domenica 9 agosto 2009

Invasione selvaggia

Bomba demografica sull’Europa: nel 2050 uno su 5 sarà islamico di Guido Mattioni

Non era stato simpatico, nel novembre 2004, percorrere le strade dell’Old West, il Bronx islamico di Amsterdam, il giorno dopo l’assassinio del regista olandese Theo Van Gogh, «colpevole» agli occhi del suo killer marocchino di aver girato un film contro le violenze subite in famiglia dalle donne musulmane. E ugualmente, nel luglio 2005, non era stato gradevole nemmeno attraversare a piedi, sempre da cronista, il quartiere londinese di Stockwell, dove vivevano alcuni degli attentatori alla metropolitana. In entrambi i casi il taccuino si era riempito via via delle stesse annotazioni: burqa e silenzi, sguardi ostili e scritte incomprensibili, porte chiuse in faccia e la netta sensazione che l’Europa, la nostra Vecchia Europa, stesse cambiando faccia. Velocemente, molto velocemente. Ora quella sensazione è diventata un numero, eloquente come solo i numeri sanno essere: nel 2050, un quinto degli europei sarà musulmano. Il 20%. Per essere ancora più comprensibile, due persone su dieci. Non a caso, di «bomba demografica a orologeria che sta trasformando il nostro Continente» scrive il quotidiano britannico Daily Telegraph, pubblicando i dati scaturiti dagli studi più aggiornati su questo fenomeno. Aggiunge anche, il Telegraph, che ad aggravare la situazione è il fatto che l’Unione europea sta beatamente ignorando questo trend che oltre a prevedibili problemi in materia di educazione, casa, welfare, lavoro e perfino di espressioni artistiche, potrà avere un impatto molto critico anche in politica estera. Non è un caso, che i risultati più allarmanti siano quelli raccolti per conto dell’Air Force Usa dal ricercatore Leon Perkowski. Era il 2006, ma poi quei dati erano stati dimenticati in uno dei tanti inoperosi uffici comunitari di Bruxelles. E dire che di recente, proprio nella capitale belga, al primo posto nella classifica dei nomi più diffusi tra i neonati, c’è proprio Mohammed. E che fatta esclusione per il secondo nome più usato - l’ebraico Adam - i successivi cinque sono nell’ordine Rayan, Ayoub, Mehdi, Amine e Hamza. Il combinato disposto tra il basso tasso di nascite della Vecchia Europa (vecchia e stanca anche tra le lenzuola) e il moltiplicarsi anno dopo anno delle masse di prolificissimi immigrati, non poteva che produrre questi frutti. Di conseguenza, si calcola che se la popolazione europea di fede musulmana è più che raddoppiata negli ultimi trent’anni, analogo raddoppio sarà registrato entro il 2015. E di lì, a salire, fino ad arrivare a quel 20% globale e tondo tondo ricordato in precedenza. Con picchi degni di nota, se non di preoccupazione, già in alcune aree e città. Nel 2026, stando all’inchiesta del giornalista americano Christopher Caldwell, i musulmani saranno per esempio maggioranza nella britannica Birmingham e ancor prima nella vicina Leicester. Un altro studio calcola inoltre che di questo passo questa popolazione supererà la non musulmana in Francia e in buona parte dell'Europa occidentale per la metà del secolo. Considerato anche il fatto che in città come la francese Marsiglia e l'olandese Rotterdam, la loro percentuale sia già ora del 25%, del 20% nella svedese Malmo, del 15% a Bruxelles e del 10% a Londra, Parigi e Copenhagen. E ancora: in Austria, cattolica al 90% nel ventesimo secolo, l’islam sarà la religione maggioritaria nel 2050 almeno tra la popolazione al di sotto dei 15 anni. E sono proprio le seconde e terze generazioni di neo-europei di religione musulmana, quelle che preoccupano di più per la loro coriacea resistenza a integrarsi. Perché, se oltre il 70% dei musulmani britannici over 55 afferma di avere molto più in comune con i non musulmani che non con i correligionari (lo stima il centro studi inglese Policy Exchange), la percentuale scende al 62% nella fascia dei giovani tra i 16 e i 24 anni. Ed è lì che non a caso pesca il terrorismo. In materia, ha ammesso con tardivo mea culpa Jerome Vignon, direttore Occupazione e affari sociali della Commissione europea, «è stata fatta perlopiù retorica sull’integrazione sociale dei migranti». Ma la retorica, ha aggiunto, «si è raramente tradotta in scelte politiche».

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