mercoledì 19 agosto 2009

Islam italiano

Da venerdì garage, cascine e e cinema verranno trasformati in luoghi di culto. Mese sacro per oltre un milione: pochi spazi e orari inflessibili. La fabbrica diventa una moschea. "Ecco il nostro ramadan in Italia" di Piero Colaprico

MILANO - Il ramadan comincia all'alba di dopodomani, venerdì, ma per molti è già partito in sordina, con un piccolo gesto: "Voi non lo sapete, ma già quaranta giorni prima del mese sacro noi fedeli smettiamo di bere alcol, è una tradizione anche questa", racconta Arafà. È un egiziano di 33 anni, sta alla cassa della prima delle sue macellerie, in viale Tibaldi a Milano. In province meno leghiste, la sua storia sarebbe da manuale dell'imprenditore. Alcuni anni fa andò a comprare un po' di carne nella macelleria dell'Istituto islamico di viale Jenner, poi fece due conti: "Mio zio in Egitto - racconta - ha un minimarket, sapevo a quanto vendeva lui, cominciai a studiare come organizzare le importazioni". Ora, con i fratelli, ha 15 negozi. E in ognuno, per i clienti, è stato stampato un foglietto pubblicitario con "Orario di preghiera del mese di Ramadan 1430. Agosto/settembre 2009 per Milano". Si trovano gli orari della luna, indispensabili per fissare e conoscere l'ora delle preghiere. A Milano ce l'hanno tutti i fedeli. Comincia dunque il mese in cui "fare i buoni" diventa una forte aspirazione (più o meno, è come il Natale dei cristiani) e una novità interessante arriva da Torino. Qua il direttore del Centro islamico "Mecca", Amir Younes, ha fatto arrivare dal Cairo dieci imam: "Chi guida la preghiera nelle moschee italiane a volte è un fabbro, o un muratore, non un imam. Per allargare la conoscenza del vero islam ho invitato dieci imam, tutti laureati all'università d'Al Azhar, che lavorano con il Ministero della religione islamica in Egitto. Staranno a Torino, andranno a Lodi, Genova, Aosta, Imperia e altre città, come ambasciatori dell'Islam. Non diamo clamore all'iniziativa perché non c'interessa andare in tv, ma lo facciamo da anni". Spesso si sente dire che in Italia ci sono ottocento moschee, ma non è esattamente così. Le moschee "vere" sono tre, a Roma, a Catania e a Segrate. Poi ci sono ex garage, cascine, sottoscala, cinema che sono stati trasformati in luogo di culto. Al massimo possono contenere trecento persone, facendo attenzione a vigili urbani e vicini di casa. Quindi, "se si fa qualche rapido conto, si capisce che, rispetto al milione e duecento mila mussulmani presenti in Italia, meno del dieci per cento ha un luogo pubblico dove pregare e celebrare il ramadan", dice il signor Hamza, da Brescia. Ma tutti, o quasi, si stanno organizzando come minuscole fotocopie della moschea romana di Monte Antenne: "I fedeli più poveri in tutt'Italia potranno rompere il digiuno mangiando vicino a dove si prega, un pasto viene offerto dopo la preghiera del tramonto", dice Abdel Hamid Shaari, dell'istituto islamico di viale Jenner, che invano lotta con il Comune di centrodestra per far spuntare a Milano una vera moschea. Insieme con il ramadan, arriva qualche frizione. A Gallarate, provincia di Varese, dopo le continue ispezioni tecniche (o politiche?) del Comune, è stata montata una tenda, su disposizione del cardinale di Milano Dionigi Tettamanzi, vicino alla chiesa dei santi Nazario e Sauro, ad Arnate. C'è chi trova soluzioni, i circa ottomila lavoratori musulmani del Padovano hanno da qualche tempo a disposizione delle sale di preghiera nelle fabbriche e nei cantieri, quei pochi aperti durante il mese sacro. Mentre a Mantova è scoppiata, anche se presto rientrata, una polemica apparentemente salutista. La Coldiretti voleva imporre ai braccianti islamici l'"obbligo" di bere e Hammadi Ben Mansour, il portavoce, ha puntato i piedi: "Non è che stiamo giorni senza bere, non beviamo dall'alba al tramonto, poi ci rifocilliamo. Siamo abituati a fare così da bambini, sarà dura, ma sono affari nostri, è la nostra fede". Già nel 1960, l'ex presidente tunisino Habib Bourguiba, socialista, chiese al popolo di "saltare" il ramadan perché il paese (indipendente da poco) aveva bisogno di lavoro per lo sviluppo. Da allora, non solo in Italia, ma in tutto il mondo islamico ci s'interroga sul tema, ma, come dice Amara Lakhous, scrittore algerino che vive a Roma, "la notizia di Mantova ha fatto il giro del mondo con questo titolo preoccupante: "L'Italia costringe i braccianti musulmani a non fare il ramadan!". Direi un grande danno all'immagine dell'Italia. È un vero peccato, le soluzioni ci sono. Tanti lavoratori immigrati musulmani scelgono di andare in ferie proprio durante il ramadan, altri che fanno un orario leggero, di quattro ore, e si impegnano a recuperare il resto. I datori di lavoro ragionano...". Forse più dei politici? E uno che è datore di lavoro e islamico, come il giovane imprenditore di carne di via Tibaldi a Milano, non vede tutti questi problemi, se c'è "rispetto". Dice Arafà: "Chi non può fare il ramadan, per esempio chi prende farmaci, per una forma di rispetto verso chi digiuna, non beve, non mangia e tantomeno fuma alla presenza degli altri", racconta. "E in macelleria io devo servire il cliente. Se mangia va bene, se beve va bene, perché anche rispettare il cliente è ramadan". Ma è vero che dopo il digiuno, molti islamici cenano insieme ogni sera? "Io sto a casa con la famiglia, non invito e non accetto inviti. C'è chi invita il povero, e questo è rispetto del ramadan. Le cene, però, possono essere divertenti. Sulle tavole in questo periodo arrivano cinquanta tipi di cibo, e mica li mangi tutti... ". Forse ci si sazia un po' con gli occhi. Se nel ramadan d'agosto si sta diciotto ore senza bere e mangiare, un premio ci vorrà: anche alla vista, non solo all'anima.

0 commenti: