La sentenza del Tar del Lazio afferma (preferisco dire 'afferma', e non 'stabilisce', poiché nessun giudice può 'stabilire' alcunché contro ragionate evidenze in senso contrario, come vedremo) che “un insegnamento di carattere etico e religioso, strettamente attinente alla fede individuale, non può assolutamente essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico”. La sentenza tratta, inoltre, l’opzione di chi si avvale dell’Insegnamento di Religione Cattolica alla stregua di “una scelta di carattere religioso degli studenti e dei loro genitori” (come Prima Comunione o Cresima, suppongo), cui conseguentemente non potrebbero essere attribuiti crediti formativi. Che il patrimonio vivente di fede e di dottrina (di consistenza razionale e sociale, irriducibile a decisioni o emozioni soggettive) del Cristianesimo, nella sua costante cattolica, non possa essere insegnato in forma positiva e “misurato come una materia di insegnamento” è davvero una pretesa controevidente. L’adulterazione in senso privatistico di una religio nei secoli sempre personale e pubblica ad un tempo, fa intravedere nei formulanti, che siano i giudici o i ricorrenti, un vuoto di sapere o un più preoccupante (perché deliberato) oblio della presenza delle istituzioni cristiane nel corpo della cultura europea e mondiale. La lotta contro il magistero cristiano pubblico della Chiesa cattolica, lotta che vede alleati da decenni (parlando solo della storia repubblicana) “atei e agnostici razionalisti” e le comunità evangeliche ed ebraiche italiane, in un’alleanza suicida per gli uomini di fede biblica, è uno scandalo doloroso che non merita altri commenti. Ma esige una severa critica l’argomento che prende avvio e forza dall’arbitraria, e tutta politica, riduzione privatistica della fede cristiana. Una riduzione contraria ai fatti e ai fondamenti e che si vuole, di conseguenza, da anni ‘realizzare’ imperativamente attraverso i tribunali. Così un ragionamento erroneo si trasforma in un ordine di esecuzione: il Tribunale “ordina che la presente sentenza (che risale all’11 febbraio scorso) sia eseguita dall’autorità amministrativa”. Corresponsabili della cattiva logica e buona coscienza di tale uso decisionistico dei poteri giurisdizionali contro la ragione storica sono, sia ripetuto per l’ennesima volta, anche quei cattolici che dalla cancellazione della Rivelazione cristiana dall’ethos comune dell’Occidente si attendono delle palingenesi religiose e civili. Una follia di cui sono succubi e che li vede anche in prima fila nella denuncia dell’Insegnamento di Religione Cattolica nella scuola (come tale, non solo pubblica). E poiché non è meno insidiosa, e squisitamente nichilistica, la diffusa richiesta non di azzeramento ma di trasformazione dell’insegnamento di religione cattolica in un insegnamento formale di storia delle religioni, è opportuno estendere il nostro ragionamento. Non dovrebbe sfuggire che insegnamento della religione cattolica (Irc) e insegnamento della storia delle religioni sono cose diverse, se guardate in profondità. Che l’insegnante, e molti estensori di manuali e sussidiari di Irc usino di fatto la materia storico-religiosa non cambia le cose, perché la ratio dell’insegnamento di religione Cattolica resta altra da quella di una disciplina descrittiva secondo una variabile empiricità. L'Irc ha infatti lo statuto proprio degli insegnamenti istituzionali, come potrebbe essere quello, praticabile ma poco praticato nonostante le chiacchiere, di educazione civica. E come nessuno accetterebbe che un insegnante medio di educazione civica presentasse - poniamo - la Costituzione per alterarne il disegno o distruggerne la legittimità, così l'Irc esige oltre alla competenza una conformità al piano di saperi e principi cristiano-cattolici. Altra cosa sarà la grande varietà di modi per dire tali saperi e principi. Senza coinvolgere qui l’epistemologia, si può sostenere pianamente che, come l'insegnamento di una lingua o della matematica non è la storia di quella lingua o della matematica, così l'insegnamento della religione cattolica non è la storia della religione cattolica. Vecchio