C’è un sottile compiacimento, una vena di condiscendenza, uno sprazzo di felicità. Quasi un’esultanza repressa a fatica. I fan dell’immigrazione sregolata leggono contenti il rapporto Caritas Migrantes: «Per la prima volta in Italia c’è una quota di immigrati regolari maggiore della media europea. Sono 4,5 milioni. E cresceranno. Nel 2050 saranno 12 milioni, anzi forse di più, perché questa è una stima prudente». I numeri sono un problema che nessuno vuole vedere. C’è quella strana sensazione di indulgenza esagerata che stona con la realtà. Perché 12 milioni di immigrati sono troppi, perché alla velocità con cui cresce la quota di straniero è abnorme e sproporzionata: significa che un italiano su cinque in realtà non sarà italiano, significa moltiplicare per quattro i problemi che abbiamo oggi. La Caritas scrive serena, quasi soddisfatta, come a dire senza dirlo esplicitamente che i dati ci raccontano che i respingimenti non servirebbero, che il rigore alle frontiere è inutile, che accogliere senza neanche pensarci è l’unica strada possibile. Il buonismo dell’immigrazione distrugge la bontà delle idee sugli immigrati. Chi non dice che questi numeri dovrebbero spaventare è in malafede e se non è in malafede sbaglia. La paura non è degli immigrati, ma dell’immigrazione. La differenza è sottile, ma fondamentale. Non si teme per le persone, ma per il fenomeno. Dodici milioni di immigrati su settanta milioni di abitanti sono un assurdo in grado di cancellare un’identità, sono la quasi certezza che l’integrazione difficile diventi impossibile: più grandi e numerosi sono i gruppi etnici più è facile che restino autonomi e indipendenti, slegati dal resto del Paese, dalla lingua, dagli usi, dai costumi. Bisogna leggere quello che ha detto ieri il presidente della Camera, Gianfranco Fini: «In Italia non c’è razzismo, ma tanta xenofobia strisciante che vuol dire pregiudizio e molta ignoranza. Il primo impegno dell’istituzione è combattere questa paura immotivata». Allora se l’istituzione deve contrastare i timori, non può non regolare meglio l’immigrazione. È un’equazione ovvia, scontata, banale. L’immigrato si integra se è una minoranza. Se comincia a sviluppare un’identità autonoma e indipendente si emargina da solo. Lo dice la storia dell’umanità, lo dicono le comunità che oggi vivono in Italia: più grandi sono, più isolate sono. Dodici milioni di stranieri nel 2050 sono una catastrofe sociale, demografica, geografica. Se gli immigrati che arriveranno andranno a sovrappopolare le grandi città del centro nord, allora avremo un Paese ancora più diviso: i lavoratori stranieri concentrati nel settentrione dove presumibilmente il lavoro ci sarà più che altrove, il Sud sempre meno popolato e sempre meno produttivo. Il rischio è di vedere in Italia il processo in stile Cina: l’urbanizzazione incontrollata delle città e l’abbandono delle zone più rurali, più lontane, più agricole. Solo che non saranno gli italiani a lasciare la loro terra, ma gli stranieri che arrivando dall’estero andranno dritti a ingolfare metropoli e cittadine di province pronte a diventare sempre più grandi e simili ai grossi centri. È la fantascienza della demografia, una dinamica immaginaria eppure così probabile da diventare un’inquietante certezza. Che cosa c’è da essere compiaciuti, allora? Perché essere soddisfatti dell’Italia che aumenta la sua quota immigrati? Perché raccontare con quel tono da sventato problema il fatto che alla fine le linee restrittive sull’immigrazione sono inutili? È il contrario. Più aumenteranno gli ingressi, più la gente chiederà rigore. La crescita della Lega Nord è dovuta a molti fattori, ma uno di questi è quello dell’immigrazione: all’elettore, al cittadino, c’è qualcuno che dice «fidati di noi, siamo gli unici che fermeranno l’avanzata degli immigrati». La gente ci crede perché è vero. La gente ci crede perché lì non trova il compiacimento che vede altrove. Sì è xenofobia, di sicuro è paura: di perdere se stessi, di non sentirsi più a casa, di vedere se stessi come oggetti estranei al proprio Paese. La paura chiude gli orizzonti, ma per contenerla ci vuole qualcuno che rassicuri. Chi gode all’idea di aver beffato il rigore, chi si esalta per i numeri che dovrebbero preoccupare, fa il contrario. E se non c’è razzismo, finirà col crearlo.
giovedì 29 ottobre 2009
Immigrazione selvaggia
I gufi che brindano al boom di immigrati
C’è un sottile compiacimento, una vena di condiscendenza, uno sprazzo di felicità. Quasi un’esultanza repressa a fatica. I fan dell’immigrazione sregolata leggono contenti il rapporto Caritas Migrantes: «Per la prima volta in Italia c’è una quota di immigrati regolari maggiore della media europea. Sono 4,5 milioni. E cresceranno. Nel 2050 saranno 12 milioni, anzi forse di più, perché questa è una stima prudente». I numeri sono un problema che nessuno vuole vedere. C’è quella strana sensazione di indulgenza esagerata che stona con la realtà. Perché 12 milioni di immigrati sono troppi, perché alla velocità con cui cresce la quota di straniero è abnorme e sproporzionata: significa che un italiano su cinque in realtà non sarà italiano, significa moltiplicare per quattro i problemi che abbiamo oggi. La Caritas scrive serena, quasi soddisfatta, come a dire senza dirlo esplicitamente che i dati ci raccontano che i respingimenti non servirebbero, che il rigore alle frontiere è inutile, che accogliere senza neanche pensarci è l’unica strada possibile. Il buonismo dell’immigrazione distrugge la bontà delle idee sugli immigrati. Chi non dice che questi numeri dovrebbero spaventare è in malafede e se non è in malafede sbaglia. La paura non è degli immigrati, ma dell’immigrazione. La differenza è sottile, ma fondamentale. Non si teme per le persone, ma per il fenomeno. Dodici milioni di immigrati su settanta milioni di abitanti sono un assurdo in grado di cancellare un’identità, sono la quasi certezza che l’integrazione difficile diventi impossibile: più grandi e numerosi sono i gruppi etnici più è facile che restino autonomi e indipendenti, slegati dal resto del Paese, dalla lingua, dagli usi, dai costumi. Bisogna leggere quello che ha detto ieri il presidente della Camera, Gianfranco Fini: «In Italia non c’è razzismo, ma tanta xenofobia strisciante che vuol dire pregiudizio e molta ignoranza. Il primo impegno dell’istituzione è combattere questa paura immotivata». Allora se l’istituzione deve contrastare i timori, non può non regolare meglio l’immigrazione. È un’equazione ovvia, scontata, banale. L’immigrato si integra se è una minoranza. Se comincia a sviluppare un’identità autonoma e indipendente si emargina da solo. Lo dice la storia dell’umanità, lo dicono le comunità che oggi vivono in Italia: più grandi sono, più isolate sono. Dodici milioni di stranieri nel 2050 sono una catastrofe sociale, demografica, geografica. Se gli immigrati che arriveranno andranno a sovrappopolare le grandi città del centro nord, allora avremo un Paese ancora più diviso: i lavoratori stranieri concentrati nel settentrione dove presumibilmente il lavoro ci sarà più che altrove, il Sud sempre meno popolato e sempre meno produttivo. Il rischio è di vedere in Italia il processo in stile Cina: l’urbanizzazione incontrollata delle città e l’abbandono delle zone più rurali, più lontane, più agricole. Solo che non saranno gli italiani a lasciare la loro terra, ma gli stranieri che arrivando dall’estero andranno dritti a ingolfare metropoli e cittadine di province pronte a diventare sempre più grandi e simili ai grossi centri. È la fantascienza della demografia, una dinamica immaginaria eppure così probabile da diventare un’inquietante certezza. Che cosa c’è da essere compiaciuti, allora? Perché essere soddisfatti dell’Italia che aumenta la sua quota immigrati? Perché raccontare con quel tono da sventato problema il fatto che alla fine le linee restrittive sull’immigrazione sono inutili? È il contrario. Più aumenteranno gli ingressi, più la gente chiederà rigore. La crescita della Lega Nord è dovuta a molti fattori, ma uno di questi è quello dell’immigrazione: all’elettore, al cittadino, c’è qualcuno che dice «fidati di noi, siamo gli unici che fermeranno l’avanzata degli immigrati». La gente ci crede perché è vero. La gente ci crede perché lì non trova il compiacimento che vede altrove. Sì è xenofobia, di sicuro è paura: di perdere se stessi, di non sentirsi più a casa, di vedere se stessi come oggetti estranei al proprio Paese. La paura chiude gli orizzonti, ma per contenerla ci vuole qualcuno che rassicuri. Chi gode all’idea di aver beffato il rigore, chi si esalta per i numeri che dovrebbero preoccupare, fa il contrario. E se non c’è razzismo, finirà col crearlo.
