MILANO — Sul ballatoio c'è un portoncino di legno, verniciato di verde. Appena dentro, addossato alla parete della stanza, un vecchio divano. Proprio là, sui cuscini, era appoggiato un Corano aperto sulla «Sura della vacca», i versetti che di solito i kamikaze recitano prima di andare a farsi esplodere. Quel libro è l'ultimo segno lasciato da Mohamed Game dentro l'appartamento-«covo» al terzo piano di un palazzo in via Gulli. Davanti a quelle pagine, Game ha pregato poco dopo le 7 del mattino di lunedì scorso. Poi ha preso la cassetta degli attrezzi imbottita di esplosivo ed è uscito. È sceso per tre piani di scale e, una volta in strada, ha girato a sinistra e s'è messo a camminare. A passo normale, deve aver impiegato poco più di cinque minuti. La caserma di piazzale Perrucchetti è molto vicina, alla fine della strada. Seicentocinquanta metri per diventare uno shaid, un martire. È passata una settimana dall'attentato alla caserma «Santa Barbara» di Milano. Il «covo» è stato scoperto quindici ore dopo l'esplosione, alle 23 di lunedì sera. E da quel momento è diventato il fulcro dell'indagine della Digos e dei Ros. Una casa protetta da una doppia porta: la prima, con un'intelaiatura di ferro, dà su un balconcino; da quel punto si apre poi il secondo portone. All'interno, una prima stanza fa da ingresso e soggiorno. Qui Game e i suoi complici hanno «cucinato» per giorni (forse settimane) l'esplosivo. La cucina è nell'angolo a sinistra: i fuochi, il lavandino, pensili e cassetti. C'erano pentole e pentolini sul piano di lavoro e sul tavolo al centro della stanza. Recipienti più piccoli e più grandi. Sparse tra il pavimento e i ripiani, un numero imprecisato di bottiglie e flaconi: una serie prodotti chimici (dall'acetone ai cosmetici) che chiunque può comprare in un supermercato o in un negozio di ferramenta, ma che una cellula integralista può usare invece come reagenti o ingredienti per assemblare la «marmellata», l'impasto per gli ordigni. Quest'ultima operazione Game e i suoi complici la svolgevano tra la cucina e il bagno, dove gli investigatori hanno trovato un altro grosso pentolone nella vasca. Per ricostruire la pianta dell'appartamento si può entrare in via Gulli e salire al quarto piano. La casa sopra a quella del «covo» ha una disposizione identica. È abbandonata, con la porta distrutta, chiunque può entrare calpestando un tappeto di immondizia e vestiti strappati. Oltre il soggiorno, c'è una stanza con un piccolo balcone che si affaccia sulla strada. La porta del bagno è sulla parete a sinistra. La casa, come hanno spiegato gli inquirenti, era «nella disponibilità» di Mamhoud Kol, l'idraulico egiziano in carcere con l'accusa di essere il complice di Game. Personaggio che col passare dei giorni sembra assumere un ruolo sempre più centrale in questa storia. A partire da un interrogativo: come può un immigrato con dieci figli, che vive in una casa occupata abusivamente, permettersi di lasciare un appartamento a disposizione della cellula? Kol, che di fronte ai magistrati è rimasto in silenzio, era un vicino di casa di Game. I due abitavano in due palazzine popolari affacciate sullo stesso cortile. In questi giorni almeno un paio di inquilini hanno raccontato alcune caratteristiche della loro amicizia: «Si vedevano spesso, soprattutto negli ultimi mesi, parlottavano fitti in giardino o uscivano». Un particolare che oggi sembra importante, perché una delle domande fondamentali a cui dovrà rispondere l'inchiesta è: chi ha convinto Game a diventare un martire? Il kamikaze della caserma Perrucchetti, fino a sei mesi fa, non era neppure religioso. E negli ultimi tempi un tracollo economico e gravi problemi di salute l'avevano portato a una profonda frustrazione. Uno dei «manuali» della jihad che circola in Internet spiega: «Se conosci qualcuno di giovane — uno, due o più — nel tuo quartiere, nella moschea o all'università, che è entusiasta (della causa, ndr) – forma insieme a lui (o a loro, ndr) la cellula». Due giorni fa Game, uno dei giovani del gruppo, ha compiuto 35 anni nel suo letto d'ospedale. Kol di anni ne ha 52. Non si sa quando l'idraulico egiziano abbia visitato per l'ultima volta il «suo» appartamento nel palazzo-casbah di via Gulli. E non si sa neppure quanti uomini siano passati (o dovessero passare) da quella casa. Nel frigorifero c'erano però molte provviste, cibo che avrebbe potuto sfamare più di una persona per giorni. E poi c'erano le scorte di esplosivo: 40 chili del fertilizzante (lo stesso nitrato d'ammonio usato per la bomba di Game) abbandonati in un angolo della cucina. E infine un'altra cassetta degli attrezzi, identica a quella che Mohamed Game ha fatto esplodere. La mattina del 12 ottobre il kamikaze si è svegliato alle 6 e mezza, ha recitato la preghiera dell'alba e ha fatto le abluzioni, mentre la moglie e i quattro figli ancora dormivano. Intorno alle 7 è uscito da via Civitali e ha percorso circa 900 metri per arrivare al «covo». Ha preso l'ordigno e alle 7,35 era di fronte alla caserma. Ha atteso che la Fiat Punto bianca di due militari entrasse nella porta carraia e si è infilato. Due soldati gli hanno sbarrato la strada. Game si è piegato e ha tirato l'innesco. L'esplosione gli ha portato via una mano e gli occhi. Alle 7 e 41 è arrivata la prima telefonata al 113.
Guido Olimpio - Gianni Santucci
0 commenti:
Posta un commento