martedì 13 ottobre 2009

Il lupo solitario

Kamikaze alla caserma, fermati 2 complici". Lupi solitari, nessun legame con la jihad"

Sono le 7.45 quando una bomba esplode davanti alla caserma del'esercito Santa Barbara di via Perrucchetti a Milano, sede del Primo Reggimento Trasmissioni e del Reggimento artiglieria a cavallo dell'esercito. A far ‘saltare’ il rudimentale ordigno è un libico di 35 anni: Mohammed Game. Un “lupo solitario”, dice l’intelligence, ossia non legato a reti o cellule terroristiche. Game, dopo l'esplosione, è stato trasportato all'ospedale Fatebenefratelli: ha perso una mano e la vista. Ferito lievemente Guido La Veneziana, un caporale di 20 anni del primo reggimento Trasmissioni, di servizio in quel momento in caserma; il militare si era avvicinato all’attentatore mentre si aggirava davanti alla caserma con fare sospetto. Game aveva con sè una cassetta per gli attrezzi: all'interno l'esplosivo, 2,5 kg, che fortunatamente non sono esplosi interamente. La deflagrazione avrebbe in questo caso distrutto l'intera facciata. Nella notte sono stati fermati a Milano due suoi complici: un egiziano e un libico. Il libico avrebbe aiutato il connazionale Game a reperire il materiale esplosivo usato per confezionare l'ordigno; l'egiziano invece, che è un vicino di casa dell'attentatore, lo avrebbe accompagnato davanti alla caserma. I due presunti complici sono stati fermati dagli uomini della squadra mobile coordinati dal pm di Milano Maurizio Romanelli, titolare dell'inchiesta sull'attentato, che oggi dovrebbe inoltrare al Gip la richiesta di convalida dell'arresto di Game. I fermi sono avvenuti dopo che la polizia ha ascoltato parenti ed amici del trentaquattrenne libico accusato di detenzione, porto abusivo e fabbricazione di esplosivi e che presto verrà indagato anche per strage. Intanto questa mattina nell'abitazione dei due fermati sono stati trovati 40 kg di espolsivo: si tratta di nitrato di ammonio, acquistato da Game e dal suo amico libico una settimana fa. Lo ha detto il procuratore aggiunto di Milano, Armando Spataro, in una conferenza stampa. I due presunti complici sono in attesa della convalida del gip. "Si tratta di fermi e non di arresti in flagranza di reato come quello di ieri - ha sottolineato Spataro - si tratta di fermi che dovranno essere necessariamente sottoposti alla valutazione di un giudice".
Nessun legame con la jihad - Per ora non risultano legami tra l'attentatore di Milano, i due presunti complici fermati e la Jihad islamica internazionale. E' quanto dichiarato dagli inquirenti che stanno indagando sull'attentato commesso da Mohamed Game, che lunedi' ha fatto esplodere un ordigno davanti alla caserma "Santa Barbara" di Milano. "Le nostre indagini proseguono: se fra qualche mese porteranno ad accertare questo tipo di legami, adesso non possiamo saperlo." - ha riferito uno degli investigatori.
Guardi la foto e fa impressione: aspirante kamikaze e famiglia in un interno. Solo che stavolta è Milano, mica Gaza. E subito c’è chi cerca di minimizzare, «un disperato» o «un cane sciolto» o qualcosa del genere: ma si sa poco o nulla, c’è parecchio da indagare. In ogni caso, il brivido resta. Un chilometro, mille passi. Tanto dista il malmesso caseggiato popolare di via Civitali 30 dalla caserma Santa Barbara, quella di piazza Perrucchetti, a Milano. Mohamed dev’essere uscito che stava albeggiando, oppure era ancora notte, comunque lasciandosi sulla destra lo stadio di San Siro, uno dei simboli della Milano più luccicante, saranno più o meno cinquecento metri. È andato nell’altra direzione, ha oltrepassato camminando il supermarket asiatico, poi la macelleria islamica, quindi l’agenzia viaggi con la scritta in arabo, il negozio di kebab, il parrucchiere “Speransa”, anche questo con l’insegna in lingua araba. Portava in una mano un involucro, una cassetta per attrezzi, forse l’aveva prelevata dalla macchina, la monovolume Citröen verde parcheggiata lì davanti, un rosario appeso allo specchietto. Era piena d’esplosivo, la borsa. È arrivato all’entrata della caserma poco dopo le sette e mezza. Ha cercato di entrare senza dare nell’occhio. Poi l’alt dei soldati di guardia, lui che aziona fa esplodere l’ordigno. Nessun ferito tra i militari. Mohamed, invece, ha perso una mano e la vista. È piantonato in ospedale. Non è riuscito a far esplodere tutto l’esplosivo, altrimenti le conseguenze sarebbero state molto diverse.
