mercoledì 19 agosto 2009

Civiltà del burkini

Costumi e religione. Scontro di civiltà a bordo vasca. Il caso del burkini in piscina a Verona

Allegria: siamo in Italia e il burkini non va perché gli manca la marca da bollo. L’abilità nazionale a (non) risolvere i problemi tirando fuori cavilli burocratici non ha evitato l’arrivo dello scontro di civiltà nelle nostre piscine, però. A Verona «alcune mamme» si sono lamentate perché il costume portato da una bagnante straniera — ideato per le donne islamiche integraliste, o per le donne con padri e/o mariti integralisti, forse (intero-totale-cappucciomunito tipo Cartoonia) — spaventava i loro bambini. Da noi si mandano spesso avanti le mamme, quando il tema è delicato; certo, in casi come questo, anche chi è favorevole alle leggi francesi anti-velo e magari è anche mamma, reagisce imbarazzata; sembra un po’ una scusa, anzi parecchio. Comunque, mamme o non mamme, il direttore dell’impianto ha affrontato l’islamizzatrice in burkini. E le ha chiesto di fornire ufficialmente la composizione del tessuto del suo costume; «per verificare se fosse a norma per poter essere usato in una piscina pubblica». Oddio, per constatare la compatibilità del materiale bisognerebbe istituire una apposita commissione. Ma non succederà. Probabilmente, basterà la moral suasion del direttore a convincere le immigrate, non verranno più a farsi qualche vasca. E dispiace, francamente. Quest’estate il burkini ha provocato piccoli choc culturali che chissà quali effetti avranno. Dal punto di vista formale, non stupisce (né spaventa) più di tanto. È integrale come i costumi dei nuotatori agonistici; copre la testa, ma la coprono anche le cuffie che in quasi tutte le piscine sono obbligatorie, e guai a scordarle. Sul piano simbolico, al solito, è complicato: in Francia una ragazza in burkini è stata buttata fuori da una piscina (è stato visto come un simbolo religioso, non ostentabile per legge nei luoghi pubblici; e forse stavolta si è esagerato). In Svezia, a Uppsala, è diventato normale e perdipiù scoraggia il diritto al topless faticosamente conquistato (le svedesi sono spesso ottime e civili, quindi dispiace anche per loro). Dall’Australia Ahjida Zanetti, di origine libanese, che prima nuotava in maglietta e pantaloni e poi ha inventato il burkini, racconta di averne venduto online decine di migliaia. D’altra parte: meglio non fasciarsi la testa col burkini prima di essersela rotta. D’altra parte ancora: gli islamici sono solo il 3 per cento della popolazione europea; di burkini non se ne dovrebbero vedere poi troppi. Non sarà il caso — anche a Verona — di rasserenare i bambini raccontando che la signora imburkinata è nel cast degli Incredibili? Le donne islamiche hanno problemi più seri, sul serio. E non sono loro a portare i costumi più imbarazzanti, proprio no.

Maria Laura Rodotà

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