L’ Ocse (Organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo) stima che nel nostro Paese vivano tra i 500 e i 750 mila immigrati clandestini. Sono l’1,09% della popolazione italiana e il 25,6% di tutti i residenti stranieri. Il dato emerge dal rapporto 2009 dedicato al fenomeno dell’immigrazione. Ed è assolutamente in linea con quanto avviene negli altri Paesi europei (mentre gli illegali negli Usa sono addirittura il 3,94 della popolazione complessiva). Queste sono le ultime cifre «ufficiali» relative al fenomeno che sta infiammando il dibatto politico italiano dopo l’entrata in vigore del nuovo pacchetto sicurezza. Ma le valutazioni sull’impatto che avrà il provvedimento di sanatoria (nel prossimo mese di settembre) per le colf e le badanti aiutano a correggere al «rialzo» il dato. Secondo il responsabile del Dossier statistico della Caritas Migrantes, Franco Pittau, — uno dei massimi esperti italiani di flussi migratori — la stima degli irregolari dovrebbe aggirarsi più realisticamente «intorno a un milione di persone». Perché è presto detto. Secondo Pittau, in questo campo «vale la regola del doppio». E cioè per ogni colf e badante che chiede di «emergere» c’è almeno un altro immigrato irregolare sul territorio. «Ce lo insegna l’esperienza della regolarizzazione della Bossi-Fini del 2002 e dei decreti-flussi del 2006 e 2007». Le badanti interessate dalla sanatoria dovrebbero essere circa cinquecentomila. Secondo una recente indagine delle Acli-colf, infatti, la metà della categoria lavora in nero. Nel nostro Paese si contano 600 mila lavoratori domestici regolari, ma considerando il sommerso il loro numero arriva almeno al doppio. Anche il Dipartimento Immigrazione del Viminale prevede una regolarizzazione — a settembre — di 500 mila rapporti di lavoro domestico («solo» 300 mila per la Ragioneria generale dello Stato). Ma dal momento che colf e badanti costituiscono almeno il 50 per cento di chi negli anni passati ha richiesto la regolarizzazione (la metà dei circa 700 mila candidati che ha fatto domanda nel 2002, e lo stesso è avvenuto con le 500 mila richieste del 2006 e le quasi 750 mila del 2007), eccoci arrivati — secondo la Caritas — «alla cifra di un milione di immigrati irregolari sul nostro territorio». Naturalmente si tratta, per la quasi totalità, di persone che un lavoro già ce l’hanno, ma che non hanno potuto ottenere il permesso di soggiorno, a causa di «quote d’ingresso» troppo basse rispetto alle richieste di privati e aziende. Persone che in ogni caso — come ha commentato ieri Giuliano Cazzola — «fanno lavori che gli italiani rifiutano». Mentre senza di loro interi settori produttivi «non avrebbero personale». Il rapporto Ocse evidenzia altri due dati che sfatano luoghi comuni radicati. Primo: la stragrande maggioranza degli irregolari entra in Italia legalmente. Ben il 60-65% sono overstayer , cioè persone che sono entrate in modo regolare e poi si sono trattenute più di quanto consentito dal loro visto di ingresso. Un altro 25% dei clandestini giunge illegalmente da altri Paesi Schengen, approfittando dell’abolizione dei controlli alle frontiere. Soltanto il 15% dell’immigrazione irregolare arriva dal mare e dalle rotte del Mediterraneo. Anche se negli ultimi mesi c’è una nuova crescita degli sbarchi dovuta alla pressione demografica dall’Africa subsahariana e dalle coste meridionali del Mediterraneo dovuta all’aggravarsi della crisi alimentare ed economica. Mediamente, in un anno, però non più di 60.000 persone attraversano il Mediterraneo dirette in Europa. Secondo l’Ocse, questo «suggerisce che è difficile ridurre l’immigrazione irregolare attraverso misure di solo controllo delle frontiere». La ricerca di lavoro di chi entra magari per turismo è «alimentata dalle richieste del mercato del lavoro non soddisfatte dai canali dell’immigrazione legale», sottolinea il Rapporto. E ancora: «Quando esistono reali necessità del mercato e i datori di lavoro hanno mezzi limitati per reclutare lavoratori all’estero, l’ingresso illegale, seguito dalla ricerca del lavoro e dal protrarsi della permanenza, è una delle strade usate per bilanciare la domanda e l’offerta, sebbene non necessariamente sia la più vantaggiosa per gli stessi immigrati e per il mercato del lavoro del Paese ospitante». I dati mostrano quindi come l’elemento principale per contrastare l’immigrazione illegale dovrebbe essere l’apertura di canali legali d’immigrazione. «Questo è ciò che chiedono i mercati del lavoro nei Paesi Ocse e in Europa — conclude il Rapporto — ma su cui la risposta politica è ancora insufficiente, a partire dal Patto su immigrazione e asilo». C’è poi il secondo luogo comune sfatato. Non solo non è vero che gli immigrati, regolari e irregolari, «rubano» lavoro, ma addirittura aiutano a creare posti di lavoro. Si prenda ad esempio il caso delle badanti, che ormai esercitano buona parte delle attività degli assistenti domiciliari: il numero di questi ultimi paradossalmente è cresciuto perché essi possono svolgere attualmente mansioni più qualificate di un tempo. La crisi sta rallentando il flusso, «per la prima volta dagli anni 80». Per quanto riguarda l’Italia, dopo quello dall’Albania, si stanno fermando anche gli arrivi dalla Romania. Trascurabili i nuovi ingressi dei polacchi, mentre sono sempre sostenuti quelli da Moldavia e Ucraina. Pittau però ritiene che «il mercato del lavoro italiano sia comunque sempre appetibile». E cita la teoria delle formichine del demografo Enrico Todisco della Sapienza. «Finché ci saranno anche solo delle briciole le formichine si sposteranno per raggiungerle».
M.Antonietta Calabrò
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