voglio menzionarle qui – dice attonita la deputata di origine marocchina - per far sì che il loro sacrificio non sia stato vano e che le molte altre che oggi subiscono una sorte crudele trovino la forza di ribellarsi alla cieca violenza di mariti, padri, zii, cugini, fratelli, famiglie..” Poi l’elenco dei caduti di una guerra che molti si rifiutano di vedere mentre viene combattuta dagli imam estremisti e predicatori d’odio della Fratellanza mussulmana presenti nel nostro paese ai danni non solo di noi italiani ma anche di queste immigrate che nei propri paesi vivevano in condizioni di emancipazione infinitamente superiori a quelle trovate nelle comunità di connazionali già residenti in Italia. Una galleria degli orrori dell’estremismo islamico e degli errori di chi ha lasciato uccidere in Italia tante donne che nei paesi d’origine giravano senza velo, (niqab, burqa) e senza che un padre o un fratello o un marito “padrone” glielo imponesse. E che, al contrario, hanno iniziato a metterselo qui in Italia sobillati dagli imam integralisti dei fratelli mussulmani che hanno fatto il lavaggio del cervello ai familiari nelle tante moschee fai da te di quella che in molti chiamano l’ “Italia Saudita”. Nel giorno del primo attentato di matrice islamica in Italia avvenuto a Milano (per fortuna senza vittime) tutto ciò assume un significato ancora più pregnante. L’iniziativa di ieri era stata promossa un anno orsono dal ministro delle Pari Opportunità Mara Carfagna. Che ieri ha presenziato nell‘Aula delle colonne in via Poli ai numerosi interventi e alla manifestazione a sorpresa di alcune donne maghrebine che, poco prima che la stessa ministra prendesse, la parola hanno innalzato cartelli con su scritto “no burqa”, “no niqab” e urlando lo stesso slogan in arabo. Un piccolo happening forse preparato prima, ma che la dice lunga sul fatto che ormai in Italia ci sono comunità chiuse dove vige la shar’ia più estremistica. La Carfagna ha detto di “essere favorevole a una legge che vieti in Italia il burqa e il niqab, simboli di sottomissione della donna e ostacolo a una vera politica di integrazione. Non in quanto simboli religiosi, come, per esempio, il velo, bensì per le storie che nascondono, storie di donne cui vengono negati diritti fondamentali come l'istruzione o la possibilità di lavorare, storie di violenza e di sopraffazione”. D’altronde che questi simboli abbiano ormai solo una valenza simbolica di appartenenza estremistica se ne sono accorti un po’ tutti, almeno da quando persino l’imam dell’università islamica del Cairo, Al Azhar, lo sceicco Al Tantawi, di certo non definibile come un moderato, ha dichiarato e ribadito che la copertura integrale della figura femminile non esiste nel Corano ed è semplicemente un modo di fare sapere di fare parte della setta della Fratellanza Mussulmana, movimento politico estremistico ai confini con il terrorismo e, dal lato religioso, ormai considerato come una vera e propria eresia fondamentalista. Salvo che per qualche cronista di “Repubblica” e del “manifesto” che crede di poterne coinvolgere i capi in testa qui in Italia all’insegna della magica parola “dialogo”.
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