martedì 6 ottobre 2009

Sulla cittadinanza

Al Comitato ristretto della Commissione affari costituzionali della Camera il difficile compito di preparare un testo condiviso sulla base delle 12 proposte di modifica della legge sulla cittadinanza di Italo Mastrangeli.

Nelle prossime settimane il Comitato ristretto della Commissione affari costituzionali della Camera proverà a redigere un testo di riforma della legge sulla cittadinanza partendo dalle 12 proposte presentate dai diversi schieramenti politici. Poi, a novembre, sarà l’Assemblea di Montecitorio a stabilire a quali condizioni si potrà ottenere la cittadinanza italiana. Tra le proposte spicca l’iniziativa bipartisan del ‘finiano’ Fabio Granata e del cattolico del Pd Andrea Sarubbia. Un disegno ‘rivoluzionario’ rispetto all’attuale legge, la numero 91 del 1992, ma in linea con la legislazione degli altri paesi dell’Unione europea in materia. Tra i contrari, la solita Lega, arroccata a difesa della 91/1992. “Una legge sulla cittadinanza c'è già e funziona - ha detto il ministro Maroni durante la trasmissione tivù Mattino cinque - Personalmente credo che la legge non debba essere modificata”. La Lega, dunque, continua bossianamente a ‘tenere duro'. Chiare le ragioni. La legge 91/1992, approvata mentre in tutta la Penisola erano in corso i festeggiamenti per i 500 anni dalla scoperta dell’America, e che ha riformato la precedente legge risalente addirittura al 1912 (anno della colonizzazione della Libia), ha in comune, con quest’ultima, l'obiettivo di tutelare le radici degli emigranti italiani (attraverso lo ius sanguinis). Senza porsi il problema di considerare la crescita della presenza straniera e la sua stabilizzazione nel contesto demografico italiano. Cosa comprensibile nel 1912, quando dall’Italia si emigrava. Non ottant’anni dopo, con gli albanesi che premevano sulle coste pugliesi. Per mezzo dell’attuale legge, l’Italia ha potuto, in questi 17 anni, concedere a singhiozzo la cittadinanza a chi non ha sangue italiano che gli scorre nelle vene. In quest’arco di tempo solo 261mila individui sono diventati ‘nuovi italiani’. In Francia, tanto per fare un paragone, sono diventati francesi 300mila immigrati in un solo biennio (2006/2007). Se il disegno di legge Granieri-Sarubbia passasse in Parlamento si avrebbero 1milione e 600 mila ‘nuovi italiani’ (stima Acli). Cosa inaccettabile per le menti padane, che nelle osterie leghiste non incitano più al secessionismo ma alla difesa dell’italianità minacciata dai ‘popoli invasori’. Due i punti del disegno di legge particolarmente sgraditi a Bossi e Co. Primo. L’introduzione dello ius soli, che permetterà ai figli nati sul suolo italiano da genitori stranieri regolarmente soggiornanti da almeno 5 anni di diventare automaticamente italiani. Secondo. La possibilità per l’immigrato di chiedere la cittadinanza dopo cinque anni di soggiorno e non più dopo dieci. L’unico punto dove tutti sembrano d’accordo è, invece, nell’introduzione di un esame di lingua italiana come requisito indispensabile per ottenere la cittadinanza. Solo in questo modo si avrà una prova tangibile della volontà, non solo di acquisire la cittadinanza, ma anche d'integrarsi nel Bel Paese. Non si può essere cittadini se non si partecipa alla vita nazionale, e ci si trincera dentro la propria comunità d’appartenenza - la comunità cinese ne è un esempio, anche se un po' troppo abusato. Basta con gli italiani di nome ma non di fatto. Piena apertura, invece, con chi desidera, nel reciproco rispetto, realizzare il proprio progetto di vita, conformemente con i principi sanciti dalla Costituzione.

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