C’è un sottile compiacimento, una vena di condiscendenza, uno sprazzo di felicità. Quasi un’esultanza repressa a fatica. I fan dell’immigrazione sregolata leggono contenti il rapporto Caritas Migrantes: «Per la prima volta in Italia c’è una quota di immigrati regolari maggiore della media europea. Sono 4,5 milioni. E cresceranno. Nel 2050 saranno 12 milioni, anzi forse di più, perché questa è una stima prudente». I numeri sono un problema che nessuno vuole vedere. C’è quella strana sensazione di indulgenza esagerata che stona con la realtà. Perché 12 milioni di immigrati sono troppi, perché alla velocità con cui cresce la quota di straniero è abnorme e sproporzionata: significa che un italiano su cinque in realtà non sarà italiano, significa moltiplicare per quattro i problemi che abbiamo oggi. La Caritas scrive serena, quasi soddisfatta, come a dire senza dirlo esplicitamente che i dati ci raccontano che i respingimenti non servirebbero, che il rigore alle frontiere è inutile, che accogliere senza neanche pensarci è l’unica strada possibile. Il buonismo dell’immigrazione distrugge la bontà delle idee sugli immigrati. Chi non dice che questi numeri dovrebbero spaventare è in malafede e se non è in malafede sbaglia. La paura non è degli immigrati, ma dell’immigrazione. La differenza è sottile, ma fondamentale. Non si teme per le persone, ma per il fenomeno. Dodici milioni di immigrati su settanta milioni di abitanti sono un assurdo in grado di cancellare un’identità, sono la quasi certezza che l’integrazione difficile diventi impossibile: più grandi e numerosi sono i gruppi etnici più è facile che restino autonomi e indipendenti, slegati dal resto del Paese, dalla lingua, dagli usi, dai costumi. Bisogna leggere quello che ha detto ieri il presidente della Camera, Gianfranco Fini: «In Italia non c’è razzismo, ma tanta xenofobia strisciante che vuol dire pregiudizio e molta ignoranza. Il primo impegno dell’istituzione è combattere questa paura immotivata». Allora se l’istituzione deve contrastare i timori, non può non regolare meglio l’immigrazione. È un’equazione ovvia, scontata, banale. L’immigrato si integra se è una minoranza. Se comincia a sviluppare un’identità autonoma e indipendente si emargina da solo. Lo dice la storia dell’umanità, lo dicono le comunità che oggi vivono in Italia: più grandi sono, più isolate sono. Dodici milioni di stranieri nel 2050 sono una catastrofe sociale, demografica, geografica. Se gli immigrati che arriveranno andranno a sovrappopolare le grandi città del centro nord, allora avremo un Paese ancora più diviso: i lavoratori stranieri concentrati nel settentrione dove presumibilmente il lavoro ci sarà più che altrove, il Sud sempre meno popolato e sempre meno produttivo. Il rischio è di vedere in Italia il processo in stile Cina: l’urbanizzazione incontrollata delle città e l’abbandono delle zone più rurali, più lontane, più agricole. Solo che non saranno gli italiani a lasciare la loro terra, ma gli stranieri che arrivando dall’estero andranno dritti a ingolfare metropoli e cittadine di province pronte a diventare sempre più grandi e simili ai grossi centri. È la fantascienza della demografia, una dinamica immaginaria eppure così probabile da diventare un’inquietante certezza. Che cosa c’è da essere compiaciuti, allora? Perché essere soddisfatti dell’Italia che aumenta la sua quota immigrati? Perché raccontare con quel tono da sventato problema il fatto che alla fine le linee restrittive sull’immigrazione sono inutili? È il contrario. Più aumenteranno gli ingressi, più la gente chiederà rigore. La crescita della Lega Nord è dovuta a molti fattori, ma uno di questi è quello dell’immigrazione: all’elettore, al cittadino, c’è qualcuno che dice «fidati di noi, siamo gli unici che fermeranno l’avanzata degli immigrati». La gente ci crede perché è vero. La gente ci crede perché lì non trova il compiacimento che vede altrove. Sì è xenofobia, di sicuro è paura: di perdere se stessi, di non sentirsi più a casa, di vedere se stessi come oggetti estranei al proprio Paese. La paura chiude gli orizzonti, ma per contenerla ci vuole qualcuno che rassicuri. Chi gode all’idea di aver beffato il rigore, chi si esalta per i numeri che dovrebbero preoccupare, fa il contrario. E se non c’è razzismo, finirà col crearlo.
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2 commenti:
Fini come al solito ha perso un'altra occasione per star zitto... e la caritas... già LORO sono contenti di tutti 'sti immigrati, chissà perchè, eh? Speriamo che le previsioni non si avverino... 12 milioni di immigrati sono una catastrofe!
infatti, kizzy.. per quegli avvoltoi della caritas, più immigrati uguale più fondi nelle loro mani bucate. Fondi che provengono naturalmente dalle nostre tasche.
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