dibattito, certamente: un insegnante di matematica molto capace, e che disponesse di molte ore, potrebbe dare conto di alcuni teoremi alla maniera di Lakatos, attraverso una storia 'tipica' della loro genesi; e, certo (ma non tutti sono d’accordo), si capiscono meglio le strutture di una lingua attraverso la sua storia. Un criterio che ha prevalso nell'insegnamento della filosofia ed anche della letteratura (dall'insegnamento di retorica alla storia della letteratura e della critica), ma cui si oppongono oggi più che ieri molte buone ragioni. Resta che storia e istituzioni sono ovunque distinte e tanto meglio comunicanti se in un primo momento analiticamente distinte. E che, comunque, non è davvero a questo livello sofisticato che si pone da decenni il dibattito sull’insegnamento della religione. La formalità di un insegnameto basico di Cristianesimo è dottrinale (la tedesca Glaubenslehre, dottrina della fede), è un insegnamento condotto nelle sue linee essenziali per dogmata, nel senso tecnico e profondo dei termini. Nella sua natura essenziale l’Irc è ordinato a trasmettere istituzioni di Cristianesimo (cattolico). Ed è, in questo senso, prescrittivo, come ogni altro insegnamento, ossia ordinato a far acquisire conoscenze conformi al proprio oggetto. Non certo le opinioni approssimative di un docente sprovveduto o ostile; basta a questo l’opera pasticciata dei media. Tale insegnamento, realizzato seriamente, non è "catechistico" poiché richiede dal discente un onesto e corretto apprendimento intellettuale, non adesione di fede e conformità di opere. Se, dunque, la riforma dell'Irc non deve essere una sua abolizione mascherata (in realtà, quasi tutti, dal clero ‘spiritualista’ ai cattolici 'democratici' ai 'laici' anticattolici, si attendono da decenni questo), la formalità, cioè la struttura essenziale, dell'insegnamento deve continuare ad avere le caratteristiche originarie; deve implicare cioè la responsabilità di una trasmissione (dialettica e dialogica quanto si voglia) dei dati formanti, costitutivi, del Cattolicesimo storico e comune. Ogni intelligenza in buona fede capisce, allora, che apprendere l’esistenza di una concezione del mondo, di un complesso di verità (con soglie Vero/Falso), di prassi che implicano soglie (complesse quanto si voglia, ma non inesistenti) Bene/Male e di istituti che garantiscono la trasmissione autentica tutto questo, insomma: apprendere la forma cattolica, è per se stesso un grande momento formativo per giovani, e per adulti. Molto diversamente dall’insegnamento marginale e improvvisato di una cattedra di Storia delle religioni invariabilmente affidata ad insegnanti del settore umanistico in parcheggio, o in attesa di passaggio ad altro. Quanto alla storia delle religioni come tale (che mi preme: vi ho dedicato e vi dedico da decenni molto del mio lavoro) nell’insegnamento medio, sostengo che dovrebbe essere fecondamene incorporata negli ordinari programmi di storia, filosofia, letterature (e analoghi a seconda degli indirizzi), poiché tale è, anzitutto, la sua posizione, nel cuore delle civiltà. Questo innesto indurrebbe negli insegnanti e nella strumentazione didattica una attenzione più estesa e rigorosa alle religioni e alle chiese, anche per l’età moderna e contemporanea, quindi nel curriculum delle medie superiori. Infatti il pochissimo di storia religiosa che si fa attiene alla storia antica e medievale e viene impartito (sempre meno e sempre peggio, mi dicono) a livello poco più che adolescenziale. Non avrei difficoltà a suggerire al competente Ministero un modello almeno sperimentale di programma. Basta, d'altronde, avere in mente la struttura di una introduzione storico-comparatistica alla Religione, e distribuire strategicamente le sue parti nel quadro del curriculum storico-filosofico-letterario di un quinquennio superiore. Gli esempi sono ovvi e paralleli nelle diverse aree: “fai” Dante o Milton o Leibniz o Mazzini? Farai anche, funzionalmente, quel capitolo di storia o di fenomenologia religiosa con cui capirai meglio gli autori e molto altro. Immagino le reazioni degli insegnanti di storia e filosofia e letteratura: ‘non abbiamo le competenze’ (ma si guadagnano), ‘non abbiamo le ore’ (dovrebbero essere chieste). Di più: letteratura o filosofia, magari anche storia generale, sono altra cosa dalla storia religiosa! Ma la previsione di scandalo non è mero divertimento; lo considererei una cartina di tornasole della coperta intentio distruttiva che sottende tutta la querelle sull'Irc. A pochi, anche per ignoranza indotta dai curricula universitari, interessano veramente le istituzioni (le conoscenze) di storia di dottrine e pratiche religiose nell'economia formativa. A troppi interessa solo la battaglia contro l'Irc in sé stesso. La Storia delle religioni è un pretesto. È inoltre un pesante sintomo di deriva ‘laica’ che anche uomini religiosi sembrino preferire il pasticcio nichilistico, o il niente, ad un insegnamento che, come quello cristiano-cattolico, già per se stesso abbraccia tanto della comune fede. La ragione cattolica è attrezzata in maniera unica a una funzione religiosa universalistica, e in termini alti di contenuto non di spiritualities o di curiosità etniche, che vanno lasciate ai festival e alle attività di quartiere. Partire da questo, invece di perseguire una vuota distruzione dell’esistente, sarebbe un bene per le religioni e la società civile in Italia.
giovedì 13 agosto 2009
Scuola e religione
L'insegnamento della religione cattolica. Un giudice non può "condannare" il Cristianesimo all'oblio di Pietro De Marco
La sentenza del Tar del Lazio afferma (preferisco dire 'afferma', e non 'stabilisce', poiché nessun giudice può 'stabilire' alcunché contro ragionate evidenze in senso contrario, come vedremo) che “un insegnamento di carattere etico e religioso, strettamente attinente alla fede individuale, non può assolutamente essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico”. La sentenza tratta, inoltre, l’opzione di chi si avvale dell’Insegnamento di Religione Cattolica alla stregua di “una scelta di carattere religioso degli studenti e dei loro genitori” (come Prima Comunione o Cresima, suppongo), cui conseguentemente non potrebbero essere attribuiti crediti formativi. Che il patrimonio vivente di fede e di dottrina (di consistenza razionale e sociale, irriducibile a decisioni o emozioni soggettive) del Cristianesimo, nella sua costante cattolica, non possa essere insegnato in forma positiva e “misurato come una materia di insegnamento” è davvero una pretesa controevidente. L’adulterazione in senso privatistico di una religio nei secoli sempre personale e pubblica ad un tempo, fa intravedere nei formulanti, che siano i giudici o i ricorrenti, un vuoto di sapere o un più preoccupante (perché deliberato) oblio della presenza delle istituzioni cristiane nel corpo della cultura europea e mondiale. La lotta contro il magistero cristiano pubblico della Chiesa cattolica, lotta che vede alleati da decenni (parlando solo della storia repubblicana) “atei e agnostici razionalisti” e le comunità evangeliche ed ebraiche italiane, in un’alleanza suicida per gli uomini di fede biblica, è uno scandalo doloroso che non merita altri commenti. Ma esige una severa critica l’argomento che prende avvio e forza dall’arbitraria, e tutta politica, riduzione privatistica della fede cristiana. Una riduzione contraria ai fatti e ai fondamenti e che si vuole, di conseguenza, da anni ‘realizzare’ imperativamente attraverso i tribunali. Così un ragionamento erroneo si trasforma in un ordine di esecuzione: il Tribunale “ordina che la presente sentenza (che risale all’11 febbraio scorso) sia eseguita dall’autorità amministrativa”. Corresponsabili della cattiva logica e buona coscienza di tale uso decisionistico dei poteri giurisdizionali contro la ragione storica sono, sia ripetuto per l’ennesima volta, anche quei cattolici che dalla cancellazione della Rivelazione cristiana dall’ethos comune dell’Occidente si attendono delle palingenesi religiose e civili. Una follia di cui sono succubi e che li vede anche in prima fila nella denuncia dell’Insegnamento di Religione Cattolica nella scuola (come tale, non solo pubblica). E poiché non è meno insidiosa, e squisitamente nichilistica, la diffusa richiesta non di azzeramento ma di trasformazione dell’insegnamento di religione cattolica in un insegnamento formale di storia delle religioni, è opportuno estendere il nostro ragionamento. Non dovrebbe sfuggire che insegnamento della religione cattolica (Irc) e insegnamento della storia delle religioni sono cose diverse, se guardate in profondità. Che l’insegnante, e molti estensori di manuali e sussidiari di Irc usino di fatto la materia storico-religiosa non cambia le cose, perché la ratio dell’insegnamento di religione Cattolica resta altra da quella di una disciplina descrittiva secondo una variabile empiricità. L'Irc ha infatti lo statuto proprio degli insegnamenti istituzionali, come potrebbe essere quello, praticabile ma poco praticato nonostante le chiacchiere, di educazione civica. E come nessuno accetterebbe che un insegnante medio di educazione civica presentasse - poniamo - la Costituzione per alterarne il disegno o distruggerne la legittimità, così l'Irc esige oltre alla competenza una conformità al piano di saperi e principi cristiano-cattolici. Altra cosa sarà la grande varietà di modi per dire tali saperi e principi. Senza coinvolgere qui l’epistemologia, si può sostenere pianamente che, come l'insegnamento di una lingua o della matematica non è la storia di quella lingua o della matematica, così l'insegnamento della religione cattolica non è la storia della religione cattolica. Vecchio dibattito, certamente: un insegnante di matematica molto capace, e che disponesse di molte ore, potrebbe dare conto di alcuni teoremi alla maniera di Lakatos, attraverso una storia 'tipica' della loro genesi; e, certo (ma non tutti sono d’accordo), si capiscono meglio le strutture di una lingua attraverso la sua storia. Un criterio che ha prevalso nell'insegnamento della filosofia ed anche della letteratura (dall'insegnamento di retorica alla storia della letteratura e della critica), ma cui si oppongono oggi più che ieri molte buone ragioni. Resta che storia e istituzioni sono ovunque distinte e tanto meglio comunicanti se in un primo momento analiticamente distinte. E che, comunque, non è davvero a questo livello sofisticato che si pone da decenni il dibattito sull’insegnamento della religione. La formalità di un insegnameto basico di Cristianesimo è dottrinale (la tedesca Glaubenslehre, dottrina della fede), è un insegnamento condotto nelle sue linee essenziali per dogmata, nel senso tecnico e profondo dei termini. Nella sua natura essenziale l’Irc è ordinato a trasmettere istituzioni di Cristianesimo (cattolico). Ed è, in questo senso, prescrittivo, come ogni altro insegnamento, ossia ordinato a far acquisire conoscenze conformi al proprio oggetto. Non certo le opinioni approssimative di un docente sprovveduto o ostile; basta a questo l’opera pasticciata dei media. Tale insegnamento, realizzato seriamente, non è "catechistico" poiché richiede dal discente un onesto e corretto apprendimento intellettuale, non adesione di fede e conformità di opere. Se, dunque, la riforma dell'Irc non deve essere una sua abolizione mascherata (in realtà, quasi tutti, dal clero ‘spiritualista’ ai cattolici 'democratici' ai 'laici' anticattolici, si attendono da decenni questo), la formalità, cioè la struttura essenziale, dell'insegnamento deve continuare ad avere le caratteristiche originarie; deve implicare cioè la responsabilità di una trasmissione (dialettica e dialogica quanto si voglia) dei dati formanti, costitutivi, del Cattolicesimo storico e comune. Ogni intelligenza in buona fede capisce, allora, che apprendere l’esistenza di una concezione del mondo, di un complesso di verità (con soglie Vero/Falso), di prassi che implicano soglie (complesse quanto si voglia, ma non inesistenti) Bene/Male e di istituti che garantiscono la trasmissione autentica tutto questo, insomma: apprendere la forma cattolica, è per se stesso un grande momento formativo per giovani, e per adulti. Molto diversamente dall’insegnamento marginale e improvvisato di una cattedra di Storia delle religioni invariabilmente affidata ad insegnanti del settore umanistico in parcheggio, o in attesa di passaggio ad altro. Quanto alla storia delle religioni come tale (che mi preme: vi ho dedicato e vi dedico da decenni molto del mio lavoro) nell’insegnamento medio, sostengo che dovrebbe essere fecondamene incorporata negli ordinari programmi di storia, filosofia, letterature (e analoghi a seconda degli indirizzi), poiché tale è, anzitutto, la sua posizione, nel cuore delle civiltà. Questo innesto indurrebbe negli insegnanti e nella strumentazione didattica una attenzione più estesa e rigorosa alle religioni e alle chiese, anche per l’età moderna e contemporanea, quindi nel curriculum delle medie superiori. Infatti il pochissimo di storia religiosa che si fa attiene alla storia antica e medievale e viene impartito (sempre meno e sempre peggio, mi dicono) a livello poco più che adolescenziale. Non avrei difficoltà a suggerire al competente Ministero un modello almeno sperimentale di programma. Basta, d'altronde, avere in mente la struttura di una introduzione storico-comparatistica alla Religione, e distribuire strategicamente le sue parti nel quadro del curriculum storico-filosofico-letterario di un quinquennio superiore. Gli esempi sono ovvi e paralleli nelle diverse aree: “fai” Dante o Milton o Leibniz o Mazzini? Farai anche, funzionalmente, quel capitolo di storia o di fenomenologia religiosa con cui capirai meglio gli autori e molto altro. Immagino le reazioni degli insegnanti di storia e filosofia e letteratura: ‘non abbiamo le competenze’ (ma si guadagnano), ‘non abbiamo le ore’ (dovrebbero essere chieste). Di più: letteratura o filosofia, magari anche storia generale, sono altra cosa dalla storia religiosa! Ma la previsione di scandalo non è mero divertimento; lo considererei una cartina di tornasole della coperta intentio distruttiva che sottende tutta la querelle sull'Irc. A pochi, anche per ignoranza indotta dai curricula universitari, interessano veramente le istituzioni (le conoscenze) di storia di dottrine e pratiche religiose nell'economia formativa. A troppi interessa solo la battaglia contro l'Irc in sé stesso. La Storia delle religioni è un pretesto. È inoltre un pesante sintomo di deriva ‘laica’ che anche uomini religiosi sembrino preferire il pasticcio nichilistico, o il niente, ad un insegnamento che, come quello cristiano-cattolico, già per se stesso abbraccia tanto della comune fede. La ragione cattolica è attrezzata in maniera unica a una funzione religiosa universalistica, e in termini alti di contenuto non di spiritualities o di curiosità etniche, che vanno lasciate ai festival e alle attività di quartiere. Partire da questo, invece di perseguire una vuota distruzione dell’esistente, sarebbe un bene per le religioni e la società civile in Italia.
La sentenza del Tar del Lazio afferma (preferisco dire 'afferma', e non 'stabilisce', poiché nessun giudice può 'stabilire' alcunché contro ragionate evidenze in senso contrario, come vedremo) che “un insegnamento di carattere etico e religioso, strettamente attinente alla fede individuale, non può assolutamente essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico”. La sentenza tratta, inoltre, l’opzione di chi si avvale dell’Insegnamento di Religione Cattolica alla stregua di “una scelta di carattere religioso degli studenti e dei loro genitori” (come Prima Comunione o Cresima, suppongo), cui conseguentemente non potrebbero essere attribuiti crediti formativi. Che il patrimonio vivente di fede e di dottrina (di consistenza razionale e sociale, irriducibile a decisioni o emozioni soggettive) del Cristianesimo, nella sua costante cattolica, non possa essere insegnato in forma positiva e “misurato come una materia di insegnamento” è davvero una pretesa controevidente. L’adulterazione in senso privatistico di una religio nei secoli sempre personale e pubblica ad un tempo, fa intravedere nei formulanti, che siano i giudici o i ricorrenti, un vuoto di sapere o un più preoccupante (perché deliberato) oblio della presenza delle istituzioni cristiane nel corpo della cultura europea e mondiale. La lotta contro il magistero cristiano pubblico della Chiesa cattolica, lotta che vede alleati da decenni (parlando solo della storia repubblicana) “atei e agnostici razionalisti” e le comunità evangeliche ed ebraiche italiane, in un’alleanza suicida per gli uomini di fede biblica, è uno scandalo doloroso che non merita altri commenti. Ma esige una severa critica l’argomento che prende avvio e forza dall’arbitraria, e tutta politica, riduzione privatistica della fede cristiana. Una riduzione contraria ai fatti e ai fondamenti e che si vuole, di conseguenza, da anni ‘realizzare’ imperativamente attraverso i tribunali. Così un ragionamento erroneo si trasforma in un ordine di esecuzione: il Tribunale “ordina che la presente sentenza (che risale all’11 febbraio scorso) sia eseguita dall’autorità amministrativa”. Corresponsabili della cattiva logica e buona coscienza di tale uso decisionistico dei poteri giurisdizionali contro la ragione storica sono, sia ripetuto per l’ennesima volta, anche quei cattolici che dalla cancellazione della Rivelazione cristiana dall’ethos comune dell’Occidente si attendono delle palingenesi religiose e civili. Una follia di cui sono succubi e che li vede anche in prima fila nella denuncia dell’Insegnamento di Religione Cattolica nella scuola (come tale, non solo pubblica). E poiché non è meno insidiosa, e squisitamente nichilistica, la diffusa richiesta non di azzeramento ma di trasformazione dell’insegnamento di religione cattolica in un insegnamento formale di storia delle religioni, è opportuno estendere il nostro ragionamento. Non dovrebbe sfuggire che insegnamento della religione cattolica (Irc) e insegnamento della storia delle religioni sono cose diverse, se guardate in profondità. Che l’insegnante, e molti estensori di manuali e sussidiari di Irc usino di fatto la materia storico-religiosa non cambia le cose, perché la ratio dell’insegnamento di religione Cattolica resta altra da quella di una disciplina descrittiva secondo una variabile empiricità. L'Irc ha infatti lo statuto proprio degli insegnamenti istituzionali, come potrebbe essere quello, praticabile ma poco praticato nonostante le chiacchiere, di educazione civica. E come nessuno accetterebbe che un insegnante medio di educazione civica presentasse - poniamo - la Costituzione per alterarne il disegno o distruggerne la legittimità, così l'Irc esige oltre alla competenza una conformità al piano di saperi e principi cristiano-cattolici. Altra cosa sarà la grande varietà di modi per dire tali saperi e principi. Senza coinvolgere qui l’epistemologia, si può sostenere pianamente che, come l'insegnamento di una lingua o della matematica non è la storia di quella lingua o della matematica, così l'insegnamento della religione cattolica non è la storia della religione cattolica. Vecchio dibattito, certamente: un insegnante di matematica molto capace, e che disponesse di molte ore, potrebbe dare conto di alcuni teoremi alla maniera di Lakatos, attraverso una storia 'tipica' della loro genesi; e, certo (ma non tutti sono d’accordo), si capiscono meglio le strutture di una lingua attraverso la sua storia. Un criterio che ha prevalso nell'insegnamento della filosofia ed anche della letteratura (dall'insegnamento di retorica alla storia della letteratura e della critica), ma cui si oppongono oggi più che ieri molte buone ragioni. Resta che storia e istituzioni sono ovunque distinte e tanto meglio comunicanti se in un primo momento analiticamente distinte. E che, comunque, non è davvero a questo livello sofisticato che si pone da decenni il dibattito sull’insegnamento della religione. La formalità di un insegnameto basico di Cristianesimo è dottrinale (la tedesca Glaubenslehre, dottrina della fede), è un insegnamento condotto nelle sue linee essenziali per dogmata, nel senso tecnico e profondo dei termini. Nella sua natura essenziale l’Irc è ordinato a trasmettere istituzioni di Cristianesimo (cattolico). Ed è, in questo senso, prescrittivo, come ogni altro insegnamento, ossia ordinato a far acquisire conoscenze conformi al proprio oggetto. Non certo le opinioni approssimative di un docente sprovveduto o ostile; basta a questo l’opera pasticciata dei media. Tale insegnamento, realizzato seriamente, non è "catechistico" poiché richiede dal discente un onesto e corretto apprendimento intellettuale, non adesione di fede e conformità di opere. Se, dunque, la riforma dell'Irc non deve essere una sua abolizione mascherata (in realtà, quasi tutti, dal clero ‘spiritualista’ ai cattolici 'democratici' ai 'laici' anticattolici, si attendono da decenni questo), la formalità, cioè la struttura essenziale, dell'insegnamento deve continuare ad avere le caratteristiche originarie; deve implicare cioè la responsabilità di una trasmissione (dialettica e dialogica quanto si voglia) dei dati formanti, costitutivi, del Cattolicesimo storico e comune. Ogni intelligenza in buona fede capisce, allora, che apprendere l’esistenza di una concezione del mondo, di un complesso di verità (con soglie Vero/Falso), di prassi che implicano soglie (complesse quanto si voglia, ma non inesistenti) Bene/Male e di istituti che garantiscono la trasmissione autentica tutto questo, insomma: apprendere la forma cattolica, è per se stesso un grande momento formativo per giovani, e per adulti. Molto diversamente dall’insegnamento marginale e improvvisato di una cattedra di Storia delle religioni invariabilmente affidata ad insegnanti del settore umanistico in parcheggio, o in attesa di passaggio ad altro. Quanto alla storia delle religioni come tale (che mi preme: vi ho dedicato e vi dedico da decenni molto del mio lavoro) nell’insegnamento medio, sostengo che dovrebbe essere fecondamene incorporata negli ordinari programmi di storia, filosofia, letterature (e analoghi a seconda degli indirizzi), poiché tale è, anzitutto, la sua posizione, nel cuore delle civiltà. Questo innesto indurrebbe negli insegnanti e nella strumentazione didattica una attenzione più estesa e rigorosa alle religioni e alle chiese, anche per l’età moderna e contemporanea, quindi nel curriculum delle medie superiori. Infatti il pochissimo di storia religiosa che si fa attiene alla storia antica e medievale e viene impartito (sempre meno e sempre peggio, mi dicono) a livello poco più che adolescenziale. Non avrei difficoltà a suggerire al competente Ministero un modello almeno sperimentale di programma. Basta, d'altronde, avere in mente la struttura di una introduzione storico-comparatistica alla Religione, e distribuire strategicamente le sue parti nel quadro del curriculum storico-filosofico-letterario di un quinquennio superiore. Gli esempi sono ovvi e paralleli nelle diverse aree: “fai” Dante o Milton o Leibniz o Mazzini? Farai anche, funzionalmente, quel capitolo di storia o di fenomenologia religiosa con cui capirai meglio gli autori e molto altro. Immagino le reazioni degli insegnanti di storia e filosofia e letteratura: ‘non abbiamo le competenze’ (ma si guadagnano), ‘non abbiamo le ore’ (dovrebbero essere chieste). Di più: letteratura o filosofia, magari anche storia generale, sono altra cosa dalla storia religiosa! Ma la previsione di scandalo non è mero divertimento; lo considererei una cartina di tornasole della coperta intentio distruttiva che sottende tutta la querelle sull'Irc. A pochi, anche per ignoranza indotta dai curricula universitari, interessano veramente le istituzioni (le conoscenze) di storia di dottrine e pratiche religiose nell'economia formativa. A troppi interessa solo la battaglia contro l'Irc in sé stesso. La Storia delle religioni è un pretesto. È inoltre un pesante sintomo di deriva ‘laica’ che anche uomini religiosi sembrino preferire il pasticcio nichilistico, o il niente, ad un insegnamento che, come quello cristiano-cattolico, già per se stesso abbraccia tanto della comune fede. La ragione cattolica è attrezzata in maniera unica a una funzione religiosa universalistica, e in termini alti di contenuto non di spiritualities o di curiosità etniche, che vanno lasciate ai festival e alle attività di quartiere. Partire da questo, invece di perseguire una vuota distruzione dell’esistente, sarebbe un bene per le religioni e la società civile in Italia.
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