Studi da ingegnere: Una storia terribilmente semplice, quella di Mohamed Game. Storia di immigrazione e disperazione e fanatismo religioso, che messi insieme fanno da detonatore. Trentacinque anni, libico di nascita. È in Italia dal 2003 - «con permesso di soggiorno», precisano dalla questura. O meglio, dal 2003 si sa che è qui, aveva aperto una ditta individuale, praticamente muratore ed elettricista, lui che in Libia aveva studiato da ingegnere elettronico, qualcuno dice addirittura laureato. Ma quella casa popolare, quei due locali senza bagno nel casermone di via Civitali dove gli extracomunitari sono maggioranza, l’aveva occupata l’anno prima, nel maggio del 2002. In realtà era stata la sua compagna a occupare, un’italiana, Giovanna, di anni ne ha 39. Ha forzato la porta-finestra del piccolo balcone, piano rialzato scala D. All’epoca - lei che aveva già avuto due bambini da una precedente relazione, adesso hanno nove e dieci anni - all’epoca Giovanna era già incinta del primo figlio di Mohamed. Quand’è nato l’hanno chiamato Islam. Tre anni dopo, un altro bimbo di nome Omar. In sei, tutti stipati in quei due locali. Da abusivi. All’Aler, l’azienda milanese di edilizia popolare, la pratica era nota, erano morosi di 11mila euro, «ma quando ci sono di mezzo dei bambini si cerca di rimandare lo sgombero». Il lavoro, la ditta: un disastro. Un sacco di debiti, da un paio d’anni Mohamed l’aveva di fatto chiusa, quell’attività, inseguito dai creditori. Nel 2007 era anche incappato in una denuncia per ricettazione: il suo amico Israfil ne parla con aria contrita, davanti al cancello di casa, è stato con lui fino a domenica a mezzogiorno. Intorno a noi, ragazze e signore con il tradizionale velo islamico chiedono che cos’è successo, entrano ed escono dalla casa piantonata dalla Polizia, evitano telecamere e taccuini. Israfil prosegue nel racconto: adesso Mohamed s’arrangiava con lavoretti saltuari, «ha anche un fratello che vive qui vicino, zona Baggio, ma lui non può aiutarlo». Giovanna arrotondava facendo le pulizie, si era anche iscritta a un sito Internet per offrirsi come colf. «Ultimamente si erano aggravati i problemi di salute di Mohamed - dice ancora Israfil -, soffriva di cuore e anche alla gola. Era convinto che la morte fosse vicina». E la religione? «Era da cinque o sei mesi che si era riavvicinato ad Allah. Era anche tornato a frequentare la moschea di viale Jenner». E c’è chi sostiene che quello non sia un ambiente così tranquillo... «Non lo so, non lo so. Ma Mohamed era molto, molto arrabbiato per i soldati che l’Italia ha inviato in Afghanistan». Arriva una funzionaria di Polizia e se lo porta via. E poi c’è la storia dell’intervista. Due mesi fa, il 6 di agosto, il quotidiano Cronaca Qui aveva pubblicato proprio un colloquio con Mohamed e Giovanna. Titolo: “Famiglia abusiva vive senza bagno”. Si parlava di quanto fosse difficile la loro vita, Giovanna spiegava che «per lavarci andiamo da parenti e amici», e fra tutt’e due riescono a tirar su poco meno di mille euro al mese. E poi lui: «Non abbiamo alternative - così diceva - perché non ci assegnano una casa popolare più dignitosa, e un affitto a prezzi di mercato non possiamo permettercelo. Non abbiamo diritti perché siamo abusivi. Non possiamo nemmeno partecipare ai bandi». D’altronde, con i parenti - per lo meno con quelli di lei - i contatti sono ormai rari e difficili, la zia di Giovanna lo conferma, «io non c’ho più niente a che fare, con quelli». Ecco, questo è il quadro.
«Famiglia mista»: Davanti al palazzone di via Civitali gli inquirenti continuano i rilievi, interrogano i vicini. Escono tre ragazzini, si fermano, ci chiedono, parlano tranquilli: «Ah, Mohamed, quello grosso? I suoi figli erano sempre in cortile a giocare, anche ieri. Però si vedeva che avevano timore, il padre è uno che li educa, uno severo». Altri vicini parlano di quella famiglia mista, «una famiglia mista», così dice un’altra donna con il velo a coprire i capelli. «Quest’estate Mohamed se ne stava sempre lì a parlare con i suoi amici, così serio. Parlavano e parlavano fra di loro». Sul muro proprio dietro di lei c’è un volantino, “No agli sgomberi”. Passa un’altra signora, il pattuglione di cronisti le si fa intorno, tutti a far domande. Ma lei fa segno che no, l’italiano non lo parla.

di Andrea Scaglia

1 commenti:

kizzy ha detto...

Cane sciolto? Come no... e l'imam di viale Jenner che non si fa trovare, eh? Mica c'entra qualcosa, ma noooo! E quella cretina fottuta della sua compagna, ha fatto bene la famiglia a 'ripudiarla' visto che è una convertita, a quanto pare. Hanno capito tutto, eh già occupare abusivamnente: 'chiagni e fotti' no?
E poi piangevano miseria ma internet lo avevano e quello mica è gratis! Bastaaa, se avessi sottomano quella deficente non so cosa le farei... >: