Altro che partito islamico. A giudicare dall’«utenza» dei centri cittadini, i musulmani che vivono a Milano rappresentano una nazione dentro la città, più che una lista, quella a cui pensa il direttore del centro di viale Jenner Abdel Hamid Shaari, che ha confermato: «Sto facendo un pensierino anche a una mia candidatura, sarà una sorpresa per molti». Ma fra i suoi fratelli quasi nessuno ha la minima idea di cosa sia il Comune o di chi sia il sindaco di Milano, per esempio. Questa sorta di «sondaggio» è stato fatto all’uscita del maggiore centro islamico di Milano, in via Padova, all’uscita della affollatissima preghiera di ieri. Il campione ovviamente non è scientifico, ma significativo: oltre 60 musulmani, regolari o no. Il primo risultato è che la gran parte degli intervistati, che pure dichiara di conoscere l’italiano, in realtà non capisce una parola della nostra lingua, o comunque non è in grado di comprendere la domanda: «È giusto fare un partito di musulmani? Lei lo voterebbe?». Questo forse anche per la comprensibile scarsa dimestichezza con nozioni che non in tutti i Paesi sono naturali, come elezioni e democrazia. Qualcuno non capisce ma ci prova: «Il partito dei musulmani? Qui dentro questa porta». Trentadue domande, comunque, cadono nel vuoto. Sette persone rimandano ad altri: «Chiedi all’imam», «chiedi a chi sa meglio l’italiano», o «a chi sa di politica» dicono in tanti. A una ventina l’idea (vaga) di un partito non dispiace affatto: «È giusto», «va bene». Sei vogliono i Fratelli musulmani, la formazione egiziana ispirata all’Islam. Qualcuno non si fida: «In Egitto ho famiglia, non parlo di politica». Un tunisino ha le idee chiarissime. Il suo obiettivo è un partito «di opposizione sociale». Dunque «un partito di immigrati, non religioso, come in Francia alleato con i comunisti». «Un partito per i diritti dei musulmani, è giusto», gli fa eco un altro, disposto però a votare anche per gli italiani «se difendessero i musulmani». Inutile dire che al primo posto dei diritti tutti mettono la moschea. Nessuno o quasi, comunque, ha la benché minima idea di chi sia il sindaco o di cosa faccia: sono 2 su 40 interrogati. Uno lo sa, l’altro conosce la signora «Liza Moratti».
domenica 30 agosto 2009
Integrazione
La lista dei musulmani Vogliono candidarsi ma nessuno ha idea di chi sia il sindaco
Altro che partito islamico. A giudicare dall’«utenza» dei centri cittadini, i musulmani che vivono a Milano rappresentano una nazione dentro la città, più che una lista, quella a cui pensa il direttore del centro di viale Jenner Abdel Hamid Shaari, che ha confermato: «Sto facendo un pensierino anche a una mia candidatura, sarà una sorpresa per molti». Ma fra i suoi fratelli quasi nessuno ha la minima idea di cosa sia il Comune o di chi sia il sindaco di Milano, per esempio. Questa sorta di «sondaggio» è stato fatto all’uscita del maggiore centro islamico di Milano, in via Padova, all’uscita della affollatissima preghiera di ieri. Il campione ovviamente non è scientifico, ma significativo: oltre 60 musulmani, regolari o no. Il primo risultato è che la gran parte degli intervistati, che pure dichiara di conoscere l’italiano, in realtà non capisce una parola della nostra lingua, o comunque non è in grado di comprendere la domanda: «È giusto fare un partito di musulmani? Lei lo voterebbe?». Questo forse anche per la comprensibile scarsa dimestichezza con nozioni che non in tutti i Paesi sono naturali, come elezioni e democrazia. Qualcuno non capisce ma ci prova: «Il partito dei musulmani? Qui dentro questa porta». Trentadue domande, comunque, cadono nel vuoto. Sette persone rimandano ad altri: «Chiedi all’imam», «chiedi a chi sa meglio l’italiano», o «a chi sa di politica» dicono in tanti. A una ventina l’idea (vaga) di un partito non dispiace affatto: «È giusto», «va bene». Sei vogliono i Fratelli musulmani, la formazione egiziana ispirata all’Islam. Qualcuno non si fida: «In Egitto ho famiglia, non parlo di politica». Un tunisino ha le idee chiarissime. Il suo obiettivo è un partito «di opposizione sociale». Dunque «un partito di immigrati, non religioso, come in Francia alleato con i comunisti». «Un partito per i diritti dei musulmani, è giusto», gli fa eco un altro, disposto però a votare anche per gli italiani «se difendessero i musulmani». Inutile dire che al primo posto dei diritti tutti mettono la moschea. Nessuno o quasi, comunque, ha la benché minima idea di chi sia il sindaco o di cosa faccia: sono 2 su 40 interrogati. Uno lo sa, l’altro conosce la signora «Liza Moratti».
Altro che partito islamico. A giudicare dall’«utenza» dei centri cittadini, i musulmani che vivono a Milano rappresentano una nazione dentro la città, più che una lista, quella a cui pensa il direttore del centro di viale Jenner Abdel Hamid Shaari, che ha confermato: «Sto facendo un pensierino anche a una mia candidatura, sarà una sorpresa per molti». Ma fra i suoi fratelli quasi nessuno ha la minima idea di cosa sia il Comune o di chi sia il sindaco di Milano, per esempio. Questa sorta di «sondaggio» è stato fatto all’uscita del maggiore centro islamico di Milano, in via Padova, all’uscita della affollatissima preghiera di ieri. Il campione ovviamente non è scientifico, ma significativo: oltre 60 musulmani, regolari o no. Il primo risultato è che la gran parte degli intervistati, che pure dichiara di conoscere l’italiano, in realtà non capisce una parola della nostra lingua, o comunque non è in grado di comprendere la domanda: «È giusto fare un partito di musulmani? Lei lo voterebbe?». Questo forse anche per la comprensibile scarsa dimestichezza con nozioni che non in tutti i Paesi sono naturali, come elezioni e democrazia. Qualcuno non capisce ma ci prova: «Il partito dei musulmani? Qui dentro questa porta». Trentadue domande, comunque, cadono nel vuoto. Sette persone rimandano ad altri: «Chiedi all’imam», «chiedi a chi sa meglio l’italiano», o «a chi sa di politica» dicono in tanti. A una ventina l’idea (vaga) di un partito non dispiace affatto: «È giusto», «va bene». Sei vogliono i Fratelli musulmani, la formazione egiziana ispirata all’Islam. Qualcuno non si fida: «In Egitto ho famiglia, non parlo di politica». Un tunisino ha le idee chiarissime. Il suo obiettivo è un partito «di opposizione sociale». Dunque «un partito di immigrati, non religioso, come in Francia alleato con i comunisti». «Un partito per i diritti dei musulmani, è giusto», gli fa eco un altro, disposto però a votare anche per gli italiani «se difendessero i musulmani». Inutile dire che al primo posto dei diritti tutti mettono la moschea. Nessuno o quasi, comunque, ha la benché minima idea di chi sia il sindaco o di cosa faccia: sono 2 su 40 interrogati. Uno lo sa, l’altro conosce la signora «Liza Moratti».
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