Dalia Mogahed si è goduta una carriera molto variegata. Nata in Egitto, è stata portata negli Stati Uniti quando era una bambina e ha seguito una carriera abbastanza ordinaria. Ha preso un Master all'università di Pittsburgh e ha raggiunto il successo lavorando in aziende del settore privato. Ma è diventata una celebrità del mondo musulmano statunitense dopo aver collaborato con John L. Esposito, un instancabile difensore dell’Islam radicale, pubblicando un controverso studio intitolato Who Speaks for Islam? What a Billion Muslims Really Think ("Chi parla a nome dell’Islam? Quello che pensano realmente miliardi di musulmani"). Con il suo sottotitolo estremamente esagerato, il volume si basava sui sondaggi eseguiti dall’istituto Gallup, dove la Mogahed aveva ottenuto un posto di Senior Analyst ed Executive Director del Centro Gallup per gli Studi Musulmani. Tutto questo sarebbe stato molto banale e consueto nella sottocultura di sostegno al mondo musulmano che si respira a Washington, almeno fino a quando il Presidente Obama ha nominato la Mogahed al Council on Faith-Based and Neighborhood Partnerships. Adesso Mogahed è un eminente ‘satellite’ intorno a Obama ed è apparsa al Pentagono per l’Iftar, l’evento che celebra la fine del digiuno di Ramadan, insieme a un noto saudofilo, James Zogby, dell’Arab American Institute. All’inizio di ottobre, la Mogahed ha rilasciato un’intervista telefonica a una rete televisiva islamica fondamentalista inglese, IslamChannel. L’emittente ha intervistato in diretta Nazreen Nawaz, una rappresentante del gruppo islamico ultra radicale Hizb-ut-Tahrir (HT), anche detto Islamic Liberation Party. L’HT si batte per un regime islamico globale (il “Califfato”), che prevede l’instaurazione della sharia e la distruzione dell’Occidente. Il programma è andato in onda domenica 4 ottobre sul sito inglese della HT. Sebbene il dibattito televisivo tra due individui che si oppongono aggressivamente l’un l’altro sia diventato la forma dominante di comunicazione pubblica dappertutto nel mondo, durante l’incontro Dalia Mogahed non si è minimamente sforzata di stabilire una distanza tra le sue opinioni e quelle della sua antagonista, una fautrice antagonista dell’Islam radicale. Al contrario, la Mogahed ha difeso la sharia e in particolare la sua applicazione alla vita delle donne. Ha asserito che “la percezione della sharia e la descrizione della sharia sono state semplificate troppo tra gli stessi musulmani,” e ha dichiarato che la sharia dovrebbe essere vista in modo “olistico” (un cliché senza senso). Secondo lei “la maggior parte delle donne del mondo associa la sharia alla ‘giustizia di gender’”. Presumibilmente, il suo vasto riferimento alla “maggior parte delle donne”, invece di parlare di donne musulmane, era un errore involontario. Ma non ci sono dubbi che dal suo punto di vista la sharia come legge pubblica garantisce alle donne musulmane una dignità che manca in Occidente. Per di più, la Mogahed ha dichiarato che le donne musulmane “sostengono i valori universali della giustizia e dell’uguaglianza”, ma rifiutano i “valori occidentali”, che ha associato con la promiscuità sessuale e una mancanza di rispetto da parte degli uomini verso le donne. Secondo la Mogahed, gli atteggiamenti dei musulmani verso la legge islamica sono divisi tra chi vuole la sharia come l’unica fonte di governo e chi invece la interpreta come una fonte di legislazione tra diversi canoni. Ma anche questa distinzione, a suo parere, è meno importante del proclamare che le donne musulmane sono soddisfatte dalla sharia. Mogahed ha citato “una donna della Malesia” che ha “specificatamente” detto ai sondaggisti che "le dispiaceva per le donne occidentali perché lei aveva sempre avuto l’impressione che queste ultime pensino di aver bisogno di accontentare i loro uomini". Come se scegliere voci individuali tra circa un miliardo di voci del mondo musulmano non fosse già abbastanza assurdo, Mogahed ha offerto un’altra citazione isolata per dimostrare che le donne musulmane all’estero si lamentano del fatto che le donne occidentali mancano di uno status sociale. Nawaz, la conduttrice di HT, ha approvato il sondaggio Esposito-Mogahed ma poi ha attaccato senza riserve la democrazia ed ha denunciato la “legge degli uomini” come inferiore alla sharia. La HT spicca per la sua retorica anti-ebraica ed è stata censurata in alcuni Paesi compresa la Germania e la Turchia, mentre agisce legalmente in altri, dagli Stati Uniti all’Inghilterra passando per l’Indonesia. La HT ha evitato conseguenze più serie perché predica ma non pratica la violenza. Mogahed ha descritto il suo ruolo nell’amministrazione Obama come di chi vuole “trasmettere al Consiglio Consultivo, al presidente e agli pubblici ufficiali che cosa vogliono i musulmani”. Mogahed si è presentata come una “semplice ricercatrice” capace di offrire “le vere opinioni dei musulmani in modo accurato e rappresentativo”. Ma ha anche parlato con benevolenza di persone non identificate, inclusi non-musulmani, che preferirebbero se “gli Stati Uniti e l’Inghilterra e altri Paesi fossero aperti all’idea di integrare la sharia nelle società in cui c’è una maggioranza musulmana”. Ha dichiarato che, “ovviamente, nella maggior parte delle società dove c’è una maggioranza musulmana la sharia fa già parte delle loro leggi”.
In realtà, nella maggior parte dei Paesi con una maggioranza musulmana la sharia non è considerata come una parte della legge pubblica ma come un corpus separato che si applica esclusivamente alle questioni religiose. I paesi dove la sharia è dominante, come l’Arabia Saudita, l’Iran e il Sudan, rappresentano l’eccezione e non la regola. L’intervista di Dalia Mogahed è discutibile per diversi motivi. La sua difesa della sharia portata avanti, effettivamente, da un punto di vista femminista, è stato davvera brutta, nel senso che ha rovesciato una realtà universalmente condivisa quando si presentano le differenze tra l’Occidente e le società a maggioranza musulmana. La sharia è usata spesso per opprimere le donne, non per liberarle dalle blandizie del peccaminoso Occidente. L’approccio della Mogahed non sembra dare credito all’opinione, diffusa tra i musulmani moderati, che anche la Sharia, come altri canoni di leggi religiose, dovrebbero applicarsi solo agli standard sulla dieta, le forme di preghiera e le altre scelte che riguardano esclusivamente la sfera individuale e personale del credente. Il presidente Obama ha già indicato che vede l’Islam come un singolo fenomeno indifferenziato, di cui l’ideologia radicale è un aspetto secondario, se non irrilevante. Secondo questo punto di vista, l’Islam è più importante nel suo insieme piuttosto che un campo di conflitto tra estremisti e moderati; l’Iran è molto più importante come una “controparte” diplomatica piuttosto che essere la piattaforma di lancio per Ahmadinejad; e l’Afganistan è molto più importante come un rifugio di al Qaeda che come l’ingresso nel processo di “talibanizzazione” del Pakistan. Per Dalia Mogahed, non c’è niente di nuovo nella difesa della sharia, che la ricercatrice ha già formulato in termini insoliti, anche se contorti e bizzari. In un’analisi del tomo di sondaggi “Esposito-Mogahed”, apparsa sul The Christian Century, Brian McLaren ha rievocato il fatto che, l’anno scorso, “durante una una conferenza in Europa, Dalia Mogahed mi ha spiegato con un’analogia ciò che intende provare con la sua ricerca su Who Speaks for Islam? Perché, mi ha chiesto, gli estensori della Dichiarazione di Indipendenza americana si riferivano al Creatore come fonte dei nostri diritti inalienabili? Le ho risposto che probabilmente i Padri Fondatori lo fecero per legittimare la Rivoluzione Americana, negli stessi termini con cui la monarchia aveva affermato la sua autorità: i diritti dell’individuo vengono dallo stesso Dio che, un tempo, ha dato il diritto divino ai sovrani”. “Nello stesso modo, ha spiegato la Mogahed, per tanti musulmani la sharia rappresenta una specie di dichiarazione di indipendenza che afferma che Dio vuole portare la giustizia a tutti i popoli e che la sua giustizia è superiore a quella distorta e confusionaria tipica delle tirannie e delle dittature moderne. Per quanto la sharia possa apparire un sistema repressivo agli occhi degli occidentali, in realtà attualmente è un passo importante per molti musulmani che soffrono sotto sistemi dittatoriali corrotti nelle loro capitali e che devono fare i conti con poliziotti disonesti nei quartieri periferici”. Questa, non diluita, è esattamente la stessa visione che hanno gli islamisti in Egitto, Turchia, Pakistan e negli altri Paesi minacciati da tirannidi estremiste in cui il governo religioso viene presentato come l’unica alternativa a dittature secolari. L’autentica democrazia, che ha origine nel mondo occidentale, e non è un fenomeno “universale”, a quanto pare non è un’opzione, anzi viene tranquillamente rifiutata come se fosse un'altra di quelle corrotte pratiche occidentali, che siano il libertinaggio sessuale o la supremazia maschile. Eppure nei Paesi musulmani, inclusi quelli che sono governati dalla sharia, le donne perseguitate e gli abusi perpetrati dagli uomini non sono certo un fenomeno rapsodico. Nell’Arabia Saudita e altrove i crimini contro le donne, incluso i matrimoni obbligati, o le mutilazioni genitali delle donne, sono protetti dalla sharia. Questo è riconosciuto in tutto il mondo, e molti musulmani ripudiano pratiche e consuetudini del genere. Ma mentre i musulmani in tante parti del mondo si rivolgono alla società civile, Dalia Mogahed offre una fantasia retrograda sulla sharia, come se fosse davvero una legge di liberazione paragonabile con i principi della Dichiarazione di Indipendenza. Un individuo come la Mogahed non è adatto a fare il consigliere del presidente, e potrebbe contribuire in malo modo a fornire l’approvazione dell’America verso ideologie estremistiche come la sharia. Insomma, non dovremmo sorprenderci se scoprissimo che i sinistroidi non sono le uniche persone con un’ideologia estrema nella squadra di Obama.
Tratto da "The Weekly Standard" - Traduzione di Ashleigh Rose
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