giovedì 13 agosto 2009

Islam

La polemica . «Il burqini? Musulmane più libere». L'ideatrice del costume per islamiche torna così sul caso della 35enne "respinta" in Francia

MILANO - Piscina vietata a una donna in burqini. Il "no" di un bagnino parigino a Carole, una 35enne di religione musulmana che voleva tuffarsi nella piscina comunale di Emerainville, nella banlieue della capitale francese, è diventato un caso. Soprattutto perché la donna in questione, di fronte al netto rifiuto, è subito andata al vicino commissariato di polizia di Noisiel, per presentare una denuncia, parlando di «problema politico» e di «segregazione». Ora sulla vicenda interviene la creatrice del burqini. Dalla lontana Australia la stilista che ha lanciato cinque anni fa il costume per musulmane, pantalone fino alla caviglia, tunica lunga, cuffia che contiene i capelli e copre collo e spalle, difende la sua creazione. «Se non vi piace l'idea, cercate di approfondire, parliamone, allarghiamo il dibattito» dice la stilista di costumi da bagno Aheda Zanetti, sottolineando che il suo burqini ha permesso a tante musulmane di nuotare e di gareggiare senza essere costrette a mostrare niente altro che faccia, mani e piedi.

«TANTA GENTE CI APPREZZA» - Titolare del marchio di costumi da bagno «Ahiida», la Zanetti sottolinea quindi che i vari modelli del suo burqini sono stati scelti in tutto il mondo. «Tantissima gente apprezza che ci siamo impuntati, che non abbiamo lasciato correre - aggiunge - Sono scelte, soltanto scelte delle donne, e questo è tutto».

Ha il burqa bagno vietato

Voleva nuotare in piscina indossando un costume integrale, il cosiddetto “burkini” conforme ai dettami della sua religione, ma la direzione della struttura di Emerainville, località francese della regione Seine-et-Marne, le ha proibito l’ingresso. I media francesi hanno scritto che la protagonista si chiama Carole, una musulmana di 35 anni.

... e chi lo dice che la gente "normale" in spiaggia accetta di trovarsi di fronte a donne con gli scafandri? Ovvio, se lo dicono i musulmani allora deve essere vero. Invece no. Oggi ce n'era una scafandrata, la prima che vedo in vita mia. Mi sono trovata a disagio, io che porto un bikini normale, vedere una donna così (che ne sia felice o meno), mi ha dato fastidio. O si va al mare e ci si sveste come tutti, o si sta felicemente scafandrati dentro casa. Tra l'altro, non dovrebbero essere proprio loro "gli eletti del profeta" che non dovrebbero mai mescolarsi agli infedeli peccatori? L'andare al mare è da peccatori... ma in quanto a paraculaggine per farci tollerare l'intollerabile ne, loro ne conoscono una più del tanto odiato diavolo. Si mescolano agli infedeli ma fanno vestire coi burkini le loro mogli, bevono birra sotto l'ombrellone, fumano e guardano le donne occidentali in bikini... ma non è peccato fare cose del genere? E non bastano i "vucumprà" che passano a venderti i loro ciaffi abusivamente ogni cinque secondi... E nel frattempo dovremmo essere pure felici di come cambia il continente europeo?

Come cambia il continente. Quando l’Europa si scoprirà musulmana. Oggi gli islamici sono il 5 per cento della popolazione Entro il 2050 saranno uno su cinque. Il caso tedesco. La progressione.

BERLINO — Domenica d’agosto al Görlitzer Park, quartiere «alternativo» di Kreuzberg: giovani coppie con pargoli in carrozzina, gruppi di ragazzi tra musica tecno e birre, famiglie intorno ai barbecue. Würstel e bistecche sfrigolano sulla brace; qualcuno fa le cose decisamente in grande, sullo spiedo gira un animale intero. Non un maialino, ma una pecora. Donne con il velo, bambini dai capelli scurissimi, sonorità mediorientali. Che Berlino sia tra le città tedesche con la presenza più consistente di musulmani non è una novità: chiunque sia passato dalle parti di Checkpoint Charlie sa che da lì in poi si spalancano le porte di Kreuzberg, culla storica del punk rock teutonico e ufficiosa (ma non troppo) capitale della comunità turca. Che, a sua volta, costituisce la fetta più consistente dell’islam nel Paese. Quello che nemmeno i tedeschi sapevano, però, è che i conti potrebbero non tornare. Fino a giugno le stime ufficiali calcolavano una presenza musulmana variabile dai 3,1 ai 3,4 milioni. Poi il ministero degli Interni ha diffuso un’indagine in base alla quale in Germania vivrebbero tra i 3,8 e i 4,3 milioni di fedeli islamici; oltre il 5% della popolazione. Nel 1945 erano 6.000, nel 1971 250.000, nell’81 un milione e 700 mila. Una tendenza, quella confermata dai dati tedeschi, che è ormai condivisa da buona parte dell’Europa, e alla quale il Daily Telegraph ha di recente dedicato un approfondimento dal titolo allarmistico: «Europa musulmana, la bomba demografica a orologeria che sta trasformando il nostro continente». Qualche cifra: la popolazione musulmana nell’Unione è più che raddoppiata nell’ultimo trentennio e raddoppierà di nuovo entro il 2015. Secondo l’Istituto per le politiche migratorie degli Stati Uniti, nel 2050 sarà di fede islamica un cittadino europeo ogni cinque. E per l’economista Karoly Loran, autore di uno studio commissionato dal Parlamento europeo, è già musulmano il 25% degli abitanti di Marsiglia e Rotterdam, il 20% di quelli di Malmö, il 10% dei parigini e dei londinesi. Il sociologo Marzio Barbagli, da anni impegnato nello studio dei fenomeni migratori, conferma: «Nel suo ultimo libro, Reflections on the devolution in Europe, Christopher Caldwell calcola che nella Ue ci siano complessivamente 15 milioni di musulmani: soprattutto in Francia, Germania e Gran Bretagna. In maniera documentata, abbraccia la tesi allarmata fatta propria da altri studiosi e giornalisti, tra cui Oriana Fallaci». Una tesi simile a quella sostenuta qualche anno fa dallo storico e orientalista Bernard Lewis, per il quale nell’arco di 50-80 anni l’Europa sarebbe diventata un Paese arabo. «Alla base — spiega Barbagli — c’è il concetto per cui la religione islamica finirà per prevalere su quella cristiana, perché gli europei sono ormai secolarizzati, tolleranti, relativisti, sempre più incerti dal punto di vista dei valori». Una lettura da cui il sociologo dissente: «Ci sono, al contrario, esperienze storiche che fanno pensare come, pur avendo caratteristiche particolari, i valori di questa religione finiranno per subire le stesse trasformazioni vissute dal cristianesimo». I musulmani, a contatto con la cultura europea, andrebbero a loro volta incontro a un mutamento. «Ad esempio sulla fecondità: mettono al mondo più figli, è vero, ma la forbice si sta fortemente riducendo». Barbagli ricorda un’indagine da lui svolta in Emilia Romagna, «sui bambini nati in Italia da famiglie musulmane: ebbene, quanto più tempo avevano passato nel nostro Paese, tanto meno era probabile che frequentassero i luoghi di culto dell’islam. Il processo è lento, a volte impercettibile, ma avviene». E i dati tedeschi lo dimostrano: se solo il 4% dei musulmani interpellati nel corso dell’inchiesta si dichiara «per nulla religioso», il velo (tra i punti più spinosi del dibattito sull’integrazione) non viene mai indossato dal 69% delle musulmane di prima generazione e dal 70,7% di quelle di seconda; la quasi totalità degli studenti frequenta sia le classi miste di educazione fisica che le ore di educazione sessuale. Il quadro, insomma, sembra decisamente più roseo di quanto farebbero intendere le invocazioni alla jihad risuonate nei giorni scorsi al processo contro il «gruppo della Sauerland», la presunta cellula terrorista islamica guidata dal tedesco convertito — in Germania, già nel 2006 erano 14.300 — Fritz Gelowicz. Buone notizie arrivano anche (nonostante alcune polemiche interne) dalla Conferenza sull’islam creata nel 2006 per facilitare il dialogo tra governo e comunità musulmana: «L’islam—così il ministro degli Interni Wolfgang Schäuble (Cdu) — è ormai da tempo parte integrante del nostro Paese». Una dichiarazione che, per la portavoce del Consiglio centrale dei musulmani in Germania (e membro della Conferenza) Nurhan Sokyan, «ha smosso la coscienza di molti, anche tra i musulmani. Io stessa sono diventata più consapevole del fatto che, come parte della Germania, abbiamo il dovere di impegnarci». E così, i 30 delegati—metà di nomina governativa, metà scelti tra le varie associazioni presenti sul territorio o tra i «liberi battitori» dell’islam tedesco, sia laico che religioso—proseguono nel loro faticoso cammino verso l’integrazione: la formazione di imam e insegnanti entro i confini tedeschi, la costruzione (e il controllo) delle moschee, gli spazi per le sepolture… «Perché il problema vero — conclude Barbagli — non è l’islam, ma appunto il modello di integrazione. Il rischio è che si ripeta quanto accaduto a Parigi nel 2005, con la rivolta delle banlieues: giovani con la nazionalità francese, stessi diritti (sulla carta) dei loro coetanei, in realtà bloccati dal punto di vista della mobilità sociale. Ecco, questo potrebbe accadere ancora, anche nella stessa Germania. Ma le differenze religiose, qui, non c’entrano più».

Gabriela Jacomella

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