In Umbria non c’è spazio per un libro che denuncia i crimini della Resistenza, né per il suo autore né tantomeno per chi, liberamente, ne consiglia la lettura. La «colpa» di Marcello Marcellini, avvocato ternano col pallino della storia, è quella di aver violato l’immagine della Brigata di partigiani comunisti Antonio Gramsci in un libro, I Giustizieri (Mursia editore) che raccoglie i documenti dell’epoca. Siamo in piena Resistenza, tra i territori appenninici tra le province di Terni e Rieti, la zona di Leonessa. La brigata Gramsci, infarcita di comunisti e titini e fiore all’occhiello della nomenklatura rossa che da sessant’anni governa indisturbata l’Umbria, secondo la ricostruzione del libro avrebbe compiuto almeno sei blitz a casa di alcuni civili tra l’11 marzo e il 18 maggio 1944. I responsabili, processati grazie alle testimonianze dell’epoca, vennero però assolti dalla magistratura perché erano «atti di guerra» nonostante le «violenze gratuite, le sevizie, gli omicidi brutali, feroci e ipocritamente ammantati di connotati politici». Le vittime, almeno sette, «venivano trascinate fuori e uccise a bastonate e pugnalate. Spesso venivano evirate e ai cadaveri venivano strappati gli occhi». La colpa di Francesco Pullia, dirigente nazionale dei Radicali è invece quella di essere l’autore di una recensione favorevole al libro, pubblicata su Notizie radicali e sul Corriere dell’Umbria. Crocifisso per quell’articolo, Pullia al Giornale non nasconde un po’ di preoccupazione per il clima che si è creato intorno a lui. Su internet, nei forum ma anche nel suo ufficio, alla Provincia di Terni, non si parla d’altro che di lui, con toni tutt’altro che lusinghieri e slogan anni Settanta come «la coscienza di classe» che secondo i suoi superiori nell’ufficio pubblico il giornalista non avrebbe. Lui si schernisce, non vuole nemmeno pronunciare la parola mobbing, ma l’atmosfera intorno a lui è incandescente, al limite dell’esplicito invito a trovarsi un altro lavoro. «Per favore, preferisco rimanere zitto. Non voglio peggiorare le cose», si limita a dire al cellulare. Domani un centro sociale umbro ha annunciato una manifestazione di protesta contro quel libro «revisionista». Alla faccia della libertà di stampa. Insomma, nella democratica Umbria rossa guai a chi tocca l’icona della Resistenza, guai a chi smentisce la versione recitata a memoria dalle vestali della storia. Il messaggio è questo. «Peccato. Il mio voleva essere un contributo al dialogo - dice l’autore del volume - mettere in luce certi episodi non significa criminalizzare quella stagione da cui nacque la Repubblica italiana». Ma a chi grida alla censura invocando l’intervento dell’Europa, (e perché no, i caschi blu dell’Onu) contro lo strapotere mediatico di Silvio Berlusconi, sbeffeggiato a ogni ora del giorno sulle tv pubbliche e private, non va giù che qualcuno come Marcellini e Pullia abbia osato violare il codice rosso dei partigiani. Guai a sostenere che certi eccidi non avevano niente a che fare con la liberazione ma erano puri e semplici «omicidi politici» nati dal brodo di coltura del tempo e alimentati dall’odio ideologico. Non è un caso dunque se le accuse più pesanti rivolte al «collaborazionista» radicale arrivino da Renato Covino, docente di storia contemporanea all’università di Perugia: «Pullia soffre di manie di persecuzione dopo che un imbecille gli ha spedito una lettera anonima, si considera bersaglio di una fatwa», ha scritto il docente nei giorni scorsi. «In realtà è un poveretto che si è messo in testa di fare il Pannella, ma imita male il suo guru dalla foga iconoclasta e campione di malafede come Indro Montanelli». E ancora: «Quello di Marcellini non è altro che romanzo, una sorta di thriller sanguinolento con effettacci. Oggi si pubblica tanta robaccia e non è un libro più o meno brutto che fa la differenza quanto i suoi esegeti e apologisti». Insomma, guai a ripensare a quella stagione, guai a dire all’Umbria rossa che «non si può negare rispetto e pietà per tutti i morti di quella stagione», perché solo così «si può trovare quell’unità nazionale finora negata da vecchie contrapposizioni». Come dice quel «revisionista» del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
giovedì 22 ottobre 2009
Crimini partigiani
«Mi stanno distruggendo per un libro sui crimini partigiani» di Felice Manti
In Umbria non c’è spazio per un libro che denuncia i crimini della Resistenza, né per il suo autore né tantomeno per chi, liberamente, ne consiglia la lettura. La «colpa» di Marcello Marcellini, avvocato ternano col pallino della storia, è quella di aver violato l’immagine della Brigata di partigiani comunisti Antonio Gramsci in un libro, I Giustizieri (Mursia editore) che raccoglie i documenti dell’epoca. Siamo in piena Resistenza, tra i territori appenninici tra le province di Terni e Rieti, la zona di Leonessa. La brigata Gramsci, infarcita di comunisti e titini e fiore all’occhiello della nomenklatura rossa che da sessant’anni governa indisturbata l’Umbria, secondo la ricostruzione del libro avrebbe compiuto almeno sei blitz a casa di alcuni civili tra l’11 marzo e il 18 maggio 1944. I responsabili, processati grazie alle testimonianze dell’epoca, vennero però assolti dalla magistratura perché erano «atti di guerra» nonostante le «violenze gratuite, le sevizie, gli omicidi brutali, feroci e ipocritamente ammantati di connotati politici». Le vittime, almeno sette, «venivano trascinate fuori e uccise a bastonate e pugnalate. Spesso venivano evirate e ai cadaveri venivano strappati gli occhi». La colpa di Francesco Pullia, dirigente nazionale dei Radicali è invece quella di essere l’autore di una recensione favorevole al libro, pubblicata su Notizie radicali e sul Corriere dell’Umbria. Crocifisso per quell’articolo, Pullia al Giornale non nasconde un po’ di preoccupazione per il clima che si è creato intorno a lui. Su internet, nei forum ma anche nel suo ufficio, alla Provincia di Terni, non si parla d’altro che di lui, con toni tutt’altro che lusinghieri e slogan anni Settanta come «la coscienza di classe» che secondo i suoi superiori nell’ufficio pubblico il giornalista non avrebbe. Lui si schernisce, non vuole nemmeno pronunciare la parola mobbing, ma l’atmosfera intorno a lui è incandescente, al limite dell’esplicito invito a trovarsi un altro lavoro. «Per favore, preferisco rimanere zitto. Non voglio peggiorare le cose», si limita a dire al cellulare. Domani un centro sociale umbro ha annunciato una manifestazione di protesta contro quel libro «revisionista». Alla faccia della libertà di stampa. Insomma, nella democratica Umbria rossa guai a chi tocca l’icona della Resistenza, guai a chi smentisce la versione recitata a memoria dalle vestali della storia. Il messaggio è questo. «Peccato. Il mio voleva essere un contributo al dialogo - dice l’autore del volume - mettere in luce certi episodi non significa criminalizzare quella stagione da cui nacque la Repubblica italiana». Ma a chi grida alla censura invocando l’intervento dell’Europa, (e perché no, i caschi blu dell’Onu) contro lo strapotere mediatico di Silvio Berlusconi, sbeffeggiato a ogni ora del giorno sulle tv pubbliche e private, non va giù che qualcuno come Marcellini e Pullia abbia osato violare il codice rosso dei partigiani. Guai a sostenere che certi eccidi non avevano niente a che fare con la liberazione ma erano puri e semplici «omicidi politici» nati dal brodo di coltura del tempo e alimentati dall’odio ideologico. Non è un caso dunque se le accuse più pesanti rivolte al «collaborazionista» radicale arrivino da Renato Covino, docente di storia contemporanea all’università di Perugia: «Pullia soffre di manie di persecuzione dopo che un imbecille gli ha spedito una lettera anonima, si considera bersaglio di una fatwa», ha scritto il docente nei giorni scorsi. «In realtà è un poveretto che si è messo in testa di fare il Pannella, ma imita male il suo guru dalla foga iconoclasta e campione di malafede come Indro Montanelli». E ancora: «Quello di Marcellini non è altro che romanzo, una sorta di thriller sanguinolento con effettacci. Oggi si pubblica tanta robaccia e non è un libro più o meno brutto che fa la differenza quanto i suoi esegeti e apologisti». Insomma, guai a ripensare a quella stagione, guai a dire all’Umbria rossa che «non si può negare rispetto e pietà per tutti i morti di quella stagione», perché solo così «si può trovare quell’unità nazionale finora negata da vecchie contrapposizioni». Come dice quel «revisionista» del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
In Umbria non c’è spazio per un libro che denuncia i crimini della Resistenza, né per il suo autore né tantomeno per chi, liberamente, ne consiglia la lettura. La «colpa» di Marcello Marcellini, avvocato ternano col pallino della storia, è quella di aver violato l’immagine della Brigata di partigiani comunisti Antonio Gramsci in un libro, I Giustizieri (Mursia editore) che raccoglie i documenti dell’epoca. Siamo in piena Resistenza, tra i territori appenninici tra le province di Terni e Rieti, la zona di Leonessa. La brigata Gramsci, infarcita di comunisti e titini e fiore all’occhiello della nomenklatura rossa che da sessant’anni governa indisturbata l’Umbria, secondo la ricostruzione del libro avrebbe compiuto almeno sei blitz a casa di alcuni civili tra l’11 marzo e il 18 maggio 1944. I responsabili, processati grazie alle testimonianze dell’epoca, vennero però assolti dalla magistratura perché erano «atti di guerra» nonostante le «violenze gratuite, le sevizie, gli omicidi brutali, feroci e ipocritamente ammantati di connotati politici». Le vittime, almeno sette, «venivano trascinate fuori e uccise a bastonate e pugnalate. Spesso venivano evirate e ai cadaveri venivano strappati gli occhi». La colpa di Francesco Pullia, dirigente nazionale dei Radicali è invece quella di essere l’autore di una recensione favorevole al libro, pubblicata su Notizie radicali e sul Corriere dell’Umbria. Crocifisso per quell’articolo, Pullia al Giornale non nasconde un po’ di preoccupazione per il clima che si è creato intorno a lui. Su internet, nei forum ma anche nel suo ufficio, alla Provincia di Terni, non si parla d’altro che di lui, con toni tutt’altro che lusinghieri e slogan anni Settanta come «la coscienza di classe» che secondo i suoi superiori nell’ufficio pubblico il giornalista non avrebbe. Lui si schernisce, non vuole nemmeno pronunciare la parola mobbing, ma l’atmosfera intorno a lui è incandescente, al limite dell’esplicito invito a trovarsi un altro lavoro. «Per favore, preferisco rimanere zitto. Non voglio peggiorare le cose», si limita a dire al cellulare. Domani un centro sociale umbro ha annunciato una manifestazione di protesta contro quel libro «revisionista». Alla faccia della libertà di stampa. Insomma, nella democratica Umbria rossa guai a chi tocca l’icona della Resistenza, guai a chi smentisce la versione recitata a memoria dalle vestali della storia. Il messaggio è questo. «Peccato. Il mio voleva essere un contributo al dialogo - dice l’autore del volume - mettere in luce certi episodi non significa criminalizzare quella stagione da cui nacque la Repubblica italiana». Ma a chi grida alla censura invocando l’intervento dell’Europa, (e perché no, i caschi blu dell’Onu) contro lo strapotere mediatico di Silvio Berlusconi, sbeffeggiato a ogni ora del giorno sulle tv pubbliche e private, non va giù che qualcuno come Marcellini e Pullia abbia osato violare il codice rosso dei partigiani. Guai a sostenere che certi eccidi non avevano niente a che fare con la liberazione ma erano puri e semplici «omicidi politici» nati dal brodo di coltura del tempo e alimentati dall’odio ideologico. Non è un caso dunque se le accuse più pesanti rivolte al «collaborazionista» radicale arrivino da Renato Covino, docente di storia contemporanea all’università di Perugia: «Pullia soffre di manie di persecuzione dopo che un imbecille gli ha spedito una lettera anonima, si considera bersaglio di una fatwa», ha scritto il docente nei giorni scorsi. «In realtà è un poveretto che si è messo in testa di fare il Pannella, ma imita male il suo guru dalla foga iconoclasta e campione di malafede come Indro Montanelli». E ancora: «Quello di Marcellini non è altro che romanzo, una sorta di thriller sanguinolento con effettacci. Oggi si pubblica tanta robaccia e non è un libro più o meno brutto che fa la differenza quanto i suoi esegeti e apologisti». Insomma, guai a ripensare a quella stagione, guai a dire all’Umbria rossa che «non si può negare rispetto e pietà per tutti i morti di quella stagione», perché solo così «si può trovare quell’unità nazionale finora negata da vecchie contrapposizioni». Come dice quel «revisionista» del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
0 commenti:
Posta un commento