La sezione spagnola di Amnesty International ha diffuso i dati forniti dal governo di Madrid alla UE sui casi di razzismo e xenofobia avvenuti nel Paese dall’inizio del 2009. Sono in tutto 12. L’accusa rivolta da Amnesty a Zapatero è di non registrare tutti gli incidenti razziali che avvengono nelle discoteche, nelle scuole, nei commissariati di polizia, altrove. (La Gran Bretagna, per dirne una, ne ha censiti qualche decina di migliaia.) Secondo il rapporto Raxen 2009, l’anno scorso in Spagna ci sono stati almeno 350 aggressioni a fondo xenofobo e il numero sta crescendo. Valencia, Madrid e la Catalogna guidano questa amara classifica. Raxen ha censito oltre 200 siti internet che inneggiano al suprematismo bianco e al neonazismo. Tempo fa destò scalpore il video del giovane che prendeva a calci e pugni una 22enne ecuadoregna in metropolitana, tra gli sguardi vigliacchi degli altri passeggeri che non intervennero. La curva del Real Madrid si è distinta per cori inneggianti a Hitler e versi di scimmia quando entravano in campo giocatori di colore, mentre in Formula Uno a farne le spese è stato Lewis Hamilton. Giovani spagnoli e bande di “Latin Kings”, le gang dei latinos, se le danno di santa ragione ogni volta che si ubriacano. Si registrano anche casi di pestaggi ad opera dei vigilantes privati e, come vedremo, episodi di violenza che coinvolgono agenti della Guardia Civil. Questo stato di cose evidentemente non è una peculiarità della Spagna. Tutti i Paesi europei sono attraversati da un riflusso tribale che sconfina nella violenza xenofoba. E molto spesso questo problema è collegato a quello dell’immigrazione. Al numero sempre più elevato di immigranti che sbarcano nell’Unione pensando di aver trovato l’America. A volte ci riescono, a volte no, a volte si integrano, a volte finiscono vittima di aggressioni a sfondo razzista, a volte si comportano in modo tale da suscitare una legittima avversione nei loro confronti. Quando Zapatero prese il potere nel 2005 una delle prime leggi presentate dalla maggioranza socialista fu la legalizzazione di circa un milione di cittadini stranieri che risiedevano nel Paese. L’approccio era quello “diritti e doveri”: ti accogliamo, puoi restare in Spagna se impari la nostra lingua, no alle regolamentazioni di massa, i lavoratori stranieri sono comunque degli “ospiti”. Il 4 agosto del 2005, il premier spagnolo scese dall’aereo presidenziale accompagnato dalla moglie per una rigenerante vacanza alle Canarie. Qualche ora prima, proprio dalle Canarie, era partito “El Angel”, il cargo usato dal Ministero degli Interni per i rimpatri dei clandestini. Nell’aereo si trovavano circa 80 persone rimaste chiuse da mesi in un centro di detenzione fantasma sull’isola. L’Unione Europea criticò la “legalizzazione” di Zapatero dicendo che avrebbe potuto scatenare “seri conflitti”. Nel settembre dello stesso anno, migliaia di africani attratti dalla possibilità di attraversare il confine assaltarono letteralmente le due enclave di Ceuta e Melilla. A centinaia riuscirono ad entrare nelle città. L’esercito marocchino intervenne sparando sulla folla. Morirono in tre per colpi di arma da fuoco e altri due impiccati sulle reti con filo spinato. Zapatero fece alzare i reticolati a sei metri d’altezza e mandò un contingente di 500 uomini per riportare l’ordine. Il miraggio della legalizzazione non fermò i clandestini che iniziarono ad arrivare via mare, 1.800 imbarcazioni tra il 2006 e il 2007. Un cittadino senegalese morì asfissiato e di questo venne accusata la polizia, che sarebbe implicata anche in altri casi del genere. Zapatero intraprese una forte campagna di pressione sugli stati africani per dissuaderli dal favorire i flussi minatori e la sua politica iniziò ad emergere più chiaramente per quello che era – una politica come tutte le altre messe in cantiere dai Paesi europei, una politica di contenimento dell’immigrazione. Il governo riuscì a far votare una legge che garantiva ai migranti regolari – per esempio quelli rimasti disoccupati per colpa della crisi nell’edilizia – di poter ritirare le rate dell’assegno di disoccupazione tutte in una volta, a patto di non rimettere più piede in Spagna per tre anni. La previsione era di rimandare indietro centomila persone. Ad oggi, sono circa 4.000 gli immigrati disoccupati che hanno scelto questa opzione. Zapatero aveva bisogno di rilanciare la sua immagine di riformista gentile e per farlo doveva distinguersi da altri stati europei meno “aperti” e disponibili a subire i grandi flussi migratori della nostra epoca, come la Francia, ad esempio, ma soprattutto l’Italia di Berlusconi. Così arriviamo allo scorso anno, quando ormai la politica migratoria del premier è solo il ricordo di quella propagandata all’inizio del suo mandato: nel 2008 c’è stata la stretta sui ricongiungimenti familiari, l’inaugurazione di nuovi aerei e mezzi per il pattugliamento delle coste, sono aumentati i centri di identificazione ed espulsione. Eppure, nel maggio del 2008, il vicepremier spagnolo Maria Teresa Fernandez de la Vega rischia di far scoppiare un caso diplomatico. Commentando le leggi italiane sull'immigrazione, questa rampolla di famiglia franchista dice: “Il governo spagnolo respinge la violenza, il razzismo e la zenofobia e, pertanto, non può condividere ciò che sta accadendo in Italia. La Spagna lavora a una politica dell’immigrazione legale e ordinata che permetta il riconoscimento di diritti e doveri”. La Farnesina reagisce, per qualche tempo la polemica infuria sui giornali, poi Zapatero interviene spiegando che la Spagna “non voleva criticare le norme italiane” e che la sua vice si riferiva esclusivamente alle aggressioni contro i campi rom avvenute in quel periodo nel napoletano. Già, i Rom. I “Gitani”, come vengono chiamati in Spagna. Il 9 agosto, qualche tempo dopo l’esternazione della vice, una manifestazione composta da 400 gitani provenienti da tutto il Paese attraversa il centro di Madrid scandendo slogan contro il governo Berlusconi: “in Italia la giustizia è morta”. L’effetto mediatico della protesta è ancora una volta politicamente vantaggioso. Ma quando i rom respinti o espulsi dal nostro Paese iniziano ad arrivare in Spagna, creando dei campi nomadi proprio intorno a Madrid, monta la rabbia popolare, insieme al numero di scippi, borseggi e furti. Molti comuni chiedono l’intervento delle questure. L’episodio di intolleranza più grave avviene a Castellar, una località dell’Andalusia. Qui, dopo una lite tra un gitano e uno spagnolo, le case degli zingari vengono prese di mira, i loro abitanti scacciati, e alla fine la Guardia Civil si trova a dover difendere giorno e notte le due famiglie che hanno deciso di restare nei paraggi. La magistratura spagnola risponde alla crisi con la detenzione preventiva e la proposta di giudicare anche i minorenni sfruttati dalla malavita per piccoli e grandi reati di delinquenza comune. L’impressione è che le bordate contro il governo italiano siano servite a rafforzare il consenso del PSOE – un modo per riconfermare la “superiorità” del modello spagnolo di integrazione e il “sorpasso” di Madrid su Roma, due tenaci ambizioni di Zapatero. La crisi economica dell’ultimo anno spariglia le carte e capovolge i piani del premier socialista. Il welfare guadagna dai contributi versati dai lavoratori immigrati regolarizzati, certo, ma la spesa pubblica, l’assistenza sanitaria, la Seguridad Social, aumentano a tassi molto più elevati degli incassi. Gli immigrati perdono lavoro facilmente e ingrossano le fila della disoccupazione, una delle peggiori nell’area euro. Probabilmente la stretta sull’immigrazione continuerà, nonostante i dati diffusi da Madrid sugli incidenti razziali raccontino di una Spagna Felix, eterno ponte retorico tra le due sponde del Mediterraneo, “culla di cultura e civiltà”.
venerdì 7 agosto 2009
In spagna
Nella Spagna gentile di Zapatero cresce un "razzismo invisibile" di Roberto Santoro
La sezione spagnola di Amnesty International ha diffuso i dati forniti dal governo di Madrid alla UE sui casi di razzismo e xenofobia avvenuti nel Paese dall’inizio del 2009. Sono in tutto 12. L’accusa rivolta da Amnesty a Zapatero è di non registrare tutti gli incidenti razziali che avvengono nelle discoteche, nelle scuole, nei commissariati di polizia, altrove. (La Gran Bretagna, per dirne una, ne ha censiti qualche decina di migliaia.) Secondo il rapporto Raxen 2009, l’anno scorso in Spagna ci sono stati almeno 350 aggressioni a fondo xenofobo e il numero sta crescendo. Valencia, Madrid e la Catalogna guidano questa amara classifica. Raxen ha censito oltre 200 siti internet che inneggiano al suprematismo bianco e al neonazismo. Tempo fa destò scalpore il video del giovane che prendeva a calci e pugni una 22enne ecuadoregna in metropolitana, tra gli sguardi vigliacchi degli altri passeggeri che non intervennero. La curva del Real Madrid si è distinta per cori inneggianti a Hitler e versi di scimmia quando entravano in campo giocatori di colore, mentre in Formula Uno a farne le spese è stato Lewis Hamilton. Giovani spagnoli e bande di “Latin Kings”, le gang dei latinos, se le danno di santa ragione ogni volta che si ubriacano. Si registrano anche casi di pestaggi ad opera dei vigilantes privati e, come vedremo, episodi di violenza che coinvolgono agenti della Guardia Civil. Questo stato di cose evidentemente non è una peculiarità della Spagna. Tutti i Paesi europei sono attraversati da un riflusso tribale che sconfina nella violenza xenofoba. E molto spesso questo problema è collegato a quello dell’immigrazione. Al numero sempre più elevato di immigranti che sbarcano nell’Unione pensando di aver trovato l’America. A volte ci riescono, a volte no, a volte si integrano, a volte finiscono vittima di aggressioni a sfondo razzista, a volte si comportano in modo tale da suscitare una legittima avversione nei loro confronti. Quando Zapatero prese il potere nel 2005 una delle prime leggi presentate dalla maggioranza socialista fu la legalizzazione di circa un milione di cittadini stranieri che risiedevano nel Paese. L’approccio era quello “diritti e doveri”: ti accogliamo, puoi restare in Spagna se impari la nostra lingua, no alle regolamentazioni di massa, i lavoratori stranieri sono comunque degli “ospiti”. Il 4 agosto del 2005, il premier spagnolo scese dall’aereo presidenziale accompagnato dalla moglie per una rigenerante vacanza alle Canarie. Qualche ora prima, proprio dalle Canarie, era partito “El Angel”, il cargo usato dal Ministero degli Interni per i rimpatri dei clandestini. Nell’aereo si trovavano circa 80 persone rimaste chiuse da mesi in un centro di detenzione fantasma sull’isola. L’Unione Europea criticò la “legalizzazione” di Zapatero dicendo che avrebbe potuto scatenare “seri conflitti”. Nel settembre dello stesso anno, migliaia di africani attratti dalla possibilità di attraversare il confine assaltarono letteralmente le due enclave di Ceuta e Melilla. A centinaia riuscirono ad entrare nelle città. L’esercito marocchino intervenne sparando sulla folla. Morirono in tre per colpi di arma da fuoco e altri due impiccati sulle reti con filo spinato. Zapatero fece alzare i reticolati a sei metri d’altezza e mandò un contingente di 500 uomini per riportare l’ordine. Il miraggio della legalizzazione non fermò i clandestini che iniziarono ad arrivare via mare, 1.800 imbarcazioni tra il 2006 e il 2007. Un cittadino senegalese morì asfissiato e di questo venne accusata la polizia, che sarebbe implicata anche in altri casi del genere. Zapatero intraprese una forte campagna di pressione sugli stati africani per dissuaderli dal favorire i flussi minatori e la sua politica iniziò ad emergere più chiaramente per quello che era – una politica come tutte le altre messe in cantiere dai Paesi europei, una politica di contenimento dell’immigrazione. Il governo riuscì a far votare una legge che garantiva ai migranti regolari – per esempio quelli rimasti disoccupati per colpa della crisi nell’edilizia – di poter ritirare le rate dell’assegno di disoccupazione tutte in una volta, a patto di non rimettere più piede in Spagna per tre anni. La previsione era di rimandare indietro centomila persone. Ad oggi, sono circa 4.000 gli immigrati disoccupati che hanno scelto questa opzione. Zapatero aveva bisogno di rilanciare la sua immagine di riformista gentile e per farlo doveva distinguersi da altri stati europei meno “aperti” e disponibili a subire i grandi flussi migratori della nostra epoca, come la Francia, ad esempio, ma soprattutto l’Italia di Berlusconi. Così arriviamo allo scorso anno, quando ormai la politica migratoria del premier è solo il ricordo di quella propagandata all’inizio del suo mandato: nel 2008 c’è stata la stretta sui ricongiungimenti familiari, l’inaugurazione di nuovi aerei e mezzi per il pattugliamento delle coste, sono aumentati i centri di identificazione ed espulsione. Eppure, nel maggio del 2008, il vicepremier spagnolo Maria Teresa Fernandez de la Vega rischia di far scoppiare un caso diplomatico. Commentando le leggi italiane sull'immigrazione, questa rampolla di famiglia franchista dice: “Il governo spagnolo respinge la violenza, il razzismo e la zenofobia e, pertanto, non può condividere ciò che sta accadendo in Italia. La Spagna lavora a una politica dell’immigrazione legale e ordinata che permetta il riconoscimento di diritti e doveri”. La Farnesina reagisce, per qualche tempo la polemica infuria sui giornali, poi Zapatero interviene spiegando che la Spagna “non voleva criticare le norme italiane” e che la sua vice si riferiva esclusivamente alle aggressioni contro i campi rom avvenute in quel periodo nel napoletano. Già, i Rom. I “Gitani”, come vengono chiamati in Spagna. Il 9 agosto, qualche tempo dopo l’esternazione della vice, una manifestazione composta da 400 gitani provenienti da tutto il Paese attraversa il centro di Madrid scandendo slogan contro il governo Berlusconi: “in Italia la giustizia è morta”. L’effetto mediatico della protesta è ancora una volta politicamente vantaggioso. Ma quando i rom respinti o espulsi dal nostro Paese iniziano ad arrivare in Spagna, creando dei campi nomadi proprio intorno a Madrid, monta la rabbia popolare, insieme al numero di scippi, borseggi e furti. Molti comuni chiedono l’intervento delle questure. L’episodio di intolleranza più grave avviene a Castellar, una località dell’Andalusia. Qui, dopo una lite tra un gitano e uno spagnolo, le case degli zingari vengono prese di mira, i loro abitanti scacciati, e alla fine la Guardia Civil si trova a dover difendere giorno e notte le due famiglie che hanno deciso di restare nei paraggi. La magistratura spagnola risponde alla crisi con la detenzione preventiva e la proposta di giudicare anche i minorenni sfruttati dalla malavita per piccoli e grandi reati di delinquenza comune. L’impressione è che le bordate contro il governo italiano siano servite a rafforzare il consenso del PSOE – un modo per riconfermare la “superiorità” del modello spagnolo di integrazione e il “sorpasso” di Madrid su Roma, due tenaci ambizioni di Zapatero. La crisi economica dell’ultimo anno spariglia le carte e capovolge i piani del premier socialista. Il welfare guadagna dai contributi versati dai lavoratori immigrati regolarizzati, certo, ma la spesa pubblica, l’assistenza sanitaria, la Seguridad Social, aumentano a tassi molto più elevati degli incassi. Gli immigrati perdono lavoro facilmente e ingrossano le fila della disoccupazione, una delle peggiori nell’area euro. Probabilmente la stretta sull’immigrazione continuerà, nonostante i dati diffusi da Madrid sugli incidenti razziali raccontino di una Spagna Felix, eterno ponte retorico tra le due sponde del Mediterraneo, “culla di cultura e civiltà”.
La sezione spagnola di Amnesty International ha diffuso i dati forniti dal governo di Madrid alla UE sui casi di razzismo e xenofobia avvenuti nel Paese dall’inizio del 2009. Sono in tutto 12. L’accusa rivolta da Amnesty a Zapatero è di non registrare tutti gli incidenti razziali che avvengono nelle discoteche, nelle scuole, nei commissariati di polizia, altrove. (La Gran Bretagna, per dirne una, ne ha censiti qualche decina di migliaia.) Secondo il rapporto Raxen 2009, l’anno scorso in Spagna ci sono stati almeno 350 aggressioni a fondo xenofobo e il numero sta crescendo. Valencia, Madrid e la Catalogna guidano questa amara classifica. Raxen ha censito oltre 200 siti internet che inneggiano al suprematismo bianco e al neonazismo. Tempo fa destò scalpore il video del giovane che prendeva a calci e pugni una 22enne ecuadoregna in metropolitana, tra gli sguardi vigliacchi degli altri passeggeri che non intervennero. La curva del Real Madrid si è distinta per cori inneggianti a Hitler e versi di scimmia quando entravano in campo giocatori di colore, mentre in Formula Uno a farne le spese è stato Lewis Hamilton. Giovani spagnoli e bande di “Latin Kings”, le gang dei latinos, se le danno di santa ragione ogni volta che si ubriacano. Si registrano anche casi di pestaggi ad opera dei vigilantes privati e, come vedremo, episodi di violenza che coinvolgono agenti della Guardia Civil. Questo stato di cose evidentemente non è una peculiarità della Spagna. Tutti i Paesi europei sono attraversati da un riflusso tribale che sconfina nella violenza xenofoba. E molto spesso questo problema è collegato a quello dell’immigrazione. Al numero sempre più elevato di immigranti che sbarcano nell’Unione pensando di aver trovato l’America. A volte ci riescono, a volte no, a volte si integrano, a volte finiscono vittima di aggressioni a sfondo razzista, a volte si comportano in modo tale da suscitare una legittima avversione nei loro confronti. Quando Zapatero prese il potere nel 2005 una delle prime leggi presentate dalla maggioranza socialista fu la legalizzazione di circa un milione di cittadini stranieri che risiedevano nel Paese. L’approccio era quello “diritti e doveri”: ti accogliamo, puoi restare in Spagna se impari la nostra lingua, no alle regolamentazioni di massa, i lavoratori stranieri sono comunque degli “ospiti”. Il 4 agosto del 2005, il premier spagnolo scese dall’aereo presidenziale accompagnato dalla moglie per una rigenerante vacanza alle Canarie. Qualche ora prima, proprio dalle Canarie, era partito “El Angel”, il cargo usato dal Ministero degli Interni per i rimpatri dei clandestini. Nell’aereo si trovavano circa 80 persone rimaste chiuse da mesi in un centro di detenzione fantasma sull’isola. L’Unione Europea criticò la “legalizzazione” di Zapatero dicendo che avrebbe potuto scatenare “seri conflitti”. Nel settembre dello stesso anno, migliaia di africani attratti dalla possibilità di attraversare il confine assaltarono letteralmente le due enclave di Ceuta e Melilla. A centinaia riuscirono ad entrare nelle città. L’esercito marocchino intervenne sparando sulla folla. Morirono in tre per colpi di arma da fuoco e altri due impiccati sulle reti con filo spinato. Zapatero fece alzare i reticolati a sei metri d’altezza e mandò un contingente di 500 uomini per riportare l’ordine. Il miraggio della legalizzazione non fermò i clandestini che iniziarono ad arrivare via mare, 1.800 imbarcazioni tra il 2006 e il 2007. Un cittadino senegalese morì asfissiato e di questo venne accusata la polizia, che sarebbe implicata anche in altri casi del genere. Zapatero intraprese una forte campagna di pressione sugli stati africani per dissuaderli dal favorire i flussi minatori e la sua politica iniziò ad emergere più chiaramente per quello che era – una politica come tutte le altre messe in cantiere dai Paesi europei, una politica di contenimento dell’immigrazione. Il governo riuscì a far votare una legge che garantiva ai migranti regolari – per esempio quelli rimasti disoccupati per colpa della crisi nell’edilizia – di poter ritirare le rate dell’assegno di disoccupazione tutte in una volta, a patto di non rimettere più piede in Spagna per tre anni. La previsione era di rimandare indietro centomila persone. Ad oggi, sono circa 4.000 gli immigrati disoccupati che hanno scelto questa opzione. Zapatero aveva bisogno di rilanciare la sua immagine di riformista gentile e per farlo doveva distinguersi da altri stati europei meno “aperti” e disponibili a subire i grandi flussi migratori della nostra epoca, come la Francia, ad esempio, ma soprattutto l’Italia di Berlusconi. Così arriviamo allo scorso anno, quando ormai la politica migratoria del premier è solo il ricordo di quella propagandata all’inizio del suo mandato: nel 2008 c’è stata la stretta sui ricongiungimenti familiari, l’inaugurazione di nuovi aerei e mezzi per il pattugliamento delle coste, sono aumentati i centri di identificazione ed espulsione. Eppure, nel maggio del 2008, il vicepremier spagnolo Maria Teresa Fernandez de la Vega rischia di far scoppiare un caso diplomatico. Commentando le leggi italiane sull'immigrazione, questa rampolla di famiglia franchista dice: “Il governo spagnolo respinge la violenza, il razzismo e la zenofobia e, pertanto, non può condividere ciò che sta accadendo in Italia. La Spagna lavora a una politica dell’immigrazione legale e ordinata che permetta il riconoscimento di diritti e doveri”. La Farnesina reagisce, per qualche tempo la polemica infuria sui giornali, poi Zapatero interviene spiegando che la Spagna “non voleva criticare le norme italiane” e che la sua vice si riferiva esclusivamente alle aggressioni contro i campi rom avvenute in quel periodo nel napoletano. Già, i Rom. I “Gitani”, come vengono chiamati in Spagna. Il 9 agosto, qualche tempo dopo l’esternazione della vice, una manifestazione composta da 400 gitani provenienti da tutto il Paese attraversa il centro di Madrid scandendo slogan contro il governo Berlusconi: “in Italia la giustizia è morta”. L’effetto mediatico della protesta è ancora una volta politicamente vantaggioso. Ma quando i rom respinti o espulsi dal nostro Paese iniziano ad arrivare in Spagna, creando dei campi nomadi proprio intorno a Madrid, monta la rabbia popolare, insieme al numero di scippi, borseggi e furti. Molti comuni chiedono l’intervento delle questure. L’episodio di intolleranza più grave avviene a Castellar, una località dell’Andalusia. Qui, dopo una lite tra un gitano e uno spagnolo, le case degli zingari vengono prese di mira, i loro abitanti scacciati, e alla fine la Guardia Civil si trova a dover difendere giorno e notte le due famiglie che hanno deciso di restare nei paraggi. La magistratura spagnola risponde alla crisi con la detenzione preventiva e la proposta di giudicare anche i minorenni sfruttati dalla malavita per piccoli e grandi reati di delinquenza comune. L’impressione è che le bordate contro il governo italiano siano servite a rafforzare il consenso del PSOE – un modo per riconfermare la “superiorità” del modello spagnolo di integrazione e il “sorpasso” di Madrid su Roma, due tenaci ambizioni di Zapatero. La crisi economica dell’ultimo anno spariglia le carte e capovolge i piani del premier socialista. Il welfare guadagna dai contributi versati dai lavoratori immigrati regolarizzati, certo, ma la spesa pubblica, l’assistenza sanitaria, la Seguridad Social, aumentano a tassi molto più elevati degli incassi. Gli immigrati perdono lavoro facilmente e ingrossano le fila della disoccupazione, una delle peggiori nell’area euro. Probabilmente la stretta sull’immigrazione continuerà, nonostante i dati diffusi da Madrid sugli incidenti razziali raccontino di una Spagna Felix, eterno ponte retorico tra le due sponde del Mediterraneo, “culla di cultura e civiltà”